Spetta solo al giudice penale stabilire se il risarcimento del danno sia integrale

La valutazione dell’integrale risarcimento spetta al giudice, indipendentemente dalle dichiarazioni della parte offesa.

Così si è espressa la Suprema corte con la sentenza numero 36884/2015, depositata l’ 11 settembre e tale affermazione, che all’apparenza può suscitare una qualche perplessità per la sua perentorietà, è in realtà l’effetto di una interpretazione rigorosa e letterale della disposizione codicistica di interesse l’articolo 62 numero 6 c.p. Circostanze attenuanti comuni . Per ben comprendere la portata di tale massima, conviene ricostruire seppur brevemente il sistema. Riparazione del danno ratio e disciplina. Il comportamento dell’imputato nel corso del procedimento ha indubbiamente rilevanza ai fini della definizione della sua responsabilità anche in punto di pena. Negli ordinamenti civili più avanzati, particolare importanza è data alla definizione delle questioni civilistiche sottostanti alla commissioni del reato. Non vi è dubbio, infatti, che la piena soddisfazione delle pretese risarcitorie conduce ad attenuare l’allarme sociale connesso alla consumazione del reato e, per l’effetto, pare del tutto naturale prevedere, come in effetti si prevede, che vi siano specifiche ipotesi di attenuazione della sanzione da applicare. Il codice penale italiano prevede – come accennato - all’articolo 62, numero 6 c.p. uno sconto di pena nel caso in cui l’imputato abbia riparato, prima del giudizio, interamente il danno, mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni. Sul momento nel quale il risarcimento debba intervenire non vi è dubbio, dovendo all’evidenza essere prima del giudizio così come non vi è particolare problema a considerare la restituzione ove possibile come concorrente e non come alternativa al risarcimento del danno, che deve comprendere non solo il danno patrimoniale ma anche quello morale articolo 185 c.p. . La delicata determinazione del quantum. I punti più delicati, invece, si rinvengono nella definizione del quantum , atteso che – com’è noto – il processo penale non è il luogo naturalmente deputato alla definizione delle questioni civili, le quali quand’anche promosse a seguito di azione civile, possono non trovare ed in effetti non trovano quasi mai vera definizione nell’eventuale sentenza di condanna, poiché il giudice, al di là della provvisionale, ben può rimettere le parti al giudice civile per la quantificazione esatta del danno articolo 539 c.p.p. . Tanto più che il danno morale è per definizione un danno da definirsi in maniera equitativa, sicché spessissimo in siffatta materia il potere discrezionale del giudice è assai ampio, ancorché si esula dal pieno arbitrio. Se così è, si comprende come, al di fuori di casi piuttosto rari, l’applicazione della circostanza attenuante in questione è più teorica che reale. La giurisprudenza di legittimità, infatti, come è stato ricordato nelle motivazioni della sentenza in commento, interpreta piuttosto restrittivamente il concetto di “risarcimento integrale”, in quanto «ai fini del suo contenuto deve qualificarsi come oggettiva, sicché nel conflitto di interessi tra reo e vittima del reato, la prevalenza dell’interesse di quest’ultima all’integralità della riparazione non lascia alcuno spazio a pur eloquenti manifestazioni di ravvedimento del reo». La serietà e la congruità dell'offerta del risarcimento. Si è così stabilito non solo che «l’attenuante è configurabile solo quando il colpevole abbia risarcito sia il danno patrimoniale sia il danno non patrimoniale» Cass., numero 6479/11 , ma anche che il giudice deve valutare la serietà e la congruità dell’offerta che deve essere reale del risarcimento del danno nel caso in cui la vittima rinunci al risarcimento Cass., numero 8334/98 e persino che il giudice potrebbe spingersi oltre «un eventuale accordo raggiunto fra le parti ove non sia realmente satisfattivo» Cass., numero 5767/10 «proprio perché la concessione o il diniego delle attenuanti è materia sottratta alla volontà delle parti ed è soggetta solo ai presupposti indicati dalla legge la cui verifica spetta solo al giudice». Determinazione unilaterale del danno. Da ciò deriva che la determinazione unilaterale del risarcimento del danno – come avvenuto nel caso di specie ove l’imputato aveva versato una somma di denaro senza specificare se comprendesse anche il danno morale – non può di per sé integrare la fattispecie di cui si tratta, ma al più costituire elemento ai fini della determinazione della pena base ovvero del riconoscimento delle attenuanti generiche, dovendo il tutto trovare una condivisione da parte del giudice del merito, la cui decisione – per parafrasare massime ampiamente utilizzate – sarà incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivata. Alla luce di quanto sopra si comprende non solo il rigetto del ricorso presentato dalla difesa dell’imputato, che – come accennato – aveva lamentato il mancato riconoscimento dell’attenuante ex articolo 62 numero 6 c.p. avendo versato € 800 alla vittima, ma anche gli aspetti delicati della disciplina in questione. In effetti, non solo la determinazione unilaterale del danno ma neppure un eventuale accordo transattivo che per definizione presuppone una rinuncia reciproca può garantire di per sé la concessione dell’attenuante de qua . Ma se così è, è evidente che per il suo riconoscimento – a stretto rigor di logica – si richiede un giudizio specifico del giudice penale sulla precisa quantificazione del danno che, come accennato, non lo caratterizza propriamente. Nelle situazioni di dubbio, dunque, il giudice penale potrà legittimamente escludere tale circostanza. Mancano precisi criteri legali. Poiché in materia di danno da reato manca un preciso criterio legale di definizione, i casi dubbi sono – come è agevole comprendere – la maggioranza, posto che, per espressa indicazione di legge, il risarcimento integrale deve avvenire ben prima che inizi il giudizio. Se così è, si capisce anche perché l’effetto incentivante derivante dalla riconoscimento della circostanza attenuante in questione sia molte volte più emotivo che reale e come, in fondo, è indispensabile de iure condendo che il legislatore chiarisca i termini entro i quali la ragione pratica penale si ritenga soddisfatta del versamento di denaro effettuato dall’imputato in favore della vittima. Del resto, il risarcimento del danno sta assumendo significativa importanza in diversi ambiti del giure penale tanto da coinvolgere scelte difensive fondamentali, le quali non possono fondarsi sul magma. Forse basterebbe tenere in considerazione gli eventuali accordi tra le parti e, in caso di disaccordo, considerare la fondatezza della diversa “valutazione” del danno. Forse ma si tratta di prospettive allo stato al di là da venire, che è meglio riservare al legislatore del domani, sperando che sia saggio, accorto e ricolmo di attenzione per tutte le questioni, grandi o piccole che siano.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 14 luglio – 11 settembre 2015, numero 36884 Presidente Brusco – Relatore D’Isa Ritenuto in fatto R.C.R. ricorre per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d'appello di Bari che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal GUP del locale Tribunale in data 8.10.2013, in ordine a più delitti di cui all'articolo 73 d.p.R. 309/90 capi B e C, H, , al reato di guida senza patente capo A , a delitti concernenti le armi capi B,D,E, G e a delitti di ricettazione capi F ed I , ha rideterminato la pena. Con il primo motivo si censura il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 numero 6, contestandosi la motivazione dell'impugnata sentenza secondo cui la riparazione dei danno non sarebbe stata effettiva ed integrale. Con il secondo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla quantificazione della pena, sia con riguardo all'articolo 133 che all'articolo 81 cod. penumero . Considerato in diritto I motivi esposti sono infondati e determinano il rigetto dei ricorso. Il ricorrente muove la censura, oggetto dei primo motivo, con riferimento al delitto di cui al capo I ricettazione di un motociclo e, premesso di avere versato la somma di € 800,00, con vaglia postale, alla persona offesa dal reato, A.P., a titolo di riparazione dei danno, ritiene che questa, oltre che effettiva, sia integrale e volontaria. In punto di diritto, va osservato quanto segue. L'articolo 62 c.p., numero 6 prevede l'attenuante dell'avere riparato, prima del giudizio, interamente il danno, mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni . La norma, secondo la corretta lettura che se ne deve dare, stabilisce, quindi, le seguenti condizioni perché sia concessa l'attenuante - innanzitutto, il risarcimento deve essere volontario ed antecedente al giudizio di primo grado - in secondo luogo, la riparazione del danno deve essere integrale e, quindi, effettiva. Sul punto questa Corte, con giurisprudenza del tutto costante, ha rilevato, infatti, che l'attenuante in esame è soggettiva quanto agli effetti, ai sensi dell'articolo 70 c.p., ma non anche ai fini del suo contenuto, per il quale deve qualificarsi come oggettiva, sicché nel conflitto di interessi tra reo e vittima del reato, la prevalenza dell'interesse di quest'ultima all'integralità della riparazione non lascia alcuno spazio a pur eloquenti manifestazioni di ravvedimento dei reo. Il legislatore, ha, invero, inteso dare alla figura della persona offesa e all'esigenza che il pregiudizio da questa subito a causa dei comportamento criminoso dei colpevole sia interamente ristorato. La considerazione dell'integrante risarcimento è talmente esclusiva che nemmeno il più evidente tra gli indici di ravvedimento, quale in astratto potrebbe essere il trasferimento spontaneo di tutti i beni dell'imputato a favore della persona offesa, varrebbe a rendere operante l'attenuante se il riequilibrio patrimoniale non risultasse pieno Cass. 12366/2010 Rv. 246673 Cass. 28554/2004 Rv. 228846 - infine, la norma chiarisce quali debbano essere le modalità del risarcimento, ossia che la riparazione integrale del danno deve avvenire mediante il risarcimento e, quando sia possibile, mediante restituzione. Ciò significa, pertanto, che la restituzione quando è possibile non è alternativa al risarcimento infatti la norma non usa il disgiuntivo o ma si cumula con il risarcimento come risulta testualmente dalla congiunzione e . Cosa la legge intenda per risarcimento lo si desume, poi, dall'articolo 185 c.p. a norma del quale ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale che è quantificabile a norma dell'articolo 2043 c.c ex plurimis Cass. 3912/1991 Rv. 186779 o non patrimoniale articolo 2059 c.c. , obbliga al risarcimento il colpevole. È del tutto evidente, pertanto, che quando l'articolo 62 c.p., numero 6 richiede la riparazione integrale del danno, intende affermare il principio secondo il quale l'attenuante è configurabile solo quando il colpevole abbia risarcito sia il danno patrimoniale che può avvenire, in parte, anche con la semplice restituzione ove sia possibile sia il danno non patrimoniale ex plurimis Cass. 6479/2011 Rv. 249391 , sicché la semplice restituzione non costituisce integrale riparazione di tutti i danni dovendo i due mezzi risarcimento e restituzioni essere cumulati in terminis Cass. 1989/1981 Rv. 152492 Cass. 1775/1971 Rv. 120571 . Infine, è appena il caso di rilevare che la valutazione delle I integra4€e risarcimento spetta d'ufficio al giudice, indipendentemente dalle dichiarazioni della parte offesa la quale, in ipotesi, potrebbe anche rinunciare al risarcimento in tale ipotesi questa Corte ha chiarito che è comunque necessario che l'imputato abbia messo a disposizione la somma di danaro mediante offerta reale, al fine di consentire al giudice di valutare la serietà e la congruità della stessa Cass. 8334/1998 Rv. 211143 ed indipendentemente da un eventuale accordo raggiunto fra le parti ove non sia realmente satisfattivo Cass. 5767/2010 Rv. 246564 Cass. 3897/1983 Rv. 158783 , proprio perché la concessione o il diniego delle attenuanti è materia sottratta alla volontà delle parti ed è soggetta solo ai presupposti indicati dalla legge volontarietà ed integrante ,dam risarcimento avvenuto prima dei giudizio di primo grado la cui verifica spetta solo al giudice. Orbene, applicando al caso di specie i suddetti principi di diritto ne deriva che la censura dedotta dai ricorrenti è generica perché, soprattutto, non chiarisce se il versamento, mediante vaglia postale, fosse comprensiva di tutto il danno e, quindi, non solo del danno patrimoniale ma anche dei danno morale. La Corte territoriale, infatti, ha respinto la domanda proprio sotto duplice profilo. II ricorrente, anche in questa sede, in realtà nulla hanno obiettato, limitandosi a reiterare la doglianza ma senza opporre alcunché di preciso alla motivazione della Corte, la quale, pertanto, essendosi adeguata ai principi di diritto enunciati in ordine alla concedibilità dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., numero 6, non si presta ad alcuna censura, avendo la Corte specificato, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, perché la somma di € 800,00 non sia da ritenersi integraofe risarcimento. Passando all'esame del secondo motivo, il ricorrente contesta la coerenza logica della motivazione in riferimento alla rideterminazione della pena che ha riguardato la sola pena detentiva e non anche quella pecuniaria, e, poi, pur considerando alcuni elementi significativi giovane età dell'imputato e suo stato di incensuratezza , indicati dall'articolo 133 cod. penumero , per applicare la pena nel minimo edittale, se ne discosta adottando una conclusione non in linea con le premesse. Poi, con riferimento alla gravità del reato, non tiene conto che il dictum della sopravvenuta sentenza numero 32/2014 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L. 49/2006 che aveva equiparato le droghe leggere a quelle pesanti, ha reintrodotto per le prime un trattamento sanzionatorio molto più mite. Il motivo è infondato per varie ragioni. Innanzitutto, la Corte d'appello, nel rideterminare la pena, ha tenuto conto della maggiore gravità del delitto di cui al capo C spaccio di cocaina in cui ha ritenuto assorbiti i reati di cui ai capi H e J spaccio di droga leggera , e, quindi, per essi non vi è stata applicazione della continuazione. Continuazione che, invece, è stata applicata per i delitti concernenti le armi e la ricettazione. Dunque, il giudizio di gravità è stato complessivo con riferimento a tutti i reati per cui è stato ritenuto responsabile, e va ricordato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra, invece, nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell'articolo 133 c.p. da ultimo, Cass., Sez. 4^, 13 gennaio 2004, Palumbo A ciò dovendosi aggiungere che non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta dei giudice risulti contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale di recente, Cass., Sez. 4^, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri .Nella specie, risulta evidente che il potere discrezionale in punto di trattamento dosimetrico, alla luce della pena inflitta, è stato dal giudice correttamente esercitato, con riferimento allo stato di incensuratezza dell'imputato e con la concessione delle attenuanti generiche, così dimostrando di aver tenuto conto degli elementi indicati nell'articolo 133 c.p Da ultimo, con riferimento alla denunciata erronea applicazione dell'istituto della continuazione tra i reati di cui ai capi B detenzione e porto in luogo pubblico d'arma da sparo, con colpo in canna e numero 14 cartucce nel caricatore inserito e D detenzione illegale nella propria abitazione d' arma da sparo , non si comprende come possa censurarsi l'operato della Corte d'appello, atteso che all'evidenza trattasi di fatti del tutto diversi - detenzione illegale e porto in luogo pubblico di arma - e non, come si sostiene in ricorso, di un concorso apparente di norme. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.