La Cassazione torna a pronunciarsi sul corrispettivo del patto di non concorrenza, che costituisce il compenso per l’obbligazione di non facere, autonoma rispetto al rapporto di lavoro in quanto si riferisce ad un momento successivo alla cessazione dello stesso.
Non rilevando a tal fine se il corrispettivo viene erogato in costanza del rapporto di lavoro oppure al termine o dopo la cessazione di questo, anche periodicamente per la durata dell'obbligazione di non facere, cristallizzandosi, in ogni caso, i rispettivi obblighi al momento della sottoscrizione, la sua congruità va valutata ex ante, ossia alla luce del tenore delle clausole e non per quanto, poi, possa accadere in concreto. Dunque, il giudice deve compiere questa valutazione secondo una prospettiva ex ante, tenendo comunque conto della durata del patto svincolata da quella del rapporto di lavoro. Il caso Il caso in esame trae origine da un complicata vicenda processuale, che ha visto la Corte di Cassazione decidere, per due volte, di cassare con rinvio le pronunce della Corte d'Appello di Milano che avevano ritenuto nullo un patto di non concorrenza per indeterminatezza/indeterminabilità, nonché per incongruità del corrispettivo. In particolare, la clausola giudicata nulla prevedeva il pagamento della somma lorda di € 10.000,00 l'anno, da pagarsi in 2 rate semestrali posticipate per 3 anni, pari al 17,5% della RAL, con la condizione che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima di 36 mesi, al dipendente non darebbe spettato l'intero importo di € 30.000,00 bensì un importo non determinabile né determinato collegato alla durata effettiva del rapporto di lavoro. Autonomia del patto di non concorrenza rispetto al rapporto di lavoro L'ex datore di lavoro ha lamentato in cassazione la violazione dell'articolo 2125 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che il patto di non concorrenza, per assicurare la congruità del compenso, avrebbe dovuto prevedere espressamente una specifica clausola sul cd. minimo garantito, nella quale fosse disciplinato il diritto del dipendente all'intero corrispettivo anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro in data antecedente la scadenza del patto. In questo modo, i giudici d'appello avrebbero violato l'interpretazione giurisprudenziale secondo cui il patto di non concorrenza è autonomo e disgiunto rispetto alle sorti del rapporto di lavoro, cosicché non vi era alcuna necessità di prevedere espressamente il diritto del lavoratore all'intero corrispettivo anche in caso di estinzione anticipata del rapporto, poiché l'obbligazione di pagamento della società sussiste indipendentemente da tale specificazione e permane fino alla scadenza naturale del patto. I requisiti del corrispettivo La Corte di Cassazione ha aderito alla tesi della società, ritenendo valido il patto di non concorrenza. Con riferimento al corrispettivo, la Suprema Corte ha ricordato la necessità che lo stesso sia congruo, ossia non meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore o alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall'utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e del suo ipotetico valore di mercato, conseguendo comunque la nullità dell'intero patto all'eventuale sproporzione economica del regolamento negoziale. Poiché il patto di non concorrenza è fattispecie negoziale autonoma, dotata di una causa distinta, configurando un contratto a titolo oneroso in forza del quale il datore di lavoro si obbliga a corrispondere una somma di denaro al lavoratore e questi si obbliga, di contro, per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro a non svolgere attività concorrenziale, il corrispettivo del patto remunera dunque tale autonoma obbligazione di non facere e non ha bisogno di un minimo garantito, ferme restando le valutazioni di cui sopra.
Presidente Leone - Relatore Amirante Rilevato che 1. Con ricorso ex articolo 700 c.p.c. depositato in data 14 dicembre 2015, (OMISSIS) s.p.a. adiva il Tribunale di Milano, sezione lavoro, al fine di sentir inibire a C.D., suo ex dipendente quale private banker, previo accertamento della violazione, da parte di quest'ultimo dell'obbligo di fedeltà ex articolo 2105 c.c. e del patto di non concorrenza stipulato il 30/11/14, lo svolgimento dell'attività concorrenziale a favore di (OMISSIS) s.p.a. fino alla naturale scadenza del patto (20 mesi successivi alla data di cessazione del rapporto lavorativo, avvenuta il 17/11/15 per dimissioni) e di ottenere il risarcimento dei danni (patrimoniali e non) subiti come quantificati in ricorso o in subordine, nell'ipotesi di nullità del patto di non concorrenza, al fine di ottenere la restituzione degli importi percepiti dal predetto a titolo di corrispettivo del suddetto patto. 2. Il Tribunale di Milano, con sentenza numero 2673/16, dichiarava nullo il patto di non concorrenza in quanto contrastante con il disposto dell'articolo 2125 c.c. per l'indeterminatezza e l'incongruità del corrispettivo pattuito (somma lorda di € 10.000 all'anno, da pagarsi in 2 rate semestrali posticipate per 3 anni, pari al 17,5% della (OMISSIS)), e condannava il C.D. alla restituzione degli importi percepiti come compenso del patto ai sensi dell'articolo 2033 c.c.. Rigettava nel resto il ricorso e respingeva altresì le domande avanzate dal C.D. in via riconvenzionale ed aventi ad oggetto l'accertamento della giusta causa di recesso ed il risarcimento del danno. 3. La Corte di Appello di Milano con la sentenza numero 1884/17 rigettava l'appello di (OMISSIS) s.p.a. sulla accertata invalidità del patto di non concorrenza e, in accoglimento dell'appello incidentale, riformava la decisione di primo grado in punto spese processuali, che venivano interamente compensate, mentre le spese del grado erano poste a carico della Banca. La Corte territoriale, richiamando altra pronuncia in controversia analoga (Corte App. Milano numero 1469/17), condivideva la valutazione del giudice di prime cure in ordine alla nullità del patto (ed alla conseguente restituzione di quanto percepito a tale titolo) per la indeterminatezza/indeterminabilità e per la incongruità del corrispettivo, derivando la nullità dal fatto che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima della scadenza del triennio, come nel caso di specie, al dipendente non sarebbe spettato l'intero importo di € 30.000,00, bensì un importo (appunto non determinabile, né determinato) collegato alla durata effettiva del rapporto di lavoro. 4. Avverso la predetta sentenza Intesa (OMISSIS) s.p.a. proponeva ricorso per cassazione affidato a 8 motivi, cui resisteva con controricorso il lavoratore. La Corte di cassazione con ordinanza numero 33424/22 accoglieva il terzo motivo di ricorso (nullità della sentenza ex articolo 360, comma 1, numero 4 c.p.c. per assenza di motivazione, contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, motivazione apparente, irriducibile contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione ove si affermava, da un lato, che il corrispettivo del patto di non concorrenza era indeterminato ed indeterminabile nel suo ammontare e, dall'altro, che era incongruo), dichiarava assorbiti gli altri motivi, cassava la sentenza impugnata e rinviava alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità. 5. Con sentenza numero 469/2023 del 27.4.2023 la Corte d'appello di Milano decidendo in sede di rinvio, dichiarava la nullità del patto di non concorrenza sottoscritto tra le parti in data 30/11/14 e condannava il C.D. alla restituzione degli importi netti percepiti a titolo di corrispettivo del patto di non concorrenza, oltre ad interessi legali dal dovuto al saldo. In particolare, per quanto ancora rileva, la Corte milanese, premesso che, in ottemperanza al principio di diritto espresso da questa Corte con l'ordinanza numero 33424/22, doveva valutare “in modo distinto e separato i requisiti di validità del patto di non concorrenza oggetto di causa, trattando, dapprima, la questione relativa alla determinazione e/o determinabilità del corrispettivo e, poi, superato questo primo scrutinio, quella connessa alla proporzionalità del compenso in relazione al sacrificio richiesto al lavoratore”, riteneva che il compenso pattuito per il patto di non concorrenza benché determinabile – avendo le parti previsto, per il periodo di efficacia del patto (3 anni), l'erogazione, in costanza di rapporto lavorativo, della somma annua di euro 10.000,00, pagata in due tranche semestrali posticipate, con la conseguenza che il corrispettivo poteva ammontare, al termine del periodo di efficacia del patto, a complessivi euro 30.000,00 – non fosse “adeguato al sacrificio imposto al lavoratore, che ha percepito unicamente la somma lorda di € 10.000,00, quale maturata in costanza di rapporto secondo l'accordo intervenuto, a fronte dell'assunzione di un obbligo di non concorrenza della durata di venti mesi esteso alla regione Lombardia per le mansioni di private banking o per mansioni analoghe (ovvero per la professionalità che il predetto aveva acquisito nel corso degli anni)”. La Corte riteneva che la non congruità del compenso concordato emergesse anche “dal contenuto della clausola numero 7, in forza della quale, nel caso di mutamento di mansioni, da un lato permangono a carico del dipendente le obbligazioni previste nel patto di non concorrenza (…) dall'altro cessa invece immediatamente l'obbligo del datore di lavoro di pagare il relativo corrispettivo”. 6. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione la (OMISSIS) s.p.a. affidato a quattro motivi. 7. Il C.D. replica con controricorso. 8. Solo parte controricorrente ha depositato memorie. Considerato che 1. Con il primo motivo, ex articolo 360 c.p.c. comma 1, numero 3 la ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 2125 c.c. in combinato disposto con l'articolo 1346 c.c. secondo l'interpretazione della norma come fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità per avere la Corte territoriale ritenuto che il patto di non concorrenza, per assicurare la congruità del compenso, avrebbe dovuto prevedere espressamente una specifica clausola sul c.d. minimo garantito che prevedesse il diritto del dipendente all'intero corrispettivo anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro in data antecedente la scadenza del patto. Ad avviso della ricorrente, in tal modo la Corte territoriale avrebbe violato l'interpretazione giurisprudenziale secondo cui il patto di non concorrenza è autonomo e disgiunto rispetto alle sorti del rapporto di lavoro, sicché non vi era alcuna necessità di prevedere espressamente il diritto del lavoratore all'intero corrispettivo anche in caso di anticipata estinzione del rapporto di lavoro, posto che l'obbligazione di pagamento della banca sussiste indipendentemente da tale specificazione e perdura fino alla scadenza naturale del patto di non concorrenza. 2. Con il secondo motivo Intesa (OMISSIS) s.p.a. deduce la nullità della sentenza ex articolo 360, comma 1, numero 4 c.p.c. per contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili e per motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ed apparente nella parte in cui ritiene incongruo il corrispettivo in ragione della clausola numero 7 del PNC, confondendo, ancora una volta e in spregio all'ordinanza di cassazione con rinvio di questa Suprema Corte, il profilo della nullità genetica e/o testuale del patto con quello della incongruità del corrispettivo che non può essere dichiarata in astratto imponendo un'analisi del caso concreto. 3. Con il terzo motivo, sempre ex articolo 360 c.p.c. comma 1, numero 4, si lamenta la nullità della sentenza per contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili e per motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ed apparente per avere la Corte territoriale dapprima accertato che il corrispettivo è indicato nel patto come pari alla somma di euro 30.000 “al termine di efficacia del patto” e, dall'altro, affermato che “in caso, invece, di anticipata cessazione del rapporto lavorativo” il corrispettivo sarebbe limitato alle somme maturate fino a quel momento “senza spiegare perché la cessazione del rapporto lavorativo (che è un evento che avviene in fase di esecuzione del contratto di lavoro) dovrebbe incidere sulla determinatezza del corrispettivo del PNC (che invece è un profilo genetico del PNC, contratto funzionalmente collegato ma autonomo dal contratto di lavoro)”. 4. Con il quarto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata ex articolo 360 c.p.c. comma 1, numero 5 per omesso esame di due fatti storici decisivi per il giudizio, ovvero l'avvenuto pagamento del corrispettivo del patto anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro, per dimissioni del dipendente, e l'interruzione dei successivi pagamenti a seguito della scoperta dell'inadempimento avversario oggetto di eccezione ex articolo 1460 c.c.. Deduce di aver ritualmente allegato detti fatti storici sia nel primo grado di giudizio (pagg. 6 e 17 ricorso ex articolo 414 c.p.c. depositato nel fascicolo del primo grado di giudizio (OMISSIS)) che in grado di appello (pag. 20 ss. atto di appello in riassunzione ex articolo 392 c.p.c. che riporta l'atto di appello originario pag. 20 ss.). Deduce la decisività dell'omissione posto che “se la Corte di merito avesse tenuto conto di tali decisivi fatti non sarebbe poi giunta alla errata conclusione che il lavoratore avrebbe ricevuto solo 10.000 euro anziché 30.000 euro e che il patto sarebbe nullo per incongruità del corrispettivo determinato nell'erronea percentuale del 6% circa della (OMISSIS) anziché nella corretta percentuale del 17,9%. Evidenzia la non ricorrenza dell'ipotesi di “doppia conforme” stante la diversità delle ragioni di fatto poste a base delle decisioni di primo grado e d'appello, atteso che quest'ultima, diversamente da quella di prime cure, non prende in alcuna considerazione né la circostanza che vi sia stato un pagamento di corrispettivo successivo alle dimissioni né l'eccezione di inadempimento invocata da (OMISSIS). 5. Il primo motivo di ricorso è fondato con assorbimento dei restanti. 5.1. E' opportuno preliminarmente ricordare che questa Corte ha, ormai, chiarito che, al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al corrispettivo dovuto, si richiede, innanzitutto, che, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, lo stesso possieda i requisiti previsti in generale per l'oggetto della prestazione dall'articolo 1346 c.c.; se determinato o determinabile, va verificato, ai sensi dell'articolo 2125 c.c., che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall'utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato, conseguendo comunque la nullità dell'intero patto alla eventuale sproporzione economica del regolamento negoziale (Cass. numero 5540 del 01/03/2021, Rv. 660541 – 01; Cass. numero 9790 del 26/05/2020, Rv. 657784 - 01). 5.2. Ciò premesso, occorre osservare che, come puntualmente ricordato anche nell'ordinanza rescindente, questa Corte ha ripetutamente affermato, (Cass. Cass. numero 16489/2009, Rv. 610157 - 01; Cass. Sez. L, Ordinanza numero 5540 del 2021) che il patto di non concorrenza costituisce una fattispecie negoziale autonoma, dotata di una causa distinta, configurando un contratto a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive, in virtù del quale il datore di lavoro si obbliga a corrispondere una somma di danaro o altra utilità al lavoratore e questi si obbliga, per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, a non svolgere attività concorrenziale con quella del datore (Cass. numero 2221 del 1988). Il patto di non concorrenza, dunque, anche se è stipulato contestualmente al contratto di lavoro subordinato, rimane autonomo da questo, sotto il profilo prettamente causale. In virtù della predetta autonomia, il rapporto di lavoro si riduce a mera occasione di stipula di quel patto, atteso che quest'ultimo è destinato a regolare i rapporti fra le parti, per definizione, proprio a partire da un momento successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. 5.3. Posto, dunque, che il corrispettivo del patto costituisce il compenso per tale autonoma obbligazione di non facere , non rilevando, a tal fine, se lo stesso venga erogato in costanza di rapporto di lavoro oppure al termine o dopo la cessazione di questo, ad es. periodicamente per la durata dell'obbligazione di non facere (cfr. ancora Cass. numero 16489/2009), cristallizandosi, in ogni caso, i rispettivi obblighi al momento della sottoscrizione, la sua congruità va valutata ex ante, ossia alla luce del tenore delle clausole e non per quanto poi in concreto possa accadere 6. Pertanto la sentenza impugnata va nuovamente cassata ed il giudice di rinvio dovrà rivalutare la congruità del corrispettivo, secondo una prospettiva ex ante, ma comunque tenendo conto della durata del patto svincolata da quella del rapporto di lavoro. 7. La trattazione di ogni altra doglianza resta assorbita. 8. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere accolto in parte qua, con la cassazione della gravata sentenza e il rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi di legittimità sopra esposti e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.