La legge 31 dicembre 2012, numero 247, recante «Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense», ha introdotto molte novità rispetto al vecchio impianto normativo risalente alla legge professionale del 1933. Tra le novità più significative sono senz’altro da segnalarsi quelle relative al procedimento disciplinare e, in particolare, quella riguardante il rapporto con il processo penale. Rapporto che è regolato dall’articolo 54 della nuova legge ed è caratterizzato dalla piena e perfetta autonomia. Un cambiamento netto rispetto al precedente regime.
La nuova legge professionale e il procedimento disciplinare. La legge 31 dicembre 2012, numero 247, recante «Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense», ha introdotto molte novità rispetto al vecchio impianto normativo risalente alla legge professionale del 1933 cfr., per una riflessione sistematica sulla nuova legge professionale degli avvocati, “ Riforma forense ”, a cura di G. Colavitti - G. Gambogi, Giuffrè Editore, Milano, 2013 . Il nuovo procedimento disciplinare, com’è noto, sarà gestito, non più dai Consigli dell’Ordine degli Avvocati, ma dai Consigli Distrettuali di disciplina previsti dall’articolo 50 della nuova legge professionale. Il CNF, nel fornire le prime indicazioni sulla nuova legge professionale degli avvocati, ha evidenziato come le norme relative al nuovo procedimento disciplinare non sono immediatamente applicabili in quanto lo saranno soltanto dopo l’emanazione del regolamento di attuazione. Il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, con una nota datata 14/2/2013, inviata a tutti i Consigli dell’Ordine degli Avvocati, ha ricordato che il CNF è impegnato nell’elaborazione dei regolamenti previsti per l’attuazione della nuova legge sull’ordinamento professionale ed ha individuato, tra le priorità, la redazione di alcuni specifici regolamenti tra cui proprio quello relativo all’elezione dei componenti del sopracitato Consiglio Distrettuale di disciplina e al procedimento disciplinare. E’ quindi probabile che entro il corrente anno i Consigli Distrettuali di disciplina inizieranno ad esercitare il potere disciplinare a loro attribuito dalla nuova legge dell’Avvocatura. Alcune innovazioni di natura sostanziale tipizzazione dell’illecito e prescrizione che incidono sul procedimento disciplinare. Prima di affrontare una delle più importanti innovazioni relative al procedimento disciplinare e cioè quella relativa ai rapporti tra questo e il processo penale avente ad oggetto lo stesso fatto improntati, come detto, alla piena autonomia , è opportuno segnalare che vi sono almeno due innovazioni di natura sostanziale che avranno senz’altro influenza sul procedimento disciplinare e cioè l’onere incombente sul CNF di tipizzare l’illecito disciplinare la nuova prescrizione dell’illecito stesso. Per quanto attiene alla tipizzazione dell’illecito disciplinare si deve osservare che il codice deontologico attualmente vigente non è improntato al principio di tipicità. Tant’è vero che l’articolo 60 del codice deontologico che, paradossalmente, reca la rubrica ‘norma di chiusura’ stabilisce «le disposizioni specifiche di questo codice costituiscono esemplificazione dei comportamenti più ricorrenti e non limitano l’ambito di applicazione dei principi generali espressi». Più che una norma di chiusura pare quindi norma di segno opposto. E’ evidente quindi che con la tipizzazione si arriverà ad individuare, in maniera assai più specifica, l’illecito disciplinare tant’è vero che nella norma che andrà a prevedere un comportamento rilevante ai fini deontologici, dovrà essere specificata la condotta, omissiva o commissiva, asseritamente contraria ai doveri deontologici. E’ evidente che ciò comporterà per l’avvocato, incolpato di un determinato comportamento, un sensibile miglioramento delle garanzie difensive. L’altra innovazione di carattere sostanziale riguarda il regime della prescrizione, completamente diverso da quello precedente. Prima della riforma, infatti, la prescrizione dell’illecito era stabilita in cinque anni e una volta interrotta iniziava nuovamente a decorrere secondo criteri di natura civilistica. Pertanto ben poteva verificarsi che un fatto venisse ad essere giudicato disciplinarmente anche dopo molti anni laddove la prescrizione fosse sempre stata regolarmente interrotta. Con la legge numero 247/12 invece la prescrizione ha una durata di sei anni, ma nel caso di interruzione non potrà comunque avere una durata oltre il termine di sette anni e sei mesi, così come si desume dall’articolo 56, terzo comma, del nuovo testo Cfr., sul nuovo regime della prescrizione e sulle specifiche cause di sospensione e interruzione, “ Riforma forense ”, op. cit., pagg. 101 e 102 . Appare quindi evidente che la riforma ha introdotto, in tema di prescrizione, una normativa improntata su criteri di natura penalistica. Come vedremo l’innovazione comporta effetti pratici, immediati, di non poco conto. Il principio di autonomia dei procedimenti. L’articolo 54 della nuova legge professionale stabilisce «il procedimento disciplinare si svolge ed è definito con procedura e con valutazioni autonome rispetto al processo penale avente per oggetto i medesimi fatti». Abbiamo già evidenziato poco sopra come questa disposizione introduca una novità davvero importante. Prima della nuova normativa, infatti, i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale avente ad oggetto il medesimo fatto erano caratterizzati dalla sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione del processo penale pregiudiziale. Infatti, con l’ormai celebre sentenza della Cassazione, Sezioni Unite Civili, numero 4893/06, in caso di pendenza del procedimento penale avente ad oggetto uno stesso fatto di quello disciplinare, quest’ultimo doveva sospendersi necessariamente. La sopra richiamata sentenza ebbe a stabilire che – a seguito della novella introdotta dalla legge 27 marzo 2001, numero 97, con la quale venne modificato l’articolo 653 c.p.p. - quest’ultimo non poteva che interpretarsi nel senso di stabilire una vera e propria pregiudiziale penale rispetto al procedimento disciplinare. Il procedimento disciplinare doveva quindi essere immediatamente sospeso in attesa di una sentenza penale definitiva. Questa interpretazione circa la portata dell’articolo 653 c.p.p., a parere dello scrivente ineccepibile e pienamente condivisibile, ha senz’altro influito sulla durata del procedimento disciplinare che, vista la durata dei procedimenti penali, rimaneva, talvolta, sospesa per anni. In virtù invece di quanto dispone l’articolo 54, comma 1, legge numero 247/12, il nuovo procedimento disciplinare si svolgerà e sarà definito con procedure e con valutazioni autonome rispetto al processo penale e ciò anche quando quest’ultimo avrà per oggetto i medesimi fatti. Quindi nessun dubbio sul fatto che la nuova legge professionale afferma un principio di piena autonomia del processo disciplinare con tutte le relative conseguenze. La sospensione a tempo determinato 2 anni . Unica situazione nella quale sarà possibile sospendere il nuovo procedimento disciplinare è quella disciplinata dall’articolo 54, comma 2, legge numero 247/12. Quest’ultima norma stabilisce «se, agli effetti della decisione, è indispensabile acquisire atti e notizie appartenenti al processo penale, il procedimento disciplinare può essere a tale scopo sospeso a tempo determinato. La durata della sospensione non può superare complessivamente i due anni durante il suo decorso è sospeso il termine di prescrizione». Ovvio che il legislatore, con la disposizione di cui trattasi, abbia voluto regolare un caso davvero particolare, stabilendo una regola che rappresenta un’eccezione al principio di indipendenza e autonomia dei due giudizi che qui interessano quello disciplinare e quello penale. Allorquando vi sia una situazione nella quale è indispensabile acquisire atti o comunque notizie che appartengono al processo penale, il procedimento disciplinare sarà soggetto a sospensione. Trattasi però di una sospensione che al massimo potrà avere una durata complessiva di due anni. La norma in questione, peraltro, non è certo suscettibile di una interpretazione estensiva e quindi si deve ritenere che rappresenti l’unico, specifico, caso di sospensione del procedimento disciplinare. Ciò a conferma del fatto che il legislatore intende garantire l’autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale ed intende evitare che possano ripetersi situazioni del passato nelle quali il procedimento disciplinare stesso possa rimanere sospeso per tempi lunghi, a volte lunghissimi. Il pericolo dei giudicati contrastanti. Il rapporto di piena autonomia tra procedimento disciplinare e procedimento penale comporta il rischio di arrivare a giudicati contrastanti occorre, però, tener sempre presente che quand’anche si tratti di uno stesso fatto storico non v’è dubbio che le diverse caratteristiche dell’illecito disciplinare e di quello penale possono essere portare a decisioni differenti . Rischio che viene valutato dal legislatore, tant’è vero che l’articolo 55 della nuova legge professionale prevede proprio i casi di riapertura del procedimento disciplinare già concluso con decisione definitiva. Il procedimento disciplinare è riaperto a allorquando è stata inflitta una sanzione disciplinare e, per lo stesso identico fatto, l’Autorità Giudiziaria ha emesso sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso [in questo caso anche nel procedimento disciplinare deve essere pronunciato un proscioglimento] b allorquando è stato pronunciato in sede disciplinare un proscioglimento e l’Autorità Giudiziaria penale, per lo stesso fatto, ha emesso invece sentenza di condanna per reato non colposo fondata su fatti rilevanti per l’accertamento della responsabilità disciplinare che non siano stati valutati dal Consiglio Distrettuale di disciplina [in questo specifico caso i nuovi fatti saranno liberamente valutati dal Giudice disciplinare]. La disciplina inerente la riapertura del procedimento disciplinare tiene conto sia della necessità di evitare giudizi contrastanti, ma anche della differenza ontologica tra illecito disciplinare e illecito penale. Non è un caso infatti che disponga la riapertura del procedimento disciplinare allorquando sia stata inflitta una sanzione definitiva mentre per lo stesso fatto l’Autorità Giudiziaria penale ha emesso sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso. In tale ipotesi, infatti, anche in virtù dei principi contenuti nel già richiamato articolo 653 c.p.p., il giudicato contrastante non sarebbe neppure astrattamente concepibile dovendo obbligatoriamente prevalere l’esito del giudizio penale al quale, infatti, quello disciplinare dovrà adeguarsi, tanto da dover essere riaperto per recepire la sentenza di assoluzione. Nel caso inverso, invece, e cioè quando in presenza di un procedimento disciplinare conclusosi con un proscioglimento vi sia stata per lo stesso fatto una sentenza di condanna per reato non colposo, fondata su fatti non considerati in sede disciplinare, il procedimento disciplinare dovrà senz’altro essere riaperto ma la riapertura servirà a valutare liberamente ai fini deontologici i nuovi fatti emersi in sede penale. Ovvio quindi che in questo caso potrà benissimo verificarsi una situazione nella quale a fronte di una condanna penale vi sia comunque un proscioglimento disciplinare e ciò non sarà censurabile in alcun modo proprio perché vi è una differenza inequivocabile tra il concetto di illecito penale e quello di illecito disciplinare. Le conseguenze del principio di autonomia sui procedimenti disciplinari in corso e attualmente sospesi. Non può esservi dubbio sul fatto che le novità introdotte dalla nuova legge professionale, soprattutto quelle relative alla prescrizione e quelle che riguardano proprio i rapporti tra disciplinare e processo penale, abbiano notevole rilevanza pratica. Per convincersi di ciò si pensi ai procedimenti disciplinari attualmente pendenti e sospesi per essere correlati ad un procedimento penale, pregiudiziale, tutt’ora in corso. Orbene, siccome il nuovo meccanismo di calcolo della prescrizione è senz’altro più favorevole rispetto al precedente, non foss’altro perché, come abbiamo visto poco sopra, con la nuova disciplina è stabilito un tetto massimo pari a sette anni e sei mesi, si deve ritenere che, nonostante il diverso avviso del Consiglio Nazionale Forense, tale norma sia immediatamente applicabile. Se a tale principio di immediata applicabilità della nuova prescrizione si aggiunge quello relativo all’autonomia dei procedimenti autonomia che deve senz’altro intendersi con effetto concreto e quindi con decorrenza dal 2 febbraio 2013, data di entrata in vigore della nuova normativa , non v’è dubbio che i Consigli dell’Ordine dovranno procedere alla trattazione dei procedimenti disciplinari attualmente sospesi in forza del processo penale pregiudiziale. Per questi ultimi procedimenti, infatti, la sospensione non può avere più effetto, proprio a partire dal 2 febbraio 2013 e, contemporaneamente, la prescrizione decorrerà con il nuovo criterio penalistico e quindi non potrà mai essere prolungata oltre i sette anni e sei mesi. Laddove i Consigli dell’Ordine non procedessero alla trattazione dei disciplinari attualmente sospesi per la pendenza penale, forte sarebbe il rischio di dover dichiarare la prescrizione di qui a qualche tempo. Né vale obiettare che non è consentito parlare di favor rei allorquando si verta in materia disciplinare. Ciò per il semplice motivo che il principio in questione viene ad essere espressamente richiamato nell’articolo 65, comma 5, della nuova legge professionale allorquando, pur riferendosi alle norme contenute nel codice deontologico, il legislatore stabilisce che quelle che saranno emanate in base al principio di tipizzazione, del quale abbiamo parlato in precedenza, saranno applicate anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della loro entrata in vigore «se più favorevoli all’incolpato». Altri ed ulteriori effetti del principio di autonomia. Non v’è dubbio infine che le scelte operate dal legislatore in tema di autonomia del procedimento disciplinare, ma anche in tema di prescrizione, inducono a ritenere che non si verificheranno più casi nei quali il procedimento disciplinare sia celebrato dopo molti anni dalla commissione del fatto. Come abbiamo visto, con il vecchio sistema, ciò poteva avvenire sia per il meccanismo, civilistico, di calcolo della prescrizione, che una volta interrotta iniziava a decorrere nuovamente per un ulteriore periodo di cinque anni, sia perché il procedimento disciplinare doveva rimanere fermo in attesa della definizione del processo penale pendente per gli stessi fatti. Due situazioni quelle di cui sopra che con le nuove norme non potranno più verificarsi. Se è vero, com’è vero, che varie norme del nuovo procedimento disciplinare sono indubbiamente finalizzate a garantire una maggiore tutela del diritto di difesa dell’incolpato, è altresì vero che, anche scongiurare il pericolo di essere giudicati disciplinarmente dopo tantissimo tempo, si traduce in una specifica garanzia difensiva. L’incolpato ha infatti il diritto di veder celebrare il procedimento disciplinare in tempi ragionevoli e non v’è dubbio che le due innovazioni sopra indicate tendono proprio a realizzare tale fine. A parere di chi scrive, pertanto, la nuova normativa in tema di rapporti tra processo penale e procedimento disciplinare pur non essendo, l’autonomia dei procedimenti, un valore assoluto di per sé è, a ben vedere, non solo condivisibile, ma senz’altro migliorativa rispetto al passato.