La prova deve formarsi davanti all’organo chiamato ad emettere la decisione

La rivoluzione copernicana della Cassazione in tema di principio del contraddittorio La regola della formazione della prova davanti all’organo chiamato ad emettere la decisione costituisce principio generale dell’ordinamento e non soltanto una garanzia dei diritti della difesa. La possibilità per tutte le parti di partecipare alla formazione della prova dà applicazione al principio del contraddittorio e costituisce modalità essenziale di ricostruzione degli elementi di fatto che fondano il giudizio.

Così la Terza sezione Penale della Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 37241 dell’11 settembre 2013 afferma, apertis verbis , un principio ritenuto fondamentale da grande parte del mondo giuridico internazionale. E, per vero, ed è forse un dato di fondamentale importanza, condiviso anche dai giudici di Strasburgo che ne hanno fatto ampia applicazione nella nota pronuncia “Dan vs Moldavia”. Si tratta di una affermazione davvero di grande momento destinata, qualora l’indirizzo interpretativo assunto dalla Terza sezione della Corte venga sposato e seguito anche dalle altre Sezioni, a mutare profondamente non solo le regole probatorie, da intendersi sia in senso ermeneutico che euristico, dettate per il procedimento di primo grado, ma proprio per la chiarezza di quello che è un principio di diritto espressamente enunciato la cui trascrizione integrale è sopra riportata anche a dispiegare effetti in relazione al giudizio d’appello. Giudizio che, come è noto, prevede la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale solo ed esclusivamente in casi limitati e che, applicata la regola relativa alla «necessità di formazione della prova innanzi all’organo chiamato ad emettere la decisione» vedrebbe assoggettate le pronunce effettuate in difetto di diretta percezione della prova medesima da parte dell’organo, sottoposte a vaglio di legittimità con effetti assolutamente prevedibili. Le parti possono intervenire nella formazione della prova? La Corte di Cassazione, prende le mosse nel caso di specie, da una vicenda, incentrata su reati commessi nell’ambito dei rapporti di famiglia e sconfinanti in fattispecie di violenza sessuale, per effettuare una attenta disamina di quelli che debbono essere i rapporti esistenti tra formazione della prova e sua valutazione da parte del giudicante. La prima considerazione, di carattere generale che la Corte effettua ha riguardo alla possibilità delle parti di poter intervenire nel momento della formazione della prova. Vigendo nel sistema processual-penalistico italiano il principio dispositivo della prova la Corte, senza per vero dover effettuare alcuno sforzo interpretativo di grande momento, può tranquillamente affermare che l’assenza di contestazione o l’acquiescenza di una parte processuale alla introduzione di una nuova prova, anche se costituita da prova proveniente da altro processo nel caso di specie costituita dai verbali di dichiarazioni rese in sede di procedimento davanti a giudici minorili , rende ex lege la medesima patrimonio utilizzabile dal giudicante. Ciò che costituisce invece innovazione, se non per l’affermazione del principio certamente per l’assoluta chiarezza e per i termini con il quale esso è stato espresso, nel panorama giurisprudenziale italiano è la ricostruzione del rapporto relativo alla formazione della prova ed alla necessità che essa si origini, quasi geneticamente, avanti all’organo chiamato a giudicare. La Terza sezione della Corte afferma testualmente «- omissis – la motivazione della sentenza di appello sul punto si pone in radicale e immotivato contrasto coi principi del giusto processo e con le regole di apprezzamento degli elementi probatori formati in sede diversa. La regola della formazione della prova davanti all’organo chiamato ad emettere la decisione costituisce principio generale dell’ordinamento e non soltanto una garanzia dei diritti della difesa. La possibilità per tutte le parti di partecipare alla formazione della prova da applicazione al principio del contraddittorio e costituisce modalità essenziale di ricostruzione degli elementi di fatto che fondano il giudizio». Dunque i principi del giusto processo, costituzionalizzati con il disposto dell’articolo 111 debbono considerarsi, il che dovrebbe essere ovvio ma nel mondo del diritto spesso non è così, presiedere le norme dettate in tema di interpretazione e di apprezzamento degli elementi probatori formati in sede differente rispetto a quella dibattimentale. Il che, a ben vedere, significa che ogni interpretazione che il giudicante è chiamato a fornire circa la validità da attribuire ad una prova, o ad un elemento probatorio, dovrebbe essere effettuata sula scorta di una sorta di valutazione inerente il momento genetico della stessa ed il grado di partecipazione alla stessa svolto dalle parti. Operazione che introduce nel sistema una vera e propria graduazione del valore della prova che dovrebbe avere quale vertice la prova dichiarativa formata nel contraddittorio tra le parti nel dibattimento ed alla base le prove cosiddette indiziarie o quegli elementi di prova o quelle prove generatesi in assenza o del contraddittorio o dell’organo chiamato a giudicare. Detta “gerarchia” della prova dovrebbe portare il giudicante a non poter sconfessare i risultati di una prova sovra ordinata utilizzando quelli prodotti da una prova sotto ordinata. E, francamente, a me pare interpretazione corretta e conforme al sistema giuridico. Ma la Corte non si ferma e prosegue, come visto, affermando che il principio della formazione della prova davanti all’organo chiamato a valutarla costituisce un principio generale dell’ordinamento. L’affermazione ha portata davvero incredibile. Non si tratta di un diritto della difesa come tale implicitamente od esplicitamente rinunciabile o comprimibile ma di un principio dell’ordinamento. Dunque di un principio che è parte stessa del sistema processuale e che è chiamato ad operare anche in assenza di uno specifico e puntuale richiamo al medesimo da parte delle difese. Una rivoluzione copernicana che trasforma il “reietto” diritto di difesa in testata d’angolo dell’ordinamento stesso. Il giudicante che non ha potuto veder formarsi avanti la se la prova non può utilizzarla poiché, se lo facesse, si porrebbe in contrasto non già con il diritto di difesa francamente basterebbe ma addirittura con l’intero sistema giuridico posto che ne violerebbe un principio capace di sussistere anche in caso di “mutazioni” del contenuto e della portata del diritto di difesa. Detto principio, ovvero quello inerente la necessità che la prova si formi avanti al giudice chiamato a giudicare, trova infatti ragione nella stessa capacità euristica ed epistemologica che la prova deve necessariamente possedere. Essa infatti serve a fornire quella «modalità essenziale di ricostruzione degli elementi di fatto che fondano il giudizio» la cui epifania è costituita, previa applicazione del procedimento di sussunzione, dall’emanazione della sentenza. Dunque la prova, per essere tale, deve costruirsi davanti al giudice e nel contraddittorio delle parti. Contraddittorio che per una o per tutte le parti può anche essere “silente” mi rendo conto dell’ossimoro ma necessariamente garantito. Solo così, dal confronto dialettico, dalla prospettata o teoricamente prospettabile diversità di ricostruzione del medesimo fatto storico, magari anche attraverso angolazioni o sfumature diverse, sarà possibile per il giudicante possedere quella ricostruzione degli elementi di fatto necessari a fondare e il proprio convincimento e l’applicazione corretta della norma giuridica. Il che significa che, seppur implicitamente, la Cassazione ritiene indispensabile che il Giudice sia partecipe e capace di poter “vivere e ricordare” anche quelle emozioni e sensazioni che sono proprie e connesse alla prova per eccellenza. Ovvero che anche nel Bel Paese c’è una speranza di incardinare, definitivamente, la cultura dell’esame e del contro esame, in un clima di condivisa, e finalmente non ostile, ricerca della più attendibile versione dei fatti declinati nel processo. Senza presunzione di ricerche o di affermazioni di verità. Mi pare doveroso concludere queste piccole riflessioni con una osservazione che ho velocemente approcciato in apertura e che è relativa alla portata che il principio enunciato potrebbe avere in relazione al grado di appello. Il giudice d’appello giudice di merito dovrebbe, ai fini di non violare un principio dell’ordinamento e non un diritto della difesa partecipare alla formazione della prova. Ove questo non avvenga, e parliamo della straordinaria maggioranza dei casi, la pronuncia da questi emessa può dirsi conforme ai principi del sistema ? La domanda è certamente provocatoria. Attendiamo risposte da una Corte che, ribadisco a rischio d’essere noioso, sta incidendo in maniera profonda non nel fornire linee interpretative della norma ma addirittura nel processualmente dettarla.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 giugno - 11 settembre 2013, numero 37241 Presidente Squassoni – Relatore Marini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 21/5/2010 emessa a seguito di rito abbreviato il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Sciacca ha condannato il sig. S. alla pena di 8 anni di reclusione perché colpevole del reato previsto dagli articolo 81 cpv, 609-bis e 609-ter, 572 cod. penumero commesso in omissis pena base ammontante a 10 anni di reclusione per il delitto di violenza sessuale, aumentata a 12 anni per il reato di maltrattamenti, quindi ridotta a 8 anni ex articolo 442 cod. proc. penumero . Il Giudice dell'udienza preliminare ha ritenuto che le dichiarazioni rese dalla minore in sede di incidente probatorio abbiano trovato riscontro nelle dichiarazioni rese dalla coimputata T. , moglie dell'imputato, e dai testi A. e O. coi quali la persona offesa si era confidata, nonché nell'esito della consulenza tecnica effettuata su incarico del Pubblico ministero che aveva concluso per la piena capacità della giovane a testimoniare. 2. La Corte di appello ha riformato la sentenza del Tribunale e ha mandato assolto l'imputato da tutte le imputazioni perché i fatti non sussistono . La Corte di appello, respinta la censura dell'imputato in ordine alla inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche effettuate, ha riesaminato le dichiarazioni accusatorie della persona offesa, figlia dell'imputato, alla luce di quanto dalla stessa riferito in data 19/1/2011 davanti al Tribunale dei Minorenni di Palermo in tale sede la minore, ormai prossima alla maggiore età e quindi valutata dalla Corte di appello più consapevole e matura, ha riferito di avere accusato il padre su istigazione della cugina, e questa vera e propria ritrattazione rende assolutamente incerto il quadro ricostruttivo dei fatti e impone di pervenire a sentenza di assoluzione. 3. Il Procuratore generale della Corte di appello di Palermo propone ricorso nei confronti della decisione, in sintesi lamentando a. errata applicazione di legge ai sensi dell'articolo 606, lett.b cod.proc.penumero per avere la Corte di appello erroneamente recepito gli atti provenienti da diverso procedimento di volontaria giurisdizione, così violando gli articolo 238, 511-bis, 514 cod. proc. penumero , così come richiamati dall'articolo 598 cod. proc. penumero Con ordinanza del 12/10/2011 la Corte di appello ha ammesso la produzione delle dichiarazioni favorevoli all'imputato rese dalla moglie e dalla figlia-persona offesa avanti il Tribunale per i Minorenni, e ciò senza richiedere il parere del Procuratore generale e senza il rispetto, quanto alla minore, delle garanzie previste per la sua audizione in sede penale articolo 392, comma 1-bis, e 498, comma 1, numero 4, e comma 4-ter cod. proc. penumero e, quanto alla imputata di reato connesso, delle garanzie previste dagli articolo 64, 197 e 197-bis cod. penumero L'assenza di contraddittorio sull'ammissione delle nuove prove e l'assenza di possibilità di controprova comportano la inutilizzabilità delle prove acquisite Sez.Unumero , numero 33748 del 20/9/2005, Mannino b. vizio motivazionale ai sensi dell'articolo 606, lett.e cod.proc.penumero per avere la Corte di appello omesso di illustrare le ragioni per cui le dichiarazioni rese in separato giudizio e senza le garanzie e le forme previste dal giudizio penale a distanza di molti anni dai fatti risultino più rilevanti di quelle che sostengono la decisione del primo giudice, ivi compreso il contenuto delle intercettazioni telefoniche da cui emergono le pressioni familiari esercitate sulla minore. 4. Con memoria difensiva in data 22/5/2013 il sig. S. deduce a. Inammissibilità del primo motivo proposto dal ricorrente in rito, in quanto il ricorso non contiene copia del verbale di udienza del 24/10/2012 e in quanto 1 in tale occasione il Procuratore generale non si oppose alla rinnovazione di tutti gli atti e, dunque, anche alla già disposta acquisizione dei verbali e alla conseguente rinnovazione del dibattimento e, anzi, rinunciò all'esame della minore 2 l'acquisizione dei verbali è avvenuta ritualmente su richiesta e la prova è stata utilizzata nei confronti dell'imputato che vi ha consentito articolo 238, comma 4, cod. proc. penumero 3 inoltre paglO della memoria , l'utilizzazione della prova è in linea col rito abbreviato b. Inammissibilità del secondo motivo per avere il ricorrente 1 omesso di allegare il testo delle intercettazioni telefoniche e non indicato le ragioni che renderebbero tali prove decisive 2 proposto in modo generico questioni di fatto che non possono formare oggetto del giudizio di legittimità, a fronte di motivazione immune da vizi logici c. Infondatezza del ricorso con riguardo all'ingresso in atti delle dichiarazioni della sig.ra T. , assolta dal Giudice delle indagini preliminari con sentenza 21/5/2010, divenuta irrevocabile il 10/11/2010. Considerato in diritto 1. La sentenza impugnata presenta vizi che ne impongono l'annullamento con rinvio ad altro giudice per nuovo esame. 2. Occorre in via preliminare ripercorrere i passaggi processuali relativi alla rinnovazione dibattimentale in grado di appello. All'udienza del 12/10/2011 il Procuratore generale ha chiesto che in via preliminare la Corte di appello decidesse in ordine all'istanza di riapertura del dibattimento contenuta nell'impugnazione presentata dalla difesa il riferimento sembra essere alla richiesta formulata a pag.37 dei motivi nuovi . La Corte di appello ha disposto acquisirsi i due verbali delle dichiarazioni rese in data 19/1/2011 nonché copia del certificato di residenza, riservando la decisione sull'ulteriore istanza di riapertura del dibattimento. Alle successive udienze del 17 febbraio e del 14 maggio 2012 la Corte di appello ha disposto il rinvio del dibattimento per mutamento della composizione del collegio. Alla successiva udienza del 24/10/2012, ricevuta nelle more una memoria della difesa, la Corte di appello, dato atto della nuova composizione del collegio, sentite le parti, che non hanno formulato opposizione, ha disposto la rinnovazione di tutti gli atti già compiuti dal precedente collegio. Tale indicazione deve essere, evidentemente, intesa come conferma della acquisizione dei verbali di assunzione delle dichiarazioni della minore e della madre in data 19/1/2011 e come rigetto della ulteriore richiesta di rinnovazione del dibattimento su cui all'udienza del 12/10/2011 la Corte di appello aveva riservato una decisione. 3. Così ricostruito lo sviluppo del giudizio di appello, la Corte ritiene che il primo motivo di ricorso debba essere considerato inammissibile nella parte in cui censura l'acquisizione degli atti provenienti da diverso procedimento. Appare evidente che né in occasione della prima decisione del 12/10/2011 né in occasione della successiva rinnovazione degli atti udienza del 24/10/2012 la pubblica accusa rimase estranea al processo decisionale e altrettanto evidente che la stessa pubblica accusa non ebbe a formulare espressa opposizione alla acquisizione dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di procedimento davanti ai giudici minorili. Non si comprende, dunque, quale sia il fondamento della censura formulata col presente motivo di ricorso e per quale ragioni il ricorrente richiami i principi contenuti nella citata sentenza Mannino delle Sezioni Unite. 4. Va considerata inammissibile anche la diversa censura, contenuta nella parte conclusiva del secondo motivo di ricorso, avente a oggetto il contenuto delle intercettazioni telefoniche. Premesso che in ogni caso saremmo davanti a censura che attiene al merito della decisione, va rilevato che la censura è viziata da assoluta genericità il ricorrente non ha allegato al ricorso le conversazioni rilevanti, né ha fornito indicazione sui loro estremi e sulle ragioni specifiche che supporterebbero l'assunto della esistenza di pressioni sulla persona offesa. Palese la genericità e la inammissibilità di un simile motivo d'impugnazione. 5. Merita, invece, accoglimento la diversa censura concernente l'utilizzazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dalla madre in separato procedimento. La motivazione della sentenza di appello sul punto si pone in radicale e immotivato contrasto coi principi del giusto processo e con le regole di apprezzamento degli elementi probatori formati in sede diversa. 6. La regola della formazione della prova davanti all'organo chiamato ad emettere la decisione costituisce principio generale dell'ordinamento e non soltanto una garanzia dei diritti della difesa. La possibilità per tutte le parti di partecipare alla formazione della prova da applicazione al principio del contraddittorio e costituisce una modalità essenziale di ricostruzione degli elementi di fatto che fondano il giudizio. Ciò vale, a maggior ragione, quando si sia in presenza di elementi probatori nuovi che vengono acquisiti al fascicolo in sede di appello dopo un primo giudizio con rito abbreviato, costituendo tale acquisizione uno sviluppo del tutto eccezionale del rito semplificato che l'imputato ha richiesto e il giudice ritenuto applicabile si veda, Sez. 1, numero 36122 del 9/6/204, Campisi . 7. L'applicazione di tali principi la caso in esame rende evidente come la Corte di appello sia incorsa in errore allorché, ritenuto necessario acquisire i verbali formati in separato giudizio di volontaria giurisdizione, non ha provveduto a completare l'acquisizione del materiale probatorio mediante la citazione avanti a sé e l'assunzione nel contraddittorio delle dichiarazioni delle persone che avevano modificato avanti altro giudice il contenuto quanto dichiarato nel corso della fase delle indagini e formato oggetto della prima decisione ex articolo 442 cod. proc. penumero Tali modalità di acquisizione della prova sarebbero state certamente praticabili. Deve dunque concludersi che l'acquisizione dei verbali è avvenuta al di fuori dei casi e senza le forme di cui all’articolo 238, commi 1, 2 e 3 cod. proc. penumero , il che rende non applicabili le previsioni di cui ai commi 4 e 5 della medesima disposizione di legge che fanno carico alla parte interessata di richiedere l'esame diretto della persona le cui dichiarazioni sono state acquisite a mezzo acquisizione dei soli verbali. 8. Sotto un diverso e ulteriore profilo la Corte rileva che la motivazione della sentenza impugnata appare carente e illogica in alcuni dei passaggi argomentativi. Finendo per ritenere sufficiente la constatazione che avanti i giudici minorili la persona offesa ha ritrattato le accuse al genitore e attribuito alla cugina la colpa della calunnia in allora commessa, la Corte di appello ha del tutto omesso di procedere a un'analisi critica del contenuto delle nuove dichiarazioni, che non sono state esaminate nel confronto con le precedenti. Ha quindi omesso ogni considerazione in ordine alla attendibilità delle accuse mosse alla cugina, difettando l'esame critico delle ragioni per cui quest'ultima avrebbe dovuto istigare la persona offesa ad accusare falsamente l'imputato e delle ragioni per cui le accuse sono state poi dalla stessa persona offesa sempre sostenute in corso di indagine. Ha, poi, omesso ogni analisi critica dei fondamenti della ritrattazione, il cui contenuto presenta evidenti profili di genericità, e del confronto fra l'articolato racconto offerto in sede d'indagine e le dichiarazioni rese davanti ai giudici minorili. 9. Sulla base delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo che, alla luce dei principi fissati con al presente decisione, procederà a nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo.