Per la responsabilità di cui al delitto ex articolo 319 quater c.p. Induzione indebita a dare o promettere utilità , è sufficiente che le persone offese, a loro volta responsabili penalmente stando al tenore lettera della disposizione de qua, agiscano per ottenere una utilità altrimenti non raggiungibile. Se così è, l’attività induttiva richiesta dalla norma ai fini della punibilità consiste, come nell’originaria formulazione dell’articolo 317 c.p. ante riforma ex l. numero 190/2012, nella condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, abusando del potere o della qualità, attraverso le forme più varie di attività persuasiva, di suggestione, anche tacita, o di atti ingannatori, determini taluno, consapevole dell’indebita pretesa.
Il principio è stato ribadito dalla Corte di cassazione con la sentenza numero 39434/15, depositata il 30 settembre. Il caso. Alla luce di tali principi, la Suprema corte ha così respinto un ricorso che nella sostanza lamentava la qualificazione giuridica dei fatti, posto che – a detta del ricorrente – al più avrebbe potuto parlarsi di truffa, posto che erano stati operati dei raggiri, dal momento che le somme richieste non erano in realtà destinate ad avvocati al fine di proporre ricorsi per annullare sanzioni per l’emissione di assegni postali o bancari privi di provvista, ma – evidentemente – per il tornaconto personale dei pubblici ufficiali. Il comportamento è volto ad ottenere un’utilità. La Corte, sul punto dell’inganno, ha peraltro osservato come in realtà «i soggetti sapevano di non potersi sottrarre alla sanzione amministrativa se non versando danaro ai due impiegati addetti alla trattazione delle pratiche e che perciò non sarebbe stata sufficiente la proposizione di un’azione giudiziaria». Se così è, non avrebbe in realtà potuto parlarsi di induzione in errore, ma più propriamente di «un comportamento volto a ottenere con certezza un’utilità». Come è noto, sul punto sono intervenute le Sezioni unite della cassazione sentenza numero 12228/2013 per le quali solo l’induzione in errore sulla debenza indebita del denaro o dell’utilità fa “scattare” il delitto di truffa, posto che in tutti gli altri casi se l’indotto è consapevole che ciò che è richiesto è “indebito”, allora acconsentendo alla dazione al fine di ottenere il risultato illecito promesso, non si può assumere che la fattispecie de qua non sia integrata, posto che l’induzione mediante inganno non ha - in questi casi - per oggetto l’indebita promessa, prevista come elemento strutturale del delitto in questione, ma dati non essenziali ai fini della punibilità ex articolo 319 quater c.p Non può esserci tutela dell’affidamento. Ciò detto, la sentenza in commento appare condivisibile ed apprezzabile per la sua sinteticità. Altro, dunque, non vi è da dire se non che non può certo biasimarsi se la punibilità per il reato in questione non viene esclusa se il pubblico ufficiale “inganna” l’indotto in merito all’utilizzo delle somme “indebite” richieste per commettere atti illeciti. Del resto, non pare in buona fede chi, per ottenere vantaggi illeciti, paghi o prometta di pagare somme chiaramente non dovute al pubblico ufficiale, solo perché si è mentito sul modo attraverso cui si sarebbe posto in atto l’illecito ovvero sull’utilizzo specifico del denaro in questione. Dopo tutto, tra persone che concludono contratti “scellerati” non si può pretendere né la buona fede né la tutela dell’affidamento e più in generale la correttezza reciproca.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 luglio – 30 settembre 2015, numero 39434 Presidente Rotundo – Relatore Carcano Ritenuto in fatto 1. L.G. e L.M. impugnano la sentenza della Corte d'appello di Lecce che ha qualificato i fatti come induzione a dare e tentativo di induzione, ab origine contestati e ritenuti ìn sentenza di primo grado quale concussione, l'una, e tentata l'altra. I fatti enunciati nell'imputazione ascritta a G. e L. entrambi dipendenti dell'ufficio assegni della Prefettura di Brindisi sono l'aver indotto e tentato di indurre all'incirca venti utenti, alcuni dei quali identificati, rivoltisi all'ufficio dianzi indicato per la definizione di provvedimenti sanzionatori applicati per l'emissione di assegni postali o bancari privi di provvista, incontrando l'uno e/o l'altro funzionario che offriva loro l'archiviazione della pendenza sanzionatoria, dietro versamento di somme che si aggiravano sui trecento euro, variabili in rapporto pratiche da trattare, giustificando la somma richiesta per gli onorari da versare a avvocati che avrebbero dovuto proporre i ricorsi. Inoltre, entrambi dichiarati responsabili di distruzione di un fascicolo di una pratica da loro trattata, sempre nello stesso periodo tra il 21 agosto 2007 e il 25 febbraio 2008. I fatti, così come descritti, precisa La Corte d'appello, risultano provati da quanto riferito dalle persone offese e dalle conversazioni intercettate nonché da parziali ammissioni dei contravventori persone offese. La Corte d'appello riduce la pena a tre anni e sei mesi di reclusioni ciascuno ed elemina la pena accessoria dell'estinzione dei rapporto di lavoro e dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici. 2. II Difensore del ricorrente deduce -violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti che avrebbero dovuto essere qualificati come truffa, poiché la condotta non poteva costituire abuso delle funzioni richiesta per la configurazione del delitto di cui all'articolo 319 quater c.p. bensì integrava artifici e raggiri volti a indurre in errore circa la datio onorario all'avvocato per proporre opposizione e non quale somma non dovuta ai due funzionari per ottenere l'archiviazione della pratica. violazione di legge per l'affermazione di responsabilità per il capo c e per la pena inflitta. La diversa spiegazione data dai due imputati, secondo cui si sarebbe bruciata una fotocopia dei fascicolo, e non vi sarebbe stata la distruzione del fascicolo originale. La pena inflitta di quattro mesi di reclusione appare sproporzionata rispetto alla marginalità dei fatto nel complessivo ambito della vicenda. Considerato in diritto 1.I1 ricorso è infondato. Non può che essere ribadito quanto già affermato da questa Corte nel senso che la induzione, richiesta per la realizzazione dei delitto previsto dall'articolo 319 quater c. p., così come introdotto dall'articolo 1, comma 75, della legge numero 190 dei 2012, non è diversa, sotto il profilo strutturale, da quella che già integrava una delle due possibili condotte dei previgente delitto di concussione di cui all'articolo 317 c. p. e consiste, quindi, nella condotta dei pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che, abusando del potere o della qualità, attraverso le forme più varie di attività persuasiva, di suggestione, anche tacita, o di atti ingannatori, determini taluno, consapevole dell'indebita pretesa e, è utile ancora sottolinearlo, «non indotto in errore dalla condotta persuasiva dell'agente pubblico » altrimenti non potrebbe che configurarsi il delitto di truffa aggravata ex articolo 61 numero 9 c.p. a dare o promettere, a lui o a terzi, denaro o altra utilità. Sez. VI, 4 dicembre 2012, dep. 21 febbraio 2013, numero 8695 . E' incontrovertibil? che i soggetti ben sapevano di non potersi sottrarre alla sanzione amministrativa se non versando danaro ai due impiegati addetti alla trattazione della pratiche degli assegni privi di provvista e che a ciò non sarebbe stata sufficiente la proposizione di una azione giudiziaria. Questa la ricostruzione corretta e coerente effettuata dal giudice d'appello, per il quale la datio non avrebbe potuto che essere dovuta in ragione dell'abuso delle funzioni dei due funzionari addetti all'ufficio compente della prefettura. Del resto, i fatti sono stati correttamente qualificati perché anche le persone offese agivano per ottenere una utilità altrimenti non raggiungibile. Non vi è stata induzione in errore, bensì un comportamento volto a ottenere con certezza un'utilità. Tanto è stato affermato dalle Sezioni unite per distinguere la nuova figura di reato rispetto a quelle più grave di concussione e l'altra meno grave di truffa, nel cui ambito l'indotto agisce con la consapevolezza di dover dare Sez. un . 24 ottobre 2013,dep. 14vmarzo 2014, numero 12228 . 2. Altrettanto corretta la conclusione raggiunta per la distruzione della pratica e non certo all'incidente accaduto durante l'effettuazione di una fotocopia. A ciò, il giudice d'appello ha correttamente risposto nel senso che il tutto era finalizzato a non far rivenire il predetto fascicolo nel corso della perquisizione. 3. Sanzione inflitta adeguata alla non comune gravità dei fatti volti ad arrecare una serio pregiudizio all'effettività delle sanzioni da applicare a condotte inquinanti la regolarità dei rapporti economici. Corretta la giustificazione resa dal giudice d'appello, infondata la censure delle difesa. 4.Entrambi i ricorsi vanno rigettati cui consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione delle spese sostenute dalle parti civile presenti in tale grado. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili T. L., S. V. e D.V. S.che liquida in euro duemila complessivi per ciascuna, oltre I.V.A. e C.P.A., da versarsi per T. e S. in favore dell'Erario.