Bancarotta fraudolenta: necessaria la messa in pericolo concreta della garanzia dei creditori

Ai fini della sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è decisiva la messa in pericolo concreta della garanzia dei creditori, e non la prevedibilità (o meno) del dissesto.

Non deve, tuttavia, confondersi l’esposizione al pericolo, sufficiente per l’integrazione del reato, con il danno alla massa dei creditori, requisito, quest’ultimo, non richiesto dalla norma come essenziale, costituendo un post-factum: l’assenza di danno, difatti, può derivare dalla complessiva attività di recupero posta in essere, dopo il fallimento, dal curatore, con individuazione di assi patrimoniali capaci di neutralizzare le esposizioni passive. La sentenza in commento concerne la vicenda che ha visto confermare da parte della Corte di Appello di Bari la sentenza di condanna per bancarotta patrimoniale, emessa dal Tribunale di Foggia, nei confronti di un amministratore unico e rappresentante legale di una s.r.l., dichiarata fallita, per aver distratto, dissimulato e dissipato in parte i beni di quest’ultima. In particolare, le condotte contestate all’imputato consistevano, da un lato, nella cessione ad un’altra s.r.l. riconducibile all’imputato di gran parte dei beni mobili di proprietà della s.r.l. fallita, dall’altro, nell’utilizzazione di ingenti risorse finanziarie per scopi estranei all’oggetto sociale. Più precisamente, la Corte ha ritenuto la prima condotta qualificabile come bancarotta fraudolenta a mezzo dissimulazione, in quanto la cessione dei beni aziendali risulterebbe da contratto simulato; invece, la seconda condotta è stata qualificata come bancarotta fraudolenta, perché ritenuta consistente nell’uso di ingenti risorse finanziarie della s.r.l. fallita per l’acquisto di due imbarcazioni di lusso. La difesa ha quindi impugnato il provvedimento per Cassazione, ritenendo che la sentenza di primo grado abbia effettuato una mutatio libelli, senza che il Tribunale rilevasse la difformità tra il fatto contestato nella seconda parte dell’imputazione e quello ritenuto, e perciò senza che il pubblico ministero modificasse l’imputazione, viziando l’effettivo diritto di difesa dell’imputato. In aggiunta, la difesa ha eccepito non solo che, quanto alla seconda condotta, l’acquisto della prima imbarcazione sia avvenuto dopo la modifica dell’oggetto della società fallita (da quello esclusivamente eolico a quello anche nautico), ma anche che l’acquisto della seconda imbarcazione era avvenuto mediante permuta della prima e che, dalla vendita di quest’ultima, l’imputato aveva tratto il necessario per la soddisfazione dei creditori. Ebbene, con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha ritenuto i ricorsi parzialmente fondati. I Giudici, difatti, hanno ritenuto che non fosse riscontrabile una trasformazione radicale del fatto contestato, dal momento che nessuna violazione del diritto di difesa si sia verificata in capo all’imputato. Vero è che la difesa aveva contezza della difformità fra oggetto formale e sostanziale, giacché l’imputato, fin dalla lettura della relazione del curatore ex articolo 33 l. fall., era consapevole che quest’ultimo avesse tralasciato parte dell’oggetto sociale, ovvero l’attività nautica, ritenendolo solo formalmente indicato e non sostanzialmente perseguito. In tal senso, affinché trovino applicazione gli articolo 516, 521 e 522 c.p.p. è necessario che la diversità tra il fatto contestato e quello emerso dall’istruttoria abbia i caratteri della trasformazione radicale. Più precisamente, la violazione del diritto di difesa è insussistente quando l’imputato, attraverso l’“iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione. Sul punto, i Giudici di Piazza Cavour hanno precisato che «in tema di citazione a giudizio, il fatto deve ritenersi enunciato in forma chiara e precisa quando i suoi elementi strutturali e sostanziali sono descritti in modo tale da consentire un complesso contraddittorio e il pieno esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato, che viene a conoscenza della contestazione non solo per il tramite del capo d’imputazione, ma anche attraverso gli atti che fanno parte del fascicolo processuale, fra i quali non può non annoverarsi anche la relazione ex articolo 33 l. fall.». Fermo restando che la condotta di acquisto delle due imbarcazioni di lusso, con impiego delle risorse patrimoniali della s.r.l., con suo successivo fallimento, è da qualificare nella fattispecie di bancarotta fraudolenta, perché trattasi di dissipazione, ovvero di condotta cosciente e volontaria di dispersione come sperpero a scopi voluttuari estranei all’impresa, i Giudici hanno volto lo sguardo al tema della prevedibilità del dissesto della società a cui faceva capo l’imputato, precisando che, con riferimento alla condotta dell’acquisto delle due imbarcazioni di lusso, il tema decisivo, ai fini della sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, consta nella messa in pericolo concreta della garanzia dei creditori, e non nella prevedibilità (o meno) del dissesto. Sul punto, di recente, i giudici di legittimità hanno ribadito che il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva o dissipativa prefallimentare è un reato di pericolo concreto, con la necessità che il pericolo sia valutato ex ante, in riferimento agli atti depauperativi compiuti nella c.d. zona di rischio penale, anche definita dalla dottrina come “prossimità dello stato di insolvenza” e che si manifesta allorquando lo stato di crisi sia idoneo ad orientare ogni iniziativa di distacco dei beni da parte dell’agente imprenditore in modo da creare un pericolo per l’interesse dei creditori sociali. In merito, la Corte di Cassazione precisa: «senza dubbio un’esegesi costituzionalmente orientata del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare, come reato di pericolo concreto, impone di valutare la rilevanza penale delle condotte e la loro offensività in base all’idoneità ex ante degli atti depauperativi a mettere realmente a rischio la garanzia dei creditori della massa fallimentare, in uno spazio – temporale ragionevole (la zona penale di rischio) entro il quale l’apprezzamento di uno stato di crisi dell’impresa, conosciuto dall’agente, è destinato ad orientare l’interpretazione di ogni iniziativa di distrazione dei beni da parte di quest’ultimo». I Giudici precisano, poi, che l’esposizione al pericolo, quale requisito sufficiente dell’integrazione del reato, non vada confuso con il danno alla massa dei creditori, requisito non richiesto dalla norma come essenziale e che costituisce un post – factum. In conclusione, il pericolo previsto dal reato di bancarotta prefallimentare va abbinato alla idoneità dell’atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrità della garanzia della “categoria” dei creditori, che deve poggiare su criteri ex ante, con la precisazione che “dissipazione” significa «impiego dei beni sociali in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione in garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell’azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti».

Presidente Pezzullo - Relatore Cananzi Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.