Nel contesto di una compravendita immobiliare, se il venditore non rilascia il certificato di agibilità, ma questo è richiedibile perché non vi sono anomalie sostanziali, allora egli dovrà risarcire solo il danno conseguente ai costi per il compratore di ottenere il certificato, e non anche una diminuzione nel valore dell’immobile.
Il caso A seguito di un contratto di compravendita immobiliare il compratore – una persona fisica – agiva in giudizio avverso la società venditrice, lamentando un inadempimento contrattuale consistente nella carenza del certificato di agibilità dell'immobile. La società convenuta non si costituiva in giudizio, e ne veniva dichiarata la contumacia. All'esito del processo il Tribunale accoglieva la ragione dell'attore, condannando la convenuta al risarcimento della somma di € 28.000,00 ossia la differenza di valore dell'immobile che, sprovvisto del certificato di agibilità, non aveva potuto essere venduto per circa un anno (tempo necessario all'attore per dotarsi del certificato stesso, con un ulteriore esborso di circa € 2.000,00). La venditrice, quindi, appellava la sentenza in questione, lamentando come avesse errato il Tribunale nel valutare la quantificazione del presunto danno dell'attore. A detta dell'appellante, infatti, l'immobile oggetto della lite aveva anzi subito una rivalutazione, venendo venduto circa un anno dopo l'acquisto per un prezzo superiore a quello per cui l'originario attore l'aveva comprato. La Corte d'Appello, all'esito del processo, rigettava il gravame e – sostanzialmente – confermava l'esito del primo giudizio. In buona sostanza, secondo i giudici d'appello, era fatto pacifico che il certificato di agibilità fosse carente e che tale mancanza avesse per un periodo impedito al compratore di vendere a sua volta l'immobile. L'immobile non aveva potuto essere venduto finché il proprietario non si era attivato personalmente, spendendo ulteriori € 2.000,00 per dotare l'immobile della dovuta certificazione e perdendo, nelle more, alcune potenziali vendite. Conseguenza di tale situazione era che l'inadempimento della società venditrice era provato e dimostrato, e poteva constare nel risarcimento quantificato nella condanna del giudice di primo grado. Se la mancanza del certificato è solo una formalità, allora l'immobile non perde valore A seguito della duplice soccombenza nei gradi di merito, la società venditrice agiva in sede di Cassazione. Il ricorso della società era, invero, fondato su tre motivi di diritto. In primo luogo, la società affermava come la mancata costituzione nel giudizio di prime cure fosse dovuta ad una irregolarità della notificazione dell'atto di citazione. Secondo la ricorrente, infatti, il postino, non avendo reperito il destinatario, aveva lasciato l'avviso di notificazione, ma aveva omesso di compilare completamente la cartolina, limitandosi a indicare l'assenza del destinatario, senza però fornire alcuna indicazione sul «motivo che aveva determinato la temporanea assenza del destinatario». Come secondo motivo, invece, la società venditrice affermava che la sentenza d'appello fosse errata per aver violato gli articoli 1223 e 1477, comma 3, c.c. La prima norma afferma che «il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta” mentre la seconda, in tema di vendita, specifica che costituisce obbligo per il venditore “consegnare i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all'uso della cosa venduta». Secondo la ricorrente, quindi, l'assenza del certificato poteva anche aver cagionato un danno al compratore, ma questo non aveva alterato o diminuito il valore dell'immobile. L'unico danno ascrivibile alla ricorrente, quindi, non sarebbero stati gli € 28.000,00 relativi ad una presunta differenza di valore dell'immobile, ma solo gli € 2.000,00 resisi necessari per dotare l'abitazione dell'agibilità. Da ultimo, con il terzo motivo, la società affermava che, anche se carente del certificato di agibilità, l'immobile avesse comunque tutte le caratteristiche presentate dal venditore e che quindi il compratore non avesse – in ultimo – subito alcun danno. La Cassazione accoglie il ricorso sopra tratteggiato. Il primo motivo, invero, veniva rigettato in quanto infondato. Secondo la Corte, infatti, ai fini della validità della notifica di un atto giudiziario è sufficiente la produzione in giudizio dell'avviso di ricevimento contenente la comunicazione di avvenuto deposito (si veda articolo 8 legge n. 890/1982). Il messo notificatore, quindi, non ha alcun onere di indicare le ragioni dell'assenza, essendo sufficiente la certificazione dell'avviso di ricevimento in merito alla temporanea mancanza delle persone adibite a ricevere il pigo notificato. Maggiore fortuna, invece, aveva il secondo motivo di ricorso. Secondo la Corte, infatti, la Corte d'Appello avrebbe errato nel proprio ragionamento. Anche postulando l'esistenza dell'inadempimento della parte venditrice, infatti, i giudici di merito avevano erroneamente riconosciuto la sussistenza di un danno di € 28.000,00 in capo all'acquirente. Tale danno, tuttavia, non pareva sussistere in quanto l'immobile aveva tutte le caratteristiche promesse, gli impianti e le strutture e la certificazione di agibilità poteva essere considerata come una mera formalità. Conseguentemente, l'unico danno del compratore era stata la somma di € 2.000,00 che aveva dovuto indebitamente versare, questa sì, dato che ai sensi del citato articolo 1477 comma III c.c. il certificato di agibilità avrebbe dovuto essere consegnato dal venditore. Il ragionamento della Corte d'Appello era carente laddove accomunava il danno derivante dall'impossibilità di ottenere la certificazione di agibilità a causa di vizi dell'immobile, circostanza che avrebbe menomato il valore dello stesso, dalla mera assenza formale di un certificato facilmente ottenibile, dato il buono stato del bene alienato. Data la portata del secondo motivo, il terzo, che era affine, veniva dichiarato assorbito. L'ordinanza in commento, quindi, Cassava e annullava la decisione della Corte d'Appello e rinviava il giudizio ad altra sezione della Corte di merito, con l'indicazione di utilizzare ai fini della decisione il seguente principio di diritto: «in tema di vendita immobiliare, qualora il difetto del rilascio del certificato di agibilità sia riconducibile ad una carenza meramente formale, ossia alla mancata attivazione della pratica amministrativa diretta ad ottenere il rilascio, e non già a carenze di natura sostanziale, strutturali e funzionali (sanabili o insanabili) – ossia alla mancanza dei requisiti igienico – sanitari e di sicurezza o inerenti al risparmio energetico, l'inadempimento imputabile al venditore, ai sensi dell'articolo 1477 c.c., comma 3, c.c., consistente nell'omissione dell'obbligo di rilasciare il relativo documento, non incide sulla commerciabilità della res (in senso proprio), bensì sulla sola necessità di doverne curare la pratica, con l'esborso dei relativi oneri».
Presidente Bertuzzi – Relatore Trapuzzano Fatti di causa 1.– Con atto di citazione notificato il 30 giugno 2011, M.G. conveniva, davanti al Tribunale di Roma, la (OMISSIS) S.r.l., chiedendo che, in ordine al contratto di vendita immobiliare concluso tra le parti con atto pubblico del 23 luglio 2003, fosse accertata l'inadempienza della convenuta venditrice all'obbligo di consegna del certificato di abitabilità e/o agibilità, con la condanna della società al risarcimento del danno per la ridotta commerciabilità del bene, danno prudentemente quantificato in euro 50.000,00 o in quella misura maggiore o minore risultata dall'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio. Alla prima udienza del 3 maggio 2012, verificata la regolarità della notifica dell'atto introduttivo del giudizio, era dichiarata la contumacia della (OMISSIS) S.r.l. Nel corso del giudizio era ammessa consulenza tecnica d'ufficio. Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 16983/2016, depositata il 15 settembre 2016, dichiarava l'inadempimento della società convenuta e, per l'effetto, condannava la (OMISSIS) S.r.l. al pagamento, in favore di M.G., a titolo risarcitorio, della somma di euro 28.000,00, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo. 2.– Con atto di citazione notificato il 16 marzo 2017, la (OMISSIS) S.r.l. proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure e, all'uopo, lamentava: 1) l'erroneità della consulenza tecnica d'ufficio espletata in primo grado, per difetto di alcuna considerazione delle modificazioni in fatto apportate dall'acquirente, che avrebbero comunque richiesto il rilascio di un ulteriore certificato di agibilità, nonché dell'esistenza di una richiesta di agibilità presentata da tutti i proprietari dello stabile, ad eccezione del M.G.; 2) l'errata quantificazione del danno per la sopravvalutazione del posto auto e per l'inesistenza di alcuna svalutazione delle porzioni immobiliari acquistate, che avevano invece ottenuto una rivalutazione, tanto da consentire all'acquirente di ottenere una plusvalenza sul prezzo in sede di rivendita del bene, con la conseguente limitazione del danno ai soli costi sostenuti dal M.G. per ottenere il certificato, pari ad euro 2.000,00. Adduceva, inoltre, che era rimasta contumace nel giudizio di primo grado a causa della mancata conoscenza dell'atto introduttivo, che non era stato ritirato per presumibile smarrimento della cartolina di avviso di ricevimento, con la conseguente impossibilità della difesa. Si costituiva in giudizio M.G., il quale instava per la dichiarazione di inammissibilità dell'appello ovvero per il suo rigetto, con la conferma della sentenza impugnata. Decidendo sul gravame interposto, la Corte d'appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l'appello e, per l'effetto, confermava integralmente la pronuncia impugnata. A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che la (OMISSIS) era rimasta contumace nel giudizio di primo grado, senza allegare, in sede di gravame, l'imputabilità di tale mancata difesa a fattori estranei alla stessa, con l'effetto che, essendo certa la ritualità della notifica, non vi erano elementi per consentire all'appellante una rimessione in termini, sicché i fatti nuovi dedotti e i documenti nuovi prodotti erano inammissibili; b) che era pacifica tra le parti la mancata consegna del certificato di abitabilità al momento della vendita; c) che, ai sensi dell'articolo 1477 c.c., l'obbligo di consegna di tale certificato, al momento della vendita immobiliare, ricadeva sul venditore, attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incidente sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa all'uso contrattualmente previsto; d) che l'inadempimento di tale obbligazione aveva provocato un danno emergente, avendo costretto l'acquirente a provvedere in proprio, oltre che a ritenere l'immobile per un valore di scambio inferiore a quello previsto al momento della sottoscrizione del contratto; e) che era del tutto irrilevante che il bene fosse stato rivenduto, così come ininfluente era l'eventuale prospettata esistenza di ulteriori interventi effettuati dal M.G., posto che quest'ultimo si era dovuto comunque onerare di tutta l'attività necessaria ad ottenere il certificato di abitabilità in origine mancante, sicché non era venuto meno l'inadempimento del venditore, né il nesso causale tra la condotta e il danno accertato; f) che, in ordine al quantum di tale danno, individuato dal Tribunale nel minor valore dell'immobile, la sentenza impugnata conteneva l'implicito riferimento al mancato guadagno del M.G., in ragione della mancata vendita prima del 2011, non potendosi limitare l'integrazione del danno alla sola spesa viva sostenuta, dovendo peraltro considerarsi l'immobile nella sua completezza, ivi comprese le pertinenze. 3.– Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la (OMISSIS) S.r.l. Ha resistito, con controricorso, l'intimato M.G.. 4.– Il controricorrente ha depositato memoria illustrativa. Ragioni della decisione 1.– Preliminarmente l'eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente è destituita di fondamento. E ciò perché, nel rispetto della previsione di cui all'articolo 369, primo comma, c.p.c., a fronte della notifica del ricorso di legittimità a mezzo PEC il 3 luglio 2020, il deposito è avvenuto il 20 luglio 2020, ossia nel termine di 20 giorni dalla notifica. 1.1.– Ancora, la ricorrente ha richiesto che il giudizio di legittimità sia sospeso ex articolo 295 c.p.c. in attesa che sia definito il giudizio di querela di falso in via principale proposto dalla stessa ricorrente avverso gli atti del procedimento notificatorio relativo alla citazione introduttiva del giudizio di primo grado (e, in particolare, in ordine alla falsità delle attestazioni riportate negli avvisi di ricevimento, in ordine al falso riscontro dell'assenza del destinatario, in merito alla circostanza che sia mai stato immesso realmente in cassetta l'avviso di deposito dell'atto presso l'ufficio postale e che sia stata inviata la successiva raccomandata con cui si comunicava l'avvenuto deposito). 1.2.– La richiesta è inammissibile. E ciò perché tale istanza, senza censurare specificamente un error in procedendo o in iudicando della sentenza impugnata, si limita a richiedere la sospensione del giudizio ai sensi dell'articolo 295 c.p.c., in attesa della definizione della querela di falso proposta in via principale, dopo la sentenza di appello, con riguardo al citato procedimento notificatorio; l'eventuale falsità di tali atti, ove sia definitivamente accertata nella sede competente, può essere fatta valere soltanto come motivo di revocazione, con una compiuta valutazione dell'incidenza della notifica eventualmente dichiarata falsa sul merito della controversia (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 5058 del 17/02/2023; Sez. 5, Ordinanza n. 24846 del 06/11/2020). A fortiori si rileva che l'istanza di sospensione del giudizio, in attesa della definizione di altra controversia, è inammissibile se proposta per la prima volta in cassazione, in quanto il provvedimento richiesto esula dalla funzione istituzionale della Corte Suprema, cui è demandato soltanto il sindacato di legittimità delle anteriori decisioni di merito (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 35496 del 19/11/2021; Sez. U, Sentenza n. 29172 del 21/12/2020; Sez. 3, Sentenza n. 13001 del 31/05/2006; Sez. 2, Sentenza n. 8193 del 18/06/2001; Sez. 1, Sentenza n. 6265 del 22/06/1990). 2.– Tanto premesso, con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza di primo grado per nullità della notifica della citazione introduttiva del giudizio, con la conseguente nullità della sentenza di secondo grado, con error in procedendo, per violazione e falsa applicazione degli articolo 101,153,160,294,345 e 354 c.p.c. nonché degli articolo 7 e 8 della legge n. 890/1982, del principio del contraddittorio, della rilevabilità d'ufficio del vizio e della mancata rimessione in termini, per avere la Corte di merito ritenuto regolarmente eseguita la notifica dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, omettendo, per l'effetto, di rimettere in termini la (OMISSIS) e giudicando i motivi di gravame inammissibili in quanto nuovi. Obietta l'istante che alla citazione introduttiva del giudizio davanti al Tribunale sarebbero stati allegati due avvisi postali di ricevimento, quello n. (OMISSIS), relativo alla spedizione, recante cronologico n. 188 e data di compiuta giacenza al 17 ottobre 2011, e quello relativo alla comunicazione di avvenuto deposito cronologico n. 188, in ordine all'atto giudiziario spedito con raccomandata n. (OMISSIS) del 30 settembre 2011, con cui l'agente postale comunicava l'immissione in cassetta del relativo avviso, recante timbro postale in data 5 ottobre 2011. Aggiunge la ricorrente che l'avviso di ricevimento n. (OMISSIS) – con il quale l'agente postale avrebbe attestato la “temporanea assenza del destinatario” – sarebbe risultato privo, negli appositi spazi in dotazione alla modulistica postale, dell'indicazione del motivo che aveva determinato la “temporanea assenza” del destinatario, tale da legittimare l'asserito successivo deposito dell'atto presso l'ufficio postale, l'invio della relativa raccomandata contenente la comunicazione di deposito e il conseguente decorso del termine ai fini della compiuta giacenza. 2.1.– Il motivo è infondato. E ciò perché, in tema di notifica di un atto processuale tramite servizio postale, qualora l'atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante – in base ad un'interpretazione costituzionalmente orientata (articolo 24 e 111, secondo comma, Cost.) dell'articolo 8 della legge n. 890/1982 – attraverso la produzione in giudizio dell'avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (c.d. C.A.D.), elemento di cui ha dato atto la stessa ricorrente (Cass. Sez. U, Sentenza n. 10012 del 15/04/2021; Sez. 3, Sentenza n. 26287 del 17/10/2019; nello stesso senso Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 26593 del 11/10/2024; Sez. 5, Ordinanza n. 36562 del 25/11/2021; Sez. 3, Ordinanza interlocutoria n. 34346 del 15/11/2021). Nessun onere di indicare le ragioni della temporanea assenza ricadeva sull'agente postale incaricato della notifica, essendo sufficiente la certificazione sull'avviso di ricevimento della temporanea assenza delle persone abilitate a ricevere il piego (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 1210 del 17/01/2022; Sez. 3, Sentenza n. 10998 del 19/05/2011; Sez. 3, Sentenza n. 25031 del 10/10/2008; Sez. 2, Sentenza n. 7815 del 04/04/2006). Per l'effetto, eseguita a mezzo posta la notifica della citazione introduttiva del giudizio di primo grado, senza l'intermediazione dell'ufficiale giudiziario, in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario, la notificazione doveva intendersi eseguita decorsi dieci giorni dalla data del rilascio dell'avviso di giacenza e di deposito presso l'Ufficio postale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 10131 del 28/05/2020). 3.– Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1223 e 1477 c.c. nonché dell'articolo 25 del d.P.R. n. 380/2001, con il limite della compensatio lucri cum damno, per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente, nei confronti di M.G., il danno patrimoniale, con riferimento all'asserita svalutazione del valore commerciale dell'immobile oggetto di controversia, per effetto dell'omessa consegna del certificato di agibilità in sede di acquisto del suddetto immobile, danno quantificato nell'importo di euro 28.000,00 sulla scorta del mero inadempimento nella consegna del certificato, omettendo ogni riferimento ad alcun altro fatto concorrente nella determinazione del nocumento. Osserva l'istante che, nella prospettazione della pronuncia impugnata, l'omessa consegna del certificato di agibilità avrebbe determinato tout court la svalutazione del valore dell'immobile oggetto di compravendita, non essendo stata effettuata alcuna delibazione in merito alla perdita economica effettiva derivante dalla mancata accettazione della proposta di acquisto dedotta nell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, non tenendo conto dell'effettuata rivendita del bene per il prezzo di euro 143.000,00. Sicché sarebbe stata omessa l'individuazione di alcun danno emergente solo apparente o al massimo meramente potenziale, visto che, nel corso del giudizio di primo grado, il M.G. aveva ottenuto il certificato di agibilità e aveva provveduto alla successiva vendita per un prezzo di gran lunga superiore a quello concordato con la (OMISSIS) (da euro 80.000,00 il 23 luglio 2003 ad euro 143.000,00 il 5 marzo 2012), previo rilascio del certificato. Espone, dunque, la ricorrente che sarebbe stato indebitamente riconosciuto il risarcimento del danno da svalutazione immobiliare per euro 28.000,00, in luogo della minor somma derivante dagli esborsi dallo stesso anticipati per l'ottenimento del certificato di agibilità, pari ad euro 2.000,00, con la violazione del principio di compensatio lucri cum damno, essendo stato accordato un vantaggio economico ingiusto, in quanto dallo stesso mai patito, atteso che il presupposto fattuale del risarcimento è stato individuato dallo stesso M.G. proprio nell'omessa consegna di tale certificato. E ciò senza che fosse stato effettuato il doveroso distinguo tra la fattispecie di danno derivante dall'impossibilità ontologica di ottenere la certificazione di agibilità, per carenza dei presupposti strutturali o edilizi del fabbricato, rispetto all'ipotesi, relativa al caso di specie, di ottenimento del certificato di agibilità postumo al suo acquisto, a fronte di un immobile che presentava tutte le caratteristiche strutturali, tecniche e di regolarità edilizia richieste per il suo rilascio. 3.1.– Il motivo è fondato. E ciò perché, qualora il difetto del rilascio del certificato di agibilità sia riconducibile ad una carenza meramente formale, ossia alla mancata attivazione della pratica amministrativa diretta ad ottenerne il rilascio, e non già a carenze di natura sostanziale, strutturali e funzionali (sanabili o insanabili) – ossia alla mancanza dei requisiti igienico-sanitari e di sicurezza o inerenti al risparmio energetico –, l'inadempimento imputabile al venditore, ai sensi dell'articolo 1477, terzo comma, c.c. – consistente nell'omissione dell'obbligo di rilasciare il relativo documento –, non incide sulla commerciabilità della res (in senso proprio), bensì sulla sola necessità di doverne curare la pratica, con l'esborso dei relativi oneri. Sicché il cespite ha un'oggettiva attitudine a soddisfare le aspettative dell'acquirente, ma difetta l'espletamento della pratica amministrativa atta al conseguimento del documento relativo all'agibilità, allo scopo di consentire al medesimo acquirente di rendere “commerciabile” il cespite acquistato (recte maggiormente appetibile sul mercato). Siffatta deficienza attiene ad un aspetto meramente formale e non influisce, per definizione, sulla funzione economico-sociale della res alienata, la cui identità, sul piano statico e dinamico, corrisponde esattamente all'oggetto della pattuizione. Tanto chiarito, ai sensi dell'articolo 1477, ultimo comma, c.c., il venditore deve consegnare i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all'uso della cosa venduta, obbligo ex lege tra cui rientra anche quello relativo alla consegna del certificato di agibilità (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9226 del 20/05/2020; Sez. 6-2, Ordinanza n. 12226 del 18/05/2018; Sez. 2, Sentenza n. 2438 del 08/02/2016; Sez. 2, Sentenza n. 5778 del 12/03/2014; Sez. 2, Sentenza n. 23157 del 11/10/2013; Sez. 2, Sentenza n. 12260 del 17/07/2012; Sez. 2, Sentenza n. 14899 del 06/07/2011; Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009; Sez. 2, Sentenza n. 13225 del 22/05/2008; Sez. 2, Sentenza n. 4513 del 28/03/2001; Sez. 2, Sentenza n. 1363 del 18/02/1999). Tuttavia, in tema di vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancanza del certificato di abitabilità configura alternativamente l'ipotesi di vendita di aliud pro alio, qualora le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili, l'ipotesi del vizio contrattuale, sub specie di mancanza di qualità essenziali, qualora le difformità riscontrate siano sanabili, ovvero l'ipotesi dell'inadempimento non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore ma non di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la mancanza della certificazione sia ascrivibile a semplice ritardo nella conclusione della relativa pratica amministrativa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23605 del 02/08/2023; Sez. 2, Sentenza n. 23604 del 02/08/2023). Verifica che, rispetto ad un difetto meramente formale, è evidentemente propedeutica ad un esito negativo (ossia all'esclusione del grave inadempimento), salvo che il venditore o il promittente alienante abbia espressamente garantito il rilascio della certificazione di agibilità, assicurando la piena regolarità della struttura e la consegna della relativa documentazione. E ciò appunto tenuto conto, in chiave comparativa, dell'interesse oggettivo del creditore all'adempimento della prestazione attraverso l'accertamento che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, nonché di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell'altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l'intensità. E ciò sebbene tale mancanza importi comunque un inadempimento per inesattezza giuridica della prestazione, benché in concreto esso sia di scarsa importanza. Pertanto, a fronte di detta carenza documentale, può essere proposta domanda di esatto adempimento, sempreché l'acquirente non ne fosse a conoscenza e, di conseguenza, non l'abbia espressamente accettata (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1897 del 23/01/2023; Sez. 2, Sentenza n. 17123 del 13/08/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 20426 del 02/08/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 30950 del 27/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 25427 del 12/11/2013; Sez. 2, Sentenza n. 259 del 08/01/2013; Sez. 2, Sentenza n. 16024 del 14/11/2002; Sez. 2, Sentenza n. 3687 del 29/03/1995; Sez. 2, Sentenza n. 10616 del 05/11/1990; Sez. 2, Sentenza n. 8450 del 20/08/1990; Sez. 2, Sentenza n. 1991 del 25/02/1987; Sez. 2, Sentenza n. 6403 del 06/12/1984; Sez. 2, Sentenza n. 201 del 17/01/1978; Sez. 1, Sentenza n. 2050 del 22/06/1972; Sez. 3, Sentenza n. 581 del 06/03/1970). In simile evenienza sussisteranno altresì gli estremi per ottenere il risarcimento dei danni, conseguenti al mancato rilascio, purché l'an, il quomodo e il quantum di detto nocumento siano dimostrati. Nella fattispecie, la sentenza impugnata non si è adeguata a tali precetti, posto che, recependo acriticamente le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio espletata nel giudizio di primo grado, a fronte della vendita avvenuta tra le parti con atto pubblico del 23 luglio 2003, rep. n. (OMISSIS), racc. n. (OMISSIS), in ordine all'appartamento sito in (OMISSIS), via (OMISSIS), inserito nel N.C.E.U. al foglio n. (OMISSIS), particella n. (OMISSIS), subalterno n. (OMISSIS), categoria A/4, consistenza vani 2,5, rendita catastale euro 161,39, ha quantificato l'importo dovuto del risarcimento dei danni nella misura di euro 28.000,00, pari al 20% del valore commerciale dell'immobile ricavato dalla successiva vendita effettuata dall'acquirente in favore di terzi, per l'importo di euro 143.020,94, come da atto pubblico del 5 marzo 2012, rep. n. (OMISSIS), racc. n. (OMISSIS), all'esito dell'avvenuto rilascio del certificato di agibilità in data 14 febbraio 2012, atto n. 2755/2012, con oneri sostenuti pari ad euro 2.000,00, senza dare contezza delle ragioni di detta quantificazione, se non evocando genericamente un minor valore dell'immobile. 4.– Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l'omesso esame circa un punto decisivo della controversia e segnatamente con riferimento all'omesso esame della circostanza dell'avvenuto rilascio del certificato di agibilità in favore del M.G. e della sussistenza oggettiva delle caratteristiche del fabbricato necessarie ad ottenere il rilascio di detto certificato. Deduce l'istante che l'avvenuto rilascio del certificato avrebbe epurato ogni effetto compromissivo del danno lamentato. 4.1.– Il motivo è assorbito dall'accoglimento della seconda censura. 5.– In definitiva, il secondo motivo del ricorso deve essere accolto, il primo motivo deve essere respinto mentre il rimanente motivo è assorbito. La sentenza impugnata va, dunque, cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi al seguente principio di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. “In tema di vendita immobiliare, qualora il difetto del rilascio del certificato di agibilità sia riconducibile ad una carenza meramente formale, ossia alla mancata attivazione della pratica amministrativa diretta ad ottenerne il rilascio, e non già a carenze di natura sostanziale, strutturali e funzionali (sanabili o insanabili) – ossia alla mancanza dei requisiti igienico-sanitari e di sicurezza o inerenti al risparmio energetico –, l'inadempimento imputabile al venditore, ai sensi dell'articolo 1477, terzo comma, c.c. – consistente nell'omissione dell'obbligo di rilasciare il relativo documento –, non incide sulla commerciabilità della res (in senso proprio), bensì sulla sola necessità di doverne curare la pratica, con l'esborso dei relativi oneri”. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo motivo, dichiara assorbito il restante motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.