Il canale di cemento edificato dal Municipio alla base di tutti i mali e della perdita irreversibile di 95 piante. Per le comproprietarie di un fondo agricolo arriva così un lauto risarcimento.
Questa la vicenda esaminata dalla Suprema Corte Civile – sezione Prima – nella sentenza numero 15156/12 dell’11 settembre. Troppo cemento finisce per creare problemi. Due donne, comproprietarie di un terreno, citavano il giudizio il Comune domandando i danni per l’allagamento del fondo e per i danneggiamenti delle piante di pesche ivi coltivate. I problemi sarebbero dipesi dalla realizzazione da parte del Municipio convenuto di un canale di cemento nel sottostrada a monte del loro terreno. Il Tribunale e la Corte d’Appello di L’aquila condannavano l’ente territoriale a pagare una bella somma e respingevano l’eccezione di prescrizione. La parte soccombente si affidava allora al giudizio di cassazione. Esito della CTU inconfutabile. Il Comune inamissibilmente prospetta questioni di indole anche successoria il dante causa delle signore, in passato, aveva ceduto il terreno di sua proprietà all’Ente per la sistemazione della strada famigerata , senza l’avvaloramento della trascrizione del contenuto e di riscontri probatori. La CTU, inoltre, ha suffragato la tesi che i fatti pregiudizievoli si fossero verificati in epoca successiva alla realizzazione dell’opera pubblica viaria. Qualche omissione da imputare alle comproprietarie? La parte ricorrente sostiene poi di aver aumentato il deflusso delle acque legittimamente, mentre le sorelle – eliminando il preesistente fosso di scolo – avrebbero alterato il deflusso delle acque, contribuendo al danneggiamento delle piante. Anche in questo frangente il Comune richiede un diverso apprezzamento dei dati emersi nei gradi precedenti operazione non percorribile, come noto, in sede di legittimità. Non è quindi possibile ravvisare l’eventuale concorso di colpa delle donne. Confermato il risarcimento. Vana, infine, la contestazione sull’an e il quantum dell’attribuzione del valore delle piante. La perdita irreversibile di 95 peschi è stata assodata dalla CTU ancor prima di tutta la trafila dei gravami. Il ricorso scorre allora via come un ruscello, senza incidere sulla decisione contestata.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 giugno – 11 settembre 2012, numero 15156 Presidente Vitrone – Relatore Giancola Svolgimento del processo A.A. e R. , proprietarie di un terreno sito in contrada omissis , con atto di citazione notificato il 14.11.1994, preceduto da accertamento tecnico preventivo da loro chiesto con ricorso del 28.01.1994, adivano il Tribunale di Vasto chiedendo la condanna del Comune di San Salvo al risarcimento dei danni subiti a seguito di allagamenti del loro fondo e danneggiamenti delle piante di pesche ivi coltivate, dipesi dalla realizzazione da parte del comune convenuto, di un canale di cemento nel sottostrada a monte del loro terreno. Con sentenza numero 297 del 17.09.2002, l'adito Tribunale di Vasto, nel contraddittorio delle parti, condannava il Comune risarcimento del danno, liquidato nella somma di Euro 23.650,67, oltre interessi legali e spese di giudizio. Contro questa sentenza il Comune di San Salvo proponeva appello, resistito dalle A. , che a loro volta proponevano appello incidentale. Con sentenza del 6.04-6.07.2005, la Corte di appello di L'Aquila, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, respinta l'eccezione di prescrizione sollevata dal Comune di San Salvo, condannava tale ente al pagamento in favore delle A. , della maggiore somma di Euro 28.950,06, con interessi legali dalla data della pronuncia e fino all'effettivo soddisfo, nonché dei 2/3 delle spese dei due gradi di giudizio, compensate per la residua parte. La Corte territoriale osservava e riteneva che - con l'appello il Comune aveva dedotto l'erroneità della decisione di primo grado, pronunciata senza tener conto sia della preesistenza, a carico del fondo delle sorelle A. , di una servitù di scolo delle acque piovane provenienti dalla strada sovrastante, sia del fatto che essendo stata la strada realizzata a seguito di regolare procedura espropriati va, la relativa indennità aveva ricompreso ogni voce di indennizzo, sia della modificazione dello stato dei luoghi, operata dalle stesse A. nell'anno 1987, senza risistemare il canaletto esistente per lo scolo delle acque, e sia che quest'ultima circostanza implicava l'applicazione dell'articolo 1227 c.c. - con l'appello incidentale le A. avevano chiesto la condanna del Comune di San Salvo al risarcimento dell'ulteriore danno, indicato in Euro 55.777,34, con interessi e rivalutazione, relativo alla perdita di numero 108 piante di pesche, andate distrutte a seguito dell'allagamento, danno non liquidato in primo grado - quanto all'appello principale erano infondati a il motivo relativo alla ricomprensione nell'indennità di esproprio dei danni subiti dalle attrici, successivi alla liquidazione di detta indennità e per giunta del tutto estranei ed autonomi rispetto alla perdita della proprietà o di altro diritto reale sul fondo medesimo, ovviamente diverso da quello oggetto di espropriazione b l'ulteriore assunto per cui le A. avrebbero dovuto rispondere, ai sensi degli articolo 913 e 1227 c.c., del danno relativo all'allagamento, in quanto dipeso dalla modificazione dello stato dei luoghi, dalle stesse attuata, quando, nell'impiantare il pescheto, avevano eseguito lo scasso del terreno senza risistemare il preesistente canaletto di deflusso delle acque o quanto meno il semplice solco per convogliarle nel valloncello sottostante c che sebbene l'esistenza del canaletto di raccolta e scolo delle acque piovane, descritto come un solco, fosse stata confermata dai testi, la circostanza del suo mancato ripristino affermata da uno dei tre testi, non poteva rivestire alcun rilievo, poiché esso era stato già reso inservibile e comunque superato dalla presenza del grosso canale in cemento di deflusso delle medesime acque, il quale dall'espletata CTU risultava avere un diametro di mt 1, essere stato costruito prima che fosse impiantato il pescheto, ossia nell'anno 1985, in occasione dell'ampliamento e dell'asfaltatura, della strada di circonvallazione sovrastante il terreno delle A. e recante il dislivello di mt 2 dal piano di campagna, nonché posto al di sotto di tale strada e realizzato senza soluzione di continuità, con sbocco a cielo aperto, tale da comportare la dispersione sul terreno delle A. delle acque di scolo e la produzione dei danni per allagamento alle colture, rispetto ai quali era evidente la responsabilità del Comune di San Salvo in ordine alla liquidazione dei danni, da limitare al periodo decorso dal 1994 al 1998, andavano assunte le indicazioni del CTU in ordine alla presenza nel pescheto di 313 piante, alla subita carenza di produzione ed ai pregiudizi arrecati alle piante ed al terreno, cui doveva aggiungersi il danno da perdita di 95 piante, non considerato dall'esperto d'ufficio, liquidabile all'attualità in L. 500.000 ad unità, tenendo conto della quantificazione in L. 1.000.000 per ciascuna pianta operata dal perito di parte attrice e della già considerata carenza produttiva, e ricomprendendo nel minore importo anche le spese di reimpianto. Avverso questa sentenza il Comune di San Salvo ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi e notificato il 4.01.2006 alle A. , che hanno resistito con controricorso notificato il 2.02.2006. Motivi della decisione A sostegno del ricorso il Comune di San Salvo denunzia 1. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto articolo 2043 c.c., articolo 40 e 46 L. numero 2359/1865, articolo 12 Legge numero 865/71 articolo 360 numero 3 c.p.c. e motivazione insufficiente e/0 contraddittoria articolo 360 numero 3 c.p.c. . Premette che nel giudizio di primo grado le A. hanno prodotto copia della comunicazione del Comune di San Salvo dell'11.10.1983 prot. numero 13655 nonché copia dell'atto pubblico del 07.08.1991 di cessione volontaria dell'area, con il quale il loro dante causa aveva ceduto parte del terreno di sua proprietà al Comune di San Salvo per la sistemazione della strada in questione. Assume che trattandosi di danni connessi alla realizzazione dell'opera pubblica, nel contesto di attività lecita nell'ambito di una rituale procedura espropriativa e che si asseriva arrecati a fondo degli aventi causa del medesimo soggetto autore dell'atto di cessione volontaria in corso di esproprio, non era pertinente il riferimento al paradigma dell'illecito aquiliano, non sussisteva la posizione di estraneità del danneggiato alla vicenda ablatoria, l'indennità liquidata per la parte espropriata ricomprendeva anche il pregiudizio che dall'esecuzione dell'opera pubblica era derivato alla parte residua del fondo ablato, pure se verificatosi successivamente, tale pregiudizio essendo consistito soltanto nel maggiore deflusso di acque sul fondo delle attrici, dovuto all'allargamento della sede stradale, e che, quindi, anche la motivazione espressa dai giudici d'appello non era assolutamente condivisibile alla luce dei richiamati principi. Il motivo non merita favorevole apprezzamento. Il Comune, infatti, inammissibilmente prospetta questioni d'indole anche successoria, non avvalorate dalla trascrizione del contenuto degli atti richiamati né dall'indicazione dei riscontri probatori di conforto acquisiti nei pregressi gradi di merito, e comunque sostiene tesi prive di pregio, a fronte dell'ineccepibile accertamento compiuto dai giudici di merito e suffragato da puntuali e logiche argomentazioni, correlate alla esaustiva valutazione delle emerse risultanze processuali, ivi compreso l'esito della CTU, secondo cui i fatti pregiudizievoli si erano verificati in epoca successiva alla realizzazione dell'opera pubblica viaria, in riferimento a terreno non assoggettato a procedura espropriativa e si riconnettevano ad improprie modalità di realizzazione e funzionamento del nuovo canale in cemento, di convogliamento di tutte le acque provenienti dalla superiore, ampliata ed asfaltata sede stradale, rimasto non completato ed atto per struttura, dimensioni, funzioni e portata ad alterare il preesistente stato dei luoghi ed a determinare un innaturale e consistente deflusso sul terreno delle A. , rilievi che già per il profilo oggettivo non consentivano la riconduzione della vicenda nell'ambito della specifica normativa di cui alla legge numero 2359 del 1865 in tema di espropriazione ma legittimavano la qualificazione in termini di fatto illecito di cui all'articolo 2043 c.c., costitutivo di responsabilità aquiliana nei confronti delle A. cfr Cass. numero 4657 del 1997 e numero 4201 del 2001 . 2. Violazione e falsa applicazione di legge articolo 913 c.c. e 1227 c.c. articolo 360 c.p.c. - insufficiente e contraddittoria motivazione articolo 360 nnumero 4 e 5 c.p.c. . Sostiene che il Comune di San Salvo ha legittimamente aumentato il deflusso delle acque, mentre le sorelle A. , avendo eliminato nell'impiantare il pescheto e poi non ripristinato il preesistente fosso di scolo, avevano alterato il deflusso naturale delle acque, consentendo che queste si disperdessero sul loro terreno, così provocando o contribuendo a provocare i danni richiesti in risarcimento. Deduce ancora che l'esclusione di ogni rilevanza a tale circostanza si fonda su motivazione carente e contraddittoria. 3. Violazione e falsa applicazione di legge articolo 1227, comma 2, cc articolo 360 numero 3 cpc . Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia articolo 360 numero 5 c.p.c. . Sostiene che le sorelle A. dopo l'impianto del pescheto hanno pure omesso di adottare accorgimenti idonei ad evitare il ripetersi dell'evento dannoso. Anche il secondo ed il terzo motivo del ricorso, suscettibili di esame congiunto, non hanno pregio. Essi, infatti, si risolvono in inammissibili, sia pure per genericità e difetto di autosufficienza, o infondati rilievi critici, da cui, anche per quanto in precedenza esposto, non è dato desumere illogicità o carenze motivazionali decisive, e che essenzialmente appaiono volti ad un diverso apprezzamento dei medesimi dati, non consentito in questa sede di legittimità, a fronte delle ragioni poste dai giudici di merito a sostegno del mancato accoglimento delle tesi e domande ribadite nei motivi in esame, ragioni illustrate con argomentazioni congrue ed aderenti al dettato normativo, anche in relazione all'articolo 1227 c.c. in tema, cfr. Cass. numero 24406 del 2011 e con riferimento al non ravvisato concorso di colpa delle A. . 4. Violazione articolo 2697 cc. e omessa motivazione su punto decisivo della controversia . Censura l'accoglimento del ricorso incidentale delle A. ed in particolare l'attribuzione del ristoro anche per la irreversibile perdita di numero 95 piante di pesco, osservando che sul punto si sono seguite le risultanze dell'accertamento tecnico preventivo in luogo delle valutazioni rese dal ctu nel 2001, il quale aveva ritenuto tale danno futuro ed evitabile. Il motivo non è fondato. L'avversata decisione si rivela irreprensibilmente motivata sia in ordine all'an che al quantum dell'attribuzione, e con specifico riferimento al primo profilo dal richiamo alla compromissione, palesatasi poi irrimediabile, del valore di ulteriori piante, di cui alcune estirpate, quale comprovata dall'accertamento tecnico preventivo prodotto dalle A. , richiamo che non appare nemmeno efficacemente contrastato dal trascritto e sintetico passo del parere tecnico espresso dal CTU, pure risalente ad epoca anteriore al gravame. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del Comune soccombente al pagamento in favore delle A. , delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il Comune di San Salvo a rimborsare ad A.A. e R. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.