È valida la volontà testamentaria espressa a monosillabi?

Nel caso di testatore in condizioni di salute caratterizzate da un deficit motorio tale da non incidere sulle capacità mentali, né sulla possibilità di esprimere in maniera intellegibile la propria volontà, il fatto di esprimersi a monosillabi o con gesti espressivi del capo non va ad inficiare la validità del testamento.

Lo ha chiarito la Suprema Corte, confermando la decisione della Corte di Appello di Genova che aveva sottolineato che il testatore era apparso in possesso della facoltà mentali nel corso del giudizio di interdizione, conclusosi con pronuncia di inabilitazione, e all'esame diretto da parte del c.t.u. e dei medici curanti. I Giudici, chiamati a pronunciarsi, dopo aver ricordato che l'incapacità naturale del disponente che determina l'invalidità del testamento richiede che a causa dell'infermità, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, hanno evidenziato che la consulenza svolta nel suddetto giudizio di interdizione (conclusasi con l'inabilitazione del testatore) «era di conforto riguardo alla prevalenza del disturbo motorio su quello psichico, rivelando che il deficit psichico pur indotto dalla patologia non aveva invalidato la capacità del de cuius, non evincibile con certezza neppure dall'eventuale espletamento di test diagnostici, incapacità che potevano al più risultare come possibile, o forse probabile esito delle malattie di cui soffriva il paziente, ma che certamente, per il periodo di interesse, non era stata accertata in base ad un solo elemento concreto.» Pertanto,  «la circostanza che il de cuius si fosse espresso a monosillabi o con gesti espressivi del capo non inficiava, nello specifico, la validità del testamento, essendo tali modalità le uniche coerenti con le condizioni di salute di L.C., caratterizzate da un deficit motorio tale da non incidere sulle capacità, né sulla possibilità di esprimere in maniera intellegibile la propria volontà, non potendosi negare che il consenso così esternato fosse stato validamente manifestato, né potendosi contestare la genuinità e la pienezza dell'espressione di volontà che il giudice di merito ha riscontrato in concreto, con motivazione esente da vizi». Infine, sulla presunta violazione dell'articolo 603 c.c., per aver la sentenza di merito ritenuto valido il testamento alla cui redazione il notaio aveva provveduto senza il rispetto della duplice formalità richiesta (la dichiarazione del testatore e la successiva lettura dell'atto alla presenza da parte dei testimoni), la Cassazione ha ribadito quanto previsto dall'articolo 603 c.c. per la validità dell'atto in questione. In particolare, la norma – hanno chiarito i Giudici – richiede sì un'espressione della volontà del testatore alla presenza dei testimoni, la riproduzione per iscritto di tali volontà, la successiva lettura dell'atto alla presenza del testatore e dei testimoni, con menzione nella scheda dell'espletamento delle formalità di legge, ma non è preclusa la possibilità che, ricevute le ultime volontà del de cuius, si provveda alla redazione della scheda in assenza della parte e dei testimoni. Le due operazioni, infatti, possono svolgersi in momenti distinti: in tal caso, qualora la scheda sia predisposta dal notaio, condizione necessaria e sufficiente di validità del testamento è che, prima di dare lettura della scheda, il testatore manifesti la sua volontà in presenza dei testi.

Presidente Di Virgilio - Relatore Fortunato Fatti di causa  1. Con atto di citazione notificato il 6 ottobre 2003, i fratelli G., G. e T. L. hanno convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Massa - Sezione distaccata di Pontremoli – G. L. nonché C.Q.L.F. e P.L.F.E., che, con testamento pubblico del 6.4.2001 del Notaio V.M., erano stati istituiti rispettivamente erede universale e legatari di C.L., deceduto il (OMISSIS), chiedendo che fosse dichiarata l'invalidità delle disposizioni di ultima volontà per incapacità naturale o per inosservanza delle formalità di redazione del testamento pubblico. In corso di causa gli attori hanno proposto querela di falso, deducendo che il notaio aveva ricevuto le volontà del de cuius in assenza di testi ed aveva falsamente attestato che L.C. non era in grado di firmare l'atto. Il Tribunale ha respinto tutte le domande con sentenza integralmente confermata in appello. Ha evidenziato il giudice distrettuale che l'incapacità di L.C. era prevalentemente motoria e non incideva sulla capacità di intendere e di volere. Il testatore era apparso in possesso della facoltà mentali nel corso del giudizio di interdizione, conclusosi con pronuncia di inabilitazione, e all'esame diretto da parte del c.t.u. e dei medici curanti. Ha confermato la validità formale della scheda, osservando che il notaio, dopo aver predisposto l'atto, ne aveva letto il contenuto alla presenza di testimoni ed aveva ricevuto le dichiarazioni di approvazione e di conferma da parte del testatore. Avverso la sentenza B.M. ha proposto ricorso per cassazione articolato in otto motivi, cui ha resistito con controricorso L.R., erede di L.G.. Sono rimasti intimati L.S., P.S., L.P., L.P., L.M., G.B., L.P., B.F., F.L.Q.C. e F.E.L.P.. In prossimità dell'adunanza camerale L.R. ha depositato memoria illustrativa. Ragioni della decisione 1. Sono infondate le eccezioni di inammissibilità del ricorso. La sentenza di appello è stata depositata in data 30.9.2019 e il ricorso, notificato il 31.12.2020, è tempestivo, considerata la doppia sospensione dei termini processuali di trenta giorni e quella - dal 9 marzo all'11 maggio 2020 – prevista dagli articolo 83, D.L. 18/2020 e articolo 36, c. 1, D.L. 23/2020, applicandosi il termine di decadenza annuale ex articolo 327 c.p.c., poiché il giudizio è stato proposto in primo grado nel 2003. L'impugnazione è stata validamente notificata al difensore in appello di L.G., deceduto, stante l'ultrattività del mandato difensivo. 2. Il primo motivo di ricorso solleva la questione di legittimità costituzionale degli articolo 62-72 della L. 98/2013 di conversione con modifiche del D.L. 21 giugno 2013, numero 69, in relazione ai parametri costituzionali degli articolo 3,25, primo comma, 106, secondo comma, e 111 Cost., denunciando la nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice ex articolo 158 c.p.c., sull'assunto che l'assegnazione dei giudici onorari alle Corti di appello sia stata disposta con decreto legge carente dei presupposti di necessità ed urgenza. La norma violerebbe l'articolo 106 c.c. circa i limiti costituzionali per la nomina di giudice onorari, introducendo una disparità di trattamento rispetto a coloro che sono sottoposti al giudizio di un magistrato togato. Il motivo è infondato. Con pronuncia numero 41 del 2021 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi gli articoli da 62 a 72 del d.l. numero 69/2013, convertito dalla legge numero 98 del 9 agosto 2013, affermando che l'articolo 106 della Costituzione, secondo cui è possibile la nomina di magistrati onorari “per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli”, permette solo eccezionalmente e temporaneamente che, in via di supplenza, i giudici onorari possano svolgere funzioni collegiali. La Corte ha però ritenuto necessario lasciare al legislatore un sufficiente lasso di tempo per assicurare “la necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale”. È stato così indicato il termine del 31.10.2025 previsto dall'articolo 32, primo periodo, del d.lgs. 13 luglio 2017, numero 116, di riforma generale della magistratura onoraria, stabilendo che, fino al allora, la “temporanea tollerabilità costituzionale” dell'attuale assetto è volta ad evitare l'annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le Corti d'appello dell'apporto necessario alla riduzione dell'arretrato nelle cause civili. Pertanto, la pur sussistente illegittimità delle norme non è causa di nullità delle sentenze deliberate da collegi composti da giudici onorari entro il 31.10.2025. 3. Il secondo motivo deduce la violazione dell'articolo 132 numero 4 c.p.c., 111 Cost., 591 c.c. e l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per aver la sentenza omesso di esaminare le disposizioni dell'atto di ultima volontà, il cui contenuto contrastava con i sentimenti che legavano il testatore ai fratelli T. e G.. Il terzo motivo deduce la violazione degli articolo 591 e 2697 c.c. e l'omesso esame di un fatto decisivo. Assume il ricorrente che la paralisi sopranucleare progressiva, diagnosticata al testatore, integrava una infermità tipica, permanente, abituale e progressiva, tanto che L.C. era poi deceduto poco tempo dopo la redazione del testamento (6.10.2003), spettando alle controparti dimostrare che, al momento di redazione del testamento, il de cuius versava in condizioni di capacità. Il quarto motivo denuncia la violazione degli articolo 132, comma quarto, c.p.c. e 111 Cost. e l'omesso esame di un fatto decisivo, asserendo che il giudice abbia omesso di disporre una consulenza tecnica, essendo necessarie specifiche conoscenze medico-legali per l'accertamento delle condizioni mentali del testatore; la sentenza sarebbe pervenuta a conclusioni censurabili sul piano del giudizio diagnostico anche riguardo alla sussistenza di un deficit solo motorio in assenza di test neurologici e in palese contrasto con l'opposta diagnosi del perito penale. Il quinto motivo denuncia la violazione degli articolo 591 c.c., 132 numero 4 c.p.c., 111 Cost. e l'omesso esame di fatti decisivi, per aver la sentenza ritenuto che il testatore fosse affetto da un'inabilità meramente motoria, senza dare motivata soluzione al contrasto tra la perizia svolta nell'ambito del procedimento per interdizione e quella espletata nel procedimento penale svolto a carico del notaio che aveva ricevuto le ultime volontà di L.C.. L'adesione alla prima c.t.u. doveva essere motivata, in particolare, riguardo al dato oggettivo che la paralisi sopranucleare è sempre associata ad un deficit psichico grave e riguardo all'indispensabilità dei test cognitivi mai espletati, oltre che alla situazione psichica anteriore al testamento, apparsa già notevolmente compromessa e a rapida ingravescenza. I quattro motivi sono infondati. L'incapacità naturale del disponente che, ai sensi dell'articolo 591 c.c., determina l'invalidità del testamento non si identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà, richiedendo che, a causa dell'infermità, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso dell'abitualità, legittimano la pronuncia di interdizione. La prova delle condizioni mentali, anteriori o posteriori, può esser desunta da elementi presuntivi; tra essi viene in rilievo, quale elemento che il giudice è tenuto a valutare, il contenuto del testamento. L'esistenza di legami affettivi e di intensa frequentazione con soggetti pretermessi nel testamento dedotte non è - tuttavia - di per sé indice di incapacità se non associata ad anomalie, incoerenze della scheda o altri segnali che rilevino una condizione patologica invalidante (Cass. 3411/1978; Cass. 5620/1995), la quale può essere comunque esclusa dal giudice sulla base di altri elementi maggiormente significativi, il cui accertamento è incensurabile se sorretto da motivazione adeguata (Cass. 162/1981; Cass. 1851/1980; Cass. 3205/1971; Cass. 25053/2018; Cass. 1618/2022). Compete al giudice l'apprezzamento dei fatti e delle prove, potendosi solo controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 9097/2017; Cass. 32505/2023; Cass. 10927/2024). Né potrebbe contestarsi alla Corte d'appello di non aver fatto ricorso al ragionamento presuntivo sulla base di fatti noti emersi in istruttoria, desunti dalla scheda, violazione che non è denunciabile ai sensi dell'articolo 2729 c.c. (secondo le istruzioni della sentenza delle S.U. numero 8053/2014), ma che può integrare l'omesso esame di un fatto secondario ove sussistano i requisiti che ne condizionano lo scrutinio ai sensi dell'articolo 360 comma primo numero 5 c.p.c. (Cass. 17720/2018; Cass. 7861/2022; Cass. 2546/2024), occorrendo considerare che, nel caso di specie, la deducibilità di tale vizio in cassazione è comunque preclusa ai sensi dell'articolo 348 ter, comma IV e V, c.p.c., poiché la sentenza impugnata appare fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione di primo grado (Cass. 17720/2018; Cass. 34415/2022; Cass. 31323/2023; Cass. 35718/2023; Cass. 706/2024). 3.1. Il vizio di motivazione è parimenti insussistente: il giudizio di capacità di L.C. appare adeguatamente giustificato. Secondo la Corte di merito, le risultanze del procedimento di interdizione, sfociato poi nella meno grave misura dell'inabilitazione sulla base della relazione del c.t.u. D.R. e dell'esame diretto dell'interessato, consentivano di affermare che L.C. era affetto da deficit motorio e dell'espressione verbale, ma capace di intendere e di volere, rispondendo in maniera pertinente alle domande che gli venivano rivolte, mostrando di comprenderne il contenuto e di articolare risposte congruenti, di cui era chiaramente intellegibile il contenuto. Dalle deposizioni dei medici escussi nel procedimento di interdizione (e che avevano in cura il L.R. dal 2000 al decesso), aveva trovato conferma il fatto che le condizioni fisiche del paziente rendevano talmente complessa la comunicazione verbale e gestuale da ingenerare l'apparenza di una maggiore gravità del quadro psichico, rispetto alle effettive condizioni neurologiche dell'interessato. La consulenza svolta nel giudizio di interdizione (conclusasi con l'inabilitazione del testatore) era di conforto riguardo alla prevalenza del disturbo motorio su quello psichico, rivelando che il deficit psichico pur indotto dalla patologia non aveva invalidato la capacità del de cuius, non evincibile con certezza neppure dall'eventuale espletamento di test diagnostici, incapacità che potevano al più risultare come possibile, o forse probabile esito delle malattie di cui soffriva il paziente, ma che certamente, per il periodo di interesse, non era stata accertata in base ad un solo elemento concreto. 3.2. Quanto all'onere della prova, deve pur sempre considerarsi che lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l'eccezione, per cui spetta a chi impugna il testamento dimostrare la incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da una patologia totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo (Cass. inumero 3934/2018). In caso di infermità intermittente o ricorrente, allorché si alternino periodi di capacità e di incapacità, non opera alcuna presunzione e la prova dell'incapacità deve essere data da chi impugna il testamento (Cass. numero 25053/2018). Nel caso concreto, il ricorrente assume - anzitutto - per certo un dato esplicitamente confutato dal giudice distrettuale, ossia che, al momento del testamento, lo stato della patologia da cui era certamente affetto L.C. fosse già gravissimo, risultandone totalmente inficiata la capacità intellettiva. La sentenza ha motivatamente escluso che fossero già annullate le facoltà intellettive di L.C. prima o dopo la redazione della scheda, mancando le condizioni per esigere dai convenuti la prova dell'avvenuta stesura dell'atto in un intervallo di piena lucidità del disponente (Cass. 6236/1980; Cass. 26873/2019). In ogni caso, il possesso delle facoltà mentali risulta positivamente riscontrato dal giudice senza far ricorso al criterio formale dell'onere della prova, il che esclude la violazione dell'articolo 2697 c.c., che è invece invocabile solo ove il giudice abbia posto detto onere a carico di una parte che non ne era gravata in base alla scissione della fattispecie tra fatti costitutivi e mere eccezioni (Cass. 13395/2018; Cass. 26769/2018) e comunque non per contestare il modo in cui siano stati valutati gli elementi istruttori. La superfluità dei test neurologici appare giustificata dall'indisponibilità del paziente a sottoporvisi e, comunque, alla luce del quadro diagnostico complessivo (possesso delle facoltà mentali, sintomatologia di tipo motorio, non mentale, esito del giudizio di interdizione e dell'esame diretto). Il giudice ha utilizzo indagini diagnostiche specifiche (c.t.u. D.R.), pur se non svolte mediante testi neurologici, giudicando superflui ulteriori approfondimenti mediante una terza c.t.u. per la ritenuta sufficienza degli elementi acquisiti rispetto alle conclusioni del perito penale, limitatosi ad un esame documentale, senza, peraltro, esprimersi per l'incapacità del testatore. L'opportunità di rinnovare o integrare la consulenza, che è mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti, è discrezionale; il mancato uso di tale potere non può essere censurato in sede di legittimità, specie quando, come nel caso in esame, gli elementi di convincimento per disattendere la richiesta di rinnovazione siano stati tratti dalle risultanze probatorie già acquisite, ritenute esaurienti (Cass. 8200/1998; Cass. 10972/1994). 4. Il sesto motivo denuncia la violazione dell'articolo 603 c.c., per aver la sentenza ritenuto valido il testamento alla cui redazione aveva provveduto il notaio, senza il rispetto di una duplice formalità: la dichiarazione del testatore e la successiva lettura dell'atto alla presenza da parte dei testimoni, non essendo sufficiente che il de cuius avesse prestato il proprio assenso a monosillabi o con gesti espressivi del capo. Il settimo motivo deduce la violazione dell'articolo 112 c.p.c. in relazione all'articolo 603 c.c., per aver la sentenza omesso di pronunciare sulle censure mosse in secondo grado riguardo al fatto che L.C. si era limitato ad approvare a monosillabi il testamento o con semplici gesti del capo, non esternando una valida dichiarazione di assenso al testamento predisposto dal notaio. I due motivi sono infondati. Per la validità del testamento pubblico l'articolo 603 c.c. richiede un'espressione della volontà del testatore alla presenza dei testimoni, la riproduzione per iscritto di tali volontà, la successiva lettura dell'atto alla presenza del testatore e dei testimoni, con menzione nella scheda dell'espletamento delle formalità di legge. Non è preclusa la possibilità che, ricevute le ultime volontà del de cuius, si provveda alla redazione della scheda in assenza della parte e dei testimoni. Le due operazioni possono svolgersi in momenti diversi: in tal caso, qualora la scheda sia predisposta dal notaio, condizione necessaria e sufficiente di validità del testamento è che, prima di dare lettura della scheda, il testatore manifesti la propria volontà in presenza dei testi (Cass. 3552/1971; Cass. 1649/2017; Cass. 2742/1975; Cass. 30221/2023). La circostanza che il de cuius si fosse espresso a monosillabi o con gesti espressivi del capo non inficiava, nello specifico, la validità del testamento, essendo tali modalità le uniche coerenti con le condizioni di salute di L.C., caratterizzate da un deficit motorio tale da non incidere sulle capacità, né sulla possibilità di esprimere in maniera intellegibile la propria volontà, non potendosi negare che il consenso così esternato fosse stato validamente manifestato, né potendosi contestare la genuinità e la pienezza dell'espressione di volontà che il giudice di merito ha riscontrato in concreto, con motivazione esente da vizi. Rileva, per il rispetto delle formalità imposte per la valida manifestazione di volontà del disponente nel testamento segreto, che tale volontà sia immune da vizi, intellegibile, consapevole, tutte condizioni accertate dal giudice. Le argomentazioni esposte circa le condizioni del testatore e le modalità con cui egli era in grado di esprimersi danno risposta alle questioni sollevate con i motivi di gravame, dovendo escludersi un'omissione di pronuncia, essendo le ragioni adottate dal giudice inconciliabili con le contestazioni proposte dall'appellante (Cass. 25710/2024; Cass. 24155/2017). 5. L'ottavo motivo censura la violazione dell'articolo 91 c.p.c. per aver la Corte di merito condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di L.S., che aveva chiesto di accogliere l'appello e di pronunciare l'annullamento del testamento. Il motivo è fondato. L.S., intervenuta in causa, aveva concluso per l'accoglimento dell'appello e la riforma della decisione di primo grado (cfr. sentenza, pag. 2), volendo ottenere, unitamente al ricorrente, l'annullamento del testamento. All'esito del giudizio era soccombente, al pari di B.M., e non poteva ottenere il rimborso delle spese processuali, che non andavano poste a carico del ricorrente. 6. In conclusione, è accolto l'ottavo motivo di ricorso, con rigetto delle altre censure. La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto e, non essendovi accertamenti da compiere, la causa può essere decisa nel merito, con eliminazione della condanna del ricorrente al pagamento delle spese di appello in favore di L.S.. Le spese di legittimità sostenute da L.R. sono a carico del ricorrente. P.Q.M. accoglie l'ottavo motivo di ricorso, respinge le altre censure, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, elimina la condanna del ricorrente al pagamento delle spese d'appello nei confronti di L.S., compensando tra dette parti le spese di legittimità; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di L.R., che liquida in €. 6000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.