Il lavoratore può insinuarsi al passivo del fallimento per il TFR maturato, anche per le quote non versate al Fondo Tesoreria. Lo ha stabilito la Cassazione, la quale ha analizzato la legittimità del credito in relazione al periodo ante e post 2007, affrontando la questione della prova dell'importo dovuto e della legittimazione del lavoratore ad insinuarsi al passivo in caso di omesso versamento del TFR. Ribadita la natura retributiva del TFR e la legittimazione del lavoratore ex articolo 2120 c.c., anche in caso di omissione contributiva del datore.
Un lavoratore dipendente aveva chiesto l'ammissione al passivo del fallimento della società datrice di lavoro del TFR maturato dopo il 1° gennaio 2007, che sarebbe dovuto confluire nel Fondo di Tesoreria INPS ex articolo 1, commi 755-756, l.n. 296/2006, stante la dimensione dell'azienda (più di 50 dipendenti). La domanda era stata parzialmente rigettata, in quanto il curatore non aveva trasmesso all'INPS il modello SR52, necessario per l'intervento del Fondo di Garanzia. Il Tribunale di Reggio Calabria ha accolto parzialmente l'opposizione allo stato passivo proposta dal ricorrente, ammettendolo allo stato passivo del fallimento della Società datrice di lavoro, per un importo di €1.255,39 già riconosciuto dal curatore, ma ha respinto la domanda di ammissione al passivo per il TFR relativo al periodo di lavoro con la cedente, in quanto non è stata fornita prova sufficiente del quantum, nonostante il CUD dimostrasse un importo di €15.558,14 relativo al TFR, maturato dal lavoratore a partire dal 2001. Il Tribunale ha ritenuto che il rapporto di lavoro fosse continuato con la cessione del ramo d'azienda, e che il credito fosse esigibile e azionabile. In relazione al TFR maturato prima del 2007, il Tribunale ha escluso la legittimazione del lavoratore all'insinuazione al passivo, applicando la normativa precedente (articolo 2 l.numero 297/1982), mentre per il periodo successivo ha evidenziato l'incertezza riguardo al versamento all'INPS e ha rigettato la richiesta di ammissione al passivo. Il ricorrente ha impugnato il decreto del Tribunale di Reggio Calabria, proponendo ricorso per Cassazione con due motivi. Il ricorrente ha sostenuto che la somma di TFR maturata, come risultante dal CUD, fosse dovuta e che la prova della maturazione del credito fosse stata adeguatamente documentata. Inoltre, ha contestato la decisione che negava l'ammissione al passivo per il periodo antecedente al 2007, ritenendo che le somme non versate dovessero comunque essere riconosciute, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità. Il ricorso in Cassazione è stato articolato in due motivi: violazione degli articolo 105 L.fall., 47 l.n. 428/1990, 2112 c.c. per non aver il Tribunale riconosciuto la titolarità del credito TFR alla luce della cessione di ramo d'azienda; violazione degli articolo 2120 c.c., 2 l.n. 297/1982, commi 755-756 l.n. 296/2006, e dell'onere probatorio, poiché il Tribunale aveva escluso l'ammissione al passivo per mancata prova della distinzione tra quote ante e post 1.1.2007. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la decisione impugnata e decidendo nel merito l'ammissione del credito. Le ragioni della decisione 1. Violazione e falsa applicazione degli articoli 105 della legge fallimentare, 47 l.n. 428/1990, e 2112 c.c.: con il primo motivo di ricorso, si contesta la violazione degli articolo 105 della L. fall., 47 l.n. 428/1990 e 2112 c.c., sostenendo che il tribunale abbia erroneamente escluso il diritto del lavoratore all'ammissione del TFR al passivo fallimentare. Il ricorrente fa riferimento alla procedura di concordato preventivo avviata dalla società datrice di lavoro nel 2017, con un piano liquidatorio, e alla regolare attivazione della consultazione sindacale prevista dalla legge. Il trasferimento dell'azienda è avvenuto nel rispetto delle disposizioni di legge, escludendo la responsabilità dell'acquirente per i debiti preesistenti, tra cui il TFR maturato prima della cessione. Il lavoratore, assunto dalla cessionaria a partire dal 1° febbraio 2019, ha ricevuto il TFR solo per il periodo successivo a tale data, mentre il tribunale ha escluso l'ammissione al passivo, considerando la cessazione del rapporto di lavoro e l'insolvenza della cessionaria. 2. Violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 c.c., 115 c.p.c., 2120 c.c., l.n. 297/1982, e l.n. 296/2006: con il secondo motivo di ricorso si contesta l'esclusione dal passivo fallimentare del TFR maturato dal lavoratore, lamentando la violazione di diverse norme (articolo 2697 c.c., 115 c.p.c., 2120 c.c., l.n. 297/1982 e l.numero 296/2006). Il Tribunale aveva distinto il TFR ante e post 1° gennaio 2007: il primo da coprirsi col Fondo di Garanzia, il secondo da versarsi al Fondo di Tesoreria. Purtuttavia, non avendo quantificato il TFR post 2007, il tribunale ha escluso tale parte dal passivo, decisione ritenuta errata dal ricorrente. 3. Problemi di Ammissibilità del TFR al Passivo Fallimentare: il tribunale ha escluso l'ammissione al passivo del TFR maturato dal lavoratore, nonostante fosse documentato l'intero importo (€ 15.558,14) e la cessazione del rapporto nel 2022 ne avesse reso esigibile il pagamento. Ha ritenuto che: 1) per il TFR ante 31 dicembre 2006 fosse competente il Fondo di Garanzia INPS; 2) per il TFR post 1° gennaio 2007, fosse responsabile il datore di lavoro (anche in fallimento) se non aveva versato al Fondo di Tesoreria (Cass.numero 12009/2018). Ciononostante, ha negato il credito per mancanza di prova dell'importo post 2007, nonostante fosse noto l'importo totale, incorrendo così in errore. 4. Errori giuridici nella gestione del TFR al passivo fallimentare: il decreto impugnato contiene errori nell'escludere il TFR dal passivo fallimentare, ignorandone la natura retributiva (articolo 2120 c.c.; Cass.numero 6333/2019). Il TFR matura a prescindere dalla causa di cessazione del rapporto e, in caso di morte, spetta ai superstiti (articolo 2122 c.c.). Anche nel pubblico impiego le indennità di fine rapporto sono assimilate al TFR (Cass.numero 25621/2024). La prescrizione è di 5 anni, salvo interruzione con l'insinuazione al passivo; per il Fondo di Garanzia vale il termine decennale (Cass.numero 10824/2015). La previdenza complementare (l.numero 252/2005) non priva il lavoratore del diritto al TFR in caso di omessi versamenti, mantenendo la legittimazione attiva (Cass.numero 18477/2023). 5. Le norme di garanzia per il pagamento del TFR: sicurezza e tutela del lavoratore: poiché il TFR è erogato alla cessazione del rapporto, è soggetto al rischio d'insolvenza del datore. Per proteggere il lavoratore, la legge prevede tutele specifiche: la responsabilità solidale negli appalti (pubblici e privati), il Fondo di Garanzia INPS (l.numero 297/1982) e l'obbligo di versamento al Fondo di Tesoreria per le imprese con oltre 50 dipendenti (l.n. 296/2006). La denuncia Uniemens consente all'INPS di controllare i versamenti, garantendo il pagamento del TFR anche in caso di inadempienza. 6. Il diritto di insinuazione al passivo per il TFR: cessione d'azienda e periodo ante 2007: in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro del ricorrente per dimissioni nel 2022, non vi è alcun dubbio sul suo diritto di insinuarsi al fallimento per la quota di TFR relativa al periodo antecedente al 1° gennaio 2007. La normativa non obbliga il lavoratore a escutere anche il cessionario, rendendo quindi legittima la sua azione di recupero direttamente nei confronti del cedente per il TFR maturato fino a tale data. 7. Il diritto del lavoratore al TFR: Fondo di Garanzia e procedura concorsuale: il diritto del lavoratore al TFR maturato fino al 31 dicembre 2006 si perfeziona con il rispetto dei requisiti previsti dalla l.numero 297/1982: insolvenza del datore, titolo giudiziale ed esecuzione infruttuosa. Contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, il datore (e quindi il fallimento) resta passivamente legittimato, e il lavoratore è attivamente legittimato a insinuare il credito al passivo, passaggio necessario per accedere al Fondo di Garanzia INPS, cui si può ricorrere entro dieci anni dalla dichiarazione dello stato passivo. 8. Il TFR dal 2007, riaffermazione della natura retributiva: a partire dal 1° gennaio 2007, la Corte di Cassazione ha riaffermato la natura retributiva del Trattamento di Fine Rapporto (TFR), anche alla luce delle modifiche normative, come evidenziato in recenti sentenze (Cass.numero16928/2024 e Cass.numero 22131/2022). Nonostante la riforma del TFR, in particolare con l'introduzione del versamento degli accantonamenti presso il Fondo di Tesoreria INPS per le aziende con almeno 50 dipendenti (articolo 1, commi 755-757 l.n. 296/2006), il TFR continua a essere considerato un credito del lavoratore, la cui esigibilità dipende dalla cessazione del rapporto di lavoro. 9. Le quote accantonate del TFR: natura e esigibilità: le quote accantonate del TFR, sia che rimangano presso l'azienda, siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l'INPS (ai sensi dell'articolo 1, commi 755-757 l.n. 296/2006) o siano conferite in un fondo di previdenza complementare, sono caratterizzate da una potenzialità satisfattiva futura. Esse rappresentano un diritto certo e liquido del lavoratore, la cui esigibilità si concretizza solo con la cessazione del rapporto di lavoro. 10. Legittimazione del lavoratore per l'ammissione al passivo del TFR non versato: il lavoratore ha il diritto di chiedere l'ammissione al passivo per le quote di TFR maturate e non versate dal datore di lavoro fallito al Fondo di Tesoreria gestito dall'INPS. Il datore di lavoro non è semplicemente un “adiectus solutionis causa” e non perde la titolarità passiva dell'obbligazione di corrispondere il TFR, anche in caso di fallimento, trasferendo tale obbligo esclusivamente all'INPS (Cass.numero 12009 del 16/05/2018). 11. Natura del TFR e normativa previdenziale: il richiamo dell'articolo 1, commi 755-757, l.numero 296/2006 alle norme sui “contributi” riguarda la procedura di riscossione del credito e rafforza le garanzie per il lavoratore in ambito previdenziale. Tuttavia, in caso di inadempimento, non modifica la natura sostanziale del TFR, che rimane retribuzione differita ex articolo 2120 c.c., né cambia il modo di calcolare le quote e la base imponibile, che continuano a essere disciplinate dall'articolo 2120 c.c.. 12. Conferma della natura retributiva del TFR per evitare effetti preclusivi: negare la natura retributiva del TFR disciplinato dalla l.n. 296/2006, attribuendogli esclusivamente valenza previdenziale, comporterebbe gravi conseguenze per il lavoratore in caso di mancato versamento delle quote. In tali ipotesi, il credito sarebbe soggetto alla prescrizione dei contributi (rilevabile d'ufficio), senza automatica copertura INPS ex articolo 2116 c.c., come chiarito dalla circolare INPSnumero 70/2007. Ciò priverebbe il lavoratore di ogni tutela nei confronti sia del datore insolvente sia di eventuali soggetti solidalmente obbligati. 13. INPS e privilegi in fallimento: l'INPS, che dovrebbe subentrare al posto del lavoratore in una procedura fallimentare, avrebbe un credito con minore privilegio, quindi sarebbe trattato meno favorevolmente rispetto al Fondo di Garanzia, che ha un privilegio maggiore secondo l'articolo 2751-bis c.c.. 14. Implicazioni costituzionali e normative del TFR non versato al Fondo di Tesoreria: la conclusione giuridica sul TFR ha rilievo costituzionale, poiché potrebbe compromettere le risorse dell'INPS per i crediti dei lavoratori. La limitazione del potere di interrompere la prescrizione al solo INPS rischia di far perdere il diritto al TFR ai lavoratori di imprese con oltre 50 dipendenti. L'azione di rendita vitalizia (articolo 13, l.n. 1338/1962) non si applica al TFR. Inoltre, la l.n. 296/2006 e la giurisprudenza (Cass.numero 25035/2023) sembrano escludere l'intervento del Fondo di Garanzia per il TFR confluito nel Fondo di Tesoreria, lasciando una zona grigia normativa per i lavoratori coinvolti. 15. Esclusività della natura retributiva del TFR: la Corte ha ribadito che l'omesso versamento delle quote di TFR sotto forma di contributi, non cambia la natura retributiva del TFR stesso. Il datore di lavoro e il committente sono comunque obbligati al pagamento del TFR secondo le disposizioni del codice civile (articolo 2120 c.c. e articolo 29, d.lgs. 276/2003), con la prescrizione che decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro. 16. Riaffermazione della natura retributiva del TFR: recenti sentenze della Corte di Cassazione in materia di omesso versamento delle quote di TFR (Cass.numero 16928/2024; Cass.n. 22131/2022), hanno confermato che l'intervento del Fondo, in caso di omesso versamento, non elimina la natura retributiva del TFR. Il datore di lavoro deve continuare a erogare il TFR, e il Fondo copre solo una parte di esso, con il resto a carico del datore. 17. Liquidazione del TFR da parte del Fondo di Tesoreria: l'articolo 1, comma 757, stabilisce che il Fondo di Tesoreria liquida il TFR per la quota versata al Fondo, mentre il datore di lavoro rimane obbligato per la parte rimanente. 18. Onere probatorio del lavoratore per il pagamento del TFR nei confronti del committente: il lavoratore che richiede il pagamento del TFR al committente deve provare l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato o del contratto d'appalto in caso di responsabilità solidale (articolo 29, d. lgs. 276/2003). Non è necessario dimostrare l'effettivo versamento delle quote TFR al Fondo di Tesoreria da parte del datore di lavoro (articolo 1, comma 756, l. 296/2006). Questo principio è stato affermato dalla Cass.numero 10354/2016 e confermato da successive pronunce, come lanumero 24510/2021. 19. Onere di prova del committente per il versamento dei contributi al Fondo di Tesoreria: il versamento dei contributi al Fondo di Tesoreria estingue la pretesa dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro-appaltatore e, di conseguenza, anche nei confronti del committente, che è obbligato solidalmente. Tuttavia, se il committente solleva l'eccezione di avvenuto versamento, ha l'onere di allegare e provare tale avvenuto pagamento. 20. Rilevanza della natura retributiva del TFR per la rivalutazione e gli interessi: non rileva quanto affermato dalla Cass.numero 25035/2023, che, nella diversa ipotesi in cui il TFR sia stato versato al Fondo di Tesoreria, ha escluso la natura retributiva del TFR ai fini della rivalutazione e degli interessi, in base all'articolo 16, comma 6, l.n. 412/92. 21. Legittimazione passiva del fallimento per omesso versamento del TFR: per l'ipotesi di omesso versamento delle quote di TFR all'INPS o di conguaglio senza versamento al lavoratore, la Corte ha ribadito, con l'ordinanza Cass.numero 16928/2024, che sussistono i presupposti per riconoscere la legittimazione passiva del fallimento (in questo caso, la Società datrice di lavoro), ammettendo il lavoratore nel passivo fallimentare, come già affermato nelle sentenze precedenti (Cass.numero 12009/2018, Cass.numero 24510/2021, Cass.numero 22131/2022). 22. Periodo di maturazione e ammissione al passivo: la Corte ha chiarito che, in caso di omesso versamento, non importa il periodo in cui il TFR è maturato; il credito del lavoratore è ammissibile al passivo del fallimento indipendentemente dal periodo di maturazione. 23. Titolarità del TFR in caso di omesso versamento: nel caso di omesso versamento del TFR al Fondo di previdenza, la Corte ha confermato che il lavoratore mantiene la titolarità del TFR e ha il diritto di insinuarsi al passivo fallimentare per recuperare il credito non versato (Cass.numero 18477/2023 enumero 16266/2023). 24. Decisione della Corte e ammissione al passivo: il ricorso è accolto con la cassazione del decreto impugnato. Decidendo nel merito senza ulteriori accertamenti in fatto, la Corte dispone l'ammissione dello stato passivo del fallimento della Società datrice di lavoro, in via privilegiata ai sensi dell'articolo 2751-bisnumero1 c.c., per un credito di € 15.558,14, oltre interessi, secondo gli articolo 53 e 54 della Legge Fallimentare, con regolazione delle spese processuali in base al regime di soccombenza. 25. Principi di diritto in materia di TFR e Fondo di Tesoreria: 1) Per il TFR maturato dopo il 1° gennaio 2007, le quote non versate al Fondo di Tesoreria da datori con almeno 50 dipendenti restano crediti retributivi. Il diritto del lavoratore è certo, liquido ed esigibile alla cessazione del rapporto, e il datore fallito resta obbligato, legittimando l'insinuazione al passivo; 2) il mancato versamento al Fondo di Tesoreria non muta la natura retributiva del TFR (ex articolo 2120 c.c.), nonostante i richiami ai “contributi”: ciò serve solo a rafforzare le garanzie previdenziali e facilitare la riscossione. Il principio giuridico affermato dalla Corte La Corte, esaminato il ricorso, ha accolto la domanda del lavoratore e ha deciso di cassare il decreto impugnato. In sostanza, la Corte ha ritenuto che, il credito vantato dal lavoratore per il TFR, dovesse essere ammesso al passivo del fallimento in via privilegiata, in quanto trattasi di un credito che gode di una speciale tutela secondo le disposizioni di legge in materia fallimentare. Nel merito, la Corte ha dunque disposto che la società datrice di lavoro, dovesse ammettere il credito del lavoratore per la somma di € 15.558,14 per il TFR, con l'aggiunta degli interessi previsti dagli articoli 53 e 54 della Legge Fallimentare, che disciplinano la determinazione degli interessi sui crediti ammessi al passivo fallimentare. La decisione sancisce così la tutela del diritto del lavoratore a vedersi riconosciuto il credito per il TFR, con il conseguente accoglimento di tutte le sue richieste.
Presidente Esposito - Relatore Riverso Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.