È valida la clausola compromissoria per arbitrato societario estero

In tema di arbitrato societario, può essere riconosciuto in Italia un lodo rituale straniero pronunciato in forza di una clausola compromissoria, inserita nello statuto di una società di diritto italiano, che localizzi all’estero la sede dell’arbitrato medesimo qualora, giusta l’articolo 34, comma 2, del d.lgs. numero 5 del 2003, applicabile ratione temporis, l'intero organo arbitrale sia nominato da un soggetto terzo estraneo alla società.

Una volta soddisfatto tale requisito, infatti, le disposizioni processuali contenute negli articolo 35 e 36 del medesimo decreto, sono derogabili attraverso la scelta di una lex arbitri diversa, purché rispettosa di quei canoni fondamentali previsti dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 (recepita in Italia dalla legge numero 62 del 1968), che, a livello sovranazionale, disciplinano il riconoscimento dei lodi arbitrali. I fatti di causa Con domanda di arbitrato, la società F. s.p.a. propose alla Corte Internazionale di Arbitrato presso la Camera di Commercio Internazionale istanza di nomina di un collegio arbitrale ai sensi dell'articolo 31 del proprio statuto sociale, proponendo alcune domande nei confronti del dott. F.R. Si costituì in giudizio il dott. F.R. eccependo in primo luogo l'inefficacia della clausola compromissoria contenuta nello statuto societario e, in secondo luogo, la carenza di giurisdizione della corte arbitrale internazionale. La Corte arbitrale, dopo aver dichiarato che, in linea con la clausola compromissoria statutaria, avrebbe applicato il diritto italiano, per decidere la controversia, con lodo definitivo, accertò alcune violazioni commesse dal dott. F.R. in qualità di amministratore della società F. s.p.a. e, tuttavia, respinse le domande della società attrice di risarcimento dei danni conseguenti a quelle violazioni. Il presidente della Corte d'appello di Genova, richiestone dalla società F. s.p.a., ex articolo 839 c.p.c., dichiarò efficace in Italia il lodo definitivo e liquidò le spese della procedura a carico del dott. F.R. L'opposizione promossa da quest'ultimo, ex articolo 840 c.p.c., avverso il predetto decreto fu respinta dalla Corte di appello. In sintesi, la Corte d'appello ritenne valida, secondo il diritto italiano, la clausola compromissoria di arbitrato estero. Il ricorso per Cassazione Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso il dott. F.R., affidandosi a due motivi. Con il primo motivo, il dott. F.R. lamentò che, in radicale difformità dalla disciplina imperativa dell'arbitrato societario statutario, la corte d'appello aveva ritenuto valida la clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società di capitali italiana con sede legale in Italia, la quale affidava ad arbitri esteri, il cui lodo inoppugnabile nello Stato straniero di origine neppure è soggetto ad impugnazione in Italia, la soluzione delle controversie societarie. Con il secondo motivo, il dott. F.R. lamentò che la corte d'appello non aveva rifiutato il riconoscimento in Italia di un lodo emesso sulla base di una clausola compromissoria contenuta nello statuto di una s.p.a. avente sede legale in Italia, clausola compromissoria invalida in quanto devolve la soluzione delle liti tra società, soci e amministratori ad un arbitrato estero con sede in Svizzera. Con ordinanza interlocutoria, la Corte, ritenuta di rilevanza nomofilattica la questione (validità, o non, di una clausola compromissoria per arbitrato estero contenuta nello statuto di una società italiana) posta dalle argomentazioni di cui ai motivi di ricorso, ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza. La decisione della Suprema Corte La normativa di riferimento Vengono, anzitutto, in rilievo gli articolo 34,35 e 36 del d.lgs. numero 5 del 2003, nei rispettivi testi, applicabili ratione temporis, anteriori all'abrogazione dispostane dal d.lgs. numero 149 del 2022 (cd. Riforma Cartabia). Va ricordato, poi, l'articolo 840 cod. proc. civ., – inserito nel Capo VII (Dei lodi stranieri), del Titolo VIII, del Libro IV, del codice di procedura civile – che disciplina il giudizio di opposizione avverso il decreto con cui, ex articolo 839 del medesimo codice, il presidente della corte di appello dichiara l'efficacia del lodo straniero in Italia. Infine, va menzionato l'articolo 5, comma 1, lett. a), della Convenzione di New York del 10 giugno 1958, – concernente il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, (recepita in Italia tramite la legge 19 gennaio 1968, numero 62) – a tenore del quale «il riconoscimento e l'esecuzione della sentenza saranno negati, a domanda della parte contro la quale la sentenza è invocata, unicamente qualora essa fornisca all'autorità competente del paese, ove sono domandati il riconoscimento e l'esecuzione, la prova che: a) le parti nella convenzione di cui all'articolo II, erano, secondo la legge loro applicabile, affette da incapacità, o che la detta convenzione non è valida, secondo la legge alla quale le parti l'hanno sottoposta o, in mancanza d'una indicazione a tale riguardo, secondo la legge del paese dove la sentenza è stata emessa». Da ultimo, si segnala fin da ora che, nella misura in cui saranno concretamente rilevanti, ai fini della odierna decisione, alcune delle disposizioni della Legge 31 maggio 1995, numero 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) e di quella della Legge di Diritto Internazionale Privato Svizzero (LDIP), se ne riporteranno i rispettivi contenuti. Le soluzioni offerte dalla dottrina All'indomani del d.lgs. numero 5/2003, un solo contributo aveva affrontato in modo specifico il tema dell'ambito di applicazione territoriale dell'arbitrato societario. Muovendo dal rilievo che le alternative sono fondamentalmente due: a) quella di ritenere che la nuova disciplina arbitrale si applica a tutte le società costituite in Italia e governate dal codice civile nella formulazione ora assunta a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. numero 6, pure del 17 gennaio 2003; b) quella di ritenere che la nuova disciplina arbitrale si applica a tutti gli arbitrati in materia societaria che si svolgono in Italia, indipendentemente dalla legge italiana o straniera che governa la società, questa dottrina opinò che la scelta fra le due alternative o l'indicazione di una soluzione intermedia non va effettuata solo sulla base di opzioni teoriche di fondo circa la natura sostanziale o processuale della nuova disciplina, che fanno ovviamente propendere, la prima, per l'alternativa a) e, la seconda, per |'alternativa b). La scelta va invece effettuata anche, o soprattutto, empiricamente, individuando elementi di valutazione nell'ambito dei meccanismi propri della disciplina stessa capaci di rivelare aspetti utili per la soluzione del quesito». Pertanto, scrutinò e valutò vari elementi, distinguendoli in due gruppi: i) quelli riguardanti la soggezione delle società alla legge italiana; ii) quelli concernenti il procedimento arbitrale. La conclusione generale che quella dottrina trasse considerando le implicazioni determinate dai due descritti gruppi di elementi indicatori fu che la nuova disciplina in tema di arbitrato predisposta dagli articolo 34 ss. e seguenti del d.lgs. numero 5 del 17 gennaio 2003 si applica quando due condizioni sono contemporaneamente presenti: la società ha la sua sede legale in Italia e l'arbitrato ha sede in Italia. Se una di queste condizioni non sussiste la nuova disciplina non trova automatica applicazione. Più di recente, sul tema si sono riscontrate, in dottrina, altre due opinioni, che, pur nelle loro diverse sfumature, appaiono accomunate, per così dire, da un condivisibile afflato internazionalistico e dalla preoccupazione che lo strumento arbitrale non resti confinato, proprio in materia societaria, alla sola dimensione domestica. In una è stato sostenuto che le parti, nella convenzione statutaria oppure in un atto successivo, possono fissare la sede dell'arbitrato all'estero, dal momento che nessun divieto è previsto in proposito dal d.lgs. numero 5/2003 e che, al contrario, la possibilità di deroga della giurisdizione italiana in favore di un arbitrato estero. L'altra opinione, invece, si rivela essere più “moderata'', perché tenta di conciliare la necessaria osservanza delle diverse regole (e non del solo articolo 34, comma 2, del d.lgs. numero 5/2003) che connotano il modello arbitrale statutario con la generale facoltà – riconosciuta alle parti dall'articolo 4 della legge numero 218/1995 e dall'articolo II della già citata Convenzione di New York del 1958 – di scegliere un arbitrato estero e, in tal modo, di determinare l'applicabilità di una lex arbitri straniera. L'esigenza di coerenziare questi diversi elementi, a partire dal tenore imperativo delle norme che regolano l'arbitrato societario italiano, si fonda sulla preoccupazione che un eventuale procedimento arbitrale estero possa effettivamente condurre ad una decisione utile ed eseguibile nello Stato in cui le parti hanno interesse a che il lodo abbia esecuzione: in primis, nella prospettiva qui esaminata, in Italia quale Stato di incorporazione della società, senza correre il rischio che al dictum venga negato il riconoscimento (ad esempio, per il difetto di condizioni di arbitrabilità o per invalidità della convenzione). In questa direzione, si è sostenuto che il contemperamento tra le istanze di cui sopra appare in primo luogo possibile allorché le disposizioni processuali straniere destinate ad applicarsi al procedimento siano compatibili con le previsioni degli articolo 34 e ss. del d.lgs. numero 5/2003, di talché queste possano comunque dirsi osservate. Tale verifica di compatibilità richiederebbe che si accettino queste due condizioni: a) che si ragioni non in termini di coincidenza o di esatta sovrapponibilità, bensì in termini di equipollenza fra regole di ordinamenti diversi (e così, esemplificativamente, si afferma che la regola sull'intervento potrà dirsi osservata laddove anche la lex arbitri consenta l'ingresso di terzi o soci in giudizio, sia pure con termini e forme diversi da quelli che si applicherebbero nel caso in cui all'arbitrato avesse sede in Italia; ed ancora, le previsioni degli articolo 35, comma 3, e 36 del d.lgs. numero 5/2003, in tema di impugnazioni, potranno dirsi rispettate se nell'ordinamento dello Stato estero esistono rimedi equivalenti «per natura e fondamento, anche se non esattamente coincidenti per disciplina a quelli previsti dal nostro codice di rito); b) che si acceda all'idea che la inderogabilità della disciplina di cui al d.lgs. numero 5/2003 non riguardi anche la giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana, né implichi l'applicazione necessaria delle norme processuali italiane. Detto altrimenti, non sarebbe inderogabile la giurisdizione del giudice statale italiano quale giudice delle impugnazioni del lodo: a rilevare sarebbe, essenzialmente, che i rimedi impugnatori previsti dal codice di rito italiano e dal d.lgs. numero 5/2003 trovino corrispondenza nella legislazione processuale dello Stato in cui è fissata la sede dell'arbitrato. Lo stesso ragionamento, con le debite modifiche, dovrebbe valere per le disposizioni che prevedono l'ausilio dell'autorità giudiziaria in vista dell'utile funzionamento dello strumento arbitrale: ad essere inderogabile, nell'articolo 34, comma 2, del d.lgs. numero 5/2003, sarebbe il meccanismo di nomina, non anche il coinvolgimento del presidente del tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale, ove il designatore indicato nella clausola statutaria ometta di provvedere. Le valutazioni della Suprema Corte Il Collegio privilegia una soluzione che, non soltanto, si riveli compatibile con la normativa tutta in precedenza richiamata, ma risulti tale, nello stesso tempo, da non ostacolare eccessivamente il ricorso allo strumento dell'arbitrato societario statutario. Convincimento, questo, che poggia tanto sulle già descritte, svariate ragioni che possono rendere opportuna la scelta di avvalersi di tale strumento, quanto sulle parimenti molteplici esigenze di cui gli operatori economici possono farsi portatori nelle operazioni societarie domestiche o internazionali. Ciò, peraltro, in un contesto giuridico mondiale che oggi appare chiaramente volto a favorire la circolazione dei provvedimenti in tutte le materie, né potendosi negare rilievo, sic et simpliciter, a legittime ragioni di opportunità processuale, ossia di forum shopping, che inducano a sottoporre le controversie societarie di una determinata società alla legge processuale di un Paese diverso rispetto a quello di incorporazione. Questa conclusione consegue, innanzitutto, dalle norme di legge: nessuna disposizione, invero, tra quelle di cui agli articolo 34-36 del d.lgs. numero 5 del 2003 (abrogati dal d.lgs. numero 149 del 2022, ma qui, come si è già detto, applicabili ratione temporis), contiene previsioni che riguardino la sede dell'arbitrato (altrettanto, per la verità, è a dirsi anche per gli articolo 838-bis, 838-ter ed 838-quater c.p.c., introdotti dal menzionato d.lgs. numero 149 del 2022 e di tenore sostanzialmente analogo ai suddetti abrogati articoli del d.lgs. numero 5 del 2003), né dal silenzio è dato inferire alcuna regola che imponga di porre la sede dell'arbitrato in Italia. Anche in questa materia, dunque, la norma riferimento deve ricercarsi nell'articolo 4, comma 2, della legge numero 218 del 1995, che prevede espressamente che la giurisdizione italiana possa essere convenzionalmente derogata a favore di un arbitro estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili. Nulla vieta, perciò, che un arbitrato societario nascente da clausola compromissoria statutaria abbia la propria sede all'estero, così come nulla impedisce che soggetti domiciliati in Italia scelgano, per la definizione delle loro liti, un arbitrato con sede in territorio estero. La regola applicabile in materia è, in entrambi i casi, quella dettata dall'articolo 4, comma 2, della legge numero 218/1995, che non è derogata in materia di arbitrato societario e consente quindi, anche in quest'ambito, la scelta di un arbitrato estero. Ammessa, dunque, la possibilità che la sede dell'arbitrato societario non stia all'interno dei confini nazionali, occorre ulteriormente interrogarsi circa il se tanto possa avvenire senza limite alcuno, oppure se il d.lgs. numero 5/2003 (per quanto di specifico interesse in questa sede, stante la sua applicabilità, ratione temporis, nella fattispecie in esame) contenga comunque norme di carattere inderogabile. Il Collegio ritiene di poter condividere l'opinione secondo cui il nucleo imprescindibile della disciplina in esame resti comunque nella disposizione dell'articolo 34 del d.lgs. numero 5/2003 laddove stabilisce che la clausola statutaria deve conferire in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Invero, sebbene sia innegabile che la convenzione di arbitrato sia un atto di autonomia negoziale e possa qualificarsi, quindi, come negozio giuridico privato, il suo inquadramento tra i contratti, tuttavia, non può essere operato acriticamente. Non può dimenticarsi, infatti, che il patto compromissorio non è un negozio di autoregolamentazione degli interessi delle parti, bensì basilarmente l'accordo con il quale esse scelgono di devolvere la controversia ad arbitri, ossia scelgono l'arbitrato quale forma di risoluzione delle controversie alternativa (sia pure non radicalmente diversa rispetto) alla giurisdizione statale. In altri termini, dunque, un tale patto si rivela essere un negozio giuridico con effetti processuali, che, pur disponendo del diritto delle parti di agire davanti al giudice statuale, ha natura sostanziale ed è regolato, quindi, per quanto si è detto in precedenza relativamente al contenuto della clausola statutaria in esame, dalla legge nazionale. Mentre la norma dell'articolo 34 d. lgs. numero 5/2003 è imperativa e regola l'unica forma possibile di arbitrato societario laddove impone a pena di nullità della convenzione di arbitrato che l'intero organo arbitrale sia nominato da un soggetto terzo estraneo alla società, una volta rispettata la forma necessaria della convenzione di arbitrato, le disposizioni processuali contenute nelle altre norme del decreto societario, invece, possono essere derogate attraverso la scelta di una lex arbitri diversa, purché rispettosa di quei canoni fondamentali, recepiti, in particolare, dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 (recepita in Italia dalla legge numero 62 del 1968), che, a livello sovranazionale, disciplinano il riconoscimento dei lodi arbitrali. Il principio di diritto In tema di arbitrato societario, può essere riconosciuto in Italia un lodo rituale straniero pronunciato in forza di una clausola compromissoria, inserita nello statuto di una società di diritto italiano, che localizzi all'estero la sede dell'arbitrato medesimo qualora, giusta l'articolo 34, comma 2, del d.lgs. numero 5 del 2003, applicabile ratione temporis, l'intero organo arbitrale sia nominato da un soggetto terzo estraneo alla società. Una volta soddisfatto tale requisito, infatti, le disposizioni processuali contenute negli articolo 35 e 36 del medesimo d.lgs. sono derogabili attraverso la scelta di una lex arbitri diversa, purché rispettosa di quei canoni fondamentali previsti dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 (recepita in Italia dalla legge numero 62 del 1968), che, a livello sovranazionale, disciplinano il riconoscimento dei lodi arbitrali.

Presidente Di Marzio – Relatore Campese Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.