La Corte di Cassazione ribadisce un orientamento, ormai consolidato, secondo cui la registrazione di un colloquio intrattenuto con l’imputato dalla persona offesa, che lo registra clandestinamente in un ambiente privato, non costituisce intercettazione ma una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico e quindi si tratta di prova documentale.
La vicenda La Corte di Cassazione ritorna su un tema classico, del quale si è occupata a lungo: quello delle registrazioni effettuate da uno dei partecipanti alla conversazione svoltasi nei luoghi di lavoro (nello specifico la cucina e l'ufficio di un ristorante dell'imputato) e della dedotta inutilizzabilità delle stesse. Nel ricorso, infatti, si deduceva l'inutilizzabilità delle registrazioni effettuate dalla persona offesa di alcuni suoi colloqui con l'imputato, che i giudici di merito avevano ritenuto utilizzabili e confermative delle accuse. Secondo il ricorso, si tratterebbe di registrazioni clandestine, effettuate all'interno di luoghi di privata dimora, nei quali lo ius excludendi alios del titolare impedirebbe l'accesso agli estranei e, quindi, illecite perché realizzate in violazione dell'articolo 615-bis c.p., oltre che incostituzionali in quanto lesive dell'articolo 13 Cost. Il ricorso affermava la non pertinenza della pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione con la “sentenza Torcasio” del 2003, richiamata dai giudici di merito per disattendere la relativa eccezione difensiva, trattandosi di decisione relativa a registrazioni effettuate dalla polizia giudiziaria. La decisione La sentenza segue il dictum della “sentenza Torcasio” delle Sezioni unite (Cass., Sez. unumero, 28 maggio 2003, numero 36747), che aveva chiarito che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile alla nozione di intercettazione, quantunque eseguita clandestinamente, ma costituisce prova documentale secondo la disciplina dell'articolo 234 c.p.p., enunciando così un principio di ordine generale, non limitato alle captazioni eseguite da operatori di polizia giudiziaria in corso d'indagini. La sentenza afferma che, in quanto ambienti destinati all'esercizio di attività lavorativa da parte di una pluralità di persone, essi costituiscono luoghi aperti al pubblico, in ragione della possibilità pratica e giuridica di accedervi per un numero non predeterminato di soggetti, benché selezionati dal titolare dell'ufficio, il quale non è investito di un incondizionato “ius excludendi” (Cass., Sez. VI, 2 febbraio 2023, numero 11345, Calabrò, nella quale si indica che, ai fini della qualificazione di un dato ambiente come “luogo aperto al pubblico”, è essenziale la sua destinazione alla fruizione di un numero indeterminato di soggetti, che, in presenza di determinate condizioni, hanno la possibilità pratica e giuridica di accedervi; per tutte: Cass., Sez. VI, 15 maggio 2018, numero 26028, D.R.). Anche i luoghi di lavoro destinati allo svolgimento di compiti istituzionali sono accessibili ad una pluralità di soggetti, anche senza la necessità, di volta in volta, del preventivo consenso dell'avente diritto e senza un incondizionato ius excludendi di quest'ultimo. A tali luoghi, pertanto, è estraneo ogni carattere di riservatezza, essendo esposti, per definizione, alla intrusione altrui, poiché accessibili ad un numero non predeterminato di altri soggetti, benché selezionati dal titolare dell'ufficio. Di conseguenza, secondo la sentenza in commento, non trattandosi della documentazione di comportamenti non comunicativi, non possono trovare applicazione nel caso in esame i limiti di utilizzabilità delineati dalla “sentenza Prisco” della Sezioni unite (Cass., Sez. unumero, 28 marzo 2006, numero 26795) e dalla conforme giurisprudenza di legittimità. Osservazioni In realtà che l'ufficio privato dell'imputato e la cucina del ristorante da lui gestito sia un luogo aperto al pubblico è piuttosto discutibile giacché la stessa Corte di Cassazione ha considerato l'ufficio privato quale luogo di privata dimora poiché chi ne dispone svolge in esso la sua attività lavorativa, che implica un aspetto dello svolgimento della vita individuale in cui è compreso l'intrattenimento diretto o mediante mezzi di comunicazione con le persone che il titolare ammette ad entrare nella sua sfera privata (Cass., Sez. VI, 13 giugno 2017, Romeo, numero 36874; Cass., Sez. VI, 29 settembre 2003, Giliberti). Piuttosto risulta irrilevante il luogo (ambiente privato o pubblico) in cui la conversazione si svolge perché ciò che rileva è la natura dell'atto investigativo compiuto; e poiché la captazione è avvenuta mediante registrazione da parte di chi partecipava al dialogo, non può trattarsi di intercettazione (che richiede, per definizione, la terzietà del captante) ma di una semplice memorizzazione fonica da parte di chi vi partecipava e quindi ha natura documentale. È granitica la giurisprudenza che afferma, infatti, che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l'autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell'articolo 234 cod. proc. penumero, salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa (Cass., Sez. III, 10 novembre 2023, numero 10079; Cass., Sez. IV, 4 dicembre 2024, numero 3717). La Suprema Corte ribadisce che la conversazione tra presenti, registrata d'iniziativa da uno dei partecipi al colloquio è una prova documentale ed è utilizzabile come tale in dibattimento, e non intercettazione “ambientale” soggetta alla disciplina degli articolo 266 e ss. c.p.p. (Cass., Sez. VI, 31 gennaio 2025, numero 7338). La giurisprudenza afferma che ai fini dell'utilizzabilità della registrazione della conversazione tra presenti è necessario che l'autore della stessa abbia continuativamente partecipato o assistito alla “memorizzazione fonica”, anche se frazionata nel tempo purché alla costante presenza di chi registra (Cass., Sez. II, 22 settembre 2022, numero 35407). Si è però precisato che «tale registrazione costituisce nella sua integralità prova documentale non riconducibile alla nozione di intercettazione se viene accertato che colui che l'ha effettuata in maniera clandestina abbia effettivamente e continuativamente partecipato o assistito alla conversazione registrata. È in altri termini da escludere che possa assumere tale natura la captazione nella parte eseguita mentre il suo autore non è stato presente alla conversazione, perché eventualmente escluso dal luogo in cui la stessa è proseguita in sua assenza e dove, invece, è rimasto in funzione lo strumento di registrazione all'insaputa dei conversanti. È infatti evidente che in tal caso questi ultimi hanno inteso colloquiare in maniera riservata, escludendo soggetti terzi» (Cass., Sez. II, 7 luglio 2022, numero 26234). Di conseguenza, l'eventuale registrazione occulta della conversazione deve intendersi effettuata, dal momento dell'allontanamento del suo autore, da chi era “estraneo” alla medesima ed è quindi riconducibile per tale segmento alla nozione di intercettazione, che, in quanto abusiva, deve ritenersi inutilizzabile.
Presidente Giorgio – Relatore Martino Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Messina ha confermato la condanna di Bo.Gi. per il delitto di cui all'articolo 371, cod, penumero, perché, rendendo giuramento decisorio nel processo civile che lo vedeva contrapposto ad AnumeroMi., aveva falsamente dichiarato di non aver conferito a quest'ultimo un incarico professionale, i cui compensi costituivano l'oggetto di quel giudizio. 2. Avverso tale decisione ricorre l'imputato, con atto del proprio difensore, sulla base di due motivi. 2.1. Il primo consiste nella nullità derivata della sentenza impugnata, per effetto di quella del decreto penale di condanna originariamente emesso e di tutti gli atti conseguenti. Tale decreto, infatti, non sarebbe stato notificato all'imputato, ma solo al suo difensore nel processo civile, erroneamente indicato in quell'atto come difensore di fiducia nel processo penale, tuttavia in assenza di alcun mandato, né potendo essere considerato difensore d'ufficio, in quanto, non essendo iscritto al relativo albo, non avrebbe potuto essere investito di quell'incarico. All'imputato, poi, non sarebbe stato notificato nemmeno il decreto di citazione a giudizio dinanzi al Tribunale, a seguito dell'opposizione a! decreto penale, non avendo, perciò, egli avuto conoscenza del processo e non avendo fino ad allora formalizzato nomina fiduciaria in favore del difensore ritualmente avvisato del giudizio. 2.2. Con il secondo motivo, si denunciano la mancata assunzione di prove decisive e vizi di motivazione. 2.2.1. Non sono stati acquisiti al fascicolo processuale gli atti del procedimento civile presupposto, non potendo perciò ritenersi dimostrate - si deduce -l'esistenza di quest'ultimo, la natura decisoria o suppletoria del giuramento, la falsità delle relative dichiarazioni, né se tale giudizio sia stato definito o meno con sentenza irrevocabile, con la conseguente possibilità per l'imputato di andare esente da pena qualora ritratti, a norma del secondo comma dell'articolo 371, cod. penumero. 2.2.2. Si eccepisce, inoltre, l'inutilizzabilità delle registrazioni effettuate dal AnumeroMi. di alcuni suoi colloqui con l'imputato, che i giudici di merito hanno ritenuto confermativi delle accuse. Si tratterebbe, infatti, di registrazioni clandestine, effettuate all'interno di luoghi di privata dimora (l'ufficio e la cucina del ristorante dell'imputato) e, quindi, in violazione dell'articolo 615-bis, cod. penumero, oltre che dell'articolo 13, Cost.; non pertinente, poi, sarebbe il riferimento a quanto stabilito dalle Sezioni unite di questa Corte con sentenza numero 36747 del 2003, operato dai giudici di merito per disattendere la relativa eccezione difensiva, trattandosi di decisione relativa a registrazioni effettuate dalla polizia giudiziaria. 3. Ha depositato la propria requisitoria la Procura generale, chiedendo di rigettare il ricorso. Considerato in diritto 1. Entrambi i motivi di ricorso non possono essere ammessi. 2. Il primo è puramente reiterativo dell'eccezione già rassegnata dall'imputato con i motivi d'appello e, comunque, manifestamente infondato. 2.1. Come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, l'eventuale invalidità della notificazione all'imputato del decreto penale di condanna deve intendersi sanata dalla relativa opposizione per lui presentata dal suo difensore, da ciò dovendo dedursi, quanto meno, l'assenza di un suo interesse alla rilevazione del vizio. Semmai proposta per iniziativa esclusiva di un difensore privo di mandato, infatti, l'opposizione sarebbe stata inesistente e l'imputato avrebbe dovuto rivolgersi al giudice dell'esecuzione per far dichiarare l'irrevocabilità del decreto penale. 2.2. Quanto, poi, all'asserita mancanza di nomina in favore del difensore opponente, si deve rilevare che il conferimento dell'incarico al difensore da parte dell'indagato o dell'imputato costituisce un negozio a forma libera, sicché può essere desunto da fatti o da comportamenti univoci e concludenti dell'interessato atti a far ritenere la sussistenza del rapporto fiduciario (Sez. 1, numero 36527 del 26/06/2024, Petrazzi, Rv. 287331): e, nello specifico, la circostanza per cui l'avvocato che ha proposto l'opposizione fosse, già prima, il difensore dei Bo.Gi. nel giudizio civile in cui egli aveva reso il giuramento e, successivamente, sia stato da lui nominato pure nel processo penale conseguente all'opposizione, costituisce indiscutibilmente comportamento univocamente sintomatico di un mandato difensivo fiduciario conferito, seppur senza particolari formalità, anche per la presentazione di quell'atto. In ogni caso, pur in assenza, cioè, di una nomina fiduciaria, quella effettuata d'ufficio con il decreto penale poi opposto sarebbe stata valida ed efficace, benché l'avvocato designato non fosse iscritto agli albi dei difensori d'ufficio, non prevedendo la legge di rito, per tale ipotesi, alcuna sanzione processuale. 2.3. Da ultimo, per quel che riguarda la notificazione all'imputato del decreto di citazione a giudizio, la stessa è stata ritualmente effettuata: la sentenza impugnata lo afferma espressamente e ne dà gli estremi, mentre il ricorso semplicemente ripropone l'eccezione, senza nulla obiettare. 3. Analoghi limiti presenta pure il secondo motivo di ricorso, in relazione alle due doglianze con esso proposte. 3.1. La prima, con cui s'intendono revocare in dubbio vari aspetti del processo civile presupposto, consta di pure asserzioni, relative a circostanze della cui esistenza, o inesistenza, la difesa avrebbe potuto dar conto in modo estremamente agevole, così neutralizzando le univoche e concludenti prove a carico. Peraltro, che il giuramento deferito al Bo.Gi. avesse natura decisoria, lo dice espressamente la sentenza di primo grado (pag. 3): ed il ricorrente si limita ad esprimere perplessità sul punto, quando invece, se di giuramento suppletorio e non decisorio si fosse trattato, gli sarebbe stato sufficiente produrre il relativo verbale del processo civile, certamente nella disponibilità sua e del suo difensore o, comunque, da essi agevolmente recuperabile. 3.2. La seconda censura, in tema d'inutilizzabilità delle registrazioni compiute dalla persona offesa, è manifestamente infondata. La sentenza (Omissis) delle Sezioni unite di questa Corte (numero 36747 del 28 maggio 2003, Rv. 225465, 225466), là dove afferma che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile alla nozione di intercettazione, quantunque eseguita clandestinamente, ma costituisce prova documentale secondo la disciplina dell'articolo 234, cod. proc. penumero, enuncia un principio di ordine generale, non limitato alle captazioni così eseguite da operatori di polizia giudiziaria in corso d'indagini. Nello specifico, poi, la circostanza per cui i colloqui registrati da AnumeroMi. sarebbero avvenuti nell'ufficio dell'imputato e nella cucina del ristorante da lui gestito è una pura asserzione difensiva; e, comunque, in quanto entrambi ambienti destinati all'esercizio di attività lavorativa da parte di una pluralità di persone, essi costituiscono luoghi aperti al pubblico, in ragione della possibilità pratica e giuridica di accedervi per un numero non predeterminato di soggetti, benché selezionati dal titolare dell'ufficio, il quale non è investito di un incondizionato ius excludendi (Sez 6, numero 11345 del 02/02/2023, Calabro, Rv. 284470). Di conseguenza, ed altresì perché non si tratta della documentazione di comportamenti non comunicativi, non possono trovare applicazione nel caso in esame i limiti di utilizzabilità delineati dalla sentenza Prisco della Sezioni unite di questa Corte (numero 26795 del 28 marzo 2006, Rv. 234267) e dalla conforme giurisprudenza di legittimità successiva richiamata in ricorso. 4. L'inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente - ai sensi dell'articolo 616, cod proc. penumero - la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. numero 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.