Va esclusa la legittimità del licenziamento di un lavoratore che rifiuta la trasferta perché manca l'auto aziendale non è ravvisabile alcuna insubordinazione.
Ad affermarlo è la sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 6148 depositata lo scorso 16 marzo.La fattispecie. Un dipendente di un'organizzazione sindacale rifiutava di recarsi in trasferta, poiché l'auto aziendale di cui doveva servirsi non era disponibile conseguentemente, l'associazione sindacale gli intimava licenziamento ravvisando nella sua condotta un atto di insubordinazione, riconosciuto anche dal giudice del lavoro. In secondo grado, la Corte d'appello dichiarava l'illegittimità della sanzione disciplinare per insussistenza dell'ipotesi di insubordinazione o di inottemperanza delle direttive aziendali, poiché la condotta contestata era dipesa dall'assenza dell'auto aziendale, di cui il lavoratore aveva tempestivamente informato telefonicamente il direttore. Invano, il sindacato, datore di lavoro, ricorre per cassazione.Nessun obbligo giuridico di utilizzare la propria auto per la trasferta. Per la Suprema Corte, il giudice di seconde cure ha correttamente osservato come, in virtù del contratto collettivo e di quello individuale, il lavoratore non avesse l'obbligo giuridico di mettere a disposizione la propria auto per sbrigare le trasferte. Inoltre, anche l'accordo provinciale menzionava l'utilizzo del mezzo proprio da parte del dipendente, non come un obbligo di quest'ultimo, ma come mera eventualità. Ma non è tutto.Giorni prefissati per le trasferte. Al dipendente venne data la direttiva di servirsi di una delle due automobili aziendali esistenti e lo stesso direttore aveva espresso la propria disponibilità, nel caso di plurime prenotazioni dei due veicoli aziendali , di favorire il controricorrente nei giorni - fissati di martedì e venerdì di ogni settimana - in cui doveva recarsi in alcune determinate zone, con comunicazione anche all'ufficio amministrazione. Pertanto, a giudizio della Corte di merito, il lavoratore aveva motivo di fare ragionevole assegnamento sul fatto che, nei giorni prefissati, almeno una delle due auto aziendali fosse a sua disposizione.Rifiuta la trasferta perché l'auto aziendale è indisponibile. Accadeva, però, che il dipendente, pronto per la trasferta, non trovava disponibile alcuna auto aziendale, in quanto entrambe utilizzate per due contemporanee trasferte e dall'intero carteggio tra direttore e dipendente emergeva che non fu mai presa in seria considerazione la possibilità che il lavoratore potesse svolgere la trasferta servendosi dei mezzi pubblici. Non c'è alcuna insubordinazione alle direttive aziendali. Pertanto, concludono i giudici, nel caso in esame, il licenziamento - motivato dal fatto della mancata trasferta - è palesemente illegittimo, per difetto della stessa sussistenza dell'ipotesi di insubordinazione o comunque di inottemperanza alle direttive aziendali e scorretta e contraria a buona fede va considerata l'insistenza con cui il datore rimproverava al lavoratore di non aver prenotato l'uso del veicolo aziendale per i giorni in cui egli era comandato in trasferta in base a comunicazioni scritte già trasmesse agli uffici amministrativi conseguentemente l'organizzazione avrebbe dovuto accogliere le giustificazioni del dipendente, il quale aveva spiegato come, egli, accertata l'assenza dell'auto aziendale, aveva subito informato della situazione il direttore.Reintegra esclusa l'associazione datrice è un'organizzazione sindacale. Allo stesso modo, la S.C. rigetta il ricorso incidentale del lavoratore volto ad ottenere la reintegra nel posto di lavoro ed il risarcimento ex articolo 18, l. numero 300/70, nonché quello connesso ai danni patrimoniali e non conseguenti alla grave patologia psico-fisica derivante dal licenziamento. Infatti, gli ermellini escludono l'obbligo di riassunzione a carico del datore, in quanto trattasi di associazione e non di imprenditore, svolgente, senza fine di lucro, attività sindacale.Niente mobbing sono solo disagi personali del lavoratore. Né tanto meno è possibile ravvisare nella fattispecie in esame un caso di mobbing, poiché i disagi del lavoratore erano da ricondurre ad aspetti di carattere generale scaturiti da mutamenti strutturali che avevano interessato l'ambiente di lavoro.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 dicembre 2010 16 marzo 2011, numero 6148Presidente Lamorgese Relatore StileSvolgimento del processoCon ricorso depositato il 14.6.2006, proponeva appello contro la sentenza del Tribunale di Grosseto giudice del lavoro del 28.2./8.3.2006, che aveva rigettato la sua domanda diretta a far accertare l'illegittimità del licenziamento intimatogli l'8.8.2001 e a conseguire il risarcimento del danno che, a suo dire, egli aveva sofferto per protratte vessazioni sul luogo di lavoro.In particolare, l'appellante, reiterando gli argomenti già allegati in primo grado, si doleva che il Tribunale non avesse adeguatamente valutato le prove offerte e almeno in parte acquisite al giudizio ed non avesse quindi ravvisato nella condotta aziendale e, in particolare, del direttore, dott. , ritorsivo nei suoi confronti.Con memoria depositata il 31.10.2006, si costituiva la CNA Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa -Associazione Artigiani di Grosseto e resisteva al gravame sul rilievo che il licenziamento era stato intimato al quale reazione disciplinare alla sua manifesta insubordinazione, già attestata da precedenti sanzioni.Con sentenza del 12-23 gennaio 2007, l'adita Corte di Appello di Firenze, in parziale accoglimento del gravame, dichiarava l'illegittimità del licenziamento e condannava la CNA-Associazioni Artigiani di Grosseto al pagamento in favore del di una somma pari a sei mensilità della retribuzione globale di fatto, a norma dell'articolo 8 legge numero 604 / 1966, oltre accessori, in considerazione della natura non imprenditoriale e sindacale della Confederazione. A sostegno della decisione osservava che l'intimato licenziamento, motivato dal fatto della mancata trasferta del a Orbetello e del 24 luglio 2001, doveva giudicarsi palesemente illegittimo, per difetto della stessa sussistenza dell'ipotesi di insubordinazione o comunque di inottemperanza alle direttive aziendali, poiché la contestata insubordinazione era dipesa dall'assenza dell'autovettura aziendale, di cui, peraltro, il lavoratore aveva tempestivamente informato telefonicamente il direttore. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la C.N.A. con due motivi.Resiste con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.Motivi della decisioneVa preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza articolo 335 c.p.c .Con il primo motivo di ricorso principale, la Confederazione, denunciando omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, lamenta che la Corte di Firenze non avrebbe dedotto nulla in merito all'effettivo addebito contestato, consistente nel non avere il ottemperato ad un ordine aziendale con aperta insubordinazione e recidiva.Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'articolo 2104, 2106, 1460, 2969 e 2119 ce. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sostiene che la Corte fiorentina avrebbe, in violazione della richiamata normativa e senza adeguata spiegazione, negato, nella specie, la sussistenza di insubordinazione, ritenendo che il comportamento del lavoratore che aveva disatteso il comando di recarsi presso i luoghi comandati per la prestazione, nonostante precedente analogo comportamento censurato dall'azienda fosse giustificato dalla mancanza dell'auto aziendale, che doveva essere messa a disposizione del lavoratore stesso.Il ricorso, pur valutato nella duplice articolazione, è infondato, avendo il Giudice a quo fornito ampia giustificazione della sua decisione, senza incorrere in alcuna delle lamentate violazioni.Invero, la Corte territoriale, dopo avere rilevato che l'intera vicenda si inseriva nel quadro di un difficile rapporto personale tra il dipendente di lunghissima anzianità e il nuovo direttore ha osservato, con riferimento agli specifici aspetti riguardanti la controversia in esame, come fosse fuori discussione che, alla stregua del contratto collettivo e di quello individuale, il non avesse l'obbligo giuridico di mettere a disposizione un proprio autoveicolo per disbrigare le trasferte in questione ulteriormente specificando che anche l'accordo provinciale 18.4.2000 prodotto dalla società in primo grado-menzionava l'utilizzo del mezzo proprio da parte del dipendente, non come un obbligo di quest'ultimo, ma come mera eventualità abbisognevole dell ' autorizzazione aziendale .Ha puntualizzato ancora la Corte di merito che la situazione venutasi a creare sembrava risentire di questo equivoco di fondo, dopo che il attestato dalle prove testimoniali assunte aveva, fin dal dicembre 2000, segnalato chiaramente di non poter mettere a disposizione un proprio veicolo.Ha poi dato atto come fosse certo che al venne data la direttiva di servirsi di una delle due automobili aziendali esistenti una o una e che, al riguardo, lo stesso direttore con lettera dell'aprile 2001, aveva espresso la propria disponibilità, nel caso di plurime prenotazioni dei due veicoli aziendali , di favorire il nei giorni in cui doveva recarsi nella zona Sud della provincia grossetana tant'è che, con comunicazione quasi coeva, l' fissava i giorni di martedì e venerdì diogni settimana per il presenziamento del nelle zone di Orbetello, Manciano e relative frazioni e inviava apposita lettera 2.4.2001 per conoscenza anche all'ufficio amministrazione.Nell'assetto sopra descritto, il a giudizio della Corte di merito aveva motivo di fare ragionevole assegnamento sul fatto che, nei giorni prefissati, un'auto aziendale fosse a sua disposizione. A ciò era da aggiungere che a dal carteggio relativo ai due episodi sanzionati disciplinarmente compreso il licenziamento , emergeva una situazione di incertezza, secondo la quale, in ogni caso, veniva data la precedenza, anche all'ultimo momento, a chi doveva recarsi più lontano' b non risultava in alcun modo quale concreta iniziativa avesse preso CNA per favorire il in caso di plurime prenotazioni dei veicoli aziendali e l'aspetto dell'uso e della prenotazione delle due automobili di CNA, non era sicuramente ben organizzato e coordinato nella sede di Grosseto d la stessa mattina del 24.7.2001 oggetto dell'ultima contestazione , il non trovò disponibili né la Fiat Brava né la Fiat Punto in quanto entrambe utilizzate per due contemporanee trasferte a Firenze e dall'intera corrispondenza scambiatasi fra le parti, emergeva in maniera evidente che non fu mai presa in seria considerazione la possibilità che il potesse disbrigare il compito di presenziare più sedi della provincia grossetana servendosi dei mezzi pubblici. Nella situazione così descritta, coerente risulta l'affermazione del Giudice d'appello, secondo cui il licenziamento dell'8.8.2001 motivato dal fatto della mancata trasferta del a Orbetello e Manciano del 24.7.2001 dovesse giudicarsi palesemente illegittimo, per difetto della stessa sussistenza dell'ipotesi di insubordinazione o comunque di inottemperanza alle direttive aziendali e , per converso, che scorretta e contraria a buona fede dovesse considerarsi l'insistenza con la quale CNA rimproverava al di non aver prenotato l'uso del veicolo aziendale per i giorni del martedì e del venerdì che notoriamente erano quelli in cui egli era comandato in trasferta in base a comunicazioni scritte già trasmesse agli uffici amministrativi . Pertanto, la CNA grossetana avrebbe dovuto accogliere le giustificazioni del dipendente, il quale aveva spiegato come , alle ore 8.30 della mattina in questione, egli aveva constatato l'assenza dell'autovettura aziendale ed aveva subito informato della situazione, per telefono, il direttore.Così motivando, la Corte di merito ha dato adeguato riscontro alle osservazioni della società, reiterate in questa sede, sotto forma di censure senza incorrere nei denunciati vizi ed adottando una motivazione giuridicamente corretta. Il ricorso principale va, quindi, rigettato.Va rigettato anche il ricorso incidentale con cui il , denunciando omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione articolo 360 numero 5 c.p.c , lamenta che la Corte territoriale non abbia disposto la rinnovazione dell'istruttoria diretta a dimostrare la nullità del licenziamento in oggetto, in quanto discriminatorio e ritorsivo, con conseguente condanna dell'Associazione alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento previsto dall'articolo 18 1. numero 300/70 come modificato dalla 1. numero 108/1990, nonché a quello connesso ai danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti alla grave patologia psico-fisica derivante dal licenziamento e dalla illegittima condotta imputabile al datore di lavoro.Giova osservare che la Corte fiorentina, dopo avere accertato, sulla base dello Statuto prodotto in atti e delle allegazioni dell'appellata non contestate, che l'Associazione Artigiani di Grosseto in oggetto era datore di lavoro non imprenditore, svolgente, senza fine di lucro, attività di natura sindacale e di rappresentanza di categoria, e, pertanto, non soggetta all'applicazione dell'articolo 18 legge 20.5.1970, numero 300, secondo la previsione dell'articolo 4 legge 11.5.1990, numero 108, bensì all'articolo 8 legge 15.7.1966, numero 604, ha determinato, avuto riguardo alle modalità della vicenda sopra illustrata e, in particolare, alla lunga anzianità di servizio del lavoratore, in complessive sei mensilità della retribuzione globale di fatto la indennità spettante al in luogo della riassunzione, oltre interessi e rivalutazione, accogliendo l'appello nei suddetti limiti.Ha correttamente precisato che l'indennità di cui al citato articolo 8 ricomprendeva ogni aspetto risarcitorio derivante di per sé dalla illegittimità del recesso. Ha poi soggiunto che l'approfondita valutazione delle prove testimoniali e documentali acquisite non faceva emergere, nel caso concreto , un'ipotesi di licenziamento discriminatorio, e tantomeno un caso di cd. mobbing, secondo l'accezione di quest'ultimo concetto recepita dalla giurisprudenza di legittimità, quale violazione dell'articolo 2087 ce. realizzata con un'aggressione alla sfera psichica del lavoratore a mezzo di deliberati atti vessatori protratti e reiterati nel tempo v. Cass. sez.lav. numero 6326 / 2005, 5491/ 2000, 143/ 2000 . Ha ancora osservato che dall'anamnesi raccolta dal dott. consulente medico di parte, risultava la presenza nel di un disagio iniziato già alla metà degli anni Novanta, in coincidenza con un profondo cambiamento di CNA a livello nazionale, con modifiche anche statutarie che riguardavano anche il ruolo dei funzionari e con la scomparsa di uno spirito partecipativo che aveva caratterizzato i primi anni del suo ingresso nell'associazione.Ha quindi coerentemente ritenuto che i disagi del in massima parte, sembrano ascrivibili per lo più aspetti di carattere generale scaturiti da mutamenti che avevano interessato, nel tempo, una gran numero di ambienti di lavoro. Trattasi di valutazioni di merito, congiuntamente motivate, non suscettibili, in quanto tali, di fondate censure in questa sede e, pertanto, inammissibile va dichiarato il ricorso incidentale.L'esito del presente giudizio induce a compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio.P.Q.M.La Corte riunisce i ricorsi rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Compensa le spese.