La legge 11 marzo 2014 numero 23 ha conferito la delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente, orientato alla crescita, delega originariamente da attuarsi entro 12 mesi e, dunque, entro il 26 marzo 2015. Secondo una prassi tipicamente italiana, il termine iniziale ha subito una doppia proroga trimestrale con conseguente postergazione della scadenza del termine ultimo al 26 settembre 2015. Il meccanismo di approvazione del decreto legislativo era reso ulteriormente complicato dalla previsione del passaggio dei testi approvati dal Governo alle commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari per l’espressione di pareri, passaggio che ha portato all’ultima proroga trimestrale appena menzionata. Seppure in limine della scadenza, il Consiglio dei Ministri del 22 settembre ultimo scorso ha approvato definitivamente i cinque decreti legislativi di attuazione della delega per il riordino del sistema fiscale, fra cui vi è anche il decreto contenente le misure per la revisione del sistema sanzionatorio, che provvede, in effetti, a ridisegnare il sistema penale tributario italiano.
Alle origini della esigenza di riforma. Come noto, la riforma realizzata con il d.lgs. 74/2000 perseguiva lo scopo di una ampia depenalizzazione, il superamento dei c.d. “reati ostacolo”, che avevano caratterizzato la legge numero 516/82, e la previsione della criminalizzazione delle sole condotte decettive in danno della Amministrazione Finanziaria, effettivamente lesive del bene tutelato. Era, inoltre, prevista l’introduzione di elevate soglie di punibilità, che conferivano penale rilevanza solo alle condotte di evasione caratterizzate da una certa gravità. La panpenalizzazione introdotta dalla legge del 1982, denominata “manette agli evasori”, aveva infatti realizzato un obbiettivo esattamente contrario rispetto a quello perseguito il moltiplicarsi dei procedimenti penali per reati formali e bagatellari aveva ingenerato un proporzionale aumento dei fascicoli giacenti negli armadi delle Procure della Repubblica, sino allo spirare del termine della prescrizione. Tuttavia, anche i “buoni propositi” del d.lgs. 74/2000 erano stati presto rinnegati dal legislatore. Infatti il permanere di elevatissimi tassi di evasione fiscale e del fenomeno per cui l’omesso versamento soprattutto dell’IVA a debito – regolarmente dichiarata – era divenuto un vero e proprio strumento patologico di finanziamento per le imprese, indusse il legislatore ad una vera e propria “controriforma”. Con l’introduzione delle fattispecie di cui agli articoli 10 bis e 10 ter si tornò, così, a punire il mero inadempimento di un debito tributario a prescindere da ogni condotta fraudolenta o decettiva, prevedendo una sorta di “arresto per debiti tributari”. La “controriforma” proseguì con la legge 148/2011, che intervenne abbassando le soglie di punibilità, abrogando circostanze attenuanti legate alle modesta entità del fatto articolo 2 comma 3 d.lgs. 74/2000 e subordinando il patteggiamento all’avvenuto pagamento del debito tributario articolo 13 comma 2 bis d.lgs. 74/2000 . L’incidere della crisi economica, il moltiplicarsi di procedimenti penali derivanti dalla situazione di insolvenza o di crisi di liquidità delle imprese, e non da ultimo i richiami della giurisprudenza Cedu sentenza Grande Stevens al rispetto del ne bis in idem a fronte del cumulo di sanzioni penali ed amministrative hanno indotto il legislatore a conferire nuova delega al Governo al fine di riordinare il sistema penale fiscale italiano, ponendo così nuovamente in discussione i principi portati avanti con la “controriforma”. Le linee guida della legge delega. La legge delega persegue come obbiettivo quello di garantire la stabilità del quadro giuridico di riferimento, la trasparenza e semplificazione del rapporto fiscale, la predeterminazione delle condotte illecite, la certezza della misura sanzionatoria, la rapidità dei tempi di irrogazione della sanzione e la percezione, da parte del cittadino, della pena come risposta adeguata, non vessatoria né di carattere espropriativo. Tenendo presente questi interessi, l’articolo 8 della legge delega ha dettato importanti linee guida di revisione del sistema, finalizzate, da un lato, ad articolare meglio i rapporti tra sistema sanzionatorio penale e sistema sanzionatorio amministrativo, regolati, come noto, dal principio di specialità, e, dall’altro, a ridurre l’area di intervento della sanzione punitiva per eccellenza - quella penale - ai soli casi connotati da un particolare disvalore giuridico, oltre che etico e sociale, identificati, in particolare, nei comportamenti artificiosi, fraudolenti e simulatori, oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ritenuti insidiosi anche rispetto all’attività di controllo, ovvero, comunque, al di sopra di elevate soglie. Appare dunque evidente la volontà di un ritorno ai principi ispiratori del d.lgs. 74/2000, principi traditi dalle controriforme che si erano succedute dopo la sua entrata in vigore. L’exitus penale dell’abuso del diritto. Pur non avendo il presente elaborato alcuna ambizione di completezza od esaustività, bensì quello di fornire “in pillole” gli aspetti più salienti della recente novella legislativa in materia penale tributaria, doveroso pare un cenno alla questione, a lungo dibattuta, sia de iure condito che de iure condendo, della possibile penale rilevanza delle condotte elusive e dunque dell’abuso del diritto. Va tuttavia premesso che l’abuso del diritto o elusione fiscale come noto i due termini non coincidono perfettamente, ma questa à la rubrica dell’articolo 10 bis della legge 27 luglio 2000, numero 212, introdotto dall’articolo 1 d.lgs. 128/2015 non ha trovato disciplina con il decreto legislativo in commento, bensì con l’antecedente d.lgs. 05 agosto 2015 numero 128, sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente. La scelta operata dal legislatore con il dettato del comma 13 dell’articolo 10 bis parrebbe segnare la fine di una lunga querelle dottrinaria e giurisprudenziale, in quanto viene statuito che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, mentre resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie. La norma rappresenta, dunque, una attuazione delle delega, laddove, all’articolo 8, prevedeva di procedere alla individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione sanzionate solo in via amministrativa e quelle di evasione sanzionate anche in via penale . Le nuove definizioni. L’incipit del decreto legislativo approvato definitivamente il 22 settembre 2015 prevede una serie di nuove definizioni che vanno ad integrare il contenuto dell’articolo 1 del d.lgs. 74/2000. «Dichiarazioni», «imposta evasa», «operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente», «mezzi fraudolenti» trovano ora una nuova e specifica definizione legislativa. La questione non è, ovviamente, meramente definitoria in quanto tali espressioni individuano di regola elementi costitutivi delle fattispecie criminose astratte previste nel d.lgs. 74/2000, ovvero ne caratterizzano la condotta. Introdurre una definizione legislativa di tali elementi normativi, ovvero introdurne una nuova, incide dunque direttamente sulle stesse ipotesi di reato che le ricomprende. Così la nuova definizione di «operazioni simulate» può incidere sull’ambito di applicazione dell’articolo 3, mentre l’introduzione della definizione di “mezzi fraudolenti” inciderà, oltre che sull’articolo 3, sull’articolo 11, la cui portata applicativa, da recente giurisprudenza, era stata estesa a quasi tutte le operazioni che comportassero una deminutio del patrimonio del contribuente oggetto di verifica fiscale. Interpretazione estensiva che la nuova definizione non dovrebbe più consentire. La nuova dichiarazione fraudolenta articolo 2 . Il dettato dell’articolo 2 è stato oggetto di un limitatissimo intervento riformatore, che ha portato alla mera eliminazione dell’aggettivo “annuale”, riferito alle dichiarazioni fraudolente punite dalla norma in esame. Il delitto in questione sarà dunque perfezionato non solo con la dichiarazione annuale, ma con qualunque dichiarazione, fra le quali potrebbero rientrare quindi, a titolo meramente esemplificativo, le dichiarazione di operazioni intracomunitarie Intrastat relative agli acquisti, come le dichiarazioni mensili di acquisti di beni e servizi compiuti da enti non soggettivi passivi di imposta Intra 12 . Il campo di applicazione della norma risulta dunque ampliato, ma non, naturalmente, con efficacia retroattiva, trattandosi di, seppur parziale, nuova incriminazione. Il novellato articolo 3. Ben più significativo l’intervento riformatore operato sulla dichiarazione fraudolenta realizzata mediante altri artifici. L’elemento caratterizzante la condotta tipica, prima individuato in «una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei», ha lasciato il posto a «compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti». La novella ulteriormente specifica al comma 2 quando «il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi», ma soprattutto al comma 3 chiarisce che «non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali». Il delitto, prima a struttura trifasica, diventa ora a struttura bifasica in quanto si perfeziona con la dichiarazione mendace prima fase , supportata da operazioni simulate, ovvero utilizzo di documentazione falsa ovvero altri mezzi fraudolenti seconda fase . Sotto il profilo della concreta applicazione della fattispecie, la limitazione operata dal comma 3 al concetto di «mezzi fraudolenti» consente di affermare, con ragionevole margine di certezza, che oggi il c.d. “nero” non può più, stante l’esplicito dato legislativo, trovare sanzione nel dettato dell’articolo 3, bensì solo in quello della dichiarazione infedele di cui al successivo articolo 4. Da notare, infine, l’elevazione della soglia di punibilità avvenuta con la modifica della lettera b del comma 1, sostituendo le parole «superiore ad euro un milione» con «superiore ad euro un milione cinquecentomila». La dichiarazione infedele post novella. Di ampia portata anche gli interventi modificativi operati sul testo dell’articolo 4. In prima evidenza il legislatore ha operato un significativo aumento della soglia di rilevanza penale elevando il minimo dell’imposta evasa dalla soglia di «cinquantamila euro» a «centocinquantamila euro» e portando da «due» a «tre» milioni di euro la soglia dell’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione. Di minore evidenza formale, ma di notevole impatto sostanziale, è la sostituzione, all’interno dell’articolo , della parola «fittizi» con quella «inesistenti». La modifica è indubbiamente favorevole al contribuente in quanto nessun costo realmente esistente, siccome sostenuto anche se indeducibile, potrà integrare la fattispecie di cui all’articolo 4. Nella quantificazione della imposta evasa ai fini penali non si dovrà più tenere conto di elementi passivi reali, anche se costituenti costi non inerenti o non deducibili, con esclusione dunque della penale rilevanza, sempre a titolo meramente esemplificativo di compensi rilevanti ed eccessivi corrisposti agli amministratori, di spese personali non deducibili ovvero del transfer pricing sul versante dei costi. Altrettanto significativa, nel corpo della norma in esame, è l’introduzione di un comma 1 bis relativo alle modalità di calcolo della imposta evasa. La nuova disposizione chiarisce, infatti, che le valutazioni di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, qualora siano state spiegate secondo criteri indicati in bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, non devono essere considerate al fine del calcolo della imposta evasa. Altrettanto, chiarisce la norma, non dovrà tenersi conto della violazione dei criteri relativi alla determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza o non deducibilità di elementi passivi reali. E’ evidente che dette ultime disposizioni costituiscono una riproposizione delle c.d. “clausole di tolleranza”, già contenute nell’articolo 7 del d.lgs. 74/2000, oggetto di abrogazione da parte dell’articolo 14 del nuovo decreto legislativo. Le vecchie clausole di tolleranza, applicabili, per dettato del previgente articolo 7, sia all’articolo 3 che all’articolo 4, sono state ora inserite nel corpo del solo articolo 4, con conseguente difficile estensione delle medesime, come invece prima avveniva, anche all’articolo 3, trattandosi, come spiegato nella relazione illustrativa, di una specifica scelta del legislatore, non ritenendosi possibile l’esclusione del dolo di evasione a fronte di manovre contabili a carattere fraudolento. L’omessa dichiarazione. Significative modifiche sono intervenute anche sul testo dell’articolo 5 d.lgs. numero 74/2000. Per un verso, il legislatore del 2015 ha operato un innalzamento della soglia di punibilità portata dai previgenti «trentamila» agli attuali «cinquantamila» euro, cui però è corrisposto un inasprimento del trattamento sanzionatorio in quanto la pena risulta ora individuata nei limiti edittali da un anno e sei mesi fino a quattro anni, rispetto ai previgenti da uno a tre anni. Evidente, per i noti principi che governano la successione di leggi penali nel tempo, che l’inasprimento del trattamento sanzionatorio opererà solo per le omissioni future, mentre, per contro, dell’innalzamento della soglia di punibilità beneficeranno anche tutti coloro che hanno commesso il fatto in precedenza. Il decreto introduce, inoltre, un comma 1 bis che punisce l’omessa presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta, a condizione che l’ammontare delle ritenute non versate superi la soglia di euro 50.000. Poiché il reato di omessa presentazione si consuma, per consolidata giurisprudenza, non al momento della scadenza del termine, ma, secondo quanto indicato nel comma 2 del medesimo articolo 5 d.lgs. 74/2000, entro 90 giorni dalla scadenza del termine, il reato di omessa dichiarazione del sostituto di imposta si perfezionerà, per il corrente anno, con la omessa presentazione entro il 20 dicembre 2015. Pena più severa per la distruzione delle scritture contabili. L’articolo 6 del decreto di riforma appena approvato modifica anche l’articolo 10 del d.lgs. 74/2000, elevando la pena prevista per chi nasconde o distrugge le scritture contabili, al fine di evadere le imposte o di consentire l’evasione a terzi, da un anno e sei mesi fino a sei anni di reclusione, contro i precedenti limiti edittali che prevedevano una pena da sei mesi a cinque anni. Come spesso accade l’inasprimento sanzionatorio non è fine a se stesso, ma determina importanti conseguenze sotto il profilo processuale. La previsione di un massimo di pena edittale superiore ai cinque anni consente, infatti, il ricorso alle intercettazioni telefoniche, ai sensi dell’articolo 266 c.p.p., anche per tale titolo di reato. La medesima soglia, inoltre, preclude in radice la possibile applicabilità al reato in esame della esclusione della punibilità ai sensi dell’articolo 131 bis c.p. non punibilità per la particolare tenuità del fatto e occasionalità della condotta . Innalzamento delle soglie per gli omessi versamenti. Senza ombra di dubbio la modifica più attesa ed invocata atteneva alle fattispecie di cui agli articolo 10 bis e 10 ter d.lgs. 74/2000. I delitti di omesso versamento di ritenute certificate e di omesso versamento di IVA dichiarata, in conseguenza dell’aggravarsi della crisi economica, hanno conosciuto uno straordinario incremento. L’afflittività dei procedimenti penali pendenti è risultata poi acuita dal sistematico ricorso al sequestro per equivalente che molto spesso andava a colpire beni personali dell’amministratore della società che, a causa della crisi economica, aveva omesso il versamento. Sistematico dunque, da un lato, il richiamo delle difese all’argomento della non punibilità a fronte della crisi economica quale causa di forza maggiore, o comunque situazione tale da escludere il dolo di evasione evidente, dall’altro lato, la percezione per il contribuente della ingiustizia di tale intervento penale. A fronte delle aspettative di una abolitio criminis , da più parti invocata anche alla luce della sostanziale assenza di decettività nelle condotte di cui ai reati in questione, il legislatore ha adottato la soluzione mediana, conservando la penale rilevanza delle condotte, ma elevando notevolmente la soglia originaria di punibilità, portata a 150.000,00 euro per le ritenute e 250.000,00 per l’omesso versamento di IVA. L’innalzamento delle soglie avrà naturalmente efficacia retroattiva con conseguente non punibilità anche per i fatti commessi prima della novella legislativa. Importante sottolineare una modifica sostanziale apportata alla struttura della fattispecie di omesso versamento delle ritenute il reato si perfezionerà anche sulla base della mera dichiarazione senza la necessità – ritenuta necessaria, sulla base del testo previgente, dalla prevalente e più recente giurisprudenza – che siano state anche rilasciate ai sostituiti le attestazioni di avvenuto versamento della ritenuta. Spiace rimarcare come tale modifica abbia ulteriormente impoverito la già scarna decettività della condotta incriminata, ponendo anche problemi di costituzionalità? in relazione alle prescrizioni contrarie contenute nella legge delega. La stretta sulle indebite compensazioni. Significativo l’intervento della novella sulla fattispecie prevista dall’articolo 10 quater. In tale caso il legislatore ha lasciato ferma la soglia di punibilità pari ad euro 50.000,00, ma è intervenuto sulla struttura della fattispecie operando una opportuna distinzione fra la ipotesi in cui sia portato in compensazione un credito «inesistente», dalla ipotesi in cui detto credito sia meramente «non spettante». Nel primo caso il trattamento sanzionatorio è stato elevato da un minimo di un anno e sei mesi ad un massimo di sei anni, mentre nel caso di credito «non spettante», ma esistente, rimane la vecchia sanzione da sei mesi a due anni di reclusione. Notevolissimo dunque l’aggravamento sanzionatorio per il credito «inesistente», aggravamento che non opererà retroattivamente, ma consentirà per il futuro, da un lato, il ricorso alle intercettazioni telefoniche ed impedirà, dall’altro, la punibilità per tenuità del fatto e occasionalità della condotta. La confisca. L’articolo 10 del decreto legislativo introduce un nuovo articolo 12 bis, dedicato alla confisca. Il primo comma del nuovo articolo 12 bis si limita a realizzare una più coerente collocazione normativa della disposizione relativa alla confisca, già applicabile ai reati tributari per effetto dell'articolo 1, comma 143, l. numero 244/2007 – che viene infatti abrogato dall'articolo 14 del decreto legislativo del 22 settembre. La novella è dunque priva di carattere innovativo – oltre la sistematica –, non curandosi nemmeno di includere i reati tributari fra i reati presupposto della responsabilità dell'ente e come fondamento di una confisca per equivalente in danno dell’ente stesso, come auspicato esplicitamente anche dalla giurisprudenza di legittimità. Carattere innovativo ha, invece, senza dubbio il comma 2 che esclude la confisca «per la parte che il contribuente si impegna a versare». Come aveva già chiarito la giurisprudenza in caso di sequestro per equivalente già disposto il contribuente può impegnarsi a versare quanto oggetto della misura cautelare reale per saldare il debito tributario ed evitare per tale via la misura della confisca. Il pagamento del debito tributario quale causa di non punibilità. Ancor più innovativo e decisamente premiale ha il dettato del primo comma del novellato articolo 13, che prevede la non punibilità in luogo della previgente mera diminuzione di pena , per i soli delitti di cui agli articolo 10 bis , 10 ter e 10 quater, comma 1, nel caso di integrale pagamento del debito tributario – comprensivo di interessi e sanzioni – prima dell’apertura del dibattimento. Ciò vale, per esplicito dettato, anche se il pagamento avviene a seguito di speciali procedure conciliative, di adesione o di ravvedimento operoso. Il contribuente attraverso il pagamento di quanto dovuto può dunque elidere la penale rilevanza della propria condotta. Il comma 2 del nuovo articolo 13 prevede altresì una causa di non punibilità relativa ai delitti di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione articolo 3 e 4 sempre ancorata all’avvenuto pagamento del debito tributario maggiorato di interessi e sanzioni, anche a seguito di ravvedimento operoso. Tuttavia in tale caso la non punibilità è ancorata alla spontaneità della resipiscenza del contribuente, che deve intervenire, per scriminare, prima che lo stesso «abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque accertamento amministrativo o di procedimenti penali». Ad agevolare l’adempimento del contribuente concorre anche il dettato del comma 3°, che prevede, nel caso in cui il debito tributario sia in via di estinzione mediante pagamento rateale prima della apertura del dibattimento, la concessione da parte del giudice di un termine di tre mesi per il pagamento del residuo, prorogabile per una sola volta per ulteriori tre mesi. Alla concessione del termine consegue la sospensione ex lege del decorso del termine di prescrizione del reato. Le nuove circostanze. L’articolo 12 prevede l’inserimento di un nuovo articolo 13 bis del d.lgs. 74/2000 che disciplina le nuove circostanze applicabili ai reati previsti dal medesimo decreto. Nel dettaglio il comma 1 prevede la diminuzione della pena sino alla metà e la non applicabilità delle sanzioni accessorie nel caso di integrale pagamento del debito tributario, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito di speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento. Il comma 2, riprendendo il testo del vecchio articolo 13, comma 2 bis, – introdotto nel 2011 –, prevede la possibilità di definizione del procedimento con la applicazione della pena su richiesta di parte articolo 444 c.p.p. solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1 nonché il ravvedimento operoso. Resta da chiedersi perché il ravvedimento operoso, che consente ai sensi del comma 3 il ricorso al patteggiamento, non sia menzionato nel comma 1 e dunque non consenta la riduzione della pena sino alla metà. Particolarmente significativa la nuova circostanza aggravante di cui al comma 3° del nuovo articolo 13 bis che prevede un aumento della pena sino alla metà se il reato è commesso dal compartecipe nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione di modelli di evasione fiscale. Trattasi di una aumento di pena che colpisce il professionista che concorra nei delitti di evasione fiscale del contribuente. E’ importante sottolineare che per l’operatività dell’aggravante non è sufficiente la particolare qualifica soggettiva del «compartecipe» in quanto la norma specifica anche il contributo che tale concorrente deve fornire al fine di ritenere applicabile l’aumento di pena l’elaborazione di modelli di evasione fiscale. La nuova circostanza aggravante altro non fa che confermare la crescente attenzione e rigore verso l’operato di consulenti e professionisti che già la giurisprudenza di legittimità aveva manifestato in propri recenti arresti. Abrogazioni e note conclusive. L’articolo 14 del decreto legislativo prevede l’abrogazione di a articoli 7 e 16 del decreto legislativo 10 marzo 2000, numero 74 b comma 143 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, numero 244. Dell’articolo 7 d.lgs. 74/2000 e 1 legge 244/2007 si è già detto. Quanto alla abrogazione dell’articolo 16 d.lgs. 74/2000, detta norma sanciva la non punibilità, ai sensi del medesimo decreto, di chi si fosse uniformato al parere del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive, previsto dall’articolo 21 della legge 30 dicembre 1991, numero 413. Lo scopo originario della norma era semplicemente quello di introdurre una scusante correlata ad un caso “codificato” di ignoranza inevitabile della legge penale, conseguente all’affidamento del contribuente nel parere di un organo tecnico particolarmente qualificato. Come noto, propria da questa norma la giurisprudenza di legittimità aveva tratto, a contrario sensu, argomento per sostenere la rilevanza penalistica dell’elusione fiscale. Una volta esclusa in modo espresso quest’ultima, secondo quanto disposto dal comma 13 dell’articolo 10 bis della legge numero 212 del 2000, introdotto, come si è visto, dall’articolo 1, comma 1 del decreto legislativo recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente, la previsione normativa in questione restava priva di alcun significato. Corretto, dunque, l’intervento che ne ha previsto l’abrogazione. Ad un prima lettura l’intervento riformatore, il più incisivo dalla entrata in vigore del d.lgs. 74/2000, merita sicuramente una valutazione complessivamente positiva. Rispetto alla precedente versione, in quella definitivamente approvata è stata eliminata la previsione di una vigenza temporanea e conseguente irretroattività delle norme più favorevoli, che suscitava le maggiori perplessità e dubbi di compatibilità con i principi affermati dalla Cedu, se non forse di costituzionalità. Non mancano le perplessità, solo alcune delle quali sono state evidenziate nel presente, breve e di prima lettura commento, ma l’indirizzo di limitare l’intervento penale corrisponde al tanto condivisibile quanto sempre meno rispettato principio di sussidiarietà del diritto penale. La via intrapresa, seppur migliorabile, è dunque corretta, l’importante è che il legislatore continui a percorrerla prima di cadere vittima, come costantemente accaduto in passato, delle spinte controriformatrici.