I figli naturali del de cuius possono ripetere i beni contro l'usucapione prima della sentenza di filiazione

Il figlio del de cuius nato fuori dal matrimonio, per interrompere l’usucapione dei beni ereditari, non può, o meglio, non deve attendere il passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione [...].

[...] Infatti, ai fini dell’idoneità dell’atto interruttivo del possesso ad usucapione di un bene ereditario, non si richiede l’avvenuto acquisto della qualità di erede da parte del figlio, essendo sufficiente invece l’interesse alla conservazione del patrimonio ereditario; interesse che, sussiste già a partire dalla morte del genitore e che giustificano azioni cautelari e conservative. La vicenda è alquanto complessa e relativa alla domanda di revocazione di testamento, di petizione e di indebito arricchimento promosse in due distinti ricorsi, poi riassunti, dall'erede legittimo, istituito a seguito della dichiarazione di paternità, nei confronti degli eredi legittimi dell'erede testamentario vero dell'erede apparente. I convenuti resistevano in giudizio eccependo anzitutto l'avvenuto usucapione dei beni oggetto della domanda di ripetizione e la salvezza del diritto del terzo acquirente anche se avvenuto a titolo gratuito. Infatti, i beni contesi erano stati precedentemente oggetto di una convenzione matrimoniale all'interno della quale erano confluiti più beni ricevuti da uno dei coniugi per successione da un erede apparente. Fatte le brevissime premesse, con riferimento alla possibilità di interrompere il possesso ad usucapionem , la Corte di Cassazione ha stabilito che il figlio del de cuius nato fuori dal matrimonio, già riconoscibile secondo la legge vigente del tempo (ovvero all'indomani della riforma del diritto di famiglia) e di apertura della successione, ha il potere di interrompere l'usucapione dei beni ereditari, senza dover attendere il passaggio in giudicato della sentenza che accerta la affiliazione. Infatti, ai fini dell'idoneità dell'atto interruttivo del possesso ad usucapione di un bene ereditario, non si chiede, secondo l'attuale pronuncia della Cassazione, l'avvenuto acquisto della qualità di erede da parte del figlio, essendo invece sufficiente l'interesse alla conservazione del patrimonio ereditario; interesse che sussiste già a partire dalla morte del genitore. In altre parole, il figlio di naturale, considerata l'efficacia dichiarativa retroattiva della pronuncia,  ha la possibilità di disporre dei propri diritti prima del definitivo accertamento della filiazione e ciò comprende, logicamente, anche il potere di interrompere la prescrizione, acquisitiva o estintiva, dei diritti ereditari, essendo sufficiente in tali ipotesi l'interesse alla conservazione del patrimonio ereditario che certamente sussiste nel caso del figlio naturale già a partire dalla morte del genitore. Definito il tema del decorso del termine di prescrizione per il possesso ad usucapionem, la Suprema Corte ha, poi, precisato con riferimento agli atri motivi di ricorso, e in specie all'azione di petizione ereditaria, che alla fattispecie analizzata era applicabile l'articolo 2038 c.c. trattandosi, nel caso di specie, di un atto di alienazione a titolo gratuito. Infatti, i coniugi, di cui uno era l'erede apparente, uniti in matrimonio prima dell'entrata in vigore della l.numero 151/1975, avevano con apposita convenzione stipulata ai sensi dell'articolo 228, c.2, l. numero 151/1975, deciso di ricomprendere nella comunione legale i beni personali ricevuti in eredità, stipulando così un atto che è comunque valido in quanto manifestava la volontà di dare vita ad una comunione convenzionale. Precisato ciò, la Corte ha, quindi, stabilito che laddove nella comunione convenzionale siano inclusi uno più beni ricevuti da uno dei coniugi per successione da un erede apparente, nei rapporti con l'erede vero, l'atto deve ritenersi a titolo gratuito, con conseguente applicabilità dell'articolo 2038 c.c. Alla luce di quanto sopra, la Cassazione ha quindi definitivamente statuito che, nell'ipotesi di alienazione a titolo gratuito di beni ereditari da parte del possessore, essendo applicabile l'articolo 2038 c.c., l'erede vero si potrà rivolgere al terzo acquirente solo nel limite del suo arricchimento, ferma la preventiva escussione dell'alienante nella sola ipotesi di malafede. Conclude sancendo, inoltre, che, l'obbligazione del terzo acquirente, nel concorso dei presupposti che ne giustificano l'insorgenza, è trasmissibile mortis causa, senza che occorra la prova di un vantaggio personale realizzato da eredi.

Presidente Manna - Relatore Tedesco Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.