Tra le disposizioni della Riforma Fornero tese ad incrementare la c.d. flessibilità in entrata , la più significativa è senza dubbio la liberalizzazione del primo contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, così come del primo contratto di somministrazione di manodopera, tra le stesse parti. Rendendo la disciplina italiana più in linea con la Direttiva Comunitaria numero 1999/70 , che sanziona solo gli abusi derivanti dalla indiscriminata successione di contratti a termine, il Legislatore guarda oggi favorevolmente al primo contratto, condivisibilmente percepito come utile strumento di flessibilità. Flessibilità che, tuttavia, costa.
E’ infatti prevista un’aliquota aggiuntiva del 1,4%, importo che è comunque poca cosa rispetto all’eliminazione delle criticità da sempre connesse alla sottoscrizione di questo contratto. Il contratto «dominante» . Innanzitutto, la Riforma interviene sul comma 01 dell’articolo 1 del D.Lgs. numero 368/2001, disponendo che «il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro». Questa previsione, priva di immediata efficacia precettiva, è utile nell’ottica del Legislatore per rendere esplicite le finalità delle modifiche in esame, orientando altresì l’interprete ad una lettura restrittiva delle fattispecie che derogano alla suddetta «forma comune di rapporto» mettendo così, nero su bianco, l’intento - ampiamente manifestato con le modifiche esaminate nei nostri precedenti interventi - di rendere il lavoro subordinato a tempo indeterminato quale tipo contrattuale «dominante» nel panorama giuslavoristico italiano. Le novità della Riforma . La principale novità è senza dubbio quella relativa alla libera stipulazione del «primo rapporto a tempo determinato», di durata non superiore a 12 mesi, concluso per lo svolgimento di «qualunque tipo di mansione» fino al 17 luglio, come noto, la causale non era richiesta solo per il rapporto di lavoro dirigenziale «sia nella forma del contratto a termine, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato». La norma, chiara nella sostanza, sconta purtroppo un dato letterale non soddisfacente, dimentico della natura trilatera del contratto di somministrazione e del fatto che, da un punto di vista formale, tra utilizzatore e lavoratore non intercorre alcun rapporto di lavoro men che meno a termine . Su questo presupposto, la norma non chiarisce se la acausalità debba intendersi riferita al contratto c.d. commerciale tra utilizzatore e somministratore o al contratto di lavoro tra somministratore e lavoratore , rischiando così di creare non pochi problemi applicativi. In concreto tuttavia, nel nuovo contesto normativo, sembra ipotizzabile una significativa riduzione delle ipotesi in cui gli imprenditori ricorreranno alle agenzie di somministrazione, vista la possibilità di assumere direttamente – ed ora senza rischi – la manodopera che temporaneamente gli necessita. Altre ipotesi di acausalità, infine, possono essere introdotte dalla contrattazione collettiva al ricorrere di determinate situazioni. La proroga, la prosecuzione dopo il termine e la riassunzione. Il «nuovo» contratto acausale, che si affianca – ed in teoria non sostituisce – il «vecchio» contratto a termine, non potrà essere prorogato. Potrà tuttavia proseguire oltre la scadenza originariamente fissata per un periodo massimo di 30 se la durata iniziale era inferiore a 6 mesi o 50 giorni se la durata iniziale era superiore a 6 mesi , ferme la maggiorazioni retributive previste dall’articolo 5, comma 1, del D.Lgs. numero 368/2001. Di tale prosecuzione e questo costituisce una novità il datore di lavoro dovrà dare comunicazione al Centro per l’Impiego «entro la scadenza del termine inizialmente fissato», indicandone altresì la relativa durata. Vengono infine modificati, sempre in ottica antifrodatoria, i termini per procedere alla riassunzione a termine del lavoratore, oggi pari a 60 giorni prima erano 10 dalla scadenza per i contratti di durata inferiore a 6 mesi ed a 90 giorni prima erano 20 dalla scadenza per i contratti di durata pari o superiore a 6 mesi. L’apposizione del termine si paga . La sottoscrizione di contratti a termine, a partire dal 2013, «costerà» al datore di lavoro una maggiorazione fatte salve alcune eccezioni dell’1,4% rispetto al costo del lavoro subordinato a tempo indeterminato, che verrà parzialmente «restituito» in ipotesi di conversione del contratto. Maggior onere che, a parere di chi scrive, è davvero poca cosa rispetto alle rilevanti criticità che, casistica alla mano, hanno sempre seguito la stipulazione di contratti a termine. Cambiano anche i termini di impugnazione . La Riforma interviene infine anche sulla tempistica di impugnazione del termine apposto al contratto di lavoro subordinato. Viene infatti portato a 120 giorni il periodo concesso per l’impugnazione stragiudiziale, con una riduzione a 180 giorni del termine per depositare il ricorso mentre in precedenza erano rispettivamente 60 e 270 giorni . Anche quest’ultima modifica, che complessivamente riduce il periodo di «incertezza» sulla volontà del lavoratore e sulla natura del rapporto, appare condivisibile in quanto – senza pregiudizio ad un celere accertamento – concede un maggior tempo di riflessione al dipendente, talvolta ingannato con promesse di riassunzione il caso più frequente era quello dei contratti terminati a giugno, con promessa di riassunzione a settembre finita l’estate che, una volta inadempiute, lo lasciavano di fatto privo di alcuna tutela.