Spese di divisione a carico della massa se sono di interesse comune ai condividenti

Le spese relative al giudizio di divisione vanno poste a carico della massa allorché attengano al comune interesse dei condividenti, mentre valgono i principi generali sulla soccombenza per quelle spese che, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, siano conseguenza di eccessive pretese o di inutili resistenze, cioè dell’ingiustificato comportamento della parte.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 21184/15, depositata il 20 ottobre. Il caso. Il Tribunale, decidendo sull’opposizione proposta da una donna avverso i decreti di liquidazione dei compensi – posti interamente a suo carico – spettanti al direttore ed all’esecutore dei lavori nell’ambito di un procedimento di esecuzione forzata di sentenze di divisione ereditaria, rigettava l’opposizione de qua. Avverso l’ordinanza di rigetto ricorre per cassazione la donna, lamentando il mancato esame da parte del Tribunale della sentenza conclusiva del giudizio di divisione ereditaria che aveva dato luogo all’esecuzione e che aveva distribuito le spese necessarie per realizzare in concreto la divisione a carico di entrambe le parti in ragione delle rispettive quote. Le spese del giudizio di divisione competono alla massa se sono di interesse comune. Gli Ermellini sul punto hanno precisato che per verificare la legittimità della liquidazione dei compensi operata dal giudice dell’esecuzione non si può prescindere dall’esame del contenuto del titolo esecutivo, del quale vanno vagliate la completezza e specificità sotto il profilo considerato e la conseguente legittimità dell’interpretazione adottata in sede di esecuzione. Secondo il Supremo Collegio, nel caso di specie appare evidente che la Corte d’appello non ha esplicitato le ragioni del proprio convincimento, omettendo di dare conto di tale circostanza e decidendo la controversia in difformità all’accertamento circa le spese di cui alla citata sentenza. Il giudice dell’esecuzione, inoltre, continuano i Giudici di Piazza Cavour, non ha rispettato i principi generali affermati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alle spese nell’ambito del giudizio di divisione, secondo i quali «le spese relative al giudizio di divisione vanno poste a carico della massa allorché attengano al comune interesse dei condividenti, mentre valgono i principi generali sulla soccombenza per quelle spese che, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, siano conseguenza di eccessive pretese o di inutili resistenze, cioè dell’ingiustificato comportamento della parte». Da quanto sopra esposto, concludono dal Palazzaccio, deriva che i compensi oggetto dei decreti di liquidazione trovano la loro origine nella necessità di provvedere in concreto alla divisione disposta giudizialmente nel reciproco interesse delle parti, e non possono pertanto ricondursi, in ossequio al principio della soccombenza, all’aggravio economico direttamente causato dall’ingiustificata condotta ostativa di una delle parti. Alla luce della ricostruzione sopra illustrata, dunque, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando con rinvio l’ordinanza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 16 luglio – 20 ottobre 2015, numero 21184 Presidente Bianchini – Relatore Falaschi Considerato in fatto Con ordinanza del 03.12.2013 il Tribunale di Catanzaro, chiamato a pronunciarsi sull'opposizione proposta da L.C. avverso i decreti di liquidazione del compenso spettante all'Ing. P.A. e all'impresa edile Torchia Tommaso & amp C. sas, nominati rispettivamente direttore ed esecutore dei lavori nell'ambito di un procedimento di esecuzione forzata di sentenza di divisione ereditaria, per essere stati i relativi costi posti interamente a suo carico, respingeva l'opposizione, e per l'effetto confermava tali provvedimenti. Avverso l'ordinanza de qua ha presentato ricorso per cassazione la medesima L. deducendo, con un unico motivo, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c Il solo intimato L.G. ha resistito con controricorso. Il consigliere relatore, nominato a norma dell'articolo 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all'articolo 380 bis c.p.c. proponendo l'accoglimento del ricorso. In prossimità dell'adunanza camerale parte resistente ha depositato memoria illustrativa ex articolo 378 c.p.c Ritenuto in diritto Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex articolo 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta Preliminarmente il relatore ritiene di dover esaminare le censure di inammissibilità dedotte dal controricorrente, le quali non possono trovare ingresso. Occorre osservare al riguardo che l'esposizione dei fatti operata dalla ricorrente non è in contraddizione con il numero 3 dell'articolo 366 c.p.c. ma, di converso, risulta articolata in modo tale da rendere precisa ed esaustiva la ricostruzione della vicenda processuale pregressa, di per sé complessa nel suo svolgimento giudizio di divisione ereditaria e conseguente procedura esecutiva . Nella specie, la narrativa non è di ostacolo alla conoscenza del fatto da parte della Corte di legittimità che può ampiamente desumere gli aspetti della vicenda nelle sue articolazioni processuali e i passaggi che ne hanno cadenzato l'esito Cass. 29 dicembre 1997 numero 13071 . Né rileva la censura circa l'inammissibilità del vizio di motivazione per violazione dell'articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c. per quanto si dirà di seguito. Venendo al merito del ricorso, con l'unica censura la ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 360 numero 5 c.p.c. per non avere il Tribunale adito esaminato un fatto decisivo, in particolare, l'erroneità del criterio di ripartizione dei costi, basato sulla soccombenza, senza tenere conto della sentenza conclusiva del giudizio di divisione ereditaria che aveva dato luogo all'esecuzione, e che aveva distribuito le spese necessarie per realizzare in concreto la divisione a carico di ambo le parti in ragione delle rispettive quote. La censura appare meritevole di accoglimento. Occorre precisare che, essendo stata depositata la sentenza impugnata il 3 dicembre 2012, il presente ricorso soggiace alla disciplina dell'articolo 360, comma 1, numero 5, c.p.c., introdotta dal D.L. numero 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. numero 134 del 2012. In relazione a tale modificazione, le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare che essa introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli articolo 366, primo comma, numero 6, e 369, secondo comma, numero 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultante probatorie Cass. S.U. 7 aprile 2014 numero 8053 . Nell'odierno ricorso, la L. ha indicato il fatto storico il cui esame risulta omesso dalla Corte di appello e cioè l'esistenza di una sentenza conclusiva del giudizio di scioglimento della comunione ereditaria intercorso tra le parti, che rappresenta il titolo esecutivo fondante il successivo procedimento di esecuzione, e nella quale la ripartizione delle spese di attuazione della divisione è già individuata e disposta in ragione delle rispettive quote, diversamente da quanto statuito al riguardo dal giudice dell'esecuzione. Tale circostanza risulta decisiva al fine di verificare la legittimità della liquidazione dei compensi operata dal giudice dell'esecuzione, non potendosi prescindere dall'esame del contenuto del titolo esecutivo per verificarne la completezza e specificità sotto il profilo considerato e la conseguente legittimità dell'interpretazione adottata in sede di esecuzione. Lo stesso controricorrente, nell'esporre le proprie difese, ha dato conto dell'esistenza della suddetta sentenza, confermandone il contenuto, pur sostenendo l'irrilevanza del fatto. Nella specie, risulta dunque evidente che la Corte d'appello non ha esplicitato le ragioni del proprio convincimento, omettendo di dare conto di tale circostanza e decidendo la controversia in difformità all'accertamento circa le spese di cui alla citata sentenza. Difatti il giudice dell'esecuzione ha disposto la liquidazione dei compensi in favore degli ausiliari del giudice diversamente dall'apprezzamento, in materia di ripartizione delle spese dell'esecuzione, del giudice cui risale la formazione del titolo esecutivo, adottando un'inammissibile integrazione e modifica di quest'ultimo. Il giudice dell'esecutorie ha inoltre disatteso quelli che sono i principi generali che nell'ambito del giudizio di divisione, quanto alle relative spese, questa Corte ha affermato statuendo che le spese relative al giudico di divisione vanno poste a carico della massa allorché attengano al comune interesse dei condividenti, mentre valgono i principi generali sulla soccombenza per quelle spese che, secondo il prudente appressamento del giudice di merito, siano conseguente di eccessive pretese o di inutili resistente, cioè dell'ingiustificato comportamento della parte Cass. 13 febbraio 2006 numero 3083 . Con la conseguenza che i compensi oggetto dei decreti di liquidazione trovano la loro origine nella necessità di provvedere in concreto alla divisione disposta giudizialmente nel reciproco interesse delle parti, e non possono pertanto ricondursi, in ossequio al principio della soccombenza, all'aggravio economico direttamente correlato all'ingiustificata condotta ostativa di una delle parti. In altri termini, il giudice avrebbe dovuto operare una distinzione tra le spese occorse per l'attuazione dello scioglimento della comunione, disponendo la liquidazione dei compensi a carico della massa e dunque di entrambe le parti, e le spese ulteriori riconducibili al comportamento tenuto dalla ricorrente e solo a quest'ultima imputabili, distinzione nella specie non rinvenibile, non avendo dato contezza degli aggravi di spesa riferibili alla condotta della ricorrente. In definitiva, si conferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all'articolo 380 bis c.p.c., ravvisandosi la possibile manifesta fondatezza dei motivi di ricorso”. Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio e le critiche formulate dal resistente nella memoria illustrativa non hanno alcuna incidenza su dette conclusioni, giacché ribadiscono difese che - per le ragioni sopra esposte - sono state superate dalle argomentazioni predette e non rappresentano alcuna lacuna motivazionale, non apportando alcun ulteriore elemento di valutazione, e conseguentemente il ricorso va accolto. L'ordinanza impugnata va cassata, con rinvio al Tribunale di Catanzaro, in persona di diverso magistrato, che provvederà a rideterminare la ripartizione dei costi alla luce del principio di cui sopra, nonché alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso cassa l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Catanzaro in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di Cassazione.