Trascorsi 5 anni nulla è più dovuto

Perché la prescrizione sia interrotta è necessario che il debitore abbia conoscenza dell’atto giudiziale o stragiudiziale del creditore. Nel processo del lavoro tale conoscenza non si produce con il deposito del ricorso presso la cancelleria né con la richiesta del tentativo già obbligatorio di conciliazione, bensì con la notificazione dell’atto al convenuto.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza numero 3312/15, depositata il 19 febbraio. Il caso. La Corte di Appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda di un lavoratore diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli, con condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno ex articolo 8, l. numero 604/66. Ad avviso dei Giudici di merito, infatti, le domande del ricorrente risultavano prescritte in quanto azionate successivamente al decorso del termine di prescrizione quinquennale. Il debitore deve conoscere le intenzioni della controparte. Contro tale sentenza il lavoratore ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Con un primo motivo il ricorrente lamentava come la prescrizione quinquennale fosse stata interrotta «dapprima [ ] attraverso il deposito dell’atto contenente la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione» e, successivamente, con la notificazione del ricorso giudiziale. A questi fini, ad avviso del ricorrente, era infatti sufficiente «che il soggetto tenuto al compimento del relativo atto avesse compiuto l’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione attraverso l’affidamento ad un servizio idoneo a garantirlo». Motivo che non viene condiviso dalla Cassazione la quale, ribadendo il proprio granitico orientamento Corte di Cassazione, sentenza numero 9303/12 , chiarisce come la differente decorrenza degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario non «si applica [ ] agli effetti sostanziali degli atti processuali, per cui questi ultimi producono i loro effetti sempre e comunque dal momento in cui pervengono all’indirizzo del destinatario». La Corte, mettendo in combinato disposto questo principio con quello esposto in massima, ritiene quindi infondato il motivo atteso che risultava pacifico come – a fronte di un recesso comunicato nell’agosto 2001 – il datore di lavoro avesse ricevuto la convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione solo nel maggio 2007. Analogamente, chiarisce la Corte, avviene per il deposito del ricorso giudiziale, i cui effetti sostanziali non si producono sino a quando non venga ricevuto dalla controparte. Il previgente articolo 410 c.p.c. era conforme a Costituzione. I suesposti principi, prosegue la Corte, nemmeno consentono di dubitare della legittimità costituzionale - rispetto alla lesione del diritto di agire in giudizio - del previgente tentativo obbligatorio di conciliazione in quanto, pur non prevedendo alcun effetto interruttivo della prescrizione, «in tanto può ipotizzarsi un trattamento pregiudizievole del diritto di azione in quanto il complessivo termine di prescrizione risulti apprezzabilmente diminuito dalla durata di quello del procedimento conciliativo obbligatorio, mentre ciò non può dirsi riguardo ad un massimo di 60 giorni rispetto al termine quinquennale inciso». Non si può applicare le disciplina generale al posto di quella speciale. Con un secondo motivo il ricorrente lamentava come - per quanto qui interessa esaminare – al risarcimento del danno da licenziamento ingiustificato dovesse applicarsi il termine di prescrizione decennale, «trattandosi di ordinaria azione contrattuale per la quale non vale la prescrizione breve». Nemmeno questo motivo viene condiviso dalla Cassazione la quale, rigettando il ricorso, ribadisce che la prescrizione dell’azione di annullamento del licenziamento preclude la richiesta di liquidazione dell’indennità risarcitoria di cui alla l. numero 604/66. Ed infatti, secondo il consolidato e condivisibile orientamento di legittimità Corte di Cassazione, sentenza numero 5804/10 , «può affermarsi che è ancora esperibile la normale azione risarcitoria soltanto per quegli effetti che non siano preclusi dalla prescrizione della domanda di annullamento del licenziamento». In conclusione, in caso di intervenuta prescrizione di quest’ultima non è esperibile la «normale» i.e. basata sulle regole civilistiche applicabili alla generalità dei contratti azione risarcitoria, atteso che l’unico profilo che rileva per il conseguimento del risarcimento del danno è dato unicamente dall’illegittimità del recesso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 ottobre 2014 – 19 febbraio 2015, numero 3312 Presidente Stile – Relatore Berrino Svolgimento del processo Con sentenza del 7/5 - 23/7/2010 la Corte d'appello di Roma ha respinto l'impugnazione proposta da D.C. F. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma che gli aveva rigettato la domanda tesa alla dichiarazione di illegittimità dei licenziamento inflittogli, il 9/8/2001 da R. G. ed al risarcimento dei danno, oltre che alla condanna di € 19.108,22 a titolo di straordinario ed indennità di trasferta. La Corte ha spiegato che il diritto alle differenze retributive si era prescritto e che la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione non risultava essere stata inviata al R., dal momento che dal verbale di mancata conciliazione risultava che quest'ultimo era stato convocato con nota dei 22/5/2007, vale a dire allorquando era già maturato il termine di prescrizione quinquennale dalla cessazione dei rapporto del 24/8/2001. Inoltre, essendosi prescritta anche l'azione di annullamento del licenziamento, risultava preclusa la richiesta di liquidazione della relativa indennità risarcitoria ai sensi dell'articolo 8 della legge numero 604 del 1966. Per la cassazione della sentenza ricorre il D.C. con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c. Resiste con controricorso la Ditta Autotrasporti R. G Motivi della decisione 1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2948 cod. civ. e degli articolo 410 e segg. cod. proc. civ., nonché l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio articolo 360 numero 3 e 5 c.p.c. . Il ricorrente contesta la sussistenza della ravvisata prescrizione delle sue istanze di natura economica e risarcitoria correlate al rapporto di lavoro cessato il 24/8/2001, in quanto assume che la stessa era stata interrotta, dapprima, in data 26/1/2006, attraverso il deposito dell'atto contenente la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, nel quale erano stati specificati i titoli azionati con la domanda e, in un secondo momento, con la notificazione dei ricorso giudiziale. Aggiunge il D.C. che ai fini dell'efficacia dell'interruzione della prescrizione era sufficiente che il soggetto tenuto al compimento del relativo atto avesse compiuto l'attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione attraverso l'affidamento ad un servizio idoneo a garantirlo e, comunque, sottratto alla sua ingerenza. Il motivo è infondato. Invero, è corretta la decisione con la quale la Corte territoriale ha accertato la maturazione della prescrizione quinquennale dei crediti in esame alla data di notifica dei ricorso giudiziale, posto che la regola della differente decorrenza degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale, si applica solo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, né agli effetti sostanziali degli atti processuali, per cui questi ultimi producono i loro effetti sempre e comunque dal momento in cui pervengono all'indirizzo del destinatario, a nulla rilevando il momento in cui siano stati dal mittente consegnati all'ufficiale giudiziario od all'ufficio postale v. in tal senso Cass. sez. 3, numero 9303 dell'81612012 D'altronde questa Corte Cass. sez. lav. numero 14862 del 24/6/2009 ha avuto occasione di ribadire, al riguardo, che l'effetto interruttivo della prescrizione esige, per la propria produzione, che il debitore abbia conoscenza legale, non necessariamente effettiva dell'atto giudiziale o stragiudiziale del creditore esso, pertanto, in ipotesi di domanda proposta nelle forme dei processo del lavoro, non si produce con il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice adito, ma con la notificazione dell'atto al convenuto Cass. sez. lav. numero 14862 del 24/6/2009 Si è, altresì, precisato v. Cass. sez. lav. numero 13588 del/' 11/6/2009 che, in caso di domanda proposta nelle forme del processo del lavoro, il mero deposito dei ricorso presso la cancelleria dei giudice non produce un effetto interruttivo, restando escluso - ove la domanda giudiziale non sia il solo mezzo previsto dall'ordinamento per l'interruzione della prescrizione di un determinato diritto - che ciò consenta di dubitare, in riferimento all'articolo 3 Cost., della legittimità costituzionale dell'articolo 2943 cod. civ. in relazione all'articolo 414 cod. proc. civ. e all'articolo 2934 cod. civ. Inoltre, in maniera altrettanto corretta la Corte di merito ha puntualizzato che la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, presentata il 28/1/2006, non risultava essere stata inviata al R., posto che nel verbale del 21/6/2007, comprovante la mancata conciliazione, si attestava che la parte convenuta era stata convocata con nota del 22.5.2007, vale a dire allorquando la prescrizione si era già verificata il rapporto di lavoro era cessato il 24/8/2001 , non essendovi prova dell'avvenuta comunicazione in epoca antecedente a quest'ultima data. Quanto all'asserita violazione della norma di cui all'articolo 410 c.p.c. è sufficiente rilevare che questa Corte ha già chiarito Cass. sez. lav. numero 21483 del 18/10/2011 che è manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'articolo 410, secondo comma, cod. proc. civ., nella formulazione precedente la legge 4 novembre 2010 numero 183, in relazione agli articolo 3, 4 e 24 Cost., nella parte in cui non prevedeva alcuna sospensione della prescrizione quale effetto della comunicazione della richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro, perché in tanto può ipotizzarsi un trattamento pregiudizievole dei diritto di azione in quanto il complessivo termine di prescrizione risulti apprezzabilmente diminuito dalla durata di quello dei procedimento conciliativo obbligatorio, mentre ciò non può dirsi riguardo a un massimo di sessanta giorni rispetto al termine quinquennale inciso, tenuto conto che, ove il tempo residuo all'esercizio dell'azione fosse risultato inferiore a quello necessario ad assolvere alla condizione di procedibilità, la parte avrebbe potuto proporre la domanda giudiziale, salvo poi provvedere all'esperimento del tentativo a seguito di sospensione del giudizio ai sensi dell'articolo 412bis cod. proc. civ. allora vigente. 2. Col secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli articolo 1442, 2946 e 2948 cod. civ., dell'articolo 8 della legge numero 604 del 1966 e dell'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio articolo 360 numero 3 e 5 c.p.c. . Assume il ricorrente che in relazione all'indennità di natura risarcitoria richiesta in conseguenza dell'accertata applicabilità, nella fattispecie, della tutela obbligatoria di cui all'articolo 8 della legge numero 604 del 1966 non era maturata, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, la prescrizione quinquennale dal licenziamento del 9/8/2001, in quanto occorreva aver riguardo alla data di deposito del ricorso giudiziale del 13/6/2006, essendo tale attività idonea ad interrompere la suddetta causa di estinzione del diritto. In ogni caso, secondo la tesi difensiva di parte ricorrente, doveva ritenersi applicabile il termine ordinario di prescrizione decennale che riguarda anche l'azione del lavoratore diretta ad ottenere il risarcimento del danno derivante dall'illegittimo allontanamento dal posto di lavoro, trattandosi di ordinaria azione contrattuale per la quale non vale la prescrizione breve di cui all'articolo 2948 numero 4 cod. civ. Anche tale motivo è infondato. Invero, per quel che concerne la prima parte della censura, ancorata alla tesi dell'efficacia interruttiva della prescrizione riconducibile al semplice deposito del ricorso giudiziale, valgono le stesse ragioni di rigetto esplicitate nella disamina del primo motivo del ricorso, vale a dire quelle incentrate sulla necessità della verifica dell'avvenuta comunicazione della pretesa creditoria al destinatario dell'azione di condanna quale momento decisivo dell'interruzione della causa estintiva del credito vantato in giudizio. In ordine alla seconda parte della censura si osserva, invece, che è corretta la decisione della Corte di merito secondo la quale, essendosi prescritta anche l'azione di annullamento dei licenziamento, risultava preclusa la richiesta di liquidazione della relativa indennità risarcitoria ai sensi dell'articolo 8 della legge numero 604 del 1966. Infatti, può affermarsi che è ancora esperibile la normale azione risarcitoria soltanto per quegli effetti che non siano preclusi dalla prescrizione della domanda di annullamento del licenziamento che ha posto fine al rapporto di lavoro. In caso di prescrizione di quest'ultima domanda l'azione non è, quindi, esperibile per ottenere il risarcimento del danno da perdita dei posto di lavoro o da mancata reintegra o l'indennità di cui all'articolo 8 della legge numero 604/66 in alternativa alla riassunzione e neppure per ottenere l'equivalente delle retribuzioni medio tempore perdute. In altri termini, con la normale azione risarcitoria non è possibile ottenere, neppure per equivalente, ciò che è precluso dalla prescrizione in ordine all'impugnativa. In pratica, quando l'unico profilo per il conseguimento del risarcimento del danno o della suddetta indennità è dato unicamente dall'illegittimità del recesso, la normale azione risarcitoria è preclusa v. in tal senso Cass. sez. lav. numero 5804 del 10.3.2010 Al riguardo si è, altresì, precisato Cass. sez. lav. numero 10235 del 4.5.2009 che la decadenza dall'impugnativa del licenziamento, individuale o collettivo, preclude l'accertamento giudiziale dell'illegittimità del recesso e la tutela risarcitoria di diritto comune, venendo a mancare il necessario presupposto, sia sul piano contrattuale, in quanto l'inadempimento del datore di lavoro consista nel recesso illegittimo in base alla disciplina speciale, sia sul piano extracontrattuale, ove il comportamento illecito dello stesso datore consista, in sostanza, proprio e soltanto nell'illegittimità del recesso. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese dei presente procedimento nella misura di € 3500,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.