Va rimessa alle Sezioni unite penali della Cassazione la risoluzione della questione relativa all’interpretazione della nozione di “prova nuova” ai fini della revoca della confisca di prevenzione ai sensi dell’articolo 7, comma 2, l.numero 1423/1956, dovendosi stabilire se essa includa anche le prove preesistenti alla definizione del procedimento che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano state dedotte e valutate, in conformità alla nozione di “prova nuova” elaborata dalla giurisprudenza penale ai fini della revisione ex articolo 630 c.p.p.
Gli eredi di un soggetto già destinatario, nel 2014, della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di PS e della confisca di prevenzione (avente ad oggetto vari beni, intestati al proposto e ai suoi congiunti) proponevano al competente Tribunale istanza di revoca della misura reale intendendo dimostrare, sia sulla base di prove sopravvenute, sia sulla base di prove a suo tempo non dedotte o comunque non valutate nel procedimento applicativo, il difetto originario dei presupposti per l'applicazione delle misure personale e reale: ossia la pericolosità del proposto e l'origine lecita delle risorse impiegate per acquistare i beni di era stata disposta l'ablazione. Con riguardo a quest'ultime, producevano documentazione che affermavano “scoperta” solo dopo la morte del proposto, in quanto riposta all'interno di una borsa e di una valigetta che si trovavano in una stanza di un immobile oggetto di sequestro eseguito nel 2014 e poi restituite agli istanti solo dopo la morte del de cuius. L'adito Tribunale, Sezione misure di prevenzione, dichiarava inammissibile l'istanza ritenendo che le prove poste a sostegno non fossero sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione e che la loro omessa allegazione fosse addebitabile all'inerzia del proposto. La Corte d'appello confermava il decreto del giudice di prime cure, sostenendo l'applicabilità dell'articolo 7 l. numero 1432/1956 e, nondimeno, l'estensione dei principi affermati da Cass., Sez. U, numero 43668/2022, in relazione alla revocazione della confisca di cui all'articolo 28 d.lgs. numero 158/2011, cosicché, non essendo state poste prove nuove o comunque decisive a sostegno dell'istanza di revoca, se ne doveva confermare l'inammissibilità. Avverso il decreto della Corte d'appello proponevano distinti ricorsi per cassazione gli istanti, articolando motivi con i quali lamentavano principalmente la violazione dell'articolo 7 l. numero 1423/1956, applicabile ratione temporis, la cui nozione di prova “nuova” è più estesa di quella fissata dalle Sezioni Unite Lo Duca in riferimento alla normativa sopravvenuta contenuta nel codice antimafia, sicché la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare la documentazione bancaria relativa agli anni '70 e '80 riferita ai coniugi, i contributi Aima-Agea percepiti tra il 1988 e il 2010, le consulenze tecniche e i verbali delle indagini difensive prodotti. In diritto, i ricorrenti escludevano l'applicabilità dei più rigorosi presupposti per la revocazione dettati dall'articolo 28 d.lgs. numero 159/2011, i quali sono da ricondurre alla revocazione della sentenza civile ex articolo 395 c.p.c. mentre quelli dettati dall'articolo 7, comma 2, l. numero 1423/1956 ricalcano il meccanismo della revisione ex articolo 629 e 630 c.p.p., con conseguente adozione del concetto di “prova nuova” già elaborato in sede giurisprudenziale per la revisione, secondo il quale tale nozione include anche le prove preesistenti alla definizione del procedimento di prevenzione che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano state però dedotte e valutate. La questione giuridica La questione giuridica su cui si sofferma l'atto interlocutorio in commento riguarda la nozione di “prova nuova” valutabile ai fini della revoca ex tunc della confisca di prevenzione per difetto dei suoi presupposti originari ai sensi dell'articolo 7, comma 2, l. numero 142/1956, applicabile ratione temporis («Il provvedimento stesso, su istanza dell'interessato e sentita l'autorità di pubblica sicurezza che lo propose, può essere revocato o modificato dall'organo dal quale fu emanato, quando sia cessata o mutata la causa che lo ha determinato»). Su tale nozione si sono formati due orientamenti giurisprudenziali contrastanti, uno dei quali poggiante anche su decisioni assunte dal più autorevole Consesso di legittimità, di qui l'odierna investitura delle Sezioni Unite penali ai sensi dell'articolo 618 c.p.p. per risolvere il seguente quesito interpretativo: «Se, ai fini della revoca della confisca ai sensi dell'articolo 7, comma 2, legge numero 1423/1956 (nei procedimenti di prevenzione in cui non si applica ratione temporis l'articolo 28 d.lgs. numero 159/2011), la nozione di “prova nuova” includa anche le prove preesistenti alla definizione del procedimento di prevenzione che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano però state dedotte e valutate, in conformità alla nozione di “prova nuova” come elaborata ai fini della revisione ex articolo 630 c.p.p.». L'orientamento restrittivo maggioritario L'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, facendo leva sulla natura di mezzo di impugnazione straordinario della revoca della confisca per difetto originario dei presupposti, perviene ad una nozione restrittiva di “prova nuova”, rilevante ai fini della revoca ex tunc della confisca di prevenzione: afferma che è tale sia quella preesistente e scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, sia quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, ma non anche quella deducibile e non dedotta nell'ambito del suddetto procedimento, salvo che si adduca l'impossibilità di tempestiva deduzione per la riscontrata sussistenza di ragioni di forza maggiore (Cass. numero 38365/2023; Cass. numero 1649/2022; Cass. numero 27689/2021; Cass. numero 21537/2021; Cass. numero 28305/2021; Cass. numero 3610/2021; Cass. numero 12762/2021, Cass. numero 28628/ 2017; Cass. numero 44609/2015; Cass. numero 11818/2013). Per questo indirizzo, l'assimilazione della disciplina della revoca ex tunc ai sensi dell'articolo 7, comma 2, l. numero 1423/1956 a quello della revisione del giudicato penale non è completa, come dimostrerebbe il testo dell'articolo 28 d.lgs. numero 159/2011, che ha recepito gli esiti dell'elaborazione giurisprudenziale in tema di revoca della confisca di prevenzione e che rimanda, alle sole «forme previste dagli articoli 630 e seguenti del codice di procedura penale» ed indica, tra i casi di revocazione, quello di «scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento», diversamente dall'articolo 630 c.p.p. che, alla lett. c), ammette la richiesta «se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto», così assegnando rilevanza, diversamente da quanto avviene nel procedimento di prevenzione, anche a prove non sopravvenute e, quindi, preesistenti. La soluzione restrittiva coglie una sorta di continuità interpretativa tra la revoca ex articolo 7, comma 2, legge numero 1423/1956 e l'articolo 28 d.lgs. numero 159/2011, configurando quest'ultimo come una tipizzazione normativa del precedente rimedio di conformazione giurisprudenziale (Cass. numero 1649/2022). L'indirizzo estensivo minoritario L'orientamento più estensivo – rimasto minoritario – trae autorevole spunto da Cass., Sez. U, numero 624/2022, richiamata dalla successiva Cass., Sez. U, numero 57/2007, e in particolare dal passaggio motivazionale nel quale si afferma che rientrano tra le prove nuove rilevanti a norma dell'articolo 630, lett. c), c.p.p. non solo quelle «sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice»; ciò «indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario». Secondo questo divisamento più “largheggiante”, in tema di confisca di prevenzione, costituiscono prove nuove deducibili a fondamento tanto della domanda di revoca ex tunc, ai sensi dell'articolo 7 della l. numero 1423/1956, elementi di prova preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano però stati concretamente dedotti e perciò mai valutati (Cass. numero 10343/2020; Cass. numero 7009/2024, che sembra ammettere la potenziale rilevanza di una prova noviter reperta «indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte dell'interessato sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario»).
Presidente Pezzullo - Relatore Romano Ritenuto in fatto 1. Con il decreto indicato in epigrafe la Corte di appello di Catania ha confermato il decreto del 16 novembre 2022 del Tribunale di Catania che aveva dichiarato inammissibile l'istanza, avanzata da Br.Anumero, Sc.Anumero, Sc.Ca. e Sc.Sa., quali eredi di Sc.Gi., nato a C il (Omissis) e deceduto in data (Omissis), di revoca della misura di prevenzione disposta in data 27 ottobre 2014 a carico del de cuius. Con quest'ultimo decreto Sc.Gi. era stato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per anni due con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza ed era stata disposta la confisca di vari beni intestati al predetto ed ai suoi congiunti, in quanto indiziato di appartenere all'associazione di tipo mafioso denominata (Omissis). Il decreto applicativo era stato confermato in appello con provvedimento del 10 maggio 2019 ed era poi divenuto definitivo a seguito della sentenza di questa Corte di cassazione numero 34523 del 5 ottobre 2020, che aveva dichiarato inammissibili i ricorsi proposti da Sc.Gi. e dai terzi interessati Br.Anumero, Sc.Ca. ed Sc.Anumero e dalla Zooagricola 2011 Sas Con l'istanza suddetta gli eredi di Sc.Gi. hanno chiesto la revoca del decreto applicativo delle predette misure di prevenzione, sostenendo che doveva applicarsi, ratione temporis, l'articolo 7 della legge numero 1423 del 27 dicembre 1956, che essi, in qualità di eredi, potevano esperire il mezzo straordinario di impugnazione riservato al de cuius e che con la loro istanza intendevano dimostrare, sia sulla base di prove sopravvenute, sia sulla base di prove non dedotte o comunque non valutate in seno al procedimento applicativo, il difetto originario dei presupposti per l'applicazione delle misure di prevenzione, ossia la pericolosità di Sc.Gi. e comunque l'origine lecita della risorse impiegate per acquistare i beni di cui era stata disposta la confisca. Quanto al profilo della pericolosità di Sc.Gi., nell'istanza di revoca si è segnalato che con decreto del 29 giugno 2015 la Corte di appello di Palermo aveva escluso la pericolosità qualificata di Ni.Vi., imprenditore nel settore dell'energia eolica, indiziato di avere legami con (Omissis) e che proprio sui rapporti di Sc.Gi. con Ni.Vi. poggiava il giudizio di pericolosità qualificata del de cuius. Con riguardo all'origine delle risorse impiegate per gli acquisti dei beni confiscati, è stata prodotta ampia documentazione scoperta solo dopo la morte di Sc.Gi., in quanto riposta all'interno di una borsa e di una valigetta che si trovavano in una stanza di un immobile oggetto di sequestro eseguito nel 2014 e poi restituite ai ricorrenti solo dopo la morte di Sc.Gi.. Il Tribunale ha dichiarato inammissibile l'istanza ritenendo che le prove poste a suo sostegno non fossero sopravvenute alla conclusione del procedimento applicativo delle misure di prevenzione e la loro omessa allegazione in seno a quest'ultimo fosse addebitabile all'inerzia di Sc.Gi.. La Corte di appello, nel confermare il decreto del Tribunale di Catania del 16 novembre 2022, che aveva dichiarato inammissibile l'istanza di revoca, ha affermato che, come già motivato dal Tribunale, doveva applicarsi l'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956 e che ciononostante erano ad essa estensibili i principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza Lo Duca (Sez. U, numero 43668 del 26/05/2022, Lo Duca, Rv. 283707) in relazione alla revocazione della confisca di cui all'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011, cosicché, non essendo state poste prove nuove o comunque decisive a sostegno dell'istanza di revoca, questa doveva ritenersi inammissibile. 2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso Sc.Sa., a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando un unico e complesso motivo con il quale lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b), cod. proc. penumero, la violazione dell'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956. 2.1. Sostiene che i principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza sopra citata si riferiscono esclusivamente alla revocazione della confisca disposta ai sensi dell'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011, da ricondurre alla revocazione della sentenza civile ex articolo 395 cod. proc. civ. stante il carattere non punitivo della confisca, ma meramente ripristinatorio della situazione precedente all'illecita acquisizione del bene, e non sono applicabili alla revoca prevista dal citato articolo 7, che, secondo le sentenze delle Sezioni Unite Pisco (Sez. U, numero 18 del 10/12/1997, dep. 1998, Pisco, Rv. 210041) e Auddino (Sez. U, numero 57 del 19/12/2006, dep. 2007, Auddino, Rv. 234955), è volta ad attuare in relazione alla misura di prevenzione una forma di revisione quale quella di cui all'articolo 629 cod. proc. penumero Sul concetto di prova nuova, le sentenze delle Sezioni Unite Pisano (Sez. U, numero 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443) e Auddino hanno accolto una interpretazione estensiva, includendo tra le prove nuove anche le prove non acquisite nel precedente giudizio, oppure acquisite ma non valutate, neppure implicitamente. Riconducendo, invece, la revocazione di cui all'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011 alla revocazione della sentenza civile ex articolo 395 cod. proc. civ., incidente su interessi esclusivamente patrimoniali, si perviene ad una nozione di prova nuova molto più restrittiva, per cui è prova sopravvenuta solo quella formatasi dopo la conclusione del procedimento di prevenzione o quella preesistente ma incolpevolmente scoperta solo dopo che la misura sia divenuta definitiva, con esclusione di quella deducibile e non dedotta nell'ambito del suddetto procedimento, in assenza di forza maggiore o caso fortuito. Non è quindi possibile assimilare tra loro le due forme di revocazione, altrimenti si verrebbero ad applicare retroattivamente alla revocazione ex articolo 7 della legge numero 1423 del 1956 le norme più rigorose e restrittive introdotte dal D.Lgs. numero 159 del 2011; una simile interpretazione non trova alcun riscontro nella sentenza delle Sezioni Unite Lo Duca che, invece, pone in risalto la diversità sostanziale delle due forme di revocazione; il ricorrente invoca a sostegno di tale assunto anche una recente sentenza della Sesta Sezione penale (Sez. 6, numero 7009 del 08/11/2023, dep. 2024, D'Ardes, non massimata). Dovendo accogliersi, ai fini del citato articolo 7, una nozione di prova nuova più estesa di quella fissata dalle Sezioni Unite per l'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011, la Corte di appello avrebbe dovuto valutare la documentazione bancaria relativa agli anni '70 e '80 riferita ai coniugi (Omissis), i contributi AIMA-AGEA percepiti tra il 1988 ed il 2010, le consulenze tecniche di parte e i verbali delle indagini difensive. L'omessa tenuta della documentazione attestante l'erogazione di contributi percepiti in tempi remoti non sarebbe addebitabile al ricorrente, che agisce nella qualità di erede di Sc.Gi., e nemmeno a quest'ultimo, non essendo possibile prevedere l'applicazione della misura patrimoniale e quindi attivarsi per conservare la documentazione contabile. Negare la possibilità di far valere elementi esistenti, ma mai valutati in quanto non nella disponibilità del proposto e dei suoi eredi, rappresenterebbe un'ingiustificata limitazione del diritto di difesa e del diritto di proprietà, lesiva degli articolo 6 CEDU e 1 Protocollo addizionale CEDU, nonché degli articolo 24 e 42 Cost. 2.2. Aggiunge il ricorrente che in ogni caso la tardiva produzione documentale è giustificata dalla circostanza che solo nel 2023 era stato possibile ottenere dall'AGEA la documentazione, relativa ai contributi percepiti da Sc.Gi. e Br.Anumero dal 1998 al 2010; inoltre, solo dopo la morte di Sc.Gi. era stata ritrovata - in data (Omissis), a seguito di convocazione degli eredi del proposto ad opera dell'amministratore giudiziario onde recuperare effetti personali rinvenuti nell'abitazione di Sc.Gi., oggetto di sgombero nel 2014 - una borsa contenente documentazione contabile relativa ai contributi percepiti dal 1980 al 2000. Solo grazie a tale ritrovamento era stata poi estesa la ricerca della documentazione, inoltrando apposita richiesta alla AGEA. Acquisita la documentazione era stato poi possibile, tramite i consulenti di parte, ricostruire i flussi contabili sin dal 1973 e dimostrare che i due coniugi avevano sempre avuto risorse sufficienti per poter procedere agli investimenti effettuati nel corso degli anni. Non poteva definirsi doloso o colposo il comportamento di Sc.Gi. e dei suoi eredi, avendo questi dimostrato di avere ritrovato la documentazione in data certa e di essersi poi attivati per acquisire l'ulteriore documentazione mancante, anche chiedendo alla Corte di appello di ordinare all'AGEA il rilascio dei documenti necessari. Neppure poteva pretendersi che Sc.Gi. conservasse documentazione contabile per un periodo superiore ai dieci anni. 2.3. Il ricorrente afferma anche che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto nuovo e quindi inammissibile il motivo volto a dimostrare che Br.Anumero gestiva autonomamente una ditta individuale e disponeva di redditi adeguati derivati dall'erogazione dei contributi comunitari in favore delle aziende agricole, atteso che nel procedimento diretto all'applicazione della misura di prevenzione i due coniugi erano stati considerati un unico nucleo familiare ai fini della valutazione della congruità dei redditi rispetto agli acquisti. 2.4. Quanto poi alla irrilevanza della documentazione, motivata dalla Corte di appello osservando che i contributi non erano idonei a generare ricchezza, dovendo essi essere investiti nell'azienda, il ricorrente osserva che, seguendo siffatto ragionamento, non si sarebbe dovuto tenere conto, al fine di valutare la congruità del patrimonio con gli investimenti, anche delle spese sostenute per la prosecuzione dell'attività aziendale. Nell'effettuare tale valutazione non era corretto considerare solo i costi sostenuti e non anche i ricavi conseguiti, anche sotto forma di contributi. 3. Avverso detto decreto hanno proposto ricorso anche Br.Anumero, Sc.Anumero e Sc.Ca., quali eredi di Sc.Gi., a mezzo dei loro difensori, chiedendone l'annullamento ed articolando quattro motivi. 3.1. Con il primo motivo lamentano la violazione dell'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956 quanto alla nozione di prova nuova da utilizzare nelle ipotesi di revoca in funzione di revisione della confisca. Il motivo è sostanzialmente coincidente con la principale censura del ricorso di Sc.Sa.. Sostengono che ai fini della citata disposizione non possa trovare applicazione il concetto di prova nuova indicato dalle Sezioni Unite con la sentenza Lo Duca sopra citata per l'ipotesi di revocazione della confisca di cui all'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici del merito, non vi sarebbe identità sostanziale tra la revoca in funzione di revisione prevista dall'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956 e la revocazione di cui al citato articolo 28. Tale assimilazione sarebbe smentita dalla motivazione della sentenza Lo Duca delle Sezioni Unite, non ancora pubblicata quando il Tribunale aveva depositato il decreto di inammissibilità dell'istanza di revoca, e dalla dottrina e dalla giurisprudenza che, successivamente a detta sentenza, avevano sostenuto che detto concetto di prova nuova non fosse estensibile al rimedio della revoca di cui al citato articolo 7. La Corte di appello ha affermato che poiché, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite, l'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011 tende a recepire e formalizzare l'operazione ermeneutica realizzata in relazione all'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956 per colmare un vuoto normativo che aveva determinato rilevanti problemi e quindi la ratio delle due disposizioni sarebbe la medesima, dovrebbe concludersi per l'assimilabilità dei due istituti e quindi la necessità di adottare per entrambi il medesimo concetto di prova nuova fissato dalle Sezioni Unite con la sentenza Lo Duca . Sostengono i ricorrenti che, invece, la motivazione della sentenza delle Sezioni Unite sarebbe ben diversa, poiché nel ricostruire l'evoluzione giurisprudenziale della revoca di prevenzione sarebbe stata evidenziata l'autonomia dei due istituti. In particolare, nella sentenza Lo Duca viene richiamata la sentenza delle Sezioni Unite Pisco per segnalare che, secondo quest'ultima, quanto alla definizione dei presupposti operativi del meccanismo revocatorio, emergevano, in particolare, due direttrici argomentative utilizzate al fine di legittimare l'attivazione dell'istanza di revoca: la novità degli elementi prospettati a sostegno della richiesta e, qualora fosse stato invocato il difetto genetico dei presupposti applicativi della misura di prevenzione personale, la non necessità che quegli elementi si riferissero ad eventi sopravvenuti alla sua adozione, purché si trattasse, in ogni caso, di circostanze non valutate nel corso del relativo giudizio . La sentenza Lo Duca ha richiamato anche i principi della sentenza Auddino che aveva ulteriormente ampliato gli effetti della richiamata linea interpretativa anche nel settore delle misure di prevenzione patrimoniali, sottolineando che, in caso contrario, sarebbe perdurata nel sistema una inaccettabile carenza di strumenti normativi in grado di dare attuazione al disposto di cui all'articolo 24, terzo comma, Cost., là dove si impone di determinare con la legge le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari . La sentenza Lo Duca ha posto in evidenza che in relazione alla revoca di cui all'articolo 7 citato vi è un orientamento secondo il quale la revoca della confisca di prevenzione per difetto genetico dei presupposti può essere disposta sia in presenza di prove sopravvenute alla conclusione del procedimento di applicazione della misura di prevenzione, sia in presenza di prove già esistenti, ma mai valutate nel corso del procedimento; nella sentenza è stato segnalato anche un orientamento più restrittivo e tuttavia l'indirizzo più estensivo è stato ribadito e sviluppato in una serie di pronunce relative all'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956 anche successive all'entrata in vigore del D.Lgs. numero 159 del 2011, nelle quali si evidenzia che la revoca di cui al citato articolo 7 ricalca il meccanismo della revisione ex articolo 629 cod. proc. penumero con conseguente adozione del concetto di prova nuova già elaborato in sede giurisprudenziale per la revisione. Quanto, invece, alla revocazione di cui all'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011, le Sezioni Unite hanno dapprima posto in evidenza che tale istituto è il risultato di una innovazione normativa volta ad introdurre uno strumento differente dalla revoca ex articolo 7 cit. ed assimilabile alla revocazione civilistica di cui all'articolo 395 cod. proc. civ. e poi hanno segnalato che proprio nella diversa nozione di prova nuova risiede la principale differenza tra i due istituti. I ricorrenti concludono, quindi, che il decreto impugnato ha illegittimamente esteso alla revoca ex articolo 7 legge numero 1243 del 1956 la nozione di prova nuova fissata dall'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011, trattandosi di due istituti diversamente disciplinati dal legislatore. Né potrebbe sostenersi che la giurisprudenza formatasi in relazione al citato articolo 28 sia una mera evoluzione interpretativa di quella elaborata in merito all'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956, come riconosciuto anche da autorevole dottrina. In ogni caso, aggiungono i ricorrenti, le Sezioni Unite, con la sentenza Lo Duca , si sono pronunciate esclusivamente in relazione alla revocazione di cui all'articolo 28 D.Lgs. numero 159 del 2011, che è la sola disposizione citata nel principio di diritto espresso con detta sentenza. La circostanza che con il citato articolo 28 il legislatore abbia inteso colmare un vuoto normativo che in precedenza la giurisprudenza aveva coperto con le sentenze delle Sezioni Unite Pisco e Auddino non varrebbe da sola a far concludere che vi sia stata un'assimilazione tra i due istituti. Peraltro, anche la giurisprudenza e la dottrina successive alla sentenza Lo Duca hanno ritenuto che i principi in essa affermati possano trovare applicazione solo in relazione alla revocazione disciplinata dall'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011. Pure i ricorrenti richiamano la sentenza di questa Corte di cassazione numero 7009 del 8 novembre 2023, depositata nel 2024, già citata nel ricorso di Sc.Sa., la quale, dopo avere affermato che deve trovare applicazione, in virtù della disciplina transitoria di cui all'articolo 117 del D.Lgs. numero 159 del 2011, l'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956, richiama i principi affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite Auddino in relazione alla nozione di prova nuova , che comprende anche le prove non valutate neppure implicitamente nel procedimento applicativo della misura di prevenzione, secondo il criterio che regola l'istituto della revisione, per poi affermare che tale orientamento estensivo è stato parzialmente rivisto, ma solo per la definizione di prova nuova rilevante ai fini dell'istituto della revocazione della misura ablatoria ai sensi dell'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011. Ne deriva che ai fini di cui al citato articolo 7 tale orientamento giurisprudenziale più estensivo resta pienamente applicabile. In ogni caso, la sentenza della Sesta Sezione penale appena citata riconosce che vi sono due diversi istituti in relazione ai quali operano due concetti di prova nuova anch'essi differenti. 3.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956 in relazione alla nozione di prova nuova impiegata con riguardo alla revoca della misura di prevenzione personale e la violazione dell'articolo 666 cod. proc. penumero in riferimento alla valutazione degli elementi di prova addotti dalla difesa. Segnalano che nell'istanza di revoca della misura personale era stata dedotta l'insussistenza della pericolosità qualificata di Sc.Gi., la quale era alla base delle misure di prevenzione personali e patrimoniali disposte a suo carico. Il principale elemento che aveva condotto a ritenere che Sc.Gi. appartenesse ad un'associazione mafiosa era il suo rapporto con Ni.Vi., identificato come referente della famiglia mafiosa dei (Omissis) nel settore delle energie rinnovabili. In particolare, la vendita della società Calieri Srl da parte di Sc.Gi. e dei suoi familiari ad una società del gruppo (Omissis) era stata ritenuta volta a favorire l'infiltrazione mafiosa nel settore dell'energia eolica e tale conclusione si basava sulla ritenuta appartenenza del Ni.Vi. al clan mafioso dei (Omissis), che a sua volta si fondava sul decreto con il quale nel 2021 il Tribunale di Trapani aveva disposto a carico del Ni.Vi. la confisca della Nica Holding. L'appartenenza del Ni.Vi. al clan (Omissis) era stata sconfessata nel giudizio di impugnazione di detto decreto, in quanto la Corte di appello l'aveva esclusa ed aveva mantenuto ferma la confisca fondandola sulla mera pericolosità generica del Ni.Vi.; inoltre, Ni.Vi. era stato anche prosciolto dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa dalla Corte di appello di Palermo con sentenza datata 8 aprile 2023. Pertanto, sostengono i ricorrenti, non si può affermare che la cessione della società Calieri da parte di Sc.Gi. in favore di una società del Ni.Vi. fosse diretta a favorire il progetto di infiltrazione di (Omissis) nel settore delle energie rinnovabili, né i proventi in tal modo conseguiti possono ritenersi illeciti e tanto porta a ritenere che la sentenza di assoluzione costituisca prova nuova. Alla luce della sentenza della Corte EDU De Tommaso , la nozione di appartenenza va circoscritta alle sole ipotesi in cui il proposto abbia effettivamente reso un contributo fattivo e funzionale agli interessi della struttura criminale. I ricorrenti passano in rassegna gli elementi diversi dal rapporto con il Ni.Vi. presi in considerazione per applicare la misura di prevenzione per evidenziare come dagli stessi non emerga un siffatto contributo. Segnalano poi che la Corte territoriale, con il decreto qui impugnato, ha affermato che il decreto della Corte di appello pronunciato nei confronti del Ni.Vi., con il quale era stata esclusa la pericolosità qualificata di quest'ultimo, non è una prova nuova, perché avrebbe potuto essere depositato nel giudizio di secondo grado del procedimento a carico di Sc.Gi.; la Corte di merito aveva affermato che in ogni caso, anche laddove il provvedimento pronunciato nei confronti del Ni.Vi. fosse ritenuto una prova nuova, i rapporti con il Ni.Vi. erano solo uno degli elementi dai quali era stata desunta la pericolosità qualificata di Sc.Gi. e che, nel ritenere tale elemento decisivo, la difesa pretendeva una rivalutazione del giudizio di pericolosità, rimettendo in discussione quanto già accertato con carattere di definitività. La Corte di appello ha, invece, reputato prova nuova la sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti del Ni.Vi., ma l'ha comunque considerata non idonea a fornire elementi di rivalutazione, poiché con essa si mirava ad un riesame della pericolosità dello Sc.Sa. alla luce della circostanza che il Ni.Vi., con il quale aveva avuto rapporti, non era da ritenersi soggetto pericoloso. In ogni caso si trattava di sentenza non definitiva e come tale non utilizzabile. Inoltre, la Corte di appello ha comunque richiamato la sentenza della Corte di cassazione che aveva reso definitiva la misura di prevenzione e che aveva affermato che dai perduranti rapporti di Sc.Gi. con plurimi esponenti di associazioni mafiose con ruoli apicali emergeva la continuativa disponibilità del proposto ad agevolare il raggiungimento delle finalità illecite del sodalizio mafioso. I ricorrenti sostengono che le conclusioni cui è pervenuta la Corte di appello con il provvedimento qui impugnato non possono essere condivise, poiché, anche laddove si ipotizzasse una continuità tra la disciplina dell'articolo 7 della legge numero 1243 del 1956 e quella dell'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011, dovrebbe considerarsi che il citato D.Lgs. prevede per le misure di prevenzione personali un differente e specifico strumento revocatorio disciplinato dal comma 2 dell'articolo 11. Vi è continuità normativa tra il citato articolo 7 e l'articolo 11 D.Lgs. numero 159 del 2011, atteso che le due disposizioni sono caratterizzate dal medesimo testo e ancorano la revocabilità delle misure di prevenzione alla cessazione o al mutamento delle cause che ne hanno determinato l'applicazione. L'esclusiva operatività dell'articolo 11 in ordine alla revoca delle misure di prevenzione personali è stata anche confermata dalla sentenza Lo Duca che a sua volta ha richiamato la sentenza Fiorentino (Sez. U, numero 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, Fiorentino, Rv. 282474). Pertanto, al fine di valutare l'ammissibilità delle prove nuove volte alla revoca della misura di prevenzione personale occorre fare esclusivo riferimento alla elaborazione giurisprudenziale relativa all'articolo 11 D.Lgs. numero 159 del 2011. Il decreto emesso dalla Corte di appello nel procedimento di prevenzione a carico del Ni.Vi. integra, quindi, una prova nuova sia laddove si applichi l'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956, sia qualora si applichi l'articolo 11 del D.Lgs. numero 159 del 2011. In ogni caso, anche laddove si applicasse l'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011, la nozione di prova nuova applicata dalla Corte territoriale risulta eccessivamente restrittiva, atteso che la sentenza delle Sezioni Unite Lo Duca fa rientrare in tale nozione anche la prova preesistente, ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva. Sc.Gi., anche in virtù del suo livello culturale, soprattutto in ambito giuridico, non aveva avuto la possibilità di seguire l'andamento del procedimento volto all'applicazione della misura di prevenzione a carico di Ni.Vi., mentre la Corte di merito aveva ritenuto che la mancata produzione del decreto pronunciato in secondo grado in detto procedimento fosse ascrivibile a negligenza di Sc.Gi. e del suo difensore. In contrario i ricorrenti osservano che non si poteva pretendere da Sc.Gi. e dal suo difensore il costante monitoraggio di tutti i procedimenti pendenti in altri distretti a carico di altri soggetti. I ricorrenti sostengono che gli argomenti sopra esposti devono a maggior forza valere in relazione alla sentenza di proscioglimento dalla imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa pronunciata nei confronti del Ni.Vi.. La motivazione della Corte di appello, che ha sostenuto l'inutilizzabilità di una sentenza non ancora divenuta irrevocabile, si pone in contrasto con il pacifico orientamento giurisprudenziale che attribuisce rilievo probatorio anche alle sentenze non definitive ed integra, quindi, una violazione dell'articolo 666 cod. proc. penumero Quanto a quello che la Corte di merito definisce il merito della questione , nell'atto di appello si erano indicate le ragioni per le quali dai residui elementi non emergeva alcun contributo fattivo al sodalizio mafioso, mentre il decreto qui impugnato si limita a fare riferimento ad una pluralità di elementi di cui non viene spiegata l'incidenza e la rilevanza, per poi giungere ad affermare che proprio la vicenda relativa al Ni.Vi. è emblematica della partecipazione al sodalizio mafioso. 3.3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell'articolo 24 del D.Lgs. numero 159 del 2011 quanto alla confisca del fondo sito in contrada (Omissis). Dovendo, per quanto esposto al terzo motivo, escludersi la rilevanza dei rapporti con il Ni.Vi. e l'appartenenza di quest'ultimo a (Omissis), dovevano anche ritenersi lecite le somme conseguite dalla vendita alla società Lunix, quasi interamente partecipata dal Ni.Vi., della società Callari da parte della famiglia (Omissis) per il prezzo di Euro 3.614.000,00. Una parte delle somme in tal modo percepite da Sc.Gi. erano state investite nel Fondo (Omissis). Il fondo era stato acquistato con risorse ritenute lecite dal Tribunale, come affermato nel provvedimento di primo grado; tuttavia, dopo l'acquisto del fondo, lo Sc.Sa. aveva investito in esso somme provenienti dalla predetta operazione ritenuta illecita in quanto agevolatrice del sodalizio mafioso. Con l'istanza di revoca e poi nel giudizio di appello la difesa aveva prodotto prove nuove, scoperte successivamente, che dimostravano l'estraneità del Ni.Vi. al sodalizio mafioso sia nel procedimento a carico di quest'ultimo e volto all'applicazione di misure di prevenzione, sia nel processo penale a carico del Ni.Vi. per concorso in associazione mafiosa. L'esclusione dell'appartenenza del Ni.Vi. al sodalizio mafioso portava ad escludere l'illiceità delle somme investite nel fondo (Omissis), di cui era stata chiesta la restituzione. Con riguardo a questo profilo nessuna risposta è stata fornita dalla Corte territoriale nel provvedimento qui impugnato, mentre, con riguardo ai residui elementi, i ricorrenti richiamano quanto già dedotto con il secondo motivo. 3.4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano che, anche laddove sì ritenessero operanti i principi affermati dalle Sezioni Unite in tema di prova nuova con la sentenza Lo Duca , gli stessi sarebbero stati applicati dalla Corte di appello in modo eccessivamente rigoroso, con conseguente violazione dell'articolo 28 D.Lgs. numero 159 del 2011. Il Tribunale, decidendo sull'istanza di revoca, ha ritenuto che la mancata produzione della documentazione contabile nel corso del procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione fosse imputabile a Sc.Gi.. Con l'atto di appello si era dedotto che la mancata produzione non era imputabile al proposto in quanto la documentazione era stata rinvenuta dai suoi eredi solo nel giugno 2021, essendo rimasta chiusa in alcune stanze sigillate dell'azienda sita in Contrada (Omissis), oggetto di confisca, durante la pendenza del procedimento di prevenzione. La circostanza emergeva dal verbale di accesso nell'immobile al fine di recuperare i beni personali di Sc.Gi. rimasti all'interno di quelle stanze fin dal 2014. Poiché tali documenti non erano nel possesso di Sc.Gi. e dei suoi eredi fin dal 2014, si può affermare che essi integrano una prova nuova anche alla luce dei criteri fissati dalle Sezioni Unite con la sentenza Lo Duca . La Corte di appello ha sostenuto che Sc.Gi. avrebbe potuto tempestivamente attivarsi per richiedere la documentazione e poi produrla nel corso del procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione. In realtà, tenuto conto del livello socio-culturale del proposto, non appare a lui imputabile la mancata produzione della documentazione. 4, Il Procuratore generale, per quanto rileva in questa sede, ha evidenziato che la questione centrale posta dai ricorrenti attiene alla nozione di prova nuova valutabile ai fini della revoca ex tunc della confisca per difetto dei suoi presupposti originari, pacificamente regolata, nel caso di specie, ai sensi della previsione transitoria di cui all'articolo 117 D.Lgs. numero 159 del 2011 e trattandosi di proposta di prevenzione presentata il 23.12.2009, dall'articolo 7 della I. numero 1423 del 1956, così come interpretata dalle sentenze della Sezioni Unite numero 18 del 1998, Pisco, rv. 210041 in tema di prevenzione personale e numero 57 del 2007, Auddino, Rv. 234955 - 01, in tema di prevenzione reale. Segnala che su tale nozione si sono formati due orientamenti giurisprudenziali. L'orientamento più estensivo trae spunto dalla sentenza Pisano richiamata dalla sentenza Auddino, e in particolare dal passaggio della motivazione nel quale si afferma che rientrano tra le prove nuove rilevanti a norma dell'articolo 630, lett. c), cod. proc. penumero non solo quelle (...) sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice : ciò, (...) indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario . Il Procuratore generale indica come espressione di detto orientamento le sentenze Sez. 1, numero 10343 del 2020, Venuti, rv. 280856 - per la quale In tema di confisca di prevenzione, costituiscono prove nuove deducibili a fondamento tanto della domanda di revoca ex tunc, ai sensi dell'articolo 7 della legge 27 dicembre 1956, numero 1423, quanto della domanda di revocazione, ai sensi dell'articolo 28, D.Lgs. 6 settembre 2011, numero 159, elementi di prova preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano però stati concretamente dedotti e perciò mai valutati - e Sez. 6, numero 7009, D'Ardes del 2024 che, dopo la sentenza delle Sezioni Unite Lo Duca , nello scrutinare una richiesta di revoca ex articolo 7 della legge numero 1423 del 1956, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite Pisani , sembra ammettere la potenziale rilevanza di una prova noviter reperta indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte dell'interessato sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario e di una prova dedotta ma nemmeno implicitamente valutata, salvo poi dichiarare inammissibile il ricorso per carenza del requisito di decisività della prova, declinato secondo il principio per il quale la valutazione preliminare circa l'ammissibilità della richiesta proposta sulla base dell'asserita esistenza di una prova nuova deve avere ad oggetto, oltre che l'affidabilità, anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione e deve articolarsi in termini realistici sulla comparazione, tra la prova nuova e quelle esaminate, ancorata alla realtà processuale svolta . L'orientamento restrittivo e maggioritario afferma, invece, che la prova nuova, rilevante ai fini della revoca ex tunc della misura, è sia quella preesistente e scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, sia quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, ma non anche quella deducibile e non dedotta nell'ambito del suddetto procedimento, salvo che si adduca l'impossibilità di tempestiva deduzione per la riscontrata sussistenza di ragioni di forza maggiore (Sez. 1, numero 1649 del 2022, Rv. 282485-01; conf. Sez. 6, numero 27689 del 2021, Rv. 281692-01; Sez. 1, numero 21537 del 2021, Rv. 281226-01; Sez. 5, numero 28628 del 2017, Rv. 270238-01). Per questo secondo orientamento, l'assimilazione della disciplina della revoca ex tunc ai sensi dell'articolo 7 legge numero 1423 del 1956 a quello della revisione del giudicato penale non è completa, come dimostrerebbe il testo dell'articolo 28 D.Lgs. 6 settembre 2011, numero 159, che ha recepito gli esiti dell'elaborazione giurisprudenziale in tema di revoca della confisca di prevenzione e che rimanda, alle sole forme previste dagli articoli 630 e seguenti del codice di procedura penale ed indica, tra i casi di revocazione, quello di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento , diversamente dall'articolo 630 cod. proc. penumero che, alla lett. c), ammette la richiesta se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto... , così assegnando rilevanza, diversamente da quanto avviene nel procedimento di prevenzione, anche a prove non sopravvenute e, quindi, preesistenti. La soluzione restrittiva coglie una sorta di continuità interpretativa tra la revoca ex articolo 7 I. cit. e l'articolo 28 D.Lgs. numero 159 del 2011, configurando quest'ultimo come una tipizzazione normativa del precedente rimedio di conformazione giurisprudenziale (Sez. 1, numero 1649 del 2022, Rv. 282485-01). Il Procuratore generale mette anche in risalto che all'orientamento restrittivo ha aderito anche Sez. 6, numero 3610 del 2021, emessa, in un procedimento collegato a quello per cui si procede in questa sede, nei confronti di Sc.Ma., (figlio di Sc.Gi.), con la quale è stato annullato con rinvio il decreto di revoca della confisca emesso dalla Corte d'Appello di Catania, per non essersi questa confrontata con l'argomentazione del Tribunale che aveva escluso il carattere della novità proprio sulla base del rilievo che tale documentazione poteva e doveva essere allegata dagli interessati in quanto essa era già, o avrebbe dovuto essere, nella disponibilità degli istanti . Sulla base di detto contrasto, il Procuratore generale ha chiesto che i ricorsi vengano rimessi alle Sezioni Unite, sia per la risoluzione del contrasto in relazione alla nozione di prova nuova ai sensi dell'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956, sia, eventualmente, laddove si aderisca all'orientamento più restrittivo, per stabilire se, nel caso di istanza di revoca proposta dagli eredi del soggetto sottoposto a misura di prevenzione, la verifica di incolpevolezza della mancata deduzione debba riferirsi alla condotta degli istanti ovvero a quella tenuta dal de cuius durante il procedimento di prevenzione. 5. I difensori di Br.Anumero, Sc.Anumero e Sc.Ca., nel replicare alla requisitoria del Procuratore generale, si sono associati alle richieste di rimessione dei ricorsi alle Sezioni Unite, insistendo in ogni caso per il loro accoglimento. Anche il difensore di Sc.Sa. ha fatto pervenire una memoria difensiva con la quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto I ricorsi vanno rimessi alle Sezioni Unite stante il contrasto giurisprudenziale insorto tra le Sezioni di questa Corte in merito al concetto di prova nuova rilevante ai fini della revoca della confisca di prevenzione ai sensi dell'articolo 7, comma 2, legge 27 dicembre 1956, numero 1423, questione questa costituente oggetto della principale doglianza del ricorso di Sc.Sa. e del primo motivo dei ricorsi di Br.Anumero, Sc.Anumero e Sc.Ca.. 1. Va premesso che il secondo motivo dei ricorsi di Br.Anumero, Sc.Anumero e Sc.Ca. - che hanno proposto impugnazione quali eredi del proposto Sc.Gi. - volto ad ottenere la revoca della confisca sulla base dell'originaria insussistenza della pericolosità sociale di Sc.Gi. appare manifestamente infondato non essendo decisive le argomentazioni svolte. I ricorrenti sostengono che l'affermazione della pericolosità sociale di Sc.Gi. poggerebbe essenzialmente sui suoi rapporti con Ni.Vi., che era stato originariamente ritenuto un concorrente esterno all'associazione mafiosa e più precisamente il soggetto di cui il sodalizio mafioso si avvaleva per penetrare nel settore imprenditoriale della produzione di energia eolica. Poiché, successivamente alla applicazione della misura di prevenzione a carico di Sc.Gi., la Corte di appello, decidendo all'esito del giudizio di appello, ha revocato la misura di prevenzione applicata a Ni.Vi. con decreto del Tribunale di Trapani del 2012 e ancor dopo la Corte di appello, in altro procedimento, decidendo quale Giudice del rinvio, ha prosciolto Ni.Vi. dall'imputazione di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, dovrebbe ritenersi originariamente insussistente la pericolosità sociale di Sc.Gi.. In contrario deve osservarsi che la Corte di appello, con il provvedimento qui impugnato, ha evidenziato che i rapporti di Sc.Gi. con Ni.Vi. hanno avuto un ruolo marginale ai fini del riconoscimento della pericolosità qualificata del primo. A tal fine la Corte di merito ha anche richiamato la sentenza di questa Corte dì cassazione numero 34523 del 2 ottobre 2020, pronunciata all'esito del procedimento volto all'applicazione delle misure di prevenzione nei confronti di Sc.Gi.; in essa si afferma che ...il decreto impugnato ha diffusamente esaminato il punto, sottolineando la valenza dei rapporti con plurimi esponenti di associazioni mafiose con ruoli apicali nell'ambito delle stesse (quali Ra.Se. e La.Fr.), rapporti perduranti nel tempo, sintomatici di assoluta fiducia e, dunque, espressivi di indubbia condivisione di logiche criminali e di finalità illecite: di qui il rilievo che il coinvolgimento del proposto nelle attività del sodalizio mafioso ha avuto caratteri niente affatto episodici o risalenti nel tempo, essendosi, al contrario, manifestato attraverso una pluralità di condotte, variegate dal punto di vista tipologico (dall'ausilio ai latitanti, alla messa a disposizione degli immobili di pertinenza, alla reiterata frequentazione, alla comunanza di interessi economici) e reiterate per una lasso temporale esteso che denotano dunque continuativa disponibilità ad agevolare il raggiungimento dei fini illeciti del sodalizio criminale (emblematica sul punto la cessione da parte dei coniugi (Omissis) di terreni alla società Callari con atto notarile del 2009) . Ben lungi, quindi, dall'assumere connotazioni di apparenza, la motivazione resa sul punto dalla Corte distrettuale risulta saldamente ancorata ai dati conoscitivi acquisiti, valorizzati, nella proiezione temporale, sulla base del rilievo dei caratteri continuativi e qualitativi dei rapporti del proposto con esponenti di vertice di gruppi mafiosi . Pur essendo stata definita emblematica la cessione di alcuni terreni alla società Callari con atto del 2009, tale vicenda è solo uno dei tanti episodi dai quali è stata desunta la pericolosità sociale di Sc.Gi. che si fonda, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, sui rapporti diretti del proposto, non intermediati dal Ni.Vi., con diversi esponenti di vertice del sodalizio mafioso. Le prove nuove dedotte dai ricorrenti, pertanto, anche nel caso in cui fossero ritenute tali, non sarebbero decisive, in quanto inidonee ad incrinare il quadro probatorio posto a giustificazione del provvedimento applicativo della misura di prevenzione, come già osservato dalla Corte di appello. I ricorrenti hanno obiettato che con l'atto di appello si era segnalato che i residui elementi di prova sarebbero inidonei da soli a sorreggere la misura di prevenzione illustrando le ragioni per le quali essi avrebbero dovuto essere valutati in modo diverso rispetto a quanto già ritenuto nel provvedimento applicativo della misura, ma in tal modo essi pretendono di rimettere in discussione la valutazione del materiale probatorio già esaminato nel corso del procedimento applicativo della misura di prevenzione ormai divenuta definitiva, mentre tale operazione è impedita dal passaggio in giudicato. 2. Ferma restando, quindi, la pericolosità qualificata di Sc.Gi., tutti i ricorrenti - che agiscono in qualità di eredi di Sc.Gi. - sostengono anche che sono emerse nuove prove che dimostrerebbero la originaria insussistenza della sproporzione tra i redditi del nucleo familiare di Sc.Gi. e dei suoi familiari e il valore dei beni acquistati ed oggetto di confisca. A tal fine essi affermano che solo nel 2021, dopo la morte di Sc.Gi., sarebbero stati loro restituiti, in qualità di eredi, gli effetti personali ed altri beni appartenenti al defunto che si trovavano in alcune stanze dell'immobile insistente sul fondo (Omissis) che era stato colpito da sequestro preventivo e poi confiscato; dette stanze erano state chiuse e sigillate dall'amministratore giudiziario nel 2014 quando l'immobile era stato rilasciato per effetto della sua confisca. Tra tali beni vi erano una borsa ed una valigetta contenenti documentazione relativa ai contributi corrisposti dall'AIMA (ora AGEA) sin dal 1980. Detta documentazione, unita a quella relativa ai contributi percepiti dal 1988 al 2010, che gli eredi avevano provveduto a richiedere all'AGEA solo dopo la morte di Sc.Gi., secondo l'assunto dei ricorrenti, dimostrerebbe la insussistenza della sproporzione tra i redditi del nucleo familiare di Sc.Gi. e gli acquisti dei beni oggetto di confisca. La Corte di appello ha confermato il provvedimento di inammissibilità dell'istanza di revoca avanzata ex articolo 7 della legge numero 1423 del 1956. Pur riconoscendo che, come sostenuto dai ricorrenti, sulla base della disciplina transitoria fissata dall'articolo 117 del D.Lgs. numero 159 del 2011, alla istanza di revoca della confisca deve applicarsi, nel caso di specie l'articolo 7, della legge numero 1423 del 1956, trattandosi di misura di prevenzione applicata a seguito di proposta formulata in data anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. numero 159 del 2011, ha affermato che anche in relazione alla revoca disciplinata dal citato articolo 7 devono applicarsi i principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza Lo Duca in relazione alla revocazione di cui all'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011, atteso che con riguardo ad entrambi i rimedi ricorre l'eadem ratio, ossia la necessità di porre rimedio all'errore giudiziario occorso nell'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali ormai definitive. Ha quindi ritenuto che pure ai fini della revoca della confisca ai sensi dell'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956 la prova nuova è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, mentre non lo è quella deducibile e non dedotta nell'ambito del suddetto procedimento, salvo che l'interessato dimostri l'impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore. Ha, pure, osservato che la predetta documentazione era ben conosciuta dal proposto che avrebbe potuto produrla nel corso del procedimento teso all'applicazione delle misure di prevenzione nei suoi confronti o comunque attivarsi per richiederla alle autorità competenti e poi produrla nel procedimento a suo carico. Ha quindi escluso che la natura incolpevole dell'omessa allegazione delle prove documentali potesse essere valutata facendo riferimento non alla posizione del proposto, ma alla posizione degli eredi ed al momento in cui questi erano succeduti al de cuius. I ricorrenti hanno sostenuto nei loro ricorsi che, invece, la nozione di prova nuova indicata dalle Sezioni Unite nella sentenza Lo Duca in relazione all'istituto della revocazione disciplinato dall'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011 non possa essere estesa alla revoca della confisca ai sensi dell'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956 e che, in ogni caso, anche laddove si aderisse alla nozione più restrittiva indicata dalle Sezioni Unite, la natura incolpevole della mancata produzione della prova nel procedimento applicativo della misura di prevenzione andrebbe valutata non in relazione alla persona del proposto, ma facendo riferimento alla posizione dei ricorrenti. Deve in questa sede osservarsi che, ove quest'ultimo argomento formulato dai ricorrenti a sostegno della loro impugnazione fosse fondato, perderebbe rilievo la questione sulla estensibilità alla revoca di cui al citato articolo 7 della nozione di prova nuova fissata dalle Sezioni Unite con la sentenza Lo Duca in relazione alla revocazione disciplinata dall'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011. Difatti, se la natura colpevole o meno dell'omessa produzione della documentazione dovesse essere valutata facendo riferimento non alla posizione del defunto, ma a quella degli eredi, questi ultimi, essendo venuti a conoscenza dell'esistenza delle prove solo dopo la morte di Sc.Gi., non verserebbero in colpa e la documentazione dovrebbe essere considerata quale prova nuova , sia che si aderisca alla posizione più estensiva, sia che si accolga la nozione più restrittiva. Questo a Collegio, tuttavia, ritiene che la tesi sostenuta dai ricorrenti presenti indubbi profili di problematicità, avendo essi proposto l'istanza di revoca della confisca nella qualità di eredi di Sc.Gi.. L'erede, infatti, dovrebbe ritenersi subentrante nella medesima posizione giuridica del defunto e poiché il suo diritto a proporre l'istanza di revoca gli perviene per successione dal defunto, egli non potrebbe esercitare poteri che non consentiti al suo dante causa; se a costui è rimasto precluso, per scadenza del termine o per altro motivo, l'esercizio della azione, la medesima preclusione vale anche per il successore. Ove si aderisse alla tesi più restrittiva in ordine alla nozione di prova nuova e il defunto avesse colpevolmente omesso di allegare talune prove nel corso del procedimento applicativo della misura di prevenzione - sicché non potrebbero tali prove essere poste a sostegno della istanza di revoca ai sensi del citato articolo 7 - identica preclusione dovrebbe ritenersi operante per i suoi eredi. Questo Collegio ritiene, in ogni caso, che ai fini della decisione del ricorso sia rilevante stabilire quale sia la nozione di prova nuova ai fini della decisione sull'istanza di revoca ex articolo 7 della legge numero 1423 del 1956 ed in particolare se essa coincida con la nozione di prova accolta dalle Sezioni Unite con la sentenza Lo Duca in relazione all'istituto della revocazione disciplinato dall'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011, ovvero se la nozione di prova nuova includa anche le prove preesistenti alla definizione del procedimento di prevenzione, che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano state dedotte e valutate ex articolo 630 cod. proc. penumero, in conformità alla nozione di prova nuova elaborata ai fini della revisione. 3. Anteriormente al D.Lgs. numero 159 del 2011, l'ordinamento non prevedeva alcuno specifico strumento che consentisse la riparazione dell'errore giudiziario in relazione all'applicazione delle misure di prevenzione e, anche al fine di rendere la disciplina delle misure di prevenzione conforme al disposto del terzo comma dell'articolo 24 Cost., le Sezioni Unite con la sentenza Pisco (Sez. U, numero 18 del 10/10/1997, dep. 1998, Pisco, Rv. 210041) affermarono che tale lacuna poteva essere colmata non applicando analogicamente le disposizioni di cui agli articolo 629 e ss. cod. proc. penumero, ma attraverso lo strumento della revoca disciplinato dall'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956. Questo strumento poteva valere a consentire anche la revoca ex tunc della misura di prevenzione personale se fosse stato invocato il difetto originario dei suoi presupposti e se gli elementi prospettati a sostegno della istanza fossero nuovi; non era necessario che questi fossero sopravvenuti alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendo sufficiente che si trattasse di circostanze non valutate nel corso di quel procedimento. Per effetto della sentenza Pisco la revoca della misura di prevenzione disciplinata dall'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956 veniva in tal modo a comprendere sia la revoca con efficacia ex nunc, dovuta alla sopravvenuta cessazione di pericolosità del prevenuto, sia quella con efficacia ex tunc, resa nei casi di accertamento dell'insussistenza originaria della pericolosità anche per motivi emersi dopo l'applicazione della misura. In tal modo, un istituto inizialmente creato per adeguare la misura di prevenzione personale ai mutamenti di pericolosità del prevenuto (alla possibilità di revoca è infatti affiancata quella di modifica della misura) è stato modificato dalla giurisprudenza che ha ad esso assegnato anche la funzione di rimedio volto a determinare la rimozione ex tunc della misura, sulla falsariga di una revisione del relativo giudicato . Successivamente le Sezioni Unite (Sez. U, numero 57 del 19/12/2006, dep. 2007, Auddino, Rv. 234955) hanno esteso alle misure di prevenzione patrimoniali la possibilità di utilizzare la revoca di cui al cit. articolo 7 per porre rimedio a quelle situazioni in cui la confisca fosse stata disposta in difetto originario dei suoi presupposti, affermando che la richiesta di rimozione del provvedimento definitivo deve muoversi nello stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui agli articolo 630 e ss. c.p.p., con postulazione dunque di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento (e sono tali anche quelle non valutate nemmeno implicitamente: S.U., 26 settembre 2001, Pisano), ovvero di inconciliabilità di provvedimenti giudiziari, ovvero di procedimento di prevenzione fondato su atti falsi o su un altro reato . La sentenza Auddino , richiamando la sentenza delle Sezioni Unite Pisano sembra, quindi, accogliere una nozione molto estesa di prova nuova che abbraccia tutte le prove che non siano state valutate nel procedimento di prevenzione. La sentenza delle Sezioni Unite Pisano (Sez. U, numero 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443) ha affermato che prove nuove , rilevanti a norma dell'articolo 630, comma 1, lett. c), cod. proc. penumero, ai fini dell'ammissibilità della relativa istanza, devono intendersi sia le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna, sia quelle formatesi antecedentemente ma scoperte successivamente ad essa, sia quelle non acquisite nel precedente giudizio, sia quelle acquisite nel precedente giudizio, ma non valutate neppure implicitamente (purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudicante). 4. Deve, tuttavia, osservarsi in questa sede che, in relazione alla revoca della confisca in funzione di revisione disciplinata dall'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956, è sorto, già prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. numero 159 del 2011, un contrasto in ordine ai limiti entro i quali era possibile dedurre prove nuove allo scopo di ottenere la restituzione dei beni oggetto di una confisca ormai divenuta definitiva ed in particolare in ordine alla possibilità di chiedere la revoca della confisca sulla base di prove deducibili, ma per qualunque causa non dedotte nel procedimento dì prevenzione. 4.1. Sulla scia delle due sentenze delle Sezioni Unite sopra citate si è formato un primo orientamento che, in virtù dell'assimilazione dello strumento disciplinato dal citato articolo 7 all'istituto della revisione, ha affermato, anche in epoca recente, che la revoca della confisca di prevenzione per difetto genetico dei suoi presupposti di adozione può disporsi in presenza di elementi nuovi , non necessariamente sopravvenuti, purché mai valutati, neppure implicitamente, nel corso del relativo procedimento, stante il carattere di rimedio straordinario dell'istituto, che non può, di conseguenza, trasformarsi in un anomalo strumento di impugnazione. Rientrano tra le sentenze che già prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. numero 159 del 2011 avevano aderito a tale orientamento Sez. 1, numero 21369 del 14/05/2008, Provenzano, Rv. 240094 e Sez. 6, numero 46449 del 17/09/2004, Cerchia, Rv. 230646. La prima ha osservato che il provvedimento di confisca deliberato ai sensi della L. 31 maggio 1975, numero 575, articolo 2 ter, comma 3, (disposizioni contro la mafia) è suscettibile di revoca ex tunc, a norma della L. 27 dicembre 1956, numero1423, articolo 7, comma 2, (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), allorché sia affetto da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell'errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l'irreversibilità dell'ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all'avente diritto o forme comunque riparatone della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita (Cass., Sez. Unumero 19 dicembre 2006, numero 57, Auddino, rv. 234955). La richiesta di rimozione del provvedimento definitivo deve muoversi nello stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui all'articolo 630 c.p.p. e segg. e postula, dunque, l'acquisizione di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento (per tali dovendosi intendere anche quelle non valutate nemmeno implicitamente: Cass., Sez. Unumero, 26 settembre 2001, Pisano), ovvero l'inconciliabilità di diversi provvedimenti giudiziali, oppure che il procedimento di prevenzione sia fondato su atti falsi o su un altro reato. In questo contesto gli elementi dedotti devono essere diretti a dimostrare l'insussistenza di uno o più dei presupposti del provvedimento reale e pertanto, in primo luogo, la pericolosità del proposto, ma anche, unitamente o separatamente, la disponibilità diretta o indiretta del bene in capo al proposto medesimo, il valore sproporzionato della cosa al reddito dichiarato o all'attività economica svolta, il frutto di attività illecite o il reimpiego di profitti illeciti . La seconda ha affermato che il rimedio della revoca previsto dall'articolo 7, secondo comma, legge 27 dicembre 1956, numero 1423 può essere applicato anche alle misure di prevenzione patrimoniali, ove si tenda a dimostrare l'insussistenza ab origine delle condizioni legittimanti l'emissione del provvedimento, precisando che in tale ipotesi la revoca svolge una funzione assimilabile a quella della revisione, sicché la rimozione del giudicato va condotta nell'ambito dei parametri tracciati dall'articolo 630 cod. proc. penumero Successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs. numero 159 del 2011 altre sentenze di questa Corte di cassazione si sono espresse nello stesso senso. Sez. 5, numero 148 del 04/11/2015, Baratta, Rv. 265922 ha stabilito che la revoca per difetto genetico dei presupposti di adozione può disporsi in presenza di elementi nuovi , non necessariamente sopravvenuti purché mai valutati nel corso del procedimento di prevenzione, stante il carattere di rimedio straordinario dell'istituto che non può, pertanto, trasformarsi in un anomalo strumento di impugnazione. Anche per Sez. 2, numero 17335 del 27/03/2013, Perfetto, la richiesta di rimozione del provvedimento definitivo deve muoversi nello stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui agli articolo 630 e ss. cod. proc. penumero, con postulazione dunque di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento - e tali sono anche quelle non valutate nemmeno implicitamente secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza Pisano - ovvero di inconciliabilità di provvedimenti giudiziari, ovvero di procedimento di prevenzione fondato su atti falsi o su un altro reato. Per Sez. 3, numero 13037 del 18/12/2013, dep. 2014, Segreto, Rv. 259739, nel giudizio di revisione, la richiesta è ammissibile anche se fondata su prove preesistenti o addirittura colpevolmente non indicate nel giudizio di cognizione di cui si invoca la rilettura, purché le stesse non siano state oggetto, nemmeno implicitamente, di pregressa valutazione. Anche Sez. 6, numero 3943 del 15/01/2016, Bonanno, Rv. 267016, in relazione alla nozione di prova nuova, richiama la sentenza delle Sezioni Unite Pisano per affermare che per prove nuove rilevanti a norma dell'articolo 630, lett. e), cod. proc. penumero, ai fini dell'ammissibilità della relativa istanza devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario. Più recentemente questa Corte di cassazione ha pure affermato che costituiscono prove nuove deducibili a fondamento tanto della domanda di revoca ex tunc, ai sensi dell'articolo 7 della legge 27 dicembre 1956, numero 1423, quanto della domanda di revocazione, ai sensi dell'articolo 28, D.Lgs. 6 settembre 2011, numero 159, elementi di prova preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano però stati concretamente dedotti e perciò mai valutati; si è osservato che tale conclusione è conforme alla nozione di prova nuova elaborata ai fini della revisione nel procedimento penale, cui deve aversi riguardo nell'interpretazione di entrambe le citate disposizioni di legge (Sez. 1, numero 10343 del 05/11/2020, dep. 2021, Venuti, Rv. 280856). Quest'ultimo precedente può ormai ritenersi superato, a seguito della sentenza delle Sezioni Unite Lo Duca , con riferimento alla revocazione ex articolo 28 D.Lgs. numero 159 del 2011, ma non già con riguardo alla revoca di cui al citato articolo 7, atteso che in relazione a questa il principio di diritto da essa affermato trova conforto nella sentenza delle Sezioni Unite Auddino . Le Sezioni Unite, con la sentenza Lo Duca , hanno affermato che, ai fini della revocazione della misura ai sensi dell'articolo 28 del D.Lgs. 6 settembre 2001, numero 159, la prova nuova è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, mentre non lo è quella deducibile e non dedotta nell'ambito del suddetto procedimento, salvo che l'interessato dimostri l'impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore (Sez. U, numero 43668 del 26/05/2022, Lo Duca, Rv. 283707). Tali principi sono stati espressi dalle Sezioni Unite con esclusivo riferimento all'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011 e la decisione poggia in buona parte su argomenti che fanno leva sul tenore letterale della nuova disposizione. Innanzitutto, hanno osservato che è possibile chiedere la revocazione della confisca, ai sensi dell'articolo 28, comma 1, lett. a), solo in caso di prove nuove, sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione, precisando, tuttavia, che il termine sopravvenute abbraccia anche le prove preesistenti alla conclusione del procedimento e di cui la parte sia incolpevolmente venuta a conoscenza solo successivamente. Le Sezioni Unite hanno pure segnalato che la nuova disciplina introdotta dal D.Lgs. numero 159 del 2011, a differenza di quella anteriore, è rivolta ad assicurare una maggiore stabilità al c.d. giudicato di prevenzione . La revocazione disciplinata dall'articolo 28, pur essendo un mezzo straordinario di impugnazione, teso alla riparazione dell'errore giudiziario, non si presenta come un'azione di annullamento, atteso che il comma 4 prevede che, in caso di suo accoglimento, sorga in favore dell'interessato il diritto alla restituzione, che tuttavia può avvenire anche per equivalente. Le Sezioni Unite hanno poi attribuito rilievo alla circostanza che, al fine di assicurare maggiore stabilità al giudicato di prevenzione, il comma 3 dell'articolo 28 fissa un termine di decadenza per l'istanza di revocazione, proponibile entro sei mesi dalla data in cui si verifica una delle ipotesi previste dal comma 1, osservando che la previsione di uno stretto termine decadenziale è strutturalmente incompatibile con il caso di una prova introdotta nel procedimento, ma, in ipotesi, neppure implicitamente valutata, dal momento che, in siffatta evenienza, sarebbe impossibile individuare il dies ad quem da cui far scattare l'operatività del termine , citando in proposito Sez. 6, numero 26341 del 09/05/2019, De Virgilio, Rv. 276075. Le Sezioni Unite hanno pure evidenziato come la posizione del proposto o del terzo interessato che siano stati erroneamente attinti da una misura ablativa sia considerata, anche da questa Corte, maggiormente affine a quella del soggetto leso da una decisione erroneamente assunta all'esito di una controversia civile, piuttosto che a quella del soggetto che ha subito una condanna penale , in tal modo avallando quelle sentenze di questa Corte di cassazione che avevano evidenziato che il termine revocazione della confisca utilizzato dalla citata disposizione evocava un'affinità con la revocazione delle sentenze civili di cui all'articolo 395, primo comma, nnumero 2 e 3, cod. proc. civ. e veniva pure richiamato nella rubrica dell'articolo 62 D.Lgs. cit., sia pure in relazione alla possibilità - riservata al pubblico ministero, all'amministratore giudiziario e all'Agenzia nazionale dei beni confiscati - di chiedere in ogni tempo la revocazione del provvedimento di ammissione del credito al passivo, quando emerga che esso è stato determinato da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile al ricorrente; poiché la revocazione ex articolo 395 cod. proc. civ e il citato articolo 62 hanno in comune la possibilità per la parte di porre a fondamento della sua istanza documenti decisivi non tempestivamente prodotti per causa ad essa non imputabile, identico criterio deve ritenersi applicabile pure alla revocazione prevista dal citato articolo 28. Ai fini che rilevano in questa sede, occorre in definitiva evidenziare che le Sezioni Unite, con la sentenza Lo Duca espressamente attribuiscono rilievo decisivo alla previsione di un termine perentorio per la proposizione dell' istanza per affermare di conseguenza che la revocazione della confisca si discosta sia dall'istituto, pur affine, della revisione della condanna penale, sia dall'antecedente storico rappresentato dall'introduzione per via giurisprudenziale della revoca in funzione di revisione di cui all'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956. Sulla base di tali conclusioni non pare che la revoca della confisca in funzione di revisione possa mutuare estensivamente tout court dai principi affermati dalle Sezioni Unite Lo Duca - riguardante specificamente la revocazione disciplinata dall'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 2011 - la soluzione della questione oggetto dei ricorsi in esame, come pare ricavarsi dalla diversità degli istituti della revisione e della revocazione . Sulla scia delle precedenti sentenze, peraltro, si pone anche Sez. 6, numero 7009 del 08/11/2023, dep. 2024, D'Ardes, non massimata, segnalata dai ricorrenti. Come rilevato dal Procuratore generale, questa decisione, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite Pisani , sembra ritenere nuova anche la prova non dedotta nel procedimento di prevenzione pur se l'omissione sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del proposto. 4.2 A tale orientamento se ne contrappone un altro, che, facendo leva sulla natura di mezzo di impugnazione straordinario della revoca della confisca per difetto originario dei presupposti, perviene ad una nozione più restrittiva di prova nuova , che comprenderebbe solo le prove sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludendo quelle ivi deducibili ma, per qualsiasi motivo, non dedotte. Già prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. numero 159 del 2011 questa Corte di cassazione ha affermato che non è consentito rimettere in discussione atti od elementi già considerati nel procedimento di prevenzione ovvero in esso deducibili , dichiarando per tale motivo inammissibile l'impugnazione con la quale i ricorrenti si dolevano della dichiarazione di improcedibilità dell'istanza di revoca della confisca che poggiava su documenti che non sono stati considerati sopravvenuti alla conclusione del procedimento applicativo della confisca, in quanto già noti ai ricorrenti durante il procedimento di prevenzione e quindi producibili all'epoca, ma non dedotti (Sez. 1, numero 20318 del 30/03/2010, Buda, non massimata). Ulteriori sentenze hanno in seguito rafforzato questo secondo orientamento, anche traendo spunti dalla nuova disciplina introdotta dal D.Lgs. numero 159 del 2011, affermando che prova nuova , rilevante ai fini della revoca ex tunc della misura di prevenzione della confisca, è solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, non anche quella deducibile, ma non dedotta, nell'ambito di esso (Sez. 2, numero 11818 del 07/12/2012, dep. 2013, Ercolano, Rv. 255530). Aderisce a detto orientamento anche Sez. 6, numero 44609 del 06/10/2015, Alvaro, Rv. 265081, (richiamata pure da Sez. 5, numero 3031 del 30/11/2017, dep. 2018, Lagaren, Rv. 272104), che, partendo dal rilievo che la revoca delle misure di prevenzione disposte con provvedimenti che abbiano acquisito la forza di cosa giudicata costituisce misura straordinaria, che postula l'emergere di una prova nuova e sconosciuta nel corso del procedimento di prevenzione, suscettibile di mutare radicalmente i termini della valutazione a suo tempo operata, arriva a concludere che la prova nuova non può consistere in un qualsiasi elemento favorevole, poiché altrimenti si trasformerebbe un istituto che ha natura di mezzo straordinario di impugnazione in una non consentita forma di impugnazione tardiva, ribadendo il principio già affermato dalla sentenza Ercolano sopra citata. Anche Sez. 1, numero 12762 del 16/02/2021, Roberto, Rv. 280800 (richiamando anche Sez. 6, numero 31937 del 06/06/2019, Rv. 276472, che riguarda il diverso istituto della revocazione ex articolo 28 D.Lgs. numero 159 del 2011) afferma che ai fini della revoca ex tunc della confisca ai sensi dell'articolo 7 della legge numero 1423 del 1956 assume rilevanza solo la prova scoperta (anche se preesistente) dopo che la misura è divenuta definitiva o quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, mentre non è prova nuova quella, preesistente, deducibile, ma non dedotta, nell'ambito del suddetto procedimento. In termini corrispondenti si sono pronunciate anche Sez. 6, numero 27689 del 18/05/2021, Mollica, Rv. 281692 (ove pure viene segnalato il già esistente contrasto giurisprudenziale), Sez. 2, numero 28305 del 25/06/2021, Bellinvia, Rv. 281803 (che richiama il principio di diritto affermato dalla sentenza Esposito in relazione al diverso istituto della revocazione disciplinata dall'articolo 28 del D.Lgs. numero 159 del 2011), Sez. 1, numero 1649 del 28/09/2021, dep. 2022, Esposto, Rv. 282485 e Sez. 5, numero 38365 del 11/07/2023, Giammanco, non massimata. 5. Poiché, sulla base di quanto sopra esposto, la risoluzione di detto contrasto - tuttora persistente, tra due orientamenti che poggiano anche su decisioni assunte dal più autorevole consesso di legittimità - è decisivo presupposto per la definizione del presente procedimento, i ricorsi, anche su richiesta delle parti, devono essere rimessi alle Sezioni Unite, ai sensi dell'articolo 618 cod. proc. penumero, affinché le stesse si esprimano sulla seguente questione: Se, ai fini della revoca della confisca ai sensi dell'articolo 7, comma 2, legge 27 dicembre 1956, numero 1423 (nei procedimenti di prevenzione ai quali non si applica ratione temporis l'articolo 28 del D.Lgs. 6 settembre 2011, numero 159), la nozione di prova nuova includa anche le prove preesistenti alla definizione del procedimento che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano però state dedotte e valutate, in conformità alla nozione di prova nuova come elaborata ai fini della revisione ex articolo 630 cod. proc. penumero . P.Q.M. rimette i ricorsi alle Sezioni Unite.