La Cassazione torna ad affrontare il tema del nesso causale fra l’esposizione dei lavoratori alle fibre di amianto e l’insorgenza di due patologie polmonari: il mesotelioma e il carcinoma. Solo per il primo il nesso causale viene riconosciuto, mentre per il carcinoma non può affermarsi che la causa sia l’amianto in soggetti dediti al fumo di sigaretta.
La vicenda In uno stabilimento si utilizzano polveri di amianto senza alcuna protezione per i lavoratori. Alcuni di essi pendono la vita a causa di malattie polmonari: il mesotelioma, per alcuni, il carcinoma, per altri. Vengono rinviati a giudizio i direttori dello stabilimento degli ultimi 13 anni. Il tribunale pronuncia sentenza di condanna per omicidio colposo, ma la Corte di appello ribalta la decisione mandando assolti gli imputati. L'intervento della Corte di Cassazione Il Procuratore generale e le parti civili ricorrono alla Corte di cassazione, la quale cassa parzialmente la sentenza della corte territoriale che non soddisfa all'onere della motivazione rafforzata, necessaria laddove il secondo giudice sconfessi una condanna pronunciata in primo grado. Per quanto riguarda segnatamente il nesso causale fra l'esposizione all'amianto e la morte dei lavoratori, la Corte arriva a conclusioni diverse a seconda che il decesso sia stato causato da mesotelioma o da carcinoma. Il nesso causale rispetto al mesotelioma L'insorgenza del mesotelioma come effetto dell'esposizione all'amianto è scientificamente accertata. In proposito, la sentenza in commento applica la così detta teoria “multistadio” secondo la quale ai fini dello sviluppo della malattia non rileva solo l'esposizione iniziale. Questo perché il processo di sviluppo della malattia si articola in una fase iniziale di induzione e in una successiva fase di latenza (che può durare anche decenni), in cui la malattia è ormai irreversibilmente contratta, ma ancora non si manifesta. Tuttavia, ad una continua esposizione alle polveri di amianto corrisponde una accelerazione del manifestarsi della malattia con riduzione del periodo di latenza. Questo significa che, anche qualora non sia possibile accertare in modo sicuro il momento dell'induzione, cioè il momento di inizio del processo morboso, è possibile individuare il periodo della latenza cioè della fase in cui il processo è ormai innescato, ma la malattia non presenta sintomi. Durante questo periodo una ulteriore esposizione alle polveri di amianto ha l'effetto di accorciare il periodo di latenza e innescare i sintomi: si tratta del così detto “effetto accelleratore”. Per questa ragione, la Corte d'appello avrebbe dovuto approfondire le peculiarità di ciascun decesso per verificare se, nel caso concreto, non possa ravvisarsi un “effetto acceleratore” nella condotta tenuta dai due imputati. Questi, infatti, non avevano preso alcuna precauzione per evitare una pesante esposizione alle polveri di amianto dei lavoratori nei quali l'indizione della malattia poteva già essersi verificata prima che gli imputati assumessero una posizione di garanzia. Tuttavia, la condotta degli imputati poteva avere accelerato il concreto manifestarsi della patologia e, quindi, la morte. Il nesso causale rispetto al carcinoma polmonare Ad esito diverso la suprema Corte giunge, invece, con riguardo al carcinoma polmonare che aveva portato al decesso di altri lavoratori. Infatti, a differenza del mesotelioma, il tumore polmonare ha eziologia multifattoriale. Per tanto, rispetto ad ogni singolo lavoratore colpito della patologia è necessario svolgere un approfondimento valutativo di cui la Corte di appello si era fatta adeguatamente carico. Era stato così accertato che tutti i lavoratori deceduti per tumore polmonare avevano fatto un uso quotidiano e massiccio di sigarette per moltissimi anni, uno di essi fin dalla prima adolescenza ed erano affetti da bronchite cronica. Questa circostanza aveva portato la Corte territoriale all'applicazione – ritenuta corretta dalla suprema Corte – della così detta “regola dell'esclusione” contenuta nell'articolo 41 comma 2 c.p.: la causa sopravvenuta, cioè l'esposizione all'amianto, poteva escludere il nesso di causalità rispetto al tabagismo solo a condizione di essere sola e sufficiente a determinare l'evento. In altre parole, la malattia tumorale può essere attribuita alla causa indiziata (nel caso concreto l'amianto), solo se interrompe il nesso causale rispetto ad altro antefatto (il tabagismo). In conclusione – secondo la sentenza in esame – non è possibile affermare che l'esposizione all'amianto sia stata concausa di una patologia innescata dall'esposizione massiccia e prolungata al fumo di sigaretta. I diversi approdi della giurisprudenza civile Da segnalare che ad esiti diversi sono arrivate alcune pronunce della Corte di cassazione civile (per tutte Cass. civ. 27572/2024) che hanno riconosciuto l'efficacia concausale dell'esposizione alle fibre di amianto nell'insorgere della malattia tumorale di alcuni lavoratori tabagisti. I giudici civili hanno fatto applicazione del principio di equivalenza delle cause – sancito dal comma 1° dell'articolo 41 c.p. – che presume che tutte le concause abbiano avuto efficienza nella realizzazione dell'evento, a meno che non sia possibile individuarne una, da sola idonea a realizzare il fatto. Secondo i giudici, civili tabacco e amianto insieme avevano portato alla malattia e al decesso, senza che potesse essere individuata una causa da sola sufficiente. La presenza di una concausa aveva, però, portato ad una riduzione del risarcimento dovuto ai familiari superstiti.
Presidente Bellini - Relatore D'Andrea Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 27 giugno 2023 la Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 29 ottobre 2018, ha - per quanto di specifico interesse in questa sede - assolto: Co.Gi. dai reati a lui ascritti ai capi 7) e 10) del decreto che dispone il giudizio reso in data 8 marzo 2012 nel procedimento numero 5430/2007 R.G.N.R., nonché al capo 6) del decreto che dispone il giudizio reso in data 19 maggio 2011 nel procedimento numero 9202/2009 R.G.N.R. perché il fatto non sussiste; Co.Gi. dai reati a lui ascritti al capo 8) del decreto che dispone il giudizio reso in data 8 marzo 2012 nel procedimento numero 5430/2007 R.G.N.R., nonché al capo 3) del decreto che dispone il giudizio reso in data 19 maggio 2011 nel procedimento numero 9202/2009 R.G.N.R. per non avere commesso il fatto; Ci.Anumero dal reato a lui ascritto al capo 8) del decreto che dispone il giudizio reso in data 8 marzo 2012 nel procedimento numero 5430/2007 R.G.N.R. per non avere commesso il fatto, nonché dal reato a lui ascritto al capo 6) del decreto che dispone il giudizio reso in data 19 maggio 2011 nel procedimento numero 9202/2009 R.G.N.R. perché il fatto non sussiste. Per l'effetto, la Corte territoriale ha revocato tutte le relative statuizioni civili pronunciate a carico degli imputati Co.Gi. e Ci.Anumero A questi ultimi erano stati ascritti, nella qualità di Direttore pro-tempore dello Stabilimento di Palermo della Fincantieri - Cantieri Navali Italiani - Spa (già Cantieri Navali Riuniti del Tirreno e Cantieri Navali Riuniti), ricoperto da Co.Gi. dal 15 ottobre 1984 al 30 novembre 1988 e da Ci.Anumero dal 1° dicembre 1988 al 31 maggio 1997, diversi delitti di omicidio colposo e di lesioni personali gravissime commessi in danno di lavoratori dipendenti della suddetta società, quale conseguenza di malattie determinate dalla prolungata esposizione all'amianto. 2. Nel giudizio di primo grado i due imputati erano stati condannati per le suddette fattispecie criminose. Il primo giudice aveva ritenuto comprovato come i decessi e le gravissime lesioni subite da parte delle persone offese fossero state la diretta conseguenza di prolungate esposizioni dei lavoratori ad agenti patogeni, ed in particolare alle fibre e alle polveri dell'amianto, utilizzate per i lavori di costruzione e riparazione di navi. Plurimi elementi di riscontro, ivi compresi gli accertamenti operati nell'ambito di precedenti giudizi definitivi, avevano consentito di accertare come le condizioni lavorative presso la Fincantieri di Palermo fossero state lungamente inadeguate, costringendo i lavoratori (e soprattutto le categorie a maggior rischio dei carpentieri, dei saldatori e dei tubisti), tra loro operanti in modo promiscuo, a espletare le loro mansioni in ambienti angusti e scarsamente areati, a stretto contatto con le fibre di amianto disperse nell'ambiente, senza la dotazione di idonei presidi di protezione e sicurezza, ovvero la predisposizione di adeguate procedure di salvaguardia. Tale modus operandi era stato seguito nello stabilimento di Palermo fino all'anno 1985 per i processi di costruzione delle navi, nonché, per le opere di relativa trasformazione e riparazione, almeno fino al 1996. Per il Tribunale, inoltre, era da considerarsi ben nota, all'epoca dei fatti, l'esistenza del c.d. rischio amianto , e cioè l'elevata pericolosità per la salute dell'uomo derivante dall'utilizzo di tale materiale. Ciò posto, il primo giudice aveva, quindi, osservato, in punto di causalità generale, come, ritenuta l'indubbia capacità patogenetica dell'amianto, fosse da ritenersi scientificamente provata, in quanto confermata da adeguate leggi di copertura, l'esistenza di una relazione eziologica tra l'esposizione dell'uomo all'asbesto e la causazione del mesotelioma pleurico (c.d. teoria multistadio ), con convergenza sul fatto che nella fase di induzione ogni esposizione avesse un effetto causale concorrente, nel senso che il rischio di insorgenza risulta proporzionale al tempo e all'intensità dell'esposizione, e che le esposizioni successive incidono anticipando l'insorgenza della malattia, con abbreviazione del tempo di latenza. In tali termini, quindi, era stata ritenuta certamente provata la rilevanza causale delle esposizioni all'amianto rispetto alla contrazione del mesotelioma pleurico da parte dei lavoratori della Fincantieri di Palermo, persone offese nei delitti contestati ai prevenuti. Con riferimento, invece, al carcinoma polmonare, il Tribunale aveva evidenziato la diversa natura di tale patologia, in quanto connotata da eziologia multifattoriale, senza che vi fosse la ricorrenza di dati accettati universalmente nella comunità scientifica in ordine alla patogenesi e ai meccanismi di sviluppo della malattia. In ogni modo, facendo richiamo alla tematica dei c.d. decorsi causali alternativi, il primo giudice aveva ritenuto, anche in ragione del rapporto sinergico esistente tra il carcinoma da asbestosi e il fumo di sigaretta, come i soggetti che avevano lavorato per un apprezzabile periodo di tempo presso lo stabilimento della Fincantieri di Palermo fossero stati significativamente esposti all'azione patogenica delle fibre di amianto, con incidenza eziologica decisiva - sia pur da valutarsi caso per caso - ai fini della verificazione dei conseguenti decessi. Ne è, pertanto, conseguito - rispetto ai casi di interesse in questa sede - il riconoscimento della penale responsabilità dei prevenuti, affermata dal Tribunale all'esito della valutazione della patologia, della diagnosi, della diagnostica applicata e del periodo di esposizione di ogni singolo lavoratore presso i cantieri navali di Palermo, con correlata valutazione della concorrenza o meno di fattori di rischio alternativi, quali in particolare il fumo. 3. La Corte di appello di Palermo ha, come detto, ribaltato tale giudizio condannatorio, assolvendo Co.Gi. e Ci.Anumero dai reati loro ascritti. Ricostruito l'iter processuale e dato atto delle singole doglianze eccepite da parte degli appellanti, la Corte territoriale ha rappresentato i più significativi approdi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di rapporto di causalità tra esposizione ad amianto e morte dei lavoratori, conseguentemente ritenendo di non poter condividere il ragionamento svolto dal primo giudice in quanto fondato su elementi scientificamente e probatoriamente controversi, insufficienti a configurare la penale responsabilità degli imputati. E infatti, con riguardo all'intensità e alla durata nel tempo dell'esposizione all'asbesto negli stabilimenti della Fincantieri di Palermo, è risultato comprovato come il parametro di valutazione dell'esistenza del rischio di esposizione all'amianto (100 fibre/litro per otto ore lavorativo) fosse stato superato solo fino all'anno 1981, come accertato dal primo e dal secondo parere tecnico redatto nel 1996 dall'INAIL-CONTARP, e come ribadito dalla dott.ssa Be.Da. sia in sede di esame testimoniale che nella relazione tecnica predisposta nel 1997 dalla Direzione Generale dell'INAIL. Tale dato ha, pertanto, indotto la Corte di appello a escludere la responsabilità dei due prevenuti, sul presupposto di avere ricoperto le rispettive posizioni di garanzia solo in epoca successiva all'anno 1981. Sotto altro profilo, quindi, il giudice di secondo grado ha rilevato, quale ulteriore criticità presente nella sentenza impugnata, la sussistenza di talune incertezze in ordine ai criteri di accertamento del nesso causale relativamente ai casi di decesso per carcinoma polmonare o per mesotelioma pleurico. Con riferimento alla patologia tumorale, infatti, non esisterebbe alcuna idonea legge di copertura scientifica volta a spiegare l'incidenza del consumo di tabacco rispetto all'insorgere della malattia neoplastica, atteso che, pur riconoscendosi un rilievo certo alla c.d. sinergia moltiplicativa che il fumo provoca nei soggetti già esposti alla polvere di amianto, il carcinoma, in quanto patologia multifattoriale, può trarre origine da varie e differenti cause - rispetto alle quali il tabagismo rappresenta il più importante fattore di rischio -. In tal maniera, quindi, l'origine eziologica del tumore deve essere accertata attraverso una verifica compiuta, idonea a stabilire l'inesistenza di decorsi causali alternativi, diversi dall'amianto. Sulla scorta di tale indicazione, allora, e della circostanza che il rischio amianto era durato presso la Fincantieri di Palermo solo fino al 1981, la Corte di merito ha escluso ogni responsabilità a carico dei due imputati in ordine alla verificazione dei decessi di lavoratori affetti da carcinoma polmonare, in particolar modo considerato come, trattandosi di soggetti fumatori, non vi fosse la possibilità di escludere, rispetto ad essi, l'intervento di fattori causali alternativi e autonomi (quale, per l'appunto, il tabagismo), diversi dall'asbesto. Con riferimento, poi, al mesotelioma pleurico, la Corte di appello ha osservato, in termini generali, come non troverebbe pieno consenso nella comunità scientifica internazionale l'affermazione per cui all'aumento di assunzione dell'asbesto corrisponderebbe un'abbreviazione del periodo di latenza, con conseguente assenza di una legge scientifica generale di copertura circa l'esistenza del c.d. effetto acceleratore , e dunque in ordine alla rilevanza causale della protrazione dell'esposizione all'amianto dopo l'iniziazione del processo carcinogenetico. L'indicato aspetto, unitamente alla circostanza per cui non vi sarebbe stata alcuna sovrapposizione integrale o quasi integrale tra la durata dell'attività lavorativa e quella della posizione di garanzia ricoperta dai due imputati, ha, infine, indotto il secondo giudice a escludere ogni responsabilità da parte di questi ultimi in ordine all'integrazione dei delitti commessi in danno di persone offese affette da mesotelioma pleurico. 3. Avverso la sentenza della Corte territoriale hanno proposto ricorso per cassazione, con due differenti atti, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo nonché, a mezzo del suo difensore, la parte civile Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), in persona del suo Commissario pro tempore. 3.1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione nei soli confronti dell'imputato Co.Gi., eccependo due motivi di ricorso. Con il primo ha dedotto difetto di motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso che il periodo in cui il Co.Gi. aveva ricoperto la posizione di garanzia non fosse coinciso con quello di esposizione delle persone offese alle fibre di amianto. Avrebbe, in particolare, errato la Corte di merito per avere omesso di considerare le diverse risultanze processuali attestanti la presenza di amianto all'interno dello stabilimento della Fincantieri di Palermo almeno fino al 1986. Sarebbe evidente, infatti, il travisamento operato da parte del secondo giudice che, soprattutto nel valutare la seconda relazione INAIL-CONTARP del 18 dicembre 1996, avrebbe omesso di considerare la specifica parte argomentativa in cui era stato dato conto di come presso il cantiere navale, quantomeno fino al 1986, fossero state effettuate con l'amianto operazioni di riparazione e di trasformazione in aree strutturali interne alle navi. Tali operazioni, svolte con un'ingiustificata commistione dei lavoratori, anche dipendenti da ditte esterne, avrebbero determinato un nocivo inquinamento ambientale, idoneo a provocare una diretta o indiretta esposizione dei lavoratori alle fibre di amianto. Con la seconda censura il ricorrente ha eccepito difetto di motivazione nella parte in cui la Corte di appello, nell'esaminare la posizione delle singole persone offese, ha escluso il riconoscimento della penale responsabilità del Co.Gi., ritenendo insussistente un nesso di causalità tra la condotta a lui riferibile e la verificazione degli eventi per cui è giudizio. Tenuto conto della natura monocausale del mesotelioma pleurico, per cui tutte le esposizioni alle fibre di amianto assumono effetto concausale rispetto allo sviluppo della malattia, e del riconoscimento nella comunità scientifica del c.d. effetto acceleratore , per cui la protrazione dell'esposizione all'amianto acquisisce sicuro rilievo eziologico dopo l'iniziazione del processo carcinogenetico, risulterebbe certamente provata la sussistenza di un nesso causale tra le omissioni riferibili all'imputato e i decessi dei lavoratori determinati da mesotelioma pleurico. Allo stesso modo, la Corte territoriale avrebbe errato nell'aver genericamente riferito l'insorgenza causale dei tumori polmonari al vizio delle persone offese per il fumo, non avendo, in particolare, effettuato alcuno specifico accertamento concreto volto a dimostrare le ragioni di ricorrenza del nesso eziologico tra la malattia e il tabagismo, senza l'interferenza di decorsi causali alternativi. 3.2. Il difensore della parte civile Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), in persona del suo Commissario pro tempore, ha dedotto in seno al suo ricorso tre motivi di doglianza. Con il primo ha eccepito mancanza e illogicità della motivazione, oltre a travisamento della prova, nella parte in cui la sentenza impugnata, revocando le statuizioni civili in precedenza poste a carico degli imputati e del responsabile civile, ha fondato la propria decisione assolutoria sul contenuto degli accertamenti presenti nelle relazioni dell'INAIL-CONTARP dell'll novembre 1996 e del 18 dicembre 1996, nella relazione della Direzione Generale dell'INAIL del 22 gennaio 1997, nonché nella deposizione testimoniale resa dalla dott.ssa Be.Da. all'udienza del 14 febbraio 2013, che avrebbero tutte comprovato come la cessazione del c.d. rischio amianto presso lo stabilimento della Fincantieri di Palermo fosse già intervenuta nell'anno 1981. In termini contrari, invece, la parte civile ricorrente ha rilevato come un'attenta lettura delle medesime risultanze istruttorie, unitamente ad altre evidenze probatorie, comproverebbe che l'utilizzo di amianto presso i cantieri navali della Fincantieri si sarebbe interrotto solo diversi anni dopo il 1981. In proposito, infatti, è stato particolarmente evidenziato come: nella deposizione testimoniale resa dalla dott.ssa Be.Da. non fosse stato fatto riferimento alcuno ai tempi di esposizione dei lavoratori all'amianto; nella relazione dell'INAIL-CONTARP dell'11 novembre 1996 fosse stato debitamente precisato come l'indicato parere potesse essere rivisitato alla stregua delle risultanze di altra documentazione richiesta alla Fincantieri; nella relazione dell'INAIL-CONTARP del 18 dicembre 1996 fosse stato espressamente chiarito, subito dopo il periodo valorizzato dalla Corte di merito per limitare la presenza del c.d. rischio amianto solo fino al 1981, come l'utilizzo di tale materiale - per quanto emerso da ulteriori elementi acquisiti (nuova relazione ispettiva del Geom. Ra. e testimonianza resa dallo stesso Ispettore Ra. in altro procedimento acquisito agli atti) - fosse proseguito anche in epoca successiva, per essere stato utilizzato almeno fino al 1986 nelle attività di coibentazione e scoibentazione delle navi, nonché nelle opere di trasformazione e riparazione di esse; nella relazione della Direzione Generale dell'INAIL del 22 gennaio 1997, redatta dalla dott.ssa Be.Da. e dall'ing. Ve.Ub., fosse stato chiarito come nel quadriennio 1982-1986 l'amianto fosse stato presente nel cantiere navale di Palermo, soprattutto nella coibentazione di bastimenti in corso di trasformazione o di riparazione, nonché persino in alcune fasi di costruzione delle navi; negli anni di interesse vi fosse stata una dispersione di fibre di amianto corrispondente a valori altissimi di inquinamento; nella ricostruzione della vicenda, e nella determinazione del periodo di c.d. rischio amianto nella Fincantieri, assumerebbe decisivo rilievo quanto accertato nella sentenza della Corte di Cassazione numero 11128/2015, per la quale l'amianto era stato presente presso lo stabilimento di Palermo sino agli anni 1991-1992; l'atto di indirizzo redatto dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 20 aprile 2000 avesse indicato nell'anno 1990 la fine dell'esposizione all'amianto di soggetti svolgenti attività lavorativa a bordo delle navi; fosse risultato documentalmente provato che negli anni compresi tra il 1980 e il 1996 fossero state riparate presso lo stabilimento della Fincantieri 1.644 navi. La sentenza impugnata, dunque, non avrebbe adeguatamente tenuto conto di tale cospicua mole di prove, effettuandone una lettura del tutto limitata e parziale, così giungendo a ribaltare la decisione di primo grado in virtù di un percorso logico argomentativo inesatto e incongruo, frutto di un travisamento per omissione delle risultanze istruttorie presenti in atti. Con la seconda censura la parte civile ricorrente ha dedotto mancanza e illogicità della motivazione, oltre a travisamento della prova, nella parte in cui la sentenza impugnata ha revocato le statuizioni civili, in precedenza disposte, correlate alle morti per mesotelioma pleurico dei lavoratori Da.Ca. e Ca.Gi. Sarebbe, in particolare, contraddittoria la sentenza impugnata per avere aderito alla teoria multistadio della cancerogenosi, applicata al mesotelioma, per poi escludere ogni valenza alla teoria del c.d. effetto acceleratore , erroneamente ritenendo che la stessa non fosse suffragata da una legge scientifica di copertura. L'indicata affermazione rivelerebbe un palese travisamento di prova scientifica, essendo oggi riconosciuto dalla comunità internazionale - in particolare a seguito delle risultanze emerse nella Terza Consensus Conference di Bari del 2015, confermativa della precedente di Torino del 2011 - la sussistenza di una diretta relazione tra la maggiore esposizione all'amianto e l'aumento del rischio di insorgenza del mesotelioma, con significativo rilievo causale di tutte le esposizioni intervenute successivamente alla prima. Con riferimento, poi, alle morti del Da.Ca. e del Ca.Gi. la Corte di merito avrebbe omesso di specificare la valutazione della durata del periodo di induzione della malattia, limitandosi unicamente a operare un generico e assertivo riferimento all'assenza di sovrapposizione integrale o quasi integrale tra la durata dell'attività lavorativa e la durata della posizione di garanzia ricoperta dai due imputati. Con la terza doglianza, infine, il ricorrente ha lamentato mancanza e illogicità della motivazione, oltre a travisamento della prova, nella parte in cui è stata disposta la revoca delle statuizioni civili, in precedenza riconosciute, con riferimento ai decessi per carcinoma polmonare dei lavoratori Tr.Vi., Mo.Gi. e Lo.Sa. Anche in questo caso la Corte territoriale avrebbe errato nell'escludere che vi fossero leggi di copertura condivise dalla comunità scientifica confermative dell'esistenza del c.d. effetto sinergico moltiplicativo tra il fumo di sigaretta e l'esposizione alle polveri di amianto. Vari lavori scientifici (in particolare gli studi epidemiologici di Saracci del 1977 e del 1981, nonché di Hammond EC del 1979), oggi univocamente accettati nella comunità scientifica, comproverebbero la certa esistenza della suddetta relazione, oltre alla circostanza per cui il fumo non potrebbe mai costituire, nei soggetti esposti all'amianto, una causa alternativa ed esclusiva di causazione del tumore polmonare. In ogni modo, una compiuta applicazione del principio di equivalenza delle condizioni causali, previsto dall'articolo 41 cod. penumero, porterebbe, comunque, a ritenere la ricorrenza di un nesso eziologico tra l'esposizione dei lavoratori all'amianto e la verificazione del loro decesso per carcinoma polmonare, con conseguente riconoscimento della correlata responsabilità a carico degli odierni imputati. 4. Il difensore delle costituite parti civili Federazione Impiegati e Operai Metallurgici Palermo, FIOM PALERMO, struttura della C.G.I.L., e LEGAMBIENTE COMITATO REGIONALE SICILIANO, ha depositato memoria scritta, aderendo nei contenuti ai ricorsi per cassazione proposti nei confronti di Co.Gi. e Ci.Anumero, dei quali ha chiesto l'accoglimento, con conseguente annullamento della sentenza impugnata. Ripercorrendo argomentazioni già rese nei motivi espressi nelle suddette impugnazioni, il difensore delle parti civili ha evidenziato come plurime evidenze probatorie - ivi dettagliatamente elencate e rappresentate - palesemente travisate da parte del secondo giudice, avrebbero dimostrato come l'esposizione dei lavoratori della Fincantieri all'amianto fosse cessata solo agli inizi degli anni novanta. I giudici di appello non si sarebbero confrontati, dunque, con tali fonti istruttorie, limitandosi a sovvertire l'esito del giudizio di primo grado senza esprimere una motivazione rafforzata, come invece richiesto dalla più autorevole giurisprudenza di legittimità. Sotto altro profilo, poi, la Corte di merito avrebbe errato nel non aver ritenuto la ricorrenza del nesso causale tra l'esposizione dei lavoratori della Fincantieri all'amianto e il loro decesso determinato da mesotelioma pleurico o carcinoma polmonare, essendo suffragate da leggi di copertura, condivise dalla comunità scientifica internazionale, sia la teoria del c.d. effetto acceleratore che quella relativa all'effetto sinergico moltiplicativo sussistente tra il carcinoma da asbestosi e il fumo di sigaretta. 5. I difensori degli imputati hanno depositato due memorie difensive di rilievo ai sensi dell'articolo 121 cod. proc. penumero, l'una nell'interesse del solo Co.Gi. e l'altra a difesa di entrambi gli imputati, con cui hanno chiesto, con argomentazioni sostanzialmente coincidenti, la declaratoria di inammissibilità sia del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo che di quello proposto dalla parte civile Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL). I suddetti ricorsi sarebbero, in primo luogo, inammissibili considerato che, pur diffusamente lamentando l'esistenza di un presunto vizio motivazionale per omessa considerazione di risultanze processuali, in realtà esprimerebbero contestazioni in punto di fatto - con modalità quindi non consentita nella presente sede di legittimità - rispetto alle corrette conclusioni con cui la Corte territoriale ha individuato nel 1981 l'anno di fine dell'esposizione dei lavoratori della Fincantieri alle fibre di amianto. Sarebbero, poi, ugualmente inammissibili anche gli ulteriori motivi di doglianza dedotti, avendo la Corte territoriale adeguatamente rappresentato, sulla scorta delle risultanze espresse dalle leggi scientifiche di copertura condivise dalla comunità scientifica internazionale, come, rispetto al caso di specie, non vi fosse la possibilità di individuare alcun nesso eziologico tra l'esposizione delle persone offese all'amianto e l'insorgenza delle patologie (mesotelioma pleurico e carcinoma polmonare) che ne avevano cagionato il decesso. Considerato in diritto 1. I proposti ricorsi sono parzialmente fondati, dovendo essere disposto, in relativo accoglimento, l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente ai delitti di omicidio colposo inerenti ai decessi per mesotelioma pleurico dei lavoratori Da.Ca. e Ca.Gi. - capo 8) del decreto che dispone il giudizio reso in data 8 marzo 2012 nel procedimento penale numero 5430/2007 R.G.N.R. (Co.Gi. e Ci.Anumero) e capo 3) del decreto che dispone il giudizio reso in data 19 maggio 2011 nel procedimento penale numero 9202/2009 (Co.Gi.) - con conseguente rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo. I ricorsi devono, invece, essere rigettati con riguardo alle doglianze eccepite con riferimento alla disposta assoluzione degli imputati per le ipotesi di omicidio colposo correlate alle morti per carcinoma polmonare di Tr.Vi., Mo.Gi. e Lo.Sa. - capi 7) e 10) del decreto che dispone il giudizio reso in data 8 marzo 2012 nel procedimento numero 5430/2007 R.G.N.R. (Co.Gi.) e capo 6) del decreto che dispone il giudizio reso in data 19 maggio 2011 nel procedimento numero 9202/2009 R.G.N.R. (Co.Gi. e Ci.Anumero) -. 2. In primo luogo fondata è l'introduttiva doglianza, dedotta, in maniera sostanzialmente coincidente, sia da parte del Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo che dalla parte civile INAIL, dovendo essere ravvisato nel provvedimento impugnato il lamentato vizio di travisamento probatorio e l'eccepita carenza logico-motivazionale in ordine all'individuazione dell'esatto momento in cui è cessato l'utilizzo dell'amianto all'interno dello stabilimento della Fincantieri di Palermo. 2.1. A tale proposito assume, in particolare, rilievo il principio, già da tempo affermato da questa Corte di legittimità - con perfetta aderenza al caso di specie - per cui il ribaltamento in senso assolutorio del giudizio di condanna operato dal giudice di appello, pur senza rinnovazione della istruzione dibattimentale, è perfettamente in linea con la presunzione di innocenza, presidiata dai criteri di giudizio di cui all'articolo 533 cod. proc. penumero Nel caso in cui, tuttavia, per diversità di apprezzamenti, per l'apporto critico delle parti o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, non può risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado - genericamente richiamata - delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. U, numero 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191235-01), in modo da fornire puntuali ed esaustive risposte alle censure dedotte con i motivi di appello (se specifici e pertinenti). Tali principi sono stati ulteriormente approfonditi, essendosi, in particolare, precisato che, in caso di totale riforma della decisione di primo grado, il giudice di appello ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, numero 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679-01), mettendo in luce carenze e aporie di quella decisione sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del decisum impugnato (Sez. 2, numero 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327-01), dando, pertanto, alla decisione una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. 6, numero 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Ricotta, Rv. 258005-01, sez. U numero 14800 del 21/12/2017, Troise, Rv 272430. Si è, quindi, cristallizzato un principio interpretativo in merito all'obbligo di motivazione, affermandosi che il giudice di appello, in caso di riforma, in senso assolutorio, della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, non è obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, ma è tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte (così da ultimo, tra le numerose pronunce in tal senso: Sez. 4, numero 24439 del 16/06/2021, Frigerio, Rv. 281404-01; Sez. 4, numero 4222 del 20/12/2016, dep. 2017, Mangano, Rv. 268948-01). 2.2. Orbene, applicando gli indicati principi al caso di specie, il Collegio rileva come la Corte territoriale, nel ribaltare in senso assolutorio la precedente pronuncia di condanna, non abbia adempiuto agli specifici oneri di motivazione rafforzata cui era tenuta, ma abbia, in senso opposto, operato una valutazione solo parcellizzata della sentenza di primo grado e del materiale probatorio acquisito, invero esaminato in maniera insufficiente e incompleta, cosi da pervenire all'adozione di una motivazione non adeguatamente esaustiva e congrua. Il primo giudice aveva ritenuto comprovata la connessione eziologica tra i decessi delle persone offese e la loro prolungata esposizione alle fibre e polveri dell'amianto - di certo utilizzate per i lavori di costruzione e riparazione di navi presso la Fincantieri di Palermo - in particolar modo evidenziando come l'utilizzo dell'amianto si fosse prolungato presso lo stabilimento palermitano fino all'anno 1985 per i processi di costruzione delle navi, nonché, per le opere di relativa trasformazione e riparazione, almeno in parte fino al 1996 - essendo risultato comunque certo l'uso, fino al 1988, di amianto applicato a spruzzo - per come emerso dall'analitico esame delle commesse relative alle navi e dei documenti inerenti agli interventi tecnici acquisiti presso il R.I.N.A. I giudici di primo grado hanno, in particolare, evinto gli indicati aspetti dal contenuto delle dichiarazioni rese dalla dott.ssa Be.Da. in sede di escussione testimoniale, peraltro evidenziando come la stessa avesse avuto una particolare conoscenza del fenomeno, per essersi occupata fin dal 1984 dell'accertamento del c.d. rischio lavorativo e, in particolare, del rischio legato all'inalazione delle polveri minerali e soprattutto di amianto, anche redigendo, unitamente all'Ing. Da. e al dott. Di.Ch., una prima consulenza contenente la mappatura storica del rischio amianto presso la Fincantieri di Palermo, con successivi aggiornamenti effettuati fino al 1997, sulla base della documentazione fornita dal datore di lavoro, delle informazioni acquisite dai lavoratori con diverse mansioni all'interno dell'azienda, dei dati e dei documenti acquisiti presso il R.I.N.A. (Registro Italiano Navale) e della documentazione medica acquisita presso le A.U.S.L. . In termini difformi, la Corte di appello ha ritenuto di ribaltare la superiore conclusione, ritenendo che il rischio di esposizione ad amianto presso lo stabilimento Fincantieri di Palermo fosse cessato già a partire dal 1981. Il secondo giudice, in particolare, è pervenuto a tale conclusione evidenziando come il D.Lgs. 15 agosto 1991, numero 277 avesse indicato il parametro di valutazione dell'esistenza del rischio di esposizione ad amianto, individuandolo nella soglia di 100 fibre/litro per 8 ore lavorative, ragion per cui al di sotto di tale soglia non sussisterebbe nessun obbligo di adozione di specifiche misure protettive nell'ambiente di lavoro. Prendendo a parametro l'indicato valore fissato per legge, quindi, la Corte territoriale ha ritenuto che la suddetta soglia, e quindi il rischio di esposizione ad amianto, non fosse stata più superata presso i locali della Fincantieri di Palermo a partire dall'anno 1981, nello specifico precisando come, pur tenuto conto delle attività di riparazione e trasformazione di navi eseguite presso detto cantiere, non sussistesse prova alcuna che l'esposizione alle polveri di amianto fosse proseguita anche dopo l'indicato anno. Tale dato, per come precisato in sentenza, è stato desunto dai giudici di appello in ragione degli accertamenti effettuati nel primo e nel secondo parere tecnico redatto nel dicembre 1996 dall'INAIL-CONTARP e di quanto ribadito dalla dott.ssa Be.Da. (firmataria di entrambi i suddetti pareri) sia in sede di esame testimoniale che nella relazione tecnica predisposta il 14 gennaio 1997 dalla Direzione Generale dell'INAIL, a firma dell'Ing. Ve.Ub. Orbene, alla stregua della ricostruzione della motivazione resa dalla Corte territoriale e dal raffronto di essa con quella espressa da parte del primo giudice, risulta evidente come la decisione assunta dalla Corte di appello - di critica alla sentenza impugnata, di cui ne ha evidenziato la fallacia sia dell'impianto motivazionale che delle conclusioni raggiunte - rappresenti l'espressione di una lettura solo parziale e incompleta dei dati probatori acquisiti, essendo stato disposto il ribaltamento del giudizio condannatorio in assenza di un esame completo del materiale probatorio vagliato nel primo provvedimento, e quindi senza l'adozione di una struttura motivazionale rafforzata, del tutto nuova e compiuta, congruamente rappresentativa delle difformi conclusioni raggiunte. I giudici di appello, infatti, hanno ribaltato la prima decisione di condanna, individuando nell'anno 1981 il momento di cessazione dell'esposizione all'amianto all'interno del cantiere della Fincantieri di Palermo, unicamente sulla scorta di una diversa rilettura dello stesso materiale probatorio, avendo la Corte di merito rinnovato l'istruttoria solo mediante l'acquisizione di documentazione prodotta dalle parti. In tale situazione fattuale, allora, il giudice di legittimità è tenuto a valutare l'eventuale sussistenza del vizio motivazionale del travisamento probatorio unicamente limitandosi a verificare l'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di fotografia , neutra e a-valutativa, del significante , ma non del significato , atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (così, espressamente, Sez. 5, numero 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370-01). Valutando il dato probatorio considerato negli indicati termini, quindi, deve essere osservato come, nel caso di specie, effettivamente sussista il dedotto vizio di travisamento probatorio per omissione, risultando per tabulas che la Corte di merito ha operato solo una lettura parziale delle relazioni dell'INAIL-CONTARP dell'11 novembre 1996 e del 18 dicembre 1996, oltre che della relazione della Direzione Generale dell'INAIL del 22 gennaio 1997, redatta dalla dott.ssa Be.Da. e dall'ing. Ve.Ub., altresì riportando in modo palesemente limitato e incompleto i contenuti delle dichiarazioni testimoniali rese dalla stessa dott.ssa Be.Da. Rispetto a tali ultime, infatti, la motivazione della sentenza impugnata ha effettuato solo un accenno al fatto che la testimone non potesse escludere - con affermazione, dunque, non risolutiva, in quanto inidonea ad attestare l'eventuale irrilevanza, perché al di sotto della soglia prevista, delle polveri diffuse - che l'esposizione all'amianto superiore a 100 fibre/litro per 8 ore lavorative, sicuramente accertata fino al 1981, fosse proseguita fino al 1986, senza, tuttavia, riportare, né considerare, altre propalazioni di segno opposto rese dalla stessa teste Be.Da. in ordine alla prolungata esposizione sui luoghi di lavoro all'agente patogeno, anche con riferimento ai documenti INAIL-CONTARP attestanti la dispersione di fibre di asbesto almeno sino al 1988. Né la sentenza impugnata ha considerato come nella relazione dell'INAIL-CONTARP del 18 dicembre 1996 - integrando la precedente relazione dell'11 novembre 1996 con ulteriore documentazione acquisita presso la Fincantieri - fosse stato precisato che l'utilizzo dell'amianto presso lo stabilimento di Palermo fosse proseguito anche in epoca successiva, per essere stato usato, almeno fino al 1986, in numerose attività di coibentazione e scoibentazione delle navi, nonché nelle opere di trasformazione e riparazione di esse, come, invero, riportato anche nella relazione della Direzione Generale dell'INAIL del 22 gennaio 1997. D'altro canto, che il c.d. rischio amianto fosse stato presente presso lo stabilimento Fincantieri di Palermo fino agli inizi degli anni '90 è stato accertato anche in precedenti decisioni emesse da questa stessa Suprema Corte - tra cui, in particolare, la sentenza numero 11128/2015, pronunciata anche nei confronti degli odierni imputati - invero del tutto non considerate dalla Corte territoriale nella motivazione della sentenza impugnata. Sotto altro profilo, poi, il Collegio ritiene di dover ribadire, in quanto del tutto pertinenti rispetto al caso di specie, le medesime considerazioni espresse da questa Sezione nella sentenza numero 31664/2024, anch'essa pronunciata nei confronti di Co.Gi. e Ci.Anumero, per la quale la Corte di merito è incorsa in un evidente errore di metodo, per avere sostanzialmente sostenuto l'irrilevanza delle esposizioni in caso di bassa concentrazione delle polveri, concetto che presuppone un serio aggancio giustificativo ed esso non può rinvenirsi nel richiamo operato dalla stessa teste Be.Da. al mancato superamento delle 100 fibre per litro, quale limite solo al di là del quale può valutarsi l'effettiva potenzialità morbigena delle lavorazioni in ambiente caratterizzato dalla presenza dell'amianto. A tal fine, peraltro, quel giudice ha operato un rinvio alla sentenza numero 5/2000. In tale arresto, il giudice delle leggi, chiamato a scrutinare le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, numero 257 (Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto), come modificato dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno 1993, numero 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell'amianto), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, numero 271, sollevate, in riferimento agli articolo 3 e 81, quarto comma, della Costituzione, dal Tribunale di Ravenna, e, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dal Pretore di Vicenza, con le ordinanze indicate in epigrafe, le ha dichiarate non fondate, precisando che lo scopo della disposizione censurata andava rinvenuto nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti all'amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene e che il criterio dell'esposizione decennale costituiva dato di riferimento tutt'altro che indeterminato, considerato il suo collegamento, contemplato dallo stesso articolo 13, comma 8, al sistema generale di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto, gestita dall'INAIL. Secondo la Corte costituzionale, nell'ambito di tale correlazione, il concetto di esposizione ultradecennale, coniugando l'elemento temporale con quello di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela previdenziale (articolo 1 e 3 del D.P.R. numero 1124 del 1965), implica, necessariamente, quello di rischio e, più precisamente, di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano, che l'amianto è capace di generare per la sua presenza nell'ambiente di lavoro; evenienza, questa, tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell'ambiente lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione (decreto legislativo 15 agosto 1991, numero 277 e successive modifiche). Da tali precisazioni, inerenti alla normativa destinata a disciplinare la dismissione dell'agente patogeno, la Corte del gravame ha ritenuto di poter inferire una vera e propria spiegazione scientifica della patogenesi nelle malattie asbesto-correlate, tralasciando di indicare qualsivoglia appiglio scientifico a sostegno del proprio assunto (in base al quale, solo al di là di quella concentrazione potrebbe parlarsi di esposizione morbigena alle fibre dell'amianto). Conclusione peraltro smentita da una semplice ricognizione delle vicende giudiziarie aventi ad oggetto il fenomeno, considerata l'ampia casistica di decessi correlati ad esposizioni non dirette all'agente patogeno (tipico il caso del soggetto che provvede al lavaggio delle tute del familiare lavoratore, direttamente esposto) . Ne deriva, in conclusione, l'accoglimento del primo motivo di doglianza eccepito da parte di entrambi i ricorrenti. 3. La fondatezza dell'indicata censura non comporta, invero, nessuna diretta e immediata refluenza ai fini della configurazione della responsabilità dei prevenuti in ordine alla causazione dei decessi dei lavoratori vittime dei reati loro contestati. Si tratta, in particolare, solo di un accertamento di natura preliminare, e tuttavia non decisivo, unicamente attestante - essendovi stato, anche dopo il 1981, l'utilizzo dell'amianto presso i cantieri navali della Fincantieri - la ricorrenza della posizione di garanzia di entrambi gli imputati con riferimento all'arco temporale considerato, in cui gli stessi hanno ricoperto il ruolo di Direttore pro-tempore dello Stabilimento di Palermo della Fincantieri, rispettivamente dal 15 ottobre 1984 al 30 novembre 1988 (Co.Gi.) e dal 1° dicembre 1988 al 31 maggio 1997 (Ci.Anumero). Necessita, infatti, un ulteriore vaglio, e cioè la conseguente imprescindibile verifica della sussistenza di un'effettiva connessione eziologica, in termini di causalità generale e individuale, tra le condotte ascrivibili agli imputati e la verificazione dei decessi dei lavoratori, per come accertate dai giudici di merito. Tale valutazione deve essere operata realizzando una distinzione tra le morti determinate da mesotelioma pleurico e quelle causate da carcinoma polmonare, come peraltro effettuato anche da parte dei ricorrenti, e dalla parte civile INAIL in particolare, che, sia pure a fini civilistici, ha differenziato gli episodi di omicidio colposo in due distinti motivi di ricorso, corrispondenti alle diverse patologie indicate. La censura concernente i decessi per mesotelioma pleurico riguarda, in particolare, gli omicidi colposi dei lavoratori Da.Ca. e Ca.Gi., rispettivamente ascritti ai prevenuti - con imputazioni da cui sono stati assolti in secondo grado, con correlata revoca delle statuizioni civili - nel capo 8) del decreto che dispone il giudizio reso in data 8 marzo 2012 nel procedimento penale numero 5430/2007 R.G.N.R. (Co.Gi. e Ci.Anumero) e nel capo 3) del decreto che dispone il giudizio reso in data 19 maggio 2011 nel procedimento penale numero 9202/2009 (Co.Gi.). Orbene, rispetto a tali ipotesi criminose il Collegio rileva la natura del tutto insufficiente e scarna della motivazione con cui la Corte territoriale ha ritenuto di ribaltare il giudizio condannatorio emesso da parte del Tribunale, essendosi limitata ad affermare - dopo aver ritenuto l'insussistenza di ragionevoli dubbi circa la riconducibilità causale della contrazione della malattia neoplastica all'esposizione dei lavoratori alle polveri di amianto per un lunghissimo arco di tempo - che non può essere ritenuta la responsabilità dei due prevenuti stante l'assenza di sovrapposizione integrale o quasi integrale tra durata dell'attività lavorativa e durata della posizione di garanzia degli imputati Co.Gi. e Ci.Anumero . Trattasi, in tutta evidenza, di motivazione palesemente apodittica e assertiva, priva di ogni valutazione delle risultanze probatorie in atti, nonché del tutto inidonea a esplicare i presupposti scientifici da cui evincere la conclusione raggiunta. Non soddisfa in alcun modo, cioè, il canone ermenuetico consolidatosi presso la giurisprudenza di legittimità, già in precedenza rappresentato, per cui il giudice di appello, in caso di riforma, in senso assolutorio, della sentenza di condanna di primo grado, ha l'obbligo di strutturare la motivazione della sua decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle opposte conclusioni assunte, quale conseguenza di una compiuta valutazione, sia pur difforme, del panorama istruttorio vagliato. Orbene, il Collegio rileva come la Corte territoriale, pur dando conto in termini generali dei criteri attraverso cui procedere all'accertamento del nesso di causa nelle ipotesi di decesso per mesotelioma pleurico - e, quindi, della preventiva necessità di individuare una legge scientifica di copertura generale da porre a base del ragionamento inferenziale per tali casi di decesso, e poi della successiva necessità di verificare la validità della legge generale rispetto alle ipotesi singole, soprattutto fine di escludere la sussistenza di decorsi causali alternativi - non abbia poi effettuato, nello specifico, nessuna reale verifica della sussistenza della causalità individuale, in particolar modo accertando la ricorrenza della connessione eziologica tra il decesso di Da.Ca. e Ca.Gi. e l'esposizione all'amianto di tali vittime nei periodi di copertura della posizione di garanzia da parte del Co.Gi. e del Ci.Anumero La Corte di merito, sempre ai fini dell'accertamento della causalità generale, ha dato conto della differenza, confermata dai vari esperti escussi in giudizio, tra la teoria scientifica trigger dose , per cui ai fini della contrazione del mesotelioma pleurico rileva la sola esposizione iniziale all'asbesto, e la teoria multistadio , per cui, invece, il processo di cancerogenosi della malattia si articola nelle successive fasi della induzione - suddivisa nelle sottofasi della iniziazione e della promozione, fino all'insorgenza della patologia - e della vera e propria latenza, nella quale la malattia risulta ormai irreversibilmente contratta, con la conseguenza che le eventuali ulteriori esposizioni all'amianto non assumono alcuna rilevanza causale. La stessa Corte territoriale ha, quindi, evidenziato come nel mondo scientifico il mesotelioma pleurico sia considerato malattia dose-correlata, nel senso che a un aumento dell'esposizione all'amianto corrisponde un incremento del numero di persone che vi si ammalano, nonché del principio, sia pur non corroborato da pieno consenso nella comunità scientifica, per cui a un aumento dell'esposizione alle polveri di asbesto corrisponde un'anticipazione dell'esordio della patologia, con abbreviazione del periodo di latenza. I giudici di appello, quindi, hanno dato conto del c.d. effetto acceleratore , per cui assume rilevanza causale la protrazione dell'esposizione all'amianto dopo l'iniziazione del processo carcinogenetico, sia pur evidenziando come tale teoria scientifica non sia asseverata da alcuna legge di copertura. Orbene, tutte le indicate teorie - come osservato in taluni casi corroborate da leggi di copertura generale - sia pur succintamente rappresentate da parte dei giudici di appello, non sono state, poi, vagliate nella sentenza impugnata con riferimento ai singoli casi oggetto di giudizio, onde verificare, rispetto ad essi, se vi sia stata, o meno, la ricorrenza di una connessione causale tra le condotte omissive perpetrate da parte dei prevenuti e la verificazione dei decessi delle persone offese, quali conseguenza di una malattia contratta a seguito di esposizione ad amianto durante i periodi di copertura della posizione apicale da parte del Co.Gi. e del Ci.Anumero Così, a titolo esemplificativo, la Corte di merito, nell'analizzare i decessi del Da.Ca. e del Ca.Gi., non ha operato alcun tipo di riferimento alla possibile determinazione del momento di induzione della malattia, nonché in ordine alla collocazione cronologica dell'inizio della sua latenza - con individuazione della fase di irreversibilità del processo formativo del mesotelioma - verificandone la riferibilità al periodo di copertura della posizione di garanzia da parte degli imputati. Ed infatti, pur non potendosi accertare in modo sicuro il c.d. failure time , ossia il momento della induzione, risulta comunque possibile stimare la durata della c.d. latenza clinica stricto sensu, normalmente individuata in un arco temporale compreso tra i quattro e i dieci anni antecedenti alla diagnosi, così che retroagendosi di almeno dieci anni rispetto ad essa vi è la possibilità di raggiungere la ragionevole sicurezza di trovarsi in presenza di un processo di cancerogenesi non ancora divenuto irreversibile. La scienza, in particolare, è solita considerare la latenza lato sensu come compresa tra un minimo di dieciquindici anni ed un massimo di (anche) sessanta-settanta anni dall'esposizione all'asbesto, con una media matematica di circa trenta-quaranta anni, e la latenza stricto sensu come avente una ragionevole durata di circa dieci-quindici anni (come invero accreditato da numerose fonti scientifiche). Ed ancora, in conformità alla doglianza eccepita da parte dei ricorrenti, la Corte di appello ha escluso ogni responsabilità da parte degli imputati senza, tuttavia, operare alcun tipo di valutazione, ai fini dell'accertamento della causalità individuale, in ordine al c.d. effetto acceleratore delle esposizioni all'amianto successive alla prima, tali, cioè, da cagionare un'anticipazione della malattia asbesto correlata, ovvero una diminuzione del periodo di latenza. Assumono specifico rilievo, in proposito, le conclusioni rese dal III Consensus Conference , ovvero alcuni recenti studi confermativi della fondatezza scientifica della teoria del c.d. effetto acceleratore , sia pure espressi in contrasto con altri studi di settore che non ritengono l'indicata teoria come realmente accertata e condivisa da parte della comunità scientifica, in quanto ritenuta una legge di copertura di natura solo probabilistica, necessitante di una verifica empirica, da effettuarsi caso per caso, in ordine all'intervenuta effettiva abbreviazione in ciascun lavoratore del periodo di latenza della malattia. Per tutte le considerazioni espresse, allora, questo Collegio non può che disporre, in accoglimento del secondo motivo di censura dedotto da parte di entrambi i ricorrenti, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata con riguardo ai reati di omicidio colposo conseguenti alla morte di Da.Ca. e Ca.Gi. per mesotelioma pleurico - e, quindi, nei confronti di Co.Gi. e di Ci.Anumero limitatamente al capo 8) del decreto che dispone il giudizio reso in data 8 marzo 2012 nel procedimento penale numero 5430/2007 R.G.N.R. nonché, nei confronti del solo Co.Gi., limitatamente al capo 3) del decreto che dispone il giudizio reso in data 19 maggio 2011 nel procedimento penale numero 9202/2009 -. 4. Decisione opposta deve essere pronunciata, invece, con riguardo al terzo motivo di doglianza eccepito dalla parte civile INAIL e alla seconda censura dedotta da parte del Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo nella parte in cui è stata impugnata la disposta assoluzione degli imputati, con correlata revoca delle statuizioni civili, dai reati di omicidio colposo relativi ai decessi per carcinoma polmonare dei lavoratori Tr.Vi., Mo.Gi. e Lo.Sa. - rispettivamente rubricati ai capi 7) e 10) del decreto che dispone il giudizio reso in data 8 marzo 2012 nel procedimento numero 5430/2007 R.G.N.R. (Co.Gi.), nonché al capo 6) del decreto che dispone il giudizio reso in data 1.9 maggio 2011 nel procedimento numero 9202/2009 R.G.N.R. (Co.Gi. e Ci.Anumero) -. In ossequio a quanto precedentemente osservato, infatti, i ricorrenti hanno lamentato l'erronea riconducibilità dell'insorgenza causale dei tumori polmonari al vizio delle persone offese per il fumo, così omettendosi di considerare il rilievo avuto invece, rispetto al caso di specie, dal c.d. effetto sinergico moltiplicativo tra il fumo di sigaretta e l'esposizione alle polveri di amianto, secondo quanto esplicato da alcune leggi di copertura condivise dalla comunità scientifica. Il fumo, quindi, non rappresenterebbe, nei soggetti esposti all'amianto, una causa alternativa ed esclusiva di causazione del tumore polmonare, così che, giusta applicazione del principio di equivalenza delle condizioni causali ex articolo 41 cod. penumero, sussisterebbe sempre un nesso eziologico tra l'esposizione dei lavoratori all'amianto e la verificazione del loro decesso per carcinoma polmonare. Orbene, il Collegio rileva come, in termini antitetici, la prospettata doglianza non possa trovare accoglimento nella fattispecie in esame, considerato come nessun vizio motivazionale, né alcuna violazione di legge scientifica, possa essere ravvisata nell'iter motivazionale seguito dai giudici di appello sul punto. Ed infatti, prescindendosi da ogni considerazione in ordine all'individuazione del momento in cui è effettivamente cessata l'esposizione all'asbesto negli stabilimenti della Fincantieri di Palermo - e cioè prima o dopo l'assunzione della posizione di garanzia da parte degli odierni prevenuti - è troncante osservare come, in ossequio alle congrue valutazioni espresse dalla Corte territoriale, non possa configurarsi, comunque, la responsabilità degli imputati rispetto agli indicati delitti, stante la peculiare natura del carcinoma ai polmoni e la specifica situazione caratterizzante i lavoratori deceduti. La Corte di appello, infatti, ha compiutamente dato conto di come rispetto al tumore polmonare, avente (a differenza del mesotelioma pleurico) eziologia multifattoriale, necessiti un maggiore approfondimento valutativo circa l'effettiva imputabilità causale della patologia tumorale all'amianto, con riferimento ad ogni singolo lavoratore esposto. Ai fini della configurazione della responsabilità penale, quindi, è necessario che non rilevi la ricorrenza di un'ipotesi di causalità ex articolo 41, comma 2, cod. penumero, per cui l'esposizione alle polveri di amianto deve, comunque, aver determinato, pur a fronte di fattori causali preesistenti o concomitanti, una relazione in ordine alla verificazione del successivo evento oncologico. Ciò si conforma, adeguatamente, ai generali principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia di patologie multifattoriali, rispetto alle quali necessita l'applicazione della c.d. regola dell'esclusione , per cui la malattia tumorale può essere attribuita alla causa indiziata solo dopo che sia stato escluso che un fattore alternativo possa avere avuto un ruolo eziologico - sempre che esso abbia operato in assoluta autonomia, posto che la natura causale di un determinato antecedente non è esclusa dall'esistenza di una concausa (articolo 41 cod. penumero) -. Non escludono il nesso di causa, pertanto, i fattori interferenti, che spiegano una efficienza sinergica in corrispondenza dell'insorgenza della malattia o della sua ingravescenza, mentre lo escludono i fattori alternativi, e cioè quelli che sono in grado di operare in assoluta autonomia. Nel primo caso si parla di incidenza concausale, con applicazione del criterio giuridico dell'equivalenza delle cause di cui all'articolo 41 cod. penumero, mentre, nel secondo caso, il fattore alternativo non può porsi in termini di concausa, trovando applicazione la disciplina dettata dall'articolo 41, comma 2, cod. penumero (cfr., in questi termini, Sez. 4, numero 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna, Rv. 270385-01; Sez. 4, numero 37762 del 21/06/2013, Battistella, Rv. 257113-01). Nella sentenza impugnata, allora, risulta pienamente rispettata la regola di giudizio dell'elevato grado di credibilità razionale, essenziale nei casi di patologie multifattoriali per affermare la relazione causale esistente tra l'esposizione professionale e la malattia, essendo stati adeguatamente evidenziati gli indici per cui, con riferimento ai singoli casi, è stato escluso che la patologia tumorale fosse stata certamente determinata dall'inalazione di polveri di asbesto, così da poter essere accertata la ricorrenza della causalità individuale tra l'esposizione dei lavoratori defunti alle fibre di amianto e la contrazione del tumore polmonare, cagionativo del decesso, con correlata configurazione della responsabilità degli imputati. Facendo riferimento agli studi di settore e alle risultanze acquisite dai diversi periti escussi nel corso del giudizio, la Corte territoriale ha adeguatamente evidenziato la natura multifattoriale del tumore polmonare, la sussistenza di dati epidemiologici per cui il rischio di insorgenza della patologia neoplastica aumenta nei soggetti fumatori - rappresentando il tabagismo il principale fattore causativo di tale forma di carcinoma - altresì precisando come, tuttavia, fosse impossibile differenziare, in base ai dati clinici, il cancro polmonare provocato da fumo di sigaretta da quello derivante da inalazione di polveri di amianto. I giudici di appello hanno, quindi, considerato, sulla scorta degli indicati parametri scientifici di riferimento, la posizione dei singoli lavoratori - persone offese nei reati oggetto di impugnazione in questa sede - motivatamente escludendo l'attribuzione dell'incidenza causale della loro morte alle condotte dei prevenuti, sulla scorta di obiettivi riscontri riguardanti la durata e l'intensità dell'esposizione dei singoli lavoratori agli agenti cancerogeni durante i periodi di assunzione della posizione di garanzia da parte degli imputati, al contempo evidenziando l'importante rilievo avuto da comportamenti abituali tenuti da parte delle stesse vittime - quali, in particolare, il tabagismo - per cui, rispetto ad esse, non vi è la possibilità di escludere, in termini logici e congrui, che, ai fini della contrazione della malattia, vi sia stata la ricorrenza di decorsi causali alternativi e autonomi rispetto all'esposizione alle polveri di amianto. Così, con riferimento al decesso di Lo.Sa., non possono non assumere rilievo, alla stregua di quanto congruamente considerato dalla Corte di merito, ai fini dell'esclusione della responsabilità degli imputati, le circostanze per cui il lavoratore: non era stato presente sui luoghi di lavoro per lunghi periodi tra il 1984 e il 1991, in quanto posto in cassa integrazione; era un fumatore abituale (circa dieci sigarette al giorno), affetto da bronchite cronica, e cioè da malattia tipica dei fumatori; al momento del decesso non presentava nessuna particolare concentrazione di fibre di asbestosi nel parenchima polmonare. Allo stesso modo, rispetto a Tr.Vi. è stata adeguatamente evidenziata la circostanza che trattavasi di fumatore abituale (quindici sigarette al giorno, sin da quando era giovane), per cui anche nei confronti di tale lavoratore non vi è stata la possibilità di escludere l'intervento di fattori causali alternativi e autonomi rispetto all'esposizione a polveri di asbesto, ben potendo la patologia neoplastica essere stata determinata esclusivamente dal tabagismo, mancando ogni segno obiettivo di riferimento diretto del cancro all'amianto. Ancora, con riguardo alla posizione di Mo.Gi., la Corte territoriale ha congruamente dato rilievo al fatto che tale lavoratore: quasi ininterrottamente non fosse stato presente al lavoro dal 16 gennaio 1984 al 4 aprile 1986, poiché messo in cassa integrazione; fosse soggetto particolarmente dedito al fumo (venticinque sigarette al giorno, per cinquant'anni), affetto da broncopatia cronica ostruttiva, tipica dei fumatori. In definitiva, il percorso logico-giuridico seguito in sentenza per escludere il collegamento dell'evento morte dei lavoratori a una patologia da esposizione professionale ad agenti cancerogeni è stato svolto in maniera del tutto logica e adeguata, con corretta indicazione ex ante delle leggi scientifiche applicabili, l'inferenza induttiva ex post della non riferibilità, con razionale certezza, dei casi concreti nell'ambito di operatività di tali leggi. A fronte di tali conclusioni, risulta del tutto infondata, allora, la doglianza con cui i ricorrenti hanno lamentato, nella motivazione seguita dalla Corte di merito, il mancato riferimento a specifiche evidenze scientifiche, ovvero l'omessa considerazione delle diverse risultanze emerse in differenti studi di settore, in particolar modo riguardanti il fenomeno del potenziamento reciproco tra tabagismo ed esposizione all'amianto. Trattasi, infatti, solo dell'intervenuta diversa adesione a differenti teorie scientifiche, all'evidenza insufficiente ad inficiare la congruenza e logicità del percorso motivazionale con cui i giudici di appello hanno ritenuto di motivare la propria decisione. 5. Alla stregua di tutte le considerazioni espresse, deve essere disposto, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di Co.Gi. e di Ci.Anumero limitatamente al capo 8) del decreto che dispone il giudizio reso in data 8 marzo 2012 nel procedimento penale numero 5430/2007 R.G.N.R. nonché, nei confronti del solo Co.Gi., limitatamente al capo 3) del decreto che dispone il giudizio reso in data 19 maggio 2011 nel procedimento penale numero 9202/2009, con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo, cui viene demandata anche la regolamentazione tra le parti delle spese di lite relative a questo giudizio di legittimità. Nel resto i ricorsi devono, invece, essere rigettati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Co.Gi. e di Ci.Anumero limitatamente al capo 8) del decreto che dispone il giudizio reso in data 8 marzo 2012 nel procedimento penale numero 5430/2007 R.G.N.R. nonché, nei confronti del solo Co.Gi., limitatamente al capo 3) del decreto che dispone il giudizio reso in data 19 maggio 2011 nel procedimento penale numero 9202/2009 e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo, cui demanda, altresì, la regolamentazione tra le parti delle spese sostenute nel presente giudizio di legittimità. Rigetta nel resto i ricorsi.