È invalida la scrittura privata sottoscritta dal parroco, senza la preventiva autorizzazione scritta dell’ordinario, ai sensi del canone 1218 del Codice di Diritto Canonico, se la stessa oltrepassa i limiti dell’ordinaria amministrazione. Conseguentemente tale invalidità è opponibile ai terzi che avrebbero dovuto conoscere le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l’omissione di controlli canonici risultanti dagli atti di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche.
Con la pronuncia numero 2117, depositata il 5 febbraio 2015, la seconda sezione della Corte di Cassazione affronta un singolare caso nel quale assumono rilievo decisorio le norme del Codice Canonico nonché la legge numero 222/1985. La Vicenda è peculiare poiché vede coinvolto un parroco che aveva assunto obbligazioni suscettibili di produrre ripercussioni di natura economica sulla parrocchia. Opportuno, ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie, è il richiamo all’articolo 18 della l. numero 222/1985. Tale norma prevede che, ai fini dell'invalidità o inefficacia di negozi giuridici posti in essere da enti ecclesiastici, non possono essere opposte a terzi, che non ne fossero a conoscenza, le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l'omissione di controlli canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche. Tale articolo va, quindi, posto in relazione con il canone 1218 secondo cui, gli amministratori, che non abbiano ottenuto prima il permesso scritto dell’ordinario, pongono in essere invalidamente atti che oltrepassano i limiti e le modalità dell'amministrazione ordinaria. Il fatto. Con atto di citazione la promittente venditrice di un terreno conveniva in giudizio la parrocchia e due sacerdoti, onde sentirli condannare all’adempimento degli obblighi nascenti dalla scrittura privata sottoscritta dal vecchio parroco, ovvero al risarcimento del danno. Assumeva l’attrice che con una prima scrittura privata il sacerdote si fosse impegnato a promettere di acquistare il terreno di sua proprietà e che con successivo atto scritto si concordava, una volta edificato il terreno, l’alienazione in loro favore di un appartamento ad un dato prezzo, nonché il riconoscimento del diritto di prelazione nella vendita dei negozi. Deceduto il parroco il trasferimento immobiliare veniva eseguito in favore di altro sacerdote che a sua volta donava il bene alla parrocchia, quest’ultima alienava così il terreno ad una società, senza metterla al corrente dell’esistenza della seconda scrittura privata. Il Tribunale rigettava entrambe le domande. La Corte di Appello confermava la sentenza impugnata. Il Giudice di seconde cure affermava che, in base a specifiche norme di diritto canonico, il parroco non potesse sottoscrivere la scrittura integrativa senza il permesso dell’ordinario, né impegnare l’Ente da lui rappresentato. Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione la soccombente. La legge canonica applicabile solo ai beni di culto nella tesi della ricorrente. Dei motivi d’impugnazione proposti, quello che desta maggiore interesse ai nostri fini, concerne la lamentata violazione e falsa applicazione di norme di diritto canonico in relazione agli articoli 4, 6 e 18 della l. numero 222/1985 e dell’articolo 2932 c.c. Si doleva quindi la ricorrente dell’errore in cui era incorsa la Corte d’appello nel ritenere che, in ragione della legge canonica, il parroco non potesse assumere impegni di tale natura senza la licenza scritta del superiore competente. A suo dire le norme di diritto canonico troverebbero applicazione solo in relazione ai beni ed agli oggetti di culto e non già al caso di specie dove andrebbero invece applicate le norme di diritto civile e, quindi, la differenza tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, i primi ben possibili per il parroco. La tesi della Cassazione. La Corte di Cassazione affermava la correttezza dell’applicazione normativa della l. numero 222/1985 nonché del canone 1281, giacché la scrittura privata sottoscritta dal parroco avrebbe potuto comportare un detrimento della situazione patrimoniale della parrocchia. Inoltre, la stessa Corte d’appello aveva pure evidenziato come il contratto preliminare di che trattasi, sebbene ad effetti obbligatori, si qualificasse, in modo incontestato anche per la ricorrente, come atto di straordinaria amministrazione ponendosi come momento originario di una sequenza obbligatoria con esito finale il trasferimento dell’immobile. La richiesta risarcitoria resta assorbita in quella principale. L’ulteriore censura mossa era quella relativa alla domanda di risarcimento danni, di cui la ricorrente lamentava l’omessa pronuncia. Per gli ermellini tale richiesta restava assorbita dal rigetto di quella principale, essendo da quella dipendente considerato, quindi, l’accertamento sull’impossibilità per il parroco di sottoscrivere una scrittura integrativa che determinasse l’assunzione di obblighi per la parrocchia. A sostegno di tale conclusione anche l’assenza di qualsivoglia riferimento per relationem contenuto nell’atto di compravendita intervenuto tra la parrocchia e la società.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 novembre – 5 febbraio 2015, numero 2117 Presidente Piccialli – Relatore Scalisi Svolgimento del processo B.E. , con atto di citazione del 26 ottobre 2001 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Verona la Parrocchia omissis , Don U.M. , Don G.G. per ivi sentire condannare i convenuti all'adempimento degli obblighi nascenti dalla scrittura privata del 16 settembre 1989 ovvero in alternativa al risarcimento del danno. L'attrice esponeva di aver promesso con la scrittura privata già indicata ed insieme con B.D. ed I. di vendere a don V.A. un immobile di loro proprietà sito in tale Comune. Con altra scrittura don V. , poi deceduto, si impegnava, una volta edificato il terreno davanti alla chiesa, di vendere un appartamento ai B. al prezzo di L. 1.500.000 al mq, ed a riconoscere agli stessi il diritto di prelazione sulla vendita dei negozi costruiti. In data 5 dicembre 1989 i coniugi B. trasferivano il bene di cui si dice a don U.A. in luogo del promissario acquirente V. , nel frattempo deceduto, il quale provvedeva a donarli alla Parrocchia, e successivamente la Parrocchia vendeva gli stessi beni alla Lusitralia srl, senza che questa venisse messa a conoscenza della scrittura intercorsa tra i B. e Don V. . Si costituivano le parti convenute assumendo di non conoscere la scrittura privata integrativa e di non essere passivamente legittimati e, comunque, affermavano l'invalidità e/o l'inefficacia di quella scrittura, chiedendo il rigetto delle pretese dell'attrice. Il Tribunale di Verona con sentenza numero 493 del 2004 rigettava le domande preposte dall'attrice. Avverso tale sentenza interponeva appello la B. per quattro motivi. Resistevano al gravame proposto la Parrocchia e Don U.M. . La Corte di Appello di Venezia con sentenza numero 1160 del 2008, notificata il 5 marzo 2009, rigettava l'appello e confermava la sentenza impugnata, condannava l'appellante al pagamento delle spese giudiziali. Secondo la Corte di Venezia, sulla base delle specifiche norme di diritto canonico, Don V.A. , senza il permesso scritto dell'ordinario, non poteva sottoscrivere, quale parroco, la nota scrittura integrativa in questione, né impegnare l'Ente da lui rappresentato. E di più, nessun impegno neppure per relationem era contenuto nell'atto definitivo di compravendita immobiliare intervenuto tra soggetti diversi da quelli di cui alla citata nota integrativa. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da B.E. con ricorso affidato a tre motivi, illustrati con memoria. La Parrocchia omissis e Don G.G. hanno resistito con controricorso. Don U.M. , intimato in questa fase, non ha svolto alcuna attività giudiziale. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo B.E. lamenta la violazione degli articolo 112, 115 e 132 cpc. ex articolo 360 numero 4 e 5 cpc . Avrebbe errato la Corte di Venezia, secondo la ricorrente, nell'aver rigettato l'istanza di ammissione delle prove testimoniali mediante le quali si sarebbe accertata la piena conoscenza delle Autorità ecclesiastiche delle determinazioni del Parroco in merito alla scrittura integrativa, dato che attraverso quelle prove il Giudice avrebbe potuto verificare la circostanza dedotta nelle condizioni espresse nella clausola numero 5 del suindicato accordo inter partes. Sicché, la Corte distrettuale avrebbe omesso di pronunciare sull'istanza proposta dall'allora appellante avendo, altresì, mancato di esprimere una congrua motivazione del rigetto del motivo di appello. Pertanto, conclude la ricorrente, dica la Corte di cassazione se il Giudice di appello abbia o meno violato il disposto di cui all'articolo 112, 115, 132 cpc, il quale come indicato nel su esteso motivo di ricorso abbia rigettato il motivo di gravame avente ad oggetto l'impugnazione della decisione di primo grado per non aver ammesso le prove dedotte dalla parte, assumendo la superfluità di quelle prove e richiamando allegazioni documentali di cui non soltanto tace sui contenuti, ma dimostri di non averli adeguatamente esaminati, atteso che proprio il contenuto di quei documenti esigeva la dimostrazione dei fatti aggetto delle richieste istruttorie. 1.1.- Il motivo è inammissibile non solo per genericità del quesito di diritto dal momento che la ricorrente denuncia una violazione di legge, ma, sostanzialmente, lamenta un vizio di motivazione senza indicare il diverso percorso logico che avrebbe dovuto compiere il Giudice del merito ma, anche, o soprattutto, perché privo del carattere di autosufficienza. La ricorrente a lamenta che la Corte di Appello non avrebbe ammesso le prove testimoniali dedotte, ma non riporta, come avrebbe dovuto, i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell'impugnata sentenza b assume che la rilevanza delle prove non ammesse emergerebbe dal fatto che attraverso tali prove si sarebbe meglio potuto verificare la circostanza dedotta nella clausola cinque della scrittura integrativa, ma quella clausola non è riprodotta nel suo contenuto, né il documento viene indicato c denuncia la violazione di norme processuali, ma non ne indica le ragioni. È giurisprudenza costante di questa Corte, quella secondo cui nel caso in cui si faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito occorre, per la parte d'interesse in cassazione, riprodurli nel ricorso, ovvero, laddove riprodotti, indicare in quale sede processuale, gli stessi risultino prodotti e, ai sensi dell'articolo 369, 2 co. numero 4, c.p.c., se siano stati prodotti anche in sede di legittimità. Con la conseguenza che la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rende il ricorso inammissibile , in quanto la Corte non viene posta nella condizione di effettuare il richiesto controllo anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi , da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito v. Cass., 24/3/2003, numero 3158 Cass., 25/8/2003, numero 12444 . 2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 numero 3 cpc in relazione agli articolo 4, 6, 18 della legge numero 222 del 1985 e articolo 2932 cc. Secondo la ricorrente, la Corte veneziana avrebbe errato nel ritenere che il parroco in ragione della normativa canonica non poteva impegnare validamente la parrocchia, trattandosi nella specie di negozio da cui la situazione patrimoniale della persona giuridica potrebbe subire detrimento e dunque avrebbe richiesto la licenza scritta rilasciata dal Superiore competente, perché non avrebbe tenuto conto che la normativa di diritto canonico si riferiva ai beni destinati al culto e il bene di che trattasi non rientrava in quella categoria. Piuttosto, per i beni non destinati al culto va applicata la normativa di diritto civile e, dunque, la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione e il Parroco ha i poteri di compiere atti di ordinaria amministrazione Pertanto la Corte avrebbe dovuto preventivamente stabilire, e non lo avrebbe fatto, se il contratto preliminare concluso il 16 settembre 1989, rientrava o no nella categoria degli atti di straordinaria amministrazione. Pertanto, conclude la ricorrente dica la Corte di cassazione se sia o meno in corso in errore di diritto il Giudice del merito, il quale richiesto di riformare la decisione del Giudice di prime cure, che aveva respinto al domanda ex articolo 2932 cc, aveva ritenuto di fondare al propria decisione sugli articolo 3, 4, 5 della legge 222 del 1985 e sulle norme di Codex Iuris Canonici richiamate ed aveva confermato la decisione impugnata richiamando quelle medesime norme, ma omettendo di verificare la portata applicativa, e segnatamente di verificare se tra i poteri del Parroco deputato in base a dette norme alla gestione normale dei beni della parrocchia rientri o meno quello della conclusione di un contratto preliminare il contratto oggetto della vertenza in quanto atto non rientrante fra quelli di straordinaria non normale gestione e ciò, pure in considerazione della destinazione diversa da quella del culto dei beni che erano stati oggetto dell'accordo preliminare. 2.1.- Il motivo è infondato, non solo perché la ricorrente censurando la qualificazione della scrittura privata quale atto eccedente l'ordinaria amministrazione non indica quali norme avrebbe erroneamente applicato il Giudice del merito e quali avrebbe dovuto applicare, ma, e, soprattutto, perché la Corte di appello ha, correttamente, applicato la normativa di cui alla legge 222 del 1985 e in ragione dell'articolo 18 di detta legge la normativa di cui al Codex Iuris Canonici. La ricorrente non tiene conto che la Corte di Venezia ha chiarito adeguatamente che le limitazioni risultanti dal canone XXXX operavano legittimamente ovviamente in forza ed in ragione dell'articolo 18 della legge numero 222 del 1985 , e, nel caso in esame, quei limiti operavano dato che il negozio di cui si dice, oggetto della presente controversia, avrebbe potuto determinare un detrimento della situazione patrimoniale della Parrocchia. Come ha avuto modo di affermare la Corte distrettuale le limitazioni risultanti da tale canone il riferimento è al canone XXXX come anche degli altri citati dal Tribunale 1295, 515, 638 operavano legittimamente, per cui in mancanza di permesso scritto del Superiore competente, che corrisponde nella persona del Vescovo, il Parroco, Don V.A. , non poteva impegnare validamente la parrocchia trattandosi di negozio da cui, la situazione patrimoniale della persona giuridica, avrebbe potuto subire detrimento . D'altra parte e, comunque, a maggior chiarimento, va evidenziato che la Corte veneziana, anche se non lo ha esplicitato chiaramente, ha ritenuto, come è nell'ordine delle cose, che il contratto preliminare di vendita di bene immobile, alla cui categoria apparterrebbe la scrittura privata di cui si dice del 16 settembre 1989 , e sulla cui qualificazione conviene la stessa ricorrente pag. 15 e 16 del ricorso , per quanto ad effetti obbligatoli, è atto di straordinaria amministrazione, giacché si pone quale momento originario di una sequenza obbligatoria e successiva il cui esito necessitato è il trasferimento della proprietà del bene. 3.- Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 112 cpc, articolo 360 numero 4 cpc e violazione di legge in relazione agli articolo 1362 e 2932 cc articolo 360 numero 3 cpc . Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale non avrebbe deciso sull'istanza di risarcimento d anni avanzata dall'odierna ricorrente, assumendo che, se il Parroco non era legittimato a stipulare il contratto preliminare nessun vincolo e, dunque, nessun inadempimento poteva scaturire a carico della Parrocchia. D'altra parte, la domanda di risarcimento non poteva ritenersi assorbita dal rigetto della domanda ex articolo 2932 cc. perché l'autonomia privata consente alle parti di concludere accordi vincolanti, sebbene non riconducibili alla figura tipica del contratto preliminare. Pertanto, conclude la ricorrente, dica la Corte di cassazione se come richiesto nel motivo del ricorso, abbia o meno violato il principio di cui all'articolo 112 cpc, il Giudice di appello che, richiesto di riformare la decisione del Giudice di primo grado, in ordine alla reiezione di domanda di risarcimento del danno, dipendente da un preteso inadempimento di un accordo avente l'impegno a cedere un costruendo immobile identificato nella consistenza ad un prezzo prestabilito abbia rigettato la domanda, ritenendo la sua decisione assorbita in quella con cui era stata respinta l'istanza ex articolo 2932 cc, per difetto di legittimazione del contraente promittente alienante, nello specifico un Parroco, senza preventivamente verificare se il vincolo preliminare fosse un accordo tutelabile attraverso l'ordinaria azione di protezione del non inadempiente e senza verificare quindi che le limitazioni alla legittimazione del Parroco, relativo alla stipulazione del contratto preliminare a termine degli articolo 1352 e 2932 cc, non operano automaticamente in relazione ad accordi preliminari diversi del contratto preliminare c.d. tipico. 3.1.- Il motivo rimane assorbito dai precedenti perché accertato che Don V.A. non poteva sottoscrivere, quale Parroco, la scrittura privata integrativa, nessun impegno poteva essere riferito all'Ente dallo stesso rappresentato, cioè, alla Parrocchia, in ragione di quella scrittura. Pertanto, l'inadempimento di quella scrittura per altro neppure riprodotta o indicata nel suo contenuto, non potrebbe determinare un obbligo di risarcimento danni a carico della Parrocchia. Come ha chiarito la Corte di Venezia La risoluzione della questione relativa alla scrittura integrativa il fatto, cioè, che quella scrittura non era imputabile alla Parrocchia , che conteneva appunto l'impegno del quale la B. chiede l'adempimento e alternativamente in relazione all'inadempimento il risarcimento del danno è assorbente rispetto ad ogni altra considerazione tenendo anche conto che nessun impegno in tal senso, neppure per relationem è contenuto nell'atto definitivo di compravendita immobiliare intervenuto tra soggetti diversi da quelli di cui alla citata nota integrativa . In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio della soccombenza ex articolo 91 cpc, condannata al pagamento delle spese del presente giudizio che verranno liquidate con il dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente, a vantaggio degli intimati costituiti, al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.