La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia. Spetta al custode, per escludere la sua responsabilità, provare il caso fortuito.
Il principio è stato riaffermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 21212/15, depositata il 20 ottobre. Il caso. Un uomo e una donna convenivano in giudizio un’amministrazione provinciale al fine di vederla condannata al risarcimento dei danni alla persona e al mezzo riportati in seguito ad una caduta avvenuta mentre percorrevano con un motociclo una galleria stradale, in parte della quale era improvvisamente mancata l’illuminazione. Il Tribunale rigettava la domanda e la Corte d’appello territorialmente competente confermava la decisione di primo grado. Avverso tale provvedimento, ricorrono per cassazione gli attori originari, contestando che la Corte di merito non aveva ritenuto sussistente la responsabilità della Provincia né riconducendola all’ipotesi disciplinata dall’articolo 2051 c.c., né, sussumendola sotto la norma generale sulla responsabilità civile contenuta nell’articolo 2043 c.c La responsabilità per i danni da cose in custodia ha carattere oggettivo. Sul punto, gli Ermellini hanno ricordato il consolidato orientamento di legittimità in forza del quale la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’articolo 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia provate tali circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, «ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale». Tuttavia, prosegue il Supremo Collegio, «nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento, ma richieda che l’agire umano», ed in particolare quello del danneggiato, «si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte», per la prova del nesso causale va dimostrato che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno. Secondo la ricostruzione dei Giudici di Piazza Cavour, la Corte di merito ha correttamente applicato tale principio al caso di specie. La situazione di pericolo era prevedibile. Inoltre, proseguono dal Palazzaccio, la Corte territoriale ha esaminato e rigettato la domanda in relazione all’articolo 2043 c.c., anche in questo caso correttamente, ritenendo la situazione di pericolo nella quale si ritrovò la ricorrente fosse prevedibile in quanto preannunciata dallo stesso ente gestore della strada e della galleria, e che a fronte dell’indicato pericolo la conducente non tenne il comportamento prudente richiesto dalla concreta situazione dei luoghi e che probabilmente ella cadde, dopo aver sbandato, perché sorpresa dalla improvvisa mancanza di illuminazione, senza che alcuna colpa potesse essere ascritta alla Provincia. Per tutte le ragioni sopra illustrate, dunque, la Corte ha concluso per il rigetto del ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, sentenza 10 settembre – 20 ottobre 2015, numero 21212 Presidente Finocchiaro – Relatore Rubino Svolgimento del processo e ragioni della decisione E' stata depositata in cancelleria la seguente relazione B.R. e O.A., rispettivamente proprietario e conducente di un motociclo, convenivano in giudizio la Provincia di Savona chiedendone la condanna al risarcimento dei danni alla persona e al mezzo riportati a seguito della caduta del motociclo all'interno di una galleria stradale denominata Fugona in conseguenza della improvvisa mancanza di illuminazione nel secondo tratto della galleria. Nel giudizio si costituiva anche l'Inps con atto di intervento volontario, chiedendo che, nel caso in cui fosse stata accertata la responsabilità della convenuta, la stessa fosse condannata a versarle quanto corrisposto al B. a titolo di indennità di malattia. La domanda dei ricorrenti veniva rigettata dal Tribunale di Savona, la cui decisione veniva confermata dalla Corte d'Appello di Genova con la sentenza numero 153\2014 del 4.2.2014, qui impugnata. B.R. e O.A. propongono ricorso per cassazione articolato in due motivi, con il primo dei quali deducono la violazione dell'articolo 2051 c.c. in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. e con il secondo la violazione dell'art 2043 c.c. e la falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. La Provincia di Savona, regolarmente intimata, non ha svolto attività difensiva. L'Inps si è limitata a depositare la procura. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articolo 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., in quanto appare destinato ad essere rigettato. Entrambi i motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto i ricorrenti contestano che la corte non abbia ritenuto sussistente né riconducendola all'ipotesi dell'articolo 2051, né riconducendola alla norma generale sulla responsabilità civile contenuta nell'articolo 2043 c.c., la responsabilità della Provincia. Nel caso di specie, la corte d'appello, recependo le valutazioni del giudice di primo grado, ha ritenuto che la O. non avesse provato che la causa della caduta del motociclo, a seguito della quale entrambi gli appellanti riportavano danni alla persona ed il B. anche al mezzo, si dovesse porre in rapporto di causalità con la assenza di illuminazione del secondo tratto della galleria, mancante per una temporanea avaria, e quindi aveva rigettato la domanda risarcitoria per mancanza della prova del nesso causale tra la cosa in custodia la galleria stradale e il danno. Aveva cioè correttamente richiamato la norma applicabile al caso di specie articolo 2051 c.c. e correttamente indicato la ripartizione degli oneri probatori E' necessario che il danneggiato provi che il danno è stato causato dal bene soggetto alla custodia. Nella specie, la O. era tenuta a provare che la causa dell'incidente era consistita nell'assenza di illuminazione della strada' per poi escludere, con accertamento di fatto non ulteriormente sindacabile in questa sede, che tale prova fosse stata fornita, atteso che tra l'altro la possibilità della mancanza di luce in galleria era stata segnalata con apposito cartello collocato prima dell'ingresso in galleria, e che la conducente, pur in presenza di una situazione di potenziale pericolo segnalata, non aveva moderato la velocità avendo lei stessa dichiarato di non aver superato il limite di velocità vigente in quel tratto. Deve ritenersi che la corte territoriale abbia correttamente applicato i principi di diritto formulati da questa Corte di legittimità in materia di danni derivanti da omessa custodia, tra i quali può richiamarsi Cass. numero 2660 del 2013 La responsabilità per i danni' cagionati da cose in custodia, prevista dall'ari. 2051 cod. czv., ha carattere oggettivo, essendo sufacáente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e dei suo rapporto di causalità con il bene in custodia una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l'onere di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale. Tuttavia, nei casi in cari il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento scoppio della caldaia, scarica elettrica, frana della strada o simili , ma richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno. Nel caso di specie, il danneggiato aveva inciampato in un cordolo, lasciato dagli operai che stavano eseguendo lavori stradali, andando a sbattere contro un mucchio di pietre . La corte d'appello, alla quale la domanda era stata prospettata anche sotto il profilo della violazione del principio del neminem laedere, ha esaminato e rigettato la domanda in relazigne all'articolo 2043 c.c., anche in questo caso senza violazione della ripartizione degli oneri probatori, ritenendo la situazione di pericolo nella quale si ritrovò la ricorrente fosse prevedibile in quanto preannunciata dallo stesso ente gestore della strada e della galleria, e che a fronte dell'indicato pericolo la conducente non tenne il comportamento prudente richiesto dalla concreta situazione dei luoghi e che probabilmente ella cadde, dopo aver sbandato, perché sorpresa dalla improvvisa mancanza di illuminazione, senza che alcuna colpa potesse essere ascritta alla Provincia. Si ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato . A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio, preso atto che non sono state depositate memorie, ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione stessa. In conclusione il ricorso va rigettato. Nulla sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva. Infine, il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n_ 228 del 2012, articolo 1, comma 18 deve darsi atto pertanto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell'articolo 13 co. 1 quater del d.p.r. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.