L’attore può opporre mediante eccezione l’annullabilità del contratto per vizio del suo consenso anche se non ha agito esclusivamente per ottenere gli interessi, in quanto l’ordinamento prevede una tutela sostanziale dagli atti viziati.
La vicenda . Un soggetto concedeva in prestito gratuito a due coniugi una certa somma per permettere loro di acquistare un immobile. I coniugi rilasciavano quietanza obbligandosi a restituire la somma non appena avessero ricevuto il mutuo dall’istituto di credito, necessario all’acquisto della casa. Tuttavia dopo che la banca aveva erogato il mutuo, poiché il soggetto mutuante era all’oscuro di tale circostanza, le parti stabilivano una diversa scadenza per la restituzione della somma originariamente dovuta e, rispettando tale nuovo termine, i coniugi restituirono la somma. Una volta venuto a conoscenza del mutuo erogato dalla banca, il soggetto mutante citava in giudizio i coniugi chiedendone la condanna al pagamento degli interessi bancari calcolati sulle somme loro mutuate. Mentre il giudice di prime cure rigettava la domanda del mutuante la Corte di appello condannava i coniugi a pagare gli interessi moratori per la rimandata restituzione del mutuo, nonché a pagare gli interessi anatocistici a decorrere dalla domanda. Nel successivo ricorso per cassazione i coniugi sostengono che il rapporto tra le parti del negozio di mutuo dovrebbe essere regolato dalla stipulazione del patto integrativo, più favorevole a loro in quanto modificava la scadenza della restituzione della somma, e non dall’originaria scrittura che imponeva l’obbligo dei mutuatari di restituire il prestito senza interessi dal momento che fosse stato loro accordo il mutuo bancario richiesto. Infatti, a detta dei coniugi ricorrenti, poiché il mutuante aveva agito unicamente per ottenere gli interessi senza richiedere una pronuncia giudiziale di annullamento per dolo omissivo del secondo patto aggiunto questo rimaneva valido ed efficace. Si può far valere il dolo solo per contrastare la domanda di adempimento . Per la Suprema Corte sostiene invece che l’annullabilità di un contratto o di una sua clausola, qualora non sia fatta valere tramite la proposizione di un’apposita domanda giudiziale, può anche essere dedotta in via di eccezione nel caso in cui il convenuto miri esclusivamente al rigetto, totale o parziale, della domanda dell’attore. È infatti consolidato in giurisprudenza l’orientamento per cui l’annullabilità di un contratto richiesta in seguito alla proposizione di un’azione, è sottoposta a precisi limiti di prescrizione, tuttavia, quando ricorre l’esistenza di un vizio che comporta l’annullamento del contratto, anche nel caso in cui non sia esperita l’azione, ai sensi dell’articolo 1442, ultimo comma, c.c. il soggetto convenuto per la esecuzione del medesimo contratto può far valere il vizio in via di eccezione. Questa eccezione, non sarà finalizzata all’eliminazione dell'atto ritenuto viziato, ma sarà unicamente volta allo scopo di paralizzare la pretesa della controparte all'adempimento. Pertanto non è soggetta ai limiti di prescrizione previsti per la domanda di annullamento e può perciò essere sollevata in ogni tempo. L’ordinamento prevede una tutela sostanziale dagli atti viziati . Infatti, la norma di cui all’articolo 1442, ultimo comma, c.c. afferma che «l’annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per l’esecuzione del contratto, anche se prescritta l’azione per farla valere». Di conseguenza tale disposizione è volta a predisporre un rimedio in modo da impedire che l’atto viziato non raggiunga pienamente il suo scopo anche se non è stata esperita domanda di annullamento. La ratio è quindi quella di assicurare una tutela sostanziale al soggetto vittima di un atto affetto da vizio della volontà, come nel caso in specie, è il patto aggiunto che ha modificato la scadenza della restituzione della somma concessa in mutuo, patto aggiunto stipulato tacendo al mutuante la concessione del mutuo da parte della banca. Se, dunque, la parte convenuta per l’adempimento ha la facoltà di sollevare eccezione di annullabilità limitandosi a denunziare il vizio per contrastare la domanda di adempimento dell’attore, a maggior ragione l’attore può opporre in via di eccezione l’annullabilità per vizio del consenso di un patto aggiunto, sulla cui validità il convenuto fonda la sua difesa. Sussiste il dolo omissivo in quanto i coniugi hanno taciuto maliziosamente il mutuo bancario . Nella fattispecie infatti appare evidente la sussistenza del dolo omissivo, in quanto le parti hanno taciuto maliziosamente la già avvenuta concessione del mutuo bancario ottenendo dal mutuante la dilazione del termine di restituzione. Giova in proposito ricordare che l’ipotesi di dolo omissivo, con il conseguente annullamento del contratto ai sensi dell’articolo 1439 c.c., si concretizza nel caso in cui l’inerzia della parte si innesti nell’ambito di un comportamento diretto specificamente a ingannare con astuzia o malizia, con la necessaria presenza del carattere dell’intenzionalità. Nell’ipotesi esaminata dalla Cassazione è dunque palese che la condotta ingannatoria posta in essere dai coniugi in modo da ottenere lo spostamento del termine di restituzione del prestito che altrimenti il mutuante, qualora avesse saputo della concessione del mutuo bancario, non avrebbe accordato. La concessione del mutuo bancario è il termine dal quale per legge sarebbero spettati gli interessi . Peraltro nel contratto di mutuo si era previsto che gli interessi non sarebbero stati dovuti per il tempo necessario alla concessione del mutuo bancario e non che i coniugi non avrebbero dovuto restituire nulla qualora non fosse stato loro accordato il mutuo dall’istituto di credito. La clausola apposta dalle parti infatti, derogava esclusivamente al disposto di cui all’articolo 1815, comma 1, c.c. secondo il quale «salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante». Pertanto la concessione del mutuo bancario indica il momento in cui diviene attuale l’obbligazione restitutoria senza che possa essere qualificato come termine a partire dal quale decorrono per legge i relativi interessi. Di conseguenza, non si rende necessaria la formale costituzione in mora del debitore quando il termine, benché non essenziale, di adempimento dell’obbligazione sia già scaduto e la prestazione debba essere eseguita al domicilio del creditore o in altro luogo riferibile alla sua sfera patrimoniale.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 25 maggio – 26 giugno 2012, numero 10638 Presidente Trifone – Relatore D’Amico Svolgimento del processo P.M. concesse in prestito gratuito ai coniugi G.F. e B.G. la somma di lire 55.300.000 per consentire loro l'acquisto di un immobile. Nell'occasione i mutuatari rilasciarono quietanza della somma loro concessa in prestito grazioso e si obbligarono a restituirla appena fosse stato loro erogato il mutuo bancario richiesto per l'acquisto. Successivamente le parti, quando già il mutuo richiesto alle banche era stato accordato ai due coniugi e senza che la circostanza fosse nota al mutuante, ad integrazione dell'originaria scrittura, stabilirono una diversa scadenza per la restituzione di quanto dovuto al mutuante e, in virtù del suddetto nuovo accordo, i mutuatari restituirono il 10 novembre 1989 la somma di lire 10 milioni e, con il pagamento di effetti cambiari ciascuno di lire 500.000 mensili sino al 31 maggio 2004, la restante somma di lire 45.300.000. P.M. - venuto tuttavia a conoscenza che il richiesto mutuo era stato concesso ai coniugi G. per lire 35.000.000 dall'Istituto San Paolo di Torino il 28 settembre 1987 e dal Mediocredito Piemontese il 29 maggio 1991 per lire 32.500.000 - con atto di citazione del 9 giugno 2004 chiedeva la condanna di G.F. e B.G. al pagamento degli interessi bancari calcolati sulle somme loro mutuate a decorrere dall'ottobre 1987 sull'importo di lire 35.000.000 e dal giugno 1991 sull'importo di lire 32.500.000. Il tribunale di Torino rigettava la domanda e condannava l'attore alle spese. Sul gravame del soccombente la Corte drappello di Torino, in riforma della sentenza del tribunale, condannava G.F. e B.G. a pagare a P.M. , a titolo di interessi moratori per ritardata restituzione del mutuo, la somma di Euro 21.587,52, oltre interessi anatocistici dalla domanda, ai sensi dell'articolo 1283 c.c Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso G.F. e B.G. con sei motivi. Ha resistito con controricorso P.M. . Le parti hanno presentato memorie. Motivi della decisione Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando la violazione dell'articolo 1219 cod. civ., deducono che P.M. non aveva effettuato la intimazione o richiesta scritta di cui all'articolo 1219 cod. civ., ma si era limitato ad agire direttamente in giudizio nel giugno 2004, per cui essi non si erano mai venuti a trovare nella situazione di mora debendi e non sarebbe sorta a loro carico l’obbligazione avente ad oggetto il pagamento di interessi moratori a decorrere dalle date in cui erano stati accordati dalle due banche gli importi dei mutui richiesti. Né, proseguono i ricorrenti, sussisterebbe per essi la mora ex re, ai sensi dell'articolo 1219, 2 comma, numero 3 c.c., in quanto nella scrittura del 23 giugno 1987, con cui essi si erano obbligati a restituire il prestito appena fosse stato loro erogato il mutuo bancario richiesto per l'acquisto, non era configurato un termine, ma una condizione. Con il secondo motivo - denunciando l'omessa od insufficiente motivazione circa la esclusa sussistenza di un accordo delle parti che modificava la originaria stipulazione della scrittura 1987 quanto al termine di restituzione della somma mutuata nonché la violazione delle norme di cui agli articolo 1372 e 1427 e segg. c.c., e 112 c.p.c. - sostengono i ricorrenti che la restituzione della somma mutuata sarebbe avvenuta in attuazione del preciso accordo, che essi avevano successivamente concluso con il mutuante P. , in virtù del quale l'originaria decorrenza dell'obbligazione restitutoria sarebbe stata fatta decorrere dai diversi specifici termini di cui al patto aggiunto alla scrittura del giugno 1987, termini di adempimento che essi mutuatari avevano rispettato, sicché non potevano essere reclamati interessi di sorta. Nessun rilievo - secondo i ricorrenti - il giudice del merito avrebbe dovuto dare alla circostanza che all'accordo modificativo del 1989 il mutuante aveva dato il suo assenso sull'erroneo convincimento che il mutuo richiesto alle banche non era stato ancora concesso, perché, per far valere detto vizio di volontà del contratto, P.M. avrebbe dovuto agire per l'annullamento della pattuizione aggiunta con specifica domanda, che non era stata proposta. Con il terzo motivo, deducendo la violazione dell'articolo 1817 cc, i ricorrenti assumono che nessun termine era stato fissato per la restituzione, giacché l'espressione “appena erogato il mutuo”, contenuta nella scrittura del 1987, non stabiliva un termine, ma indicava la condizione al verificarsi della quale il mutuante avrebbe dovuto fare fissare dal giudice il tempus solvendi, con la conseguenza che soltanto dalla data così stabilita l’obbligazione dei mutuatari sarebbe divenuta esigibile. Con il quarto motivo, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli articolo 1175 e 1375 c.c., i ricorrenti censurano il comportamento tenuto nella vicenda dal P. come contrario ai principi di correttezza e buona fede. La doglianza di cui al quinto motivo riguarda il preteso vizio di motivazione circa l'avveramento dell'evento dedotto in condizione nella scrittura del giugno 1987 nonché la violazione degli articolo 1362 e segg. c.c., assumendosi che il giudice del merito avrebbe male interpretato la volontà dei contraenti e non avrebbe motivato adeguatamente il raffronto quantitativo tra il mutuo ottenuto dal P. e il mutuo bancario del 28 settembre 1987, ritenendo che la condizione contemplata nella scrittura del giugno 1987 si fosse realizzata il 28 settembre 1987. Con il sesto ed ultimo mezzo di doglianza si denuncia l'omessa od insufficiente motivazione circa le cadenze temporali della restituzione della somma mutuata, sostenendosi che il calcolo degli interessi non sarebbe stato effettuato correttamente. Preliminare è l'esame del secondo motivo dell'impugnazione per cassazione, con il quale i ricorrenti sostanzialmente sostengono che il rapporto tra esse parti del negozio di mutuo dovrebbe essere regolato non dalla originaria scrittura quella, cioè, che imponeva l'obbligo dei mutuatari di restituire il prestito senza interessi dal momento che fosse stato loro accordato il mutuo bancario richiesto , ma dalla successiva stipulazione del patto aggiunto, il quale conservava la sua validità dato che di esso il mutuante non aveva provocato pronuncia giudiziale di annullamento per vizio di volontà. La censura non può essere accolta. Non si può sostenere che il mutuante, il quale aveva agito per ottenere gli interessi in virtù di contratto di mutuo, per conseguire l'accoglimento della sua pretesa avesse anche l'onere di proporre apposita domanda di annullamento per vizio di consenso di un patto aggiunto successivo, che aveva previsto per i mutuatari un diverso e più favorevole termine per la restituzione del mutuo, termine così accordato dallo stesso mutuante a ciò indotto dal dolo omissivo dei mutuatari. Invero, l'annullabilità di un contratto o di una sua clausola, se non fatta valere attraverso la proposizione di apposita domanda giudiziale, ben può essere dedotta anche in via di eccezione, quando il convenuto tenda con le sue difese all'esclusivo fine della reiezione, totale o parziale, della domanda dell'attore, opponendo al diritto da questi azionato una situazione giuridica idonea a paralizzarlo. Questo giudice di legittimità ha già affermato ex plurimis Cass., numero 1556/1989 Cass., numero 11182/2002 che l'annullabilità di un contratto, ove fatta valere in via di azione, è sottoposta a precisi limiti temporali e tende all'eliminazione dell'atto che si assume viziato. Ma, quando ricorra l'esistenza di un vizio comportante l'annullamento del, contratto, anche ove la apposita azione non sia stata esperita, l'ordinamento articolo 1442, quarto comma cod. civ. consente a chi sia convenuto per l'esecuzione, di far valere detto vizio per pervenire non già all'annullamento dell'atto, ma all'unico fine di paralizzare la pretesa della controparte ali'adempimento. Specularmente, come la parte convenuta per l'adempimento ha la facoltà di sollevare eccezione di annullabilità, limitandosi a denunziare il vizio allo scopo di frustrare la pretesa dell'attore, allo stesso modo, ove la difesa del convenuto si fondi su un patto aggiunto, del quale l'attore intenda contestare la validità sotto il profilò dell'annullabilità, all'attore stesso deve essere consentito opporne, mediante eccezione, l'annullabilità per vizio del su consenso. La ratio della norma - che è quella di apprestare un rimedio affinché l'atto viziato, ancorché esistente, stante l'assenza di istanza di annullamento, non raggiunga pienamente il suo scopo - deve, invero, essere assicurata in un caso e nell'altro. Nella specie, a fronte delle difese dei mutuatari, che sostenevano doversi fare applicazione di quanto stabilito con la pattuizione suppletiva, l'attore ha proposto rituale e tempestiva sua eccezione di annullabilità della clausola modificativa dell'originaria convenzione e detta eccezione il giudice del merito ha ritenuto fondata sotto il profilo della sussistenza del dolo omissivo delle controparti, che, tacendo maliziosamente della già avvenuta concessione del mutuo bancario, avevano ottenuto in tal modo dal mutuante la dilazione del termine di restituzione, che P.M. altrimenti non avrebbe accordato se non fosse stato indotto in errore sulla predetta circostanza. Infondato è anche il terzo motivo, poiché, nella corretta interpretazione che ne ha dato giudice del merito, il contratto non aveva affatto stabilito che nulla dovessero in restituzione i mutuatari se non fosse stato loro accordato il mutuo bancario, ma aveva più semplicemente stabilito che gli interessi non erano dovuti per il tempo occorrente alla concessione del mutuo bancario. Le parti avevano con ciò inteso derogare, solo relativamente a detto periodo, alla disciplina di legge articolo 1815, primo comma, cod. civ. della spettanza degli interessi, onde la concessione del mutuo bancario, segnando il momento in cui era reso attuale l’obbligazione restitutoria, non poteva che essere qualificato come termine dal quale per legge sarebbero spettati anche i relativi interessi. La riconosciuta qualificazione di termine alla avvenuta concessione del mutuo bancario, rende infondato anche il primo motivo del ricorso, non sussistendo la dedotta violazione dell'articolo 1219, secondo comma, cod. civ., poiché la formale costituzione in mora del debitore non è necessaria quando il termine, anche non essenziale, di adempimento dell'obbligazione sia già scaduto e la prestazione debba essere eseguita al domicilio del creditore o in altro luogo riferibile alla sua sfera patrimoniale, in modo che l'iniziativa dell'adempimento spetti solo al debitore e non sia necessaria altra collaborazione del creditore che quella meramente passiva di ricevere la prestazione Cass., numero 6887/94 . Infondato è pure il quarto mezzo di doglianza, poiché il mutuante non ha violato i principi della correttezza e della buona fede, ma ha inteso realizzare una sua legittima pretesa, che invece i ricorrenti, in contrasto essi con i suddetti principi, avevano tentato di impedire. Né può essere accolto il quinto motivo del ricorso, relativo a preteso vizio di motivazione circa l'avvenuto avveramento di condizione apposta al contratto, poiché la diversa qualificazione di termine , correttamente assegnata a detto evento, assorbe l'esame della doglianza. Quanto al sesto ed ultimo motivo, infine, è inammissibile per genericità il profilo relativo al preteso errato calcolo degli interessi ed alla carente motivazione circa le cadenze temporali della restituzione della somma mutuata, poiché i ricorrenti non indicano a quali distinte decorrenze ed a quali diversi criteri di calcolo il giudice del merito si sarebbe dovuto conformare. Il ricorso, pertanto è rigettato ed i soccombenti ricorrenti sono condannati in solido alle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.