In sede di giudizio di prevenzione, il diritto di difesa del terzo interessato non può limitarsi alla mera rivendica dell’effettiva titolarità dei beni sottoposti a vincolo, ma deve estendersi a tutte le facoltà riconosciute al proposto deve, dunque, garantirsi la pienezza del contraddittorio su tutti i presupposti della misura ablatoria per assicurare la effettività del rimedio giurisdizionale riconosciutogli come parte del procedimento.
Lo ha stabilito la Cassazione aspettando la decisione delle Sezioni Unite sul tema. In attesa delle determinazioni nomofilattiche delle Sezioni Unite prossima udienza fissata per il 27 marzo 2025 , la Cassazione non esita a estendere le medesime facoltà del proposto anche al terzo interessato, dal momento che può far valere l' insussistenza di tutti i presupposti per l'applicazione della misura prevenzione patrimoniale . Pericolosità sociale, sproporzione tra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, provenienza della res sono tutte questioni su cui deve instaurarsi il contraddittorio, e il sindacato, del terzo. Anche la parte interessata deve quindi considerarsi una protagonista dialogante del giudizio di prevenzione, e ogni eventuale compressione dei relativi diritti alla difesa deve necessariamente trovare precisi fondamenti normativi. Ritenuta la pericolosità sociale del preposto, la Corte di appello di Bari rigettava l'impugnazione del terzo interessato avverso il decreto che ordinava la confisca dei beni immobili ritenuti formalmente intestati a quest'ultimo ma rientranti nella disponibilità del proposto. A mezzo del proprio difensore, ricorreva per Cassazione il terzo interessato rilevando l'insussistenza dei presupposti sostanziali agli strumenti ablativi nonché l'assenza di una stretta connessione temporale tra la pericolosità sociale del preposto e la misura della confisca. La legittimazione del terzo interessato La Suprema Corte rigettava il ricorso del terzo interessato, affrontando in via incidentale le questioni relative alla sua stessa legittimazione processuale . Un punto di partenza su cui tuttavia insiste un contrasto giurisprudenziale non ancora risolto dalle Sezioni Unite, alle stesse rimesso con l'ordinanza numero 43160/2024. Resta, infatti, ancora aperto il seguente interrogativo in caso di confisca di prevenzione su beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest'ultimo è legittimato a contestare i presupposti per l'applicazione della misura nei confronti del preposto o deve limitarsi a rivendicare la titolarità e la proprietà della res sottoposta a vincolo ? La natura civilistica nel giudizio di prevenzione Secondo un primo orientamento il terzo interessato deve limitare il proprio onere di allegazione alla sola titolarità del bene confiscato ex multis Cass. Penumero , Sez. 6, numero 17519 del 27/02/2024 . Ciò in ragione del fatto che, se dovesse disporsi la revoca della confisca dei beni, in assenza di prova sulla proprietà del terzo, sarebbe comunque il preposto ad ottenere la restituzione della res. Tale schema ablativo determinerebbe delle ineluttabili ripercussioni processuali nei confronti del terzo e del relativo interesse ricorrere per Cassazione, che rimane arginato al solo diritto di rivendicare la titolarità del bene. Lo stesso, infatti, non potrà sindacare le questioni attinenti alla pericolosità sociale e la sproporzione fra il valore dei beni e i redditi dichiarati dal proposto, che viceversa rimane l'unico soggetto legittimato a far valere tale interesse Cass. Penumero , Sez. 1, numero 35669 del 11/05/2023 . Lo status di parte processuale del terzo interessato La Suprema Corte scarta tale ultimo orientamento, prediligendo il differente indirizzo ermeneutico che riconosce il terzo interessato come parte processuale e alla conseguenziale estensione di tutti i diritti di difesa costituzionalmente garantiti. Non può dirsi legittima una compromissione del diritto al contraddittorio e all'accesso ai mezzi di impugnazione del terzo se mancano precise ed esplicite disposizioni normative che prevedono espressamente tali limitazioni per la tutela di altri valori di eguale rilevanza costituzionale. Con la recente direttiva UE 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consigli del 24 aprile 2024, è lo stesso diritto eurounitario a riconoscere che « anche gli interessati abbiano l'effettiva possibilità di contestare il provvedimento di confisca a norma degli articoli da 12 a 16, comprese le circostanze rilevanti del caso e gli elementi di prova disponibili su cui si basano le conclusioni, dinanzi a un organo giurisdizionale in conformità delle procedure del diritto nazionale.» La simulazione è un diritto Le valutazioni della Suprema Corte non si arrestano al diritto del terzo di far valere con ogni strumento processuale l'insussistenza dei presupposti applicativi alle misure di prevenzione patrimoniale, ma investono altresì il generale diritto della parte interessata al ricorso agli strumenti civilistici della simulazione . Spicca per lucidità sistematica il ragionamento della Cassazione allorquando afferma che l'intestazione simulata di un bene non costituisce di per sé una situazione illecita. Ben potrebbe accadere che un soggetto intenda liberamente intestare la titolarità apparente di un immobile a un soggetto diverso e ricorrere all'istituto della simulazione di cui agli articolo 1414 e segg. cod. civ. Tale circostanza, secondo il primo e più restrittivo orientamento della Cassazione, porterebbe a paradossali conseguenze poiché resterebbe preclusa ogni facoltà difensiva del terzo interessato dal momento che quest'ultimo può solo limitarsi a dimostrare l'esclusiva titolarità del bene. Infine, non può sfuggire ai più attenti lettori che i dubbi sulla legittimazione del terzo sono in parte già stati affrontati, e positivamente risolti, in tema di sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p. Si è, infatti, affermato che il terzo intestatario del bene aggredito è legittimato a contestare, oltre alla fittizietà dell'intestazione, anche l' oggettiva confiscabilità del bene in difetto del fumus commissi delicti e del periculum in mora , potendo l'assenza dei presupposti della confisca avvalorare la tesi della natura non fittizia, ma reale dell'intestazione Sez. 6, 15673 del 13/03/2024, Pezzi, Rv. 286335 - 01 . Del resto, è proprio l' articolo 322 c.p.p. a riconoscere al terzo la facoltà di impugnare un provvedimento di sequestro anche nel merito attraverso lo strumento del riesame .
Presidente Aprile - Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Bari ha rigettato l'appello proposto da De.Da. e da Ia.Lu., quale terza interessata, avvero il decreto con il quale il Tribunale di Bari, aveva ordinato la confisca nei confronti dei predetti del complesso agrituristico denominato Athlos , composto da fabbricati e terreni, sito in contrada omissis di V, formalmente intestato alla Ia.Lu. ma ritenuto nella concreta disponibilità del figlio, De.Da. La confisca è stata disposta ai sensi degli articolo 1, lett. b e 4, lett. b D.Lgs. numero 159 del 2011 per la ritenuta pericolosità sociale del De.Da., a partire dal 2004 e perdurante fino all'adozione del provvedimento di primo grado del 27 luglio 2023 , e, comunque, fino all'anno 2019. I giudici del merito hanno ritenuto comprovata la pericolosità sociale del ricorrente De.Da. sulla base di una pluralità di elementi desunti dal certificato del casellario giudiziale, dal certificato dei carichi pendenti, dai suoi precedenti di polizia, dalle dichiarazioni del collaboratore Su.Gi., da intercettazioni telefoniche e ambientali. Gli elementi così acquisiti hanno consentito di ritenere accertato che De.Da. ha posto in essere un'attività criminale lucrativa, senza soluzione di continuità, e che le acquisizioni patrimoniali realizzate per mezzo della madre erano temporalmente collegate all'epoca di manifestazione della detta pericolosità e del tutto sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati dalla Ia.Lu. 2. Con i motivi di ricorso, sintetizzati ai sensi dell' articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione. 2.1. Ia.Lu. denuncia 2.1.1. illegittimità costituzionale, per violazione degli articolo 24 e 111 Cost. nella parte in cui l' articolo 27 del D.Lgs. numero 159 del 2011 assegna il termine di giorni dieci per l'impugnazione del provvedimento al confronto con la dilazione del termine di deposito del provvedimento che, nel caso, il giudice di appello ha previsto in giorni novanta e nella parte in cui assegna alla Corte di Cassazione il termine di trenta giorni per procedere alla fissazione del ricorso, con contrazione delle facoltà della parte di proporre motivi aggiunti e memorie difensive, tanto alla luce dell'efficacia ablatoria reale della confisca 2.1.2. violazione di legge per carenza di motivazione in risposta alla richiesta della difesa di assunzione, in appello, di una prova decisiva costituita dalle dichiarazioni rese da Su.Gi., richiesta dalla difesa. Premesso che è necessaria una stretta connessione temporale tra la pericolosità sociale e la misura di confisca, la Corte di appello ha valorizzato quale elemento nuovo in grado di far di retrodatare il momento genetico della pericolosità sia generica che qualificata del proposto le dichiarazioni rese da Su.Gi., ritenute attendibili nonostante la loro genericità e la carenza di riscontri. La escussione del dichiarante, disattesa dalla Corte di merito, era necessaria e rilevante poiché le dichiarazioni del Su.Gi. sono state ritenute idonee a modificare il precedente provvedimento cautelare con il quale era stata rigettata la richiesta di sequestro preventivo. Le dichiarazioni del Su.Gi., valorizzate nella descrizione del risalente excursus criminale di De.Da., sono, invece, sganciate da una precisa collocazione storico-temporale e non si confrontano con la concreta dinamica della ristrutturazione degli immobili, collocazione temporale che, viceversa, costituisce un dato indispensabile per la corretta ricostruzione dei fatti trattandosi di una vicenda che abbraccia oltre un ventennio. La Corte di merito ha, inoltre, completamente pretermesso la circostanza che De.Da. è rimasto detenuto per un lungo arco temporale cioè dal 2007 al 2015 2.1.3. violazione di legge in ordine alla retrodatazione della pericolosità generica e qualificata di De.Da. in contrasto con le valutazioni poste a fondamento del provvedimento del Tribunale che, con decreto del 26 giugno 2021, aveva, invece, denegato il provvedimento di sequestro evidenziando a la data di acquisto degli immobili da parte della Ia.Lu., risalenti al 22 giugno 2002 b la circostanza che la stessa avesse contratto nel corso degli anni alcuni mutui per procedere ai lavori e fosse stata responsabile delle procedure relative al rilascio dell'attività di affittacamere, attività effettivamente svolta nel corso degli anni c che fino al 2007 il prevenuto non era risultato coinvolto in vicende di rilievo penale idonee alla produzione di redditi d che il De.Da. era stato detenuto fino al 2015, epoca a partire dalla quale si assisteva all'autentica escalation criminale del De.Da. Né è superfluo osservare, a tale riguardo, che con il provvedimento applicativo della sorveglianza speciale del 2016 - pure richiamato nel decreto impugnato - il De.Da. veniva definito persona abitualmente dedito a traffici delittuosi ai sensi della lettera a articolo 1 D.Lgs. numero 159 cit., norma dichiarata incostituzionale con la nota sentenza 20/04/2019. La Corte di appello, seguendo il giudice di primo grado ha richiamato, a fondamento del giudizio di pericolosità, i numerosi precedenti per reati che, tuttavia, non sono direttamente produttivi di reddito. Gli elementi innanzi descritti, posti a fondamento del diniego di sequestro sono stati sovvertiti in assenza di adeguata motivazione e trascurando i giganteschi vuoti temporali che incidono sul giudizio di pericolosità sociale e sulla possibilità di produzione di redditi illeciti da parte del De.Da., vista la lunga detenzione subita 2.1.4. omessa motivazione su una prova decisiva, un video postato su you tube , che comprova la ultimazione dei lavori dell'agriturismo e la sua funzionalità fin dall'anno 2012. La consulenza tecnica si è fondata su dati statici, cioè la documentazione progettuale ovvero le immagini satellitari, per datare la esecuzione dei lavori ad epoca successiva all'anno 2017, ma si tratta di valutazioni parziali che, inoltre, sminuiscono gli apporti economici conferiti dalla Ia.Lu. e dal compagno, i mutui conseguiti e l'attività lavorativa che la stessa aveva profuso nell'azienda, per tale via depotenziando anche la rilevanza dei redditi prodotti che la Corte territoriale, errando, ritiene prodotti in evasione. 2.2. De.Da. denuncia 2.2.1. violazione di legge in relazione all'articolo 24 D.Lgs. numero 159 del 2011 per carenza dei presupposti applicativi della misura ablativa in ordine alla necessaria correlazione temporale tra l'acquisto dei beni confiscati e la perimetrazione della pericolosità sociale del proposto. La motivazione sul punto è illogica e contraddittoria. Nel procedimento di primo e secondo grado non sarebbero state prese in considerazione le allegazioni difensive in punto di prova della non riconducibilità del bene confiscato alla pericolosità criminale del proposto stante l'epoca risalente dell'acquisto avvenuto da parte della madre Ia.Lu. nell'anno 2002 mentre l'insorgenza della pericolosità sociale del proposto è stata individuata in un momento successivo e cioè a partire dall'anno 2004, anno del compimento della maggiore età del proposto. Il ragionamento della Corte territoriale non è collegato alle risultanze oggettive in mancanza di correlazione temporale tra la pericolosità sociale e il momento di acquisto dei beni, collegamento che costituisce il presupposto giustificativo della confisca stessa ossia la ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività delittuose. La sussistenza della pericolosità sociale del proposto costituisce, altresì, criterio indefettibile ai fini della riconducibilità al proposto dei miglioramenti apportati. La giurisprudenza non esclude che possa procedersi alla confisca di beni acquisiti in epoca anche successiva ma non consente la confisca di beni acquisiti anteriormente. La pericolosità sociale deve essere desunta, inoltre, da elementi di fatto apprezzabili in ordine alla realizzazione non episodica di attività delittuose produttive di reddito illecito e di reddito destinato almeno in parte al soddisfacimento dei bisogni del De.Da. Dalla lettura delle risultanze del casellario emerge, infatti, che le condanne, per ricettazione e rapina, a carico del prevenuto sono intervenute nell'anno 2007 fino all'anno 2015, anno in cui il proposto era entrato a far parte del clan Ra. - Ri. dal quale si era poi dissociato la motivazione sviluppata pagina 8 del decreto è del tutto illogica nella parte in cui ha retrodatato all'anno 2003 i delitti commessi dal prevenuto con condotta perdurante fino al 2020 2.2.2. violazione di legge articolo 24 del D.Lgs. numero 159 del 2011 nella parte in cui il decreto impugnato ha valorizzato retrospettivamente la pericolosità sociale che il De.Da. ha acquisito per effetto della sua adesione al clan Ra. - Ri. che, temporalmente, deve essere collocata ad un periodo successivo all'acquisto del complesso immobiliare e che non può giovarsi, sulla scorta delle dichiarazioni del collaboratore Su.Gi., delle condotte illecite ascritte al De.Da. da minorenne, trattandosi di mere attività di spaccio di sostanze stupefacenti. Emerge, invece, con evidenza che la pericolosità sociale del De.Da. rileva per effetto di condotte successive all'acquisto 2.2.3. nullità del decreto per travisamento della prova per omissione in ordine alla valutazione di elementi probatori acquisiti nel processo decisivi ai fini della pronuncia in relazione alla manifesta sproporzione dei beni confiscati rispetto agli ipotizzati profitti illeciti e illegittima compressione del diritto di iniziativa economica e tutela della libertà privata. La motivazione sul punto è apparente poiché i giudici del merito non hanno esaminato il contenuto della perizia giurata redatta dall'ingegnere Pa.Vi. tramite la quale si è evidenziato che il valore degli immobili, stimato dal consulente tecnico di ufficio, era stato economicamente sovrastimato pervenendo, così, ad un giudizio di elevata sperequazione, in realtà inesistente. La Corte di appello non ha replicato sul piano tecnico alle deduzioni della difesa e ai rilievi del consulente di parte alla perizia del consulente di ufficio un errore macroscopico è relativo alla valutazione dell'immobile confiscato, calcolata sulla documentazione progettuale e sul valore catastale dei beni senza tener conto del loro valore di mercato. Altra discrasia emerge in ordine alla valutazione dei materiali impiegati, di fatto molto più economici e scadenti. La verifica della reale entità dell'apporto di provenienza illecita e il dato cronologico costituiscono elementi indefettibili per valutare la legittimità del provvedimento di ablazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso di Ia.Lu. deve essere rigettato. Il ricorso di De.Da. è inammissibile. 2. Ritiene il Collegio che, ai fini dell'esame dei ricorsi, deve, immediatamente, essere evidenziata la peculiarità della vicenda in esame che ha ad oggetto il provvedimento di confisca di un bene di rilevante valore economico, apprezzato in 351.000 Euro, come da nota dell'Agenzia delle Entrate del 27 ottobre 2019, ovvero in Euro 336.929,90, come determinata dal Tribunale all'anno 2019 dopo avere depurato dal valore degli immobili gli interventi eseguiti nel biennio 2020/2022 a causa dell'assenza di dati riguardanti la ricostruzione dei patrimoni e la sproporzione , bene costituito da un terreno e da consistenze immobiliari acquistati dalla terza interessata, Ia.Lu., madre di De.Da., verso il corrispettivo di 49.00,00 Euro nell'anno 2002, quando De.Da. era minore. Dalla documentazione acquisita si rileva che il bene acquistato consisteva, al momento dell'acquisto, in un immobile costituito da un piano terra adibito ad abitazione, di quattro vani ed accessori e da un terreno di ca. 34.000 mq. Allo stato, il fabbricato è stato sopraelevato e ampliato, con la realizzazione di nuove cubature, in aderenza al piano preesistente di piccoli manufatti nell'area circostante e di un manufatto destinato a scuderia, il tutto finalizzato all'esercizio dell'attività di bed and breakfast che vi si svolge dall'anno 2003. Ia.Lu., rivendica l'effettiva proprietà della struttura e sostiene di avere proceduto nel corso degli anni, a partire dal 2008, con denari propri e del compagno rivenienti anche da vendita di un immobile e da mutui bancari, ai lavori e alla coeva gestione di un'attività di affittacamere e in un periodo in cui il figlio si trovava detenuto dal 2007 al 2015 . Osserva il Collegio che non può, dunque, ritenersi che la signora Ia.Lu., che pure ha rapporti di stretta parentela con il proposto, sia mera intestataria fittizia degli immobili né che tali immobili siano stati acquistati con fondi illeciti e, quindi, fare applicazione delle note presunzioni in materia, dovendo, invece, dimostrarsi che il compendio confiscato - terreni e immobili - sia nella disponibilità effettiva del proposto e che questi, negli anni e in correlazione con il giudizio di pericolosità sociale, abbia contribuito alle modifiche degli immobili incrementandone il valore attraverso la creazione di nuove strutture che ne hanno trasformato anche la originaria destinazione che oggi si configura come un complesso agrituristico, cioè un'attività che, diversamente dalla mera azienda agricola, comporta attività di ricezione e ospitalità, anche se esercitata da imprenditori agricoli. Costituisce, infatti, principio costantemente affermato in materia quello che in tema di misure di prevenzione, è legittima la confisca di un edificio realizzato con fondi di provenienza illecita su un suolo di provenienza lecita, se il primo abbia un valore preponderante rispetto al secondo, poiché, quando un bene si compone di più unità, il regime penalistico cui assoggettare il cespite nella sua interezza è quello proprio della parte di valore economico e di utilizzabilità nettamente prevalenti, diventando irrilevante il principio civilistico dell'accessione. Sez. 6, numero 18807 del 30/10/2012, dep. 2013, Martino e altri, Rv. 255091 . Con maggiore precisione, avuto riguardo ai rilievi dei ricorrenti, si è affermato, che è legittima la confisca di prevenzione di un bene immobile, realizzato con somme di denaro di illecita provenienza su terreno di provenienza lecita, in quanto i due beni, sul piano economico e funzionale devono essere valutati unitariamente, non potendo essere suscettibili di un'utilizzazione separata, dovendosi dare maggior rilievo, in ambito penalistico, al maggior valore economico del fabbricato - bene principale - del quale il terreno, indipendentemente dalla sua estensione, segue il regime giuridico, quale pertinenza, in conformità agli scopi della disciplina di prevenzione Sez. 2, numero 40778 del 02/11/2021, Fasciani, Rv. 282195 e che non costituisce preclusione processuale ostativa all'applicazione della confisca dell'intero patrimonio di un indiziato di appartenere ad un'associazione di tipo mafioso, il provvedimento definitivo che abbia revocato l'applicazione della misura ablatoria per insussistenza del requisito della sproporzione tra entrate e beni acquistati in un determinato periodo oggetto di accertamento, quando il successivo decreto di confisca si fondi, in ragione di ulteriori elementi di valutazione, su un giudizio di pericolosità qualificata esteso all'intero percorso esistenziale del proposto e sul dimostrato illegittimo accumulo di ricchezza per reimpiego di capitali illeciti. 3. Va, altresì, ricordato che il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti di confisca adottati nell'ambito del procedimento di prevenzione, è ammesso solo per violazione di legge e non anche per vizio di motivazione in questa prospettiva devono, quindi, essere esaminati i motivi di ricorso proposti da De.Da. che, in più punti, denuncia la illogicità e la contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato ovvero il travisamento della prova motivo 2.1.3. , aspetti che - come noto - in sede di prevenzione sono sindacabili da questa Corte nei soli casi di inesistenza della motivazione, nel senso di redazione di un testo del tutto privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità o di un testo del tutto inidoneo a far comprendere l'itinerario logico seguito dal giudice, o, comunque, gravemente carente nella valutazione delle deduzioni difensive con riguardo ad elementi rilevanti e decisivi, e, pertanto, tale da inficiare l'intero apparato motivazione. 4. Come anticipato, il ricorso di Ia.Lu. deve essere rigettato. 5. Il primo motivo di ricorso è infondato. La ricorrente rimette alla Corte, con il ricorso, la questione illegittimità costituzionale, per violazione degli articolo 24 e 111 Cost. , dell'articolo 27 del D.Lgs. numero 159 del 2011 nella parte in cui assegna il termine di giorni dieci per l'impugnazione del provvedimento e alla Corte di cassazione il termine di trenta giorni per la fissazione del ricorso, nel caso in cui il giudice di appello abbia disposto la proroga del termine di deposito del provvedimento. La questione di illegittimità costituzionale, per violazione degli articolo 3 e 24 Cost. , è già stata esaminata, e ritenuta manifestamente infondata, in relazione agli articolo 585 cod. proc. penumero e 154-ter disp. att. cod. proc. penumero , disposizione, questa, che consente la dilazione del termine di deposito della sentenza. La questione di illegittimità era stata proposta in relazione alla parte in cui non è prevista, nel caso di differimento del termine per il deposito della motivazione, una corrispondente proroga del termine per proporre impugnazione. Si è osservato, in tale caso, che non può ritenersi irragionevole una disciplina che fissi termini diversi per l'attività del giudice rispetto a quelli riferiti alle parti, attesa la diversità delle posizioni dei soggetti processuali e della tipologia di atti da formare Sez. 6, numero 31875 del 12/04/2016, Armenise, Rv. 267984 . Tale conclusione deve applicarsi, ad avviso del Collegio, anche alla questione proposta dalla ricorrente perché non vi è ragione, con riferimento alle previsioni di cui all' articolo 27 del D.Lgs. numero 159 del 2011 che, richiamando la disposizione di cui all'articolo 10 D.Lgs. numero 159 cit., assegna il termine di giorni dieci per l'impugnazione del provvedimento e quello di trenta giorni per la fissazione del ricorso per cassazione , per discostarsi dalla valutazione di ragionevolezza della previsione normativa che regola i termini, rispettivamente dell'impugnazione e di fissazione del ricorso, rispetto alla previsione che consente la dilazione dei termini di deposito del provvedimento, tenuto conto della strutturale diversità tra il decreto di confisca, che deve esaminare tutti i fatti processualmente rilevanti, occupandosi anche della diversità delle posizioni, e l'impugnazione della parte, che comporta la facoltà della parte stessa di scegliere i punti da criticare e che può svolgere le proprie censure anche con motivi nuovi e memorie. Né la diversità del termine viola il diritto di difesa articolo 24 Cost. e il principio del contraddittorio articolo 111 Cost. , tenuto conto che i termini di impugnazione si rivolgono a tutte le parti, che si trovano, dunque, in posizione di parità che l'esercizio del diritto di difesa, in relazione alla fase dell'impugnazione, si declina in termini differenti da quelli del diritto alla prova che governa la fase di cognizione del procedimento e, infine, che l'esercizio dei diritti delle parti processuali deve essere posto in bilanciamento anche con il principio della ragionevole durata del procedimento e con la necessaria celerità della procedura in relazione agli interessi coinvolti dalla statuizione di confisca, procedura che, infatti, prevede, a pena della perdita di efficacia della disposta confisca, la rapida definizione del procedimento anche nella fase di impugnazione articolo 27, comma 6, D.Lgs. numero 159 cit. . 6. Il secondo motivo di ricorso proposto da Ia.Lu. è generico e manifestamente infondato. Va rilevato che, in generale, in tema di misura di prevenzione trovano applicazione con i necessari adattamenti, le norme che regolano il processo di esecuzione l' articolo 666, comma 5, cod. proc. penumero , in virtù del disposto di cui all'articolo 7, comma 9, D.Lgs. numero 159 cit., regola i poteri istruttori del giudice conferendogli la facoltà di chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno , mentre, se occorre assumere prove, procede in udienza, nel rispetto del contraddittorio Sez. 5, numero 3181 del 14/11/2018, dep. 2019, Antonelli, Rv. 275411 . In appello, i poteri istruttori del giudice, non sono espressamente regolati, ma la rinnovazione dell'istruttoria ad es. per l'esecuzione d'una nuova perizia o per l'acquisizione di altri mezzi di prova , è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito, il cui operato concreto è censurabile soltanto per difetto di motivazione e, dunque, quando non abbia dato ragione del rigetto dell'istanza di rinnovazione richiesta dalle parti con i motivi di appello, richiesta che deve essere valutata alla stregua dei criteri di rilevanza e decisività della prova richiesta. La Corte di appello di Bari pag. 7 del decreto impugnato non solo ha operato il corretto inquadramento del potere di rinnovazione del giudice di appello a tale riguardo va solo rilevato che la modifica in peius delle statuzioni della Corte di appello è evocata dalla ricorrente non con riferimento al decreto del Tribunale ma a un provvedimento adottato in fase cautelare e dei poteri istruttori del giudice di appello ma ha diffusamente esposto le ragioni che rendevano ultronea e manifestamente inidonea ad apportare elementi nuovi di valutazione , rispetto a quella emergente dalla verbalizzazione in atti, la richiesta di esame diretto del dichiarante Su.Gi. Il motivo di ricorso non si confronta con tale affermazione, e, dunque nulla di nuovo aggiunge sul tema della rilevanza e decisività della rinnovazione richiesta, e si concentra sul giudizio di inattendibilità del dichiarante nonché sulla genericità e carenza di riscontri delle dichiarazioni del Su.Gi., aspetti, anche questi, esaminati analiticamente nel decreto impugnato. Infatti, con argomentazioni affatto apparenti, la Corte di appello, premesso che nel giudizio di prevenzione, considerata l'autonomia del procedimento rispetto al giudizio di merito, la prova indiretta o indiziaria non deve essere dotata dei caratteri prescritti dall' articolo 192 cod. proc. penumero , né le chiamate in correità o in reità devono essere necessariamente sorrette da riscontri individualizzanti Sez. 5, numero 50202 del 08/10/2019 Cottitto, Rv. 278049 , ha esaminato il tema dell'attendibilità del dichiarante, avvalorata dalle conclusioni dei processi di merito tanto da meritare l'attenuante di cui all' articolo 416-bis 1, terzo comma, cod. penumero e la specificità e precisione della sua ricostruzione, anche sul piano temporale. 7. L'esame del terzo motivo di ricorso proposto da Ia.Lu. comporta la necessità di verificare, in primo luogo, il tema della legittimazione della ricorrente posto che tale motivo di impugnazione si articola intorno alla perimetrazione cronologia della pericolosità sociale di De.Da. Il tema della legittimazione del terzo interessato, perché proprietario del bene confiscato, è oggetto di controverse soluzioni nella giurisprudenza di legittimità, tanto è vero che nelle more del deposito della presente sentenza, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite della Corte Sez. 5, Ord. del 7 novembre 2024, notizia di decisione numero 9/2024 . La classificazione dei soggetti terzi nel procedimento di prevenzione, in generale, è stata ricostruita sulla scorta della nozione di coloro che non sono parti del procedimento volto ad applicare una misura di prevenzione patrimoniale. In senso assoluto sono terzi i titolari di diritti autonomi, incompatibili con la pretesa dello Stato di confisca dei beni e, in primo luogo, i titolari del diritto di proprietà, come nel caso in esame la signora Ia.Lu., madre del proposto, laddove, in materia di misure di prevenzione, acquista rilievo, come noto, ai fini dell'ablazione non la proprietà del bene in capo al proposto ma la disponibilità da parte del prevenuto di beni appartenenti a terzi. La disponibilità risulta, dunque, condizione necessaria e sufficiente a giustificare il sacrificio dei diritti di questi ultimi. L' articolo 26 del D.Lgs. numero 159 del 2011 contiene, inoltre, la regola secondo cui si presumono fittizi a i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell'ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado b i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione. È stata oggetto dì analisi, in particolare, la posizione dei terzi ritenuti fittizi intestatari del cespite oggetto di confisca, nozione di fittizietà che abbraccia, in senso lato, la confisca dei beni di cui il proposto risulta poter disporre direttamente o indirettamente, come previsto, per il sequestro e la confisca, rispettivamente dagli articolo 20 e 24 del D.Lgs. numero 159 cit. A norma dell' articolo 23 del D.Lgs. numero 159/2011 , i terzi che risultino proprietari o comproprietari dei beni sequestrati, nei trenta giorni successivi all'esecuzione del sequestro, sono chiamati dal Tribunale ad intervenire nel procedimento con decreto motivato che contiene la fissazione dell'udienza in camera di consiglio. La nozione di disponibilità indiretta e della ripartizione dell'onere probatorio è stata elaborata con chiarezza nella giurisprudenza di legittimità secondo cui incombe sull'accusa l'onere di dimostrare rigorosamente, sulla base di elementi fattuali, connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi del carattere puramente formale di detta intestazione, e, corrispondentemente, del permanere della disponibilità dei beni nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto. Sez. 2, numero 6977 del 09/02/2011, Battaglia, Rv. 249364 . Il naturale corollario di tale affermazione è il principio secondo cui il terzo può contestare la fittizietà dell'intestazione. 8. È, invece, controverso in giurisprudenza e il tema è oggetto dei rilievi dinanzi alla Corte Edu nel ricorso Koka c. Italia, ancorché avente ad oggetto la confisca per equivalente, ai sensi dell' articolo 648-guater cod. penumero , il tema della legittimazione del terzo e della estensione di correlativi poteri a far valere l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura nei confronti del proposto con riferimento alla condizione di pericolosità sociale del proposto, alla sproporzione tra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato nonché sulla provenienza del bene stesso, che solo il proposto può avere interesse a far valere. 9. L'orientamento maggioritario della giurisprudenza esclude tale possibilità affermando che in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest'ultimo può rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, ma non è legittimato a contestare i presupposti per l'applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore dei beni confiscati e il reddito dichiarato, nonché la provenienza dei beni stessi, che solo il proposto può avere interesse a far valere fra le tante si vedano le più recenti, Sez. 6, numero 17519 del 27/02/2024, Ingrassia, Rv. 286418 numero 5094 del 09/01/2024, Grizzaffi, Rv, 286058 numero 6469 del 04/06/2019, dep 2020, Hurodovic, Rv. 278554 Sez. 1, numero 356669, Jelmoni, Rv. 285202 . Le decisioni richiamate muovono dall'assunto che principio generale in materia di impugnazioni, declinato nell'art, 591, comma 1, lett. a , cod. proc. penumero coordinato con le norme che disciplinano le impugnazioni in materia di prevenzione articolo 10 e 27 D.Lgs. numero 159 cit. , è l'interesse all'impugnazione, interesse che deve essere strutturato sull'esito del gravame che può condurre alla revoca del provvedimento solo con la dimostrazione che la titolarità del bene è effettiva e reale e non meramente fittizia , restando indifferente, nei confronti del terzo, le sorti della misura disposta a carico del proposto. Per converso, in mancanza di prova dell'effettiva titolarità, il terzo, ove pure il ricorso venisse accolto, non potrebbe conseguire alcuna utilità perché alla revoca della confisca farebbe seguito la restituzione del bene al soggetto ritenuto effettivo titolare dello stesso. La deroga a tale ricostruzione, insuscettibile di applicazione estensiva, riguarda, viceversa, l'applicazione di misura di prevenzione patrimoniale anche in caso di morte del proposto articolo 18, commi 2 e 3, D.Lgs. numero 159 cit. , poiché, si osserva, in tale evenienza, il procedimento prosegue nei confronti degli eredi o aventi causa che hanno interesse concreto e attuale ad impugnare anche i profili, concernenti i presupposti soggettivi e oggettivi della misura, potendo conseguirne, in caso di accoglimento dell'impugnazione, la restituzione dei beni Sez. 1, numero 35669 dell'11/05/2023, Jelmoni, cit. . Specularmente si ritiene che in caso di confisca di un bene ritenuto fittiziamente intestato a terzi, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso per cassazione del proposto che si limiti a dedurre l'insussistenza del rapporto fiduciario e, quindi, la titolarità effettiva del bene in capo al terzo intestatario, mentre è ammissibile il ricorso del proposto che, senza negare l'esistenza del rapporto fiduciario, alleghi di aver acquistato i beni lecitamente, essendo portatore, in questo caso, di un interesse proprio all'ottenimento di una pronuncia che accerti la mancanza delle condizioni legittimanti l'applicazione del provvedimento Sez. 1, numero 20717 del 21/01/2021, Loiero, Rv. 281389 . Con la ulteriore precisazione che in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest'ultimo può rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, ma non è legittimato a sostenere che il bene sia di effettiva proprietà del proposto, in quanto del tutto estraneo a ogni questione giuridica relativa ai presupposti per l'applicazione della misura nei suoi confronti - quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso - che solo il predetto può avere interesse a far valere Sez. 1, numero 35669 del 11/05/2023, Jelmoni, cit. . Appare centrale, nell'esegesi che si è sintetizzata, la valutazione dell'interesse delle parti il proposto e il terzo , interesse che rileva anche in quelle decisioni che mostrano maggiore apertura, in tema di legittimazione del terzo, con riferimento alle sue deduzioni svolte ad adjuvandum sulle questioni riguardanti la sfera personale del proposto così la Jelmoni, cit. mentre altre decisioni si pongono in termini nettamente contrari a tale soluzione, talvolta richiamando la confusione di ruoli che ingenera la possibilità, per il terzo, di proporre questioni che è solo interesse del proposto far valere Sez. 2, numero 31549 del 06/06/2019, Simply, Rv. 277225 . L'approccio di sistema che caratterizza tale posizione sembra orientato dalla considerazione che i proprietari del bene, terzi interessati, siano titolari di pretese di natura civilistica da far valere nel procedimento di prevenzione, senza necessità di estensione nei loro confronti delle facoltà e dei diritti del proposto. 10. Un orientamento minoritario è quello secondo cui, invece, il terzo che rivendica l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vincolo è legittimato ed ha interesse non solo a contestare la fittizietà dell'intestazione, ma anche a far valere l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura nei confronti del proposto Sez. 5, numero 12374 del 14/12/2017, dep. 2018, La Porta, Rv. 272608 Sez. 1, numero 20717 del 21/01/2021, Loiero, cit Sez. 5, numero 10407 del 12/12/2018, dep. 2019, Rispoli . Un ulteriore orientamento, per vero espresso con chiarezza in relazione alla c.d. confisca allargata di cui all' articolo 240-bis cod. penumero , afferma che il terzo intestatario del bene aggredito è legittimato a contestare, oltre la fittizietà dell'intestazione, anche la mancanza dei presupposti legali per la confisca tra cui la ragionevolezza temporale tra acquisto del bene e commissione del reato che legittima l'ablazione Sez. 1, numero 19094 del 15/12/2020, dep. 2021, Flauto, Rv. 281362 . 11. Ritiene il Collegio che sia da condividere l'orientamento minoritario perché rispettoso del diritto di difesa del terzo, tenuto conto dello status di parte del procedimento di prevenzione nell'ambito del quale può essere ordinata la confisca. Non è discutibile che il procedimento di prevenzione, tenendo conto dell'interpretazione ormai consolidata della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale, costituisce un procedimento giurisdizionale, sottoposto al rispetto di principi fondamentali del processo penale e qualificato come tale dall'intervento decisionale di autorità giudicante terza rispetto alle parti, dalla contestazione di una forma specifica di pericolosità e dalla formulazione di precisa proposta nel rispetto dei principi di legalità e tassatività della stessa e delle misure da applicarsi, dal contraddittorio in tutte le fasi procedimentali, dall'inviolabilità del diritto di difesa, dal doppio grado di giurisdizione di merito e dalla possibilità di esperire mezzi d'impugnazione per ottenere la revisione della decisione denunciata come ingiusta o illegittima. L'autonomia del procedimento di prevenzione, quanto a decisioni e forme, non legittima la conclusione della sottoposizione del giudizio di prevenzione ad una disciplina - individuata in via interpretativa e in assenza di precisi indici normativi - che in materia di contraddittorio e del diritto alla prova imponga al terzo interessato al procedimento limitazioni alle facoltà deduttive dovendo applicarsi, in materia, sia i principi del generale rispetto del contraddittorio, elevato a principio di ogni processo dall' articolo 111 Cost. , e l'osservanza delle garanzie del diritto di difesa, in tutte le possibili estrinsecazioni. Il diritto di difesa con l'ampiezza così riconosciuta dalla Carta Costituzionale non può non estendersi anche al settore delle prove ed alla facoltà di difendersi provando , indicata dall'articolo 6 della Convenzione Europea per i diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali quale garanzia perché il processo sia equo, che esplicita come tale facoltà si possa esercitare mediante il diritto di interrogare e fare interrogare i testi che riferiscono circostanze a carico, di ottenere la citazione e l'esame dei testi a discarico e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova che incrementi la base conoscitiva a disposizione del decidente in riferimento ai fatti oggetto della decisione. Se così è, non pare accettabile che il diritto alla prova e, prima ancora quello della legittimazione della parte, sia comprimibile per effetto di divieti applicativi che non siano ragionevolmente imposti da disposizione di legge a tutela di altri valori di eguale rilevanza costituzionale. Ne discende che la deroga ai principi del giusto processo non può ricavarsi per effetto di opzioni interpretative non supportate da chiara previsione normativa e che si pongono in contrasto, sia con l'articolo 6 CEDU , in quanto norma interposta in relazione all' articolo 117 Cost. , e, quindi, del principio del contraddittorio che rappresenta anche il paradigma di riferimento nella ricostruzione del significato e nella finalità delle disposizioni degli ordinamenti nazionali, sia con i pronunciamenti della giurisprudenza della Corte EDU e di quella costituzionale in materia. Al riguardo, la Corte di Strasburgo, esaminando l'aspetto delle presunzioni del procedimento di prevenzione italiano Corte EDU, Sez. 2, sentenza del 17/06/2014, Cacucci e Sabatelli contro Italia , ha riconosciuto la riferibilità delle disposizioni di cui l'articolo 6 della Convenzione sul giusto processo anche al procedimento di prevenzione e ha osservato che l'ammissibilità delle prove dipende essenzialmente dalle norme del diritto nazionale e spetta in linea di principio ai giudici interni, in particolare ai tribunali, di interpretare tale legislazione che è stata ritenuta compatibile con le norme convenzionali proprio in ragione della sufficiente garanzia di effettività del contraddittorio e del diritto di difesa che assicura, a ragione dell'essere il proposto rappresentato da un avvocato di fiducia del riconoscimento della facoltà di partecipare alla procedura e presentare memorie ed i mezzi di prova necessari per tutelare i suoi interessi in contraddittorio con la parte pubblica dinanzi a tre organi di giudizio successivi e dell'obbligo per i giudici italiani della prevenzione di basare la loro decisione, non su meri sospetti, ma sull'accertamento e sulla valutazione oggettiva dei fatti rappresentati dalle parti Corte EDU Sez. 2 sentenza del 26/7/2011 , Pozzi e altri contro Italia Sez. 2, sentenza del 17/5/2011, Capitani e Campanella contro Italia Sez. 2, sentenza del 26/7/2011, Paleari contro Italia . La legalità dello statuto probatorio del terzo interessato non può, ad avviso del Collegio, che postulare l'estensione delle facoltà deduttive della parte privata anche all'indicazione di qualsiasi controprova pertinente ed alla richiesta della sua ammissione, non costituendo sufficiente garanzia di parità tra le parti e di corretta ed efficace esplicazione del contraddittorio, la mera prospettazione di fatti favorevoli, che, per effetto delle decisioni che sostengono l'orientamento oggi prevalente, sono limitati solo ad una parte dei presupposti del provvedimento di confisca. Anche la recente direttiva UE 2024/1260 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 aprile 2024 si occupa, in più punti, della posizione dei terzi e, nel capo V, intitolato Garanze, non solo prevede l'obbligo di informare gli interessati ma, all'articolo 24, disciplina i mezzi di ricorso e, sia pur rinviando le forme di tutela alle procedure del diritto nazionale, prescrive che gli Stati membri provvedono affinché i diritti di difesa, compresi il diritto di accesso al fascicolo, il diritto a essere ascoltati su questioni di diritto e di fatto e, se del caso, il diritto all'interpretazione e alla traduzione, siano assicurati agli interessati che sono indagati o imputati oppure alle persone interessate dalla confisca ai sensi dell'articolo 16. Gli Stati membri possono prevedere che anche altri interessati abbiano i diritti di cui al primo comma. Gli Stati membri provvedono affinché tali altri interessati abbiano il diritto di accesso al fascicolo e il diritto a essere ascoltati su questioni di diritto e di fatto nonché qualsiasi altro diritto procedurale necessario affinché possano esercitare efficacemente il loro diritto a un ricorso effettivo. Il diritto di accesso al fascicolo può essere limitato ai documenti connessi alla misura di congelamento o confisca purché gli interessati abbiano accesso ai documenti necessari a esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo e, infine, che Gli Stati membri provvedono affinché gli interessati abbiano l'effettiva possibilità di contestare il provvedimento di confisca a norma degli articoli da 12 a 16, comprese le circostanze rilevanti del caso e gli elementi di prova disponibili su cui si basano le conclusioni, dinanzi a un organo giurisdizionale in conformità delle procedure del diritto nazionale . Lo status di parte, riconosciuto al terzo con la citata modifica del 2011, non può prescindere, se non svuotandone la nozione dai correlativi ed effettivi poteri azionabili in giudizio, dal riconoscimento di diritti procedurali che gli permettano di contrastare, nel procedimento, i presupposti soggettivi della misura che incide, cosi significativamente, sul diritto di proprietà. La necessità di assicurare l'effettività dei diritti del terzo proprietario del bene cede anche dinanzi al pericolo che, per tale via, viene, inevitabilmente, a rallentarsi l'esito del procedimento, che ha il suo obiettivo nella apprensione dei beni confiscati e la sottrazione al circuito di economia illegale cfr. Corte Cost. numero 94 del 2015 , portando, così, a compimento il percorso, positivizzato negli articolo 52 e 57 del D.Lgs. numero 159 del 2011 che hanno introdotto variegate forme di tutela in base alla posizione dei terzi creditori terzi titolari di diritti reali e personali di godimento , prevedendo anche una tutela di tipo risarcitorio concorsuale. Il riconoscimento della posizione di parte nel procedimento, attraverso la sua espressa previsione, realizza la prima forma di tutela del terzo proprietario, una tutela che, tuttavia, non sarebbe effettiva per effetto della limitazione dei diritti della parte, costruita sul piano astratto dell'interesse in quanto prescinde dall'effetto della confisca di prevenzione articolo 44 e ss. del D.Lgs. numero 159 cit. che è quello di determinare la estinzione dei diritti dei terzi sui beni confiscati, ivi compreso il diritto di proprietà. Tali effetti, immediati e diretti, nella sfera giuridica del terzo e non solo del proposto comportano la necessità di riconoscere alla parte il diritto di esporre le proprie argomentazioni rispetto a tutti i presupposti della misura e il dovere del giudice di esaminare tale prospettazione. La decisione del giudice della prevenzione, in presenza di ricorso del terzo proprietario, riguarda il giudizio diretto, definitivo e sostanziale sul merito della fondatezza dei presupposti per l'adozione di provvedimenti idonei ad incidere, innanzitutto, sul diritto di proprietà articolo 1 Prot. add. numero 1 CEDU e articolo 42 Cost. , e si è ritenuto che è direttamente funzionale alla tutela di tali diritti, il riconoscimento al diritto alla pubblicità dell'udienza tanto che la Corte Costituzionale, con la sentenza numero 109 del 2015 , aveva dichiarato la illegittimità costituzionale degli articolo 666, comma 3, 667, comma 4, e 676 c.p.p. , nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l'ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga, davanti al giudice dell'esecuzione, nelle forme dell'udienza pubblica. A questo riguardo, nella sentenza La Porta si è con chiarezza, affermato che In ogni caso, non è vero che l'insussistenza dei presupposti per l'emanazione della misura nei confronti del proposto sia perché questi non è un soggetto socialmente pericoloso, sia perché i beni non sono sproporzionati alla sua capacità economica di fonte lecita e non sono di provenienza delittuosa attenga ad un tema incompatibile con la posizione del terzo che rivendica la proprietà dei beni e contesta la loro fittizia intestazione a suo favore. Egli contesta il presupposto dell'incisione ad opera del provvedimento della sua sfera di affermata titolarità formale e sostanziale del bene. Certamente, se egli dimostra di essere il solo vero ed effettivo proprietario, tanto basta a escludere la legittimità della confisca però il terzo che si afferma proprietario non interposto possiede anche la legittimazione e l'interesse a cercare di demolire gli altri presupposti della confisca pericolosità sociale del proposto e provenienza illecita dei beni . Se l'interesse è indubbio diversamente dall'ipotesi in cui il terzo riconosca la sua posizione di mero interposto , sussiste nondimeno anche la legittimazione ad impugnare, che va commisurata, secondo i principi generali, in relazione alla forma e al contenuto del provvedimento aggredito, e non può essere selettivamente disaggregata sulla base dei motivi di censura. La diversa opinione risente poi di una considerazione ex post della sorte dei motivi di impugnazione secundum eventum litis, che invece debbono essere valutati ex ante nella loro attitudine distruttiva della pretesa fatta valere, e che quindi, nel rispetto del fondamentale diritto di difesa, possono essere anche articolati su piani concorrenti e/o graduati. Né si può ritenere che l'intestazione simulata di un bene costituisca di per sé una situazione illecita, se non è preordinata al conseguimento dì fini contrari alla legge, se il reale proprietario dissimulato non è un soggetto socialmente pericoloso o autore di gravi delitti e se i beni non hanno provenienza illecita, come del resto conferma la disciplina civilistica della simulazione ex articolo 1414 e segg. cod. civ. . Ritiene, conclusivamente, il Collegio che tale impostazione sia da condividere perché valorizza le descritte peculiarità del procedimento di prevenzione e dei rapporti sottostanti, contestualizzando il tema alle garanzie attribuite dalla Convenzione Edu alla tutela del diritto di proprietà. Costituisce una riduttiva finzione quella di ritenere che il terzo proprietario del bene subisca solo gli effetti della titolarità simulata del bene, secondo il descritto effetto che discende dall'esegesi posta a base dell'orientamento oggi maggioritario - e, si noti, che la simulazione non è di per stessa un istituto vietato dall'ordinamento -, piuttosto che gli effetti della confisca di per se stessa, sicché è ragionevole ritenere che il diritto di difesa e la pienezza del contraddittorio devono riguardare tutti i presupposti della misura ablatoria, al fine di assicurare la effettività del rimedio giurisdizionale riconosciutogli come parte del procedimento. Senza volere sminuire, attraverso l'esame casistico, il principio ora enunciato nel caso in esame emerge evidente la necessità che la ricorrente, Lucia Ia.Lu., debba essere legittimata ad interloquire sulla pericolosità sociale del proposto e sulla sua perimetrazione temporale il bene confiscato è stato acquistato in un periodo in cui il figlio era ancora minore e in epoca risalente anche rispetto alla commissione dei reati ai quali è ancorato il giudizio di pericolosità la ricorrente si è occupata, nel corso degli anni e in periodo coincidente con lo stato di detenzione del figlio, dei lavori edilizi che hanno interessato gli immobili e ne ha gestito l'attività. Il fondamento stesso della disposta confisca è stato ricostruito sulla scorta della ritenuta sproporzione tra i proventi leciti della terza interessata e, quindi, sulla riconducibilità degli esborsi necessari alla esecuzione dei lavori, al proposto, piuttosto che alla ricorrente e si è ritenuta la legittimità della confisca dei beni che compongono il complesso turistico perché si tratta di immobili, di valore nettamente preponderante, realizzati con fondi di provenienza illecita su un suolo di provenienza lecita, con l'effetto di assoggettare a confisca il cespite nella sua interezza - irrilevante il principio civilistico dell'accessione. Per tali ragioni l'esame devono ritenersi ammissibili le deduzioni svolte dalla ricorrente con il terzo motivo di ricorso che saranno esaminate trattando la posizione di De.Da., ai punti 14, 16 e 17 che seguono. 12. È generico, per aspecifità, il quarto motivo di ricorso proposto da Ia.Lu. non si spiega, al confronto con la precisa ricostruzione degli interventi edilizi e della loro cadenza temporale e con l'analisi svolta dalla Corte di appello meglio descritta al punto 15, la rilevanza di un video dal quale emergerebbe l'ultimazione dei lavori dell'agriturismo e la sua funzionalità fin dall'anno 2012 . 13. Come anticipato, il ricorso proposto da De.Da. è inammissibile. 14. Sono generici e manifestamente infondati il primo e secondo motivo del ricorso proposto da De.Da., tra loro strettamente connessi e che, pertanto, possono essere esaminati congiuntamente trattando, per la parte di interesse, anche il terzo motivo di ricorso di Ia.Lu. I motivi sono incentrati sul giudizio dì pericolosità sociale che i giudici di merito hanno formulato a carico del De.Da. sia ai sensi dell'articolo 1, lett. b , D.Lgs. numero 159 del 2011 pericolosità generica, in quanto il De.Da. è stato individuato come persona che, per la condotta e il tenore di vita, debba ritenersi viva abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose , in relazione al periodo 2004/2015, sia ai sensi dell'articolo 4, lett. b , D.Lgs. 159 cit. poiché il De.Da. è stato condannato anche per reati di criminalità mafiosa quale partecipe del clan Ra. - Ri. , a partire dal 2015. Secondo i ricorrenti, tali conclusioni sono erronee anche perché valorizzano, retrospettivamente, il giudizio di pericolosità sociale proiettando, agli anni precedenti al 2017, il giudizio di pericolosità sociale qualificata che il ricorrente avrebbe acquisito solo con la partecipazione al clan mafioso. Le deduzioni non possono trovare accoglimento perché il giudizio di pericolosità sociale di De.Da. è stato adeguatamente motivato dalla Corte di merito facendo corretta applicazione dei principi che governano la materia dopo avere esaminato, ritenendole non rilevanti, le deduzioni difensive. L'inquadramento del giudizio di pericolosità sociale è stato, peraltro, efficacemente ricondotto alla complessità della vicenda personale del De.Da. che, intrapresa un'attività delinquenziale sotto la direzione del padre fin da minore e dalla tenera età di dieci anni , venendo utilizzato per le consegne di droga, ha poi sviluppato, con costanza e pervicacia, un ragguardevole percorso criminale commettendo una serie di reati comuni, fino ad approdare alla militanza nel clan mafioso. 15. Con riferimento al tema del giudizio di pericolosità sociale va ricordato che con l'arresto Sez. U. Spinelli del 2015 si è definitivamente affermata l'opzione interpretativa per cui risulta irrinunziabile, a fini di valida emissione del provvedimento di confisca, la ricostruzione preliminare dei profili di pericolosità soggettiva tali da consentire la constatazione argomentata della correlazione temporale tra condotte contra legem del soggetto ed incremento patrimoniale confiscabile. Il giudice del merito è tenuto, in caso di confisca, non soltanto a ricostruire le specifiche condotte indicative dell'inquadramento del soggetto nella categoria tipica di pericolosità ma anche a delimitare in chiave storica il periodo caratterizzato dalla attitudine alla produzione di reddito illecito, escludendo dall'area di possibile intervento ablatorio gli acquisti verificatisi in momenti antecedenti, proprio in quanto non ricadenti in tale ambito temporale. Ai fini dell'applicazione della previsione di cui alla lettera b dell'articolo 1 D.Lgs. numero 159 cit., il giudice del merito deve, pertanto, individuare sia la perimetrazione cronologica della pericolosità sociale, al fine di sostenere la correlazione temporale tra pericolosità ed acquisto dei beni e deve, inoltre, accertare che si tratti di attività delittuose capaci di produrre reddito e non già di condotte genericamente devianti o denotanti un semplice avvicinamento a contesti delinquenziali, sulla base di specifici elementi di fatto , che devono risultare dalla motivazione il giudice della prevenzione deve verificare, inoltre, che i reati commessi dal soggetto siano abituali e dunque commessi in un significativo arco temporale che abbiano effettivamente generato profitti i quali, a loro volta costituiscano - o abbiano costituito in una determinata epoca - l'unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito . Per completezza va, infine, rilevato che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale numero 24 del 2019 , le categorie di delitto legittimanti l'applicazione di una misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosità generica, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lett. b , del D.Lgs. numero 159 del 2011, devono presentare il triplice requisito - da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione - per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l'unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo. Sez. 5, numero 182 del 30/11/2020, dep. 2021, Zangrillo, Rv. 280145 . 16. La Corte di appello di Bari pag. 9 ha fatto coerente applicazione di tali principi e ha condiviso il giudizio di pericolosità sociale del De.Da., già posto a fondamento del decreto del Tribunale di Bari, spiegando come non fosse necessario analizzare, in maniera lenticolare, l'esito più o meno fruttuoso di ciascun delitto contro il patrimonio commesso dal De.Da. ed evidenziando il consistente numero di delitti con finalità lucrativa, posti in essere dal proposto in un lungo arco temporale dal 2003 al 2020 , valorizzando a tal fine le condanne irrevocabili per reati in materia di stupefacenti e ricettazione, commessi da minorenne, e quelli commessi a partire dal 2007 diffusamente elencate a pag. del decreto impugnato , per numerosi delitti di rapina e ricettazioni l'assenza di adeguate e lecite fonti di reddito riconducibili allo stesso proposto e la suo nucleo familiare nel periodo temporale in cui è stata collocata la pericolosità generica, prima e qualificata poi. A confutazione della tesi difensiva, che evidenziava, da un lato, la natura delle condanna per stupefacenti inquadrate nella fattispecie di cui all' articolo 73, comma 5, D.P.R. numero 309/1990 e il tempo silente fra le condanne per fatti del 2007 e la ricettazione del 2015, la Corte di appello ha dato atto della necessità di un'analisi della personalità del proposto, ai fini del giudizio di pericolosità sociale, condotta in maniera globale e complessiva tenendo conto dell'intero arco temporale attraverso il quale si è sviluppata la vita criminale del ricorrente, anche fuori del proprio abito territoriale di riferimento una delle rapine risultava commessa in B , pericolosità che trovava origine nel 2003/2004 per poi proseguire e intensificarsi nel corso degli anni, come attestato anche dai processi pendenti elencati a pag. 6 del decreto , anche per gravi reati associativi e inframezzata dall'applicazione della misura di prevenzione nel 2016 e, quanto alla pericolosità qualificata, attestata dai procedimenti pendenti, con condotte a partire dal 2017 ma che lo stesso De.Da., nel corso delle sue dichiarazioni collaborative, aveva collocato temporalmente all'anno 2015. Il percorso motivazionale seguito dalla Corte di appello, che non ha trascurato la valutazione degli aspetti peculiari della carriera criminale del De.Da., non appare viziato da carenze e/o apparenza della motivazione e risulta saldamente strutturato, attraverso i pertinenti riferimenti in fatto, alle condanne irrevocabili riportate dal proposto delitti di rapina e ricettazione per fatti commessi il 30 agosto 2008 dal 9 all'11 novembre 2011 il 28 novembre 2011 l'11 dicembre 2015 alla genesi dell'attività criminale del De.Da. per proseguire, poi, all'analisi dei processi pendenti a suo carico, che lo vedono imputato per reati di rapina e ricettazione, commessi il 29 e 30 aprile 2018 il 4 novembre 2017 oltre al reato di partecipazione all'associazione di tipo mafioso fino al 2018 e tra giugno 2017 il 26 aprile 2018. Attraverso tale iter ricostruttivo la Corte di merito ha descritto la complessità della vicenda delinquenziale del De.Da. che, intrapresa sotto la direzione del padre fin da minore si era sviluppata attraverso un ragguardevole percorso criminale e la commissione di una serie di reati comuni di natura lucrogenetica e produttiva di redditi illeciti che gli avevano consentito, nonostante la mancanza di fonti di reddito lecite, di mantenere un elevato e dispendioso tenore di vita da libero cfr. le dichiaraizoni di Su.Gi., riportate a pag. 4 e ss. del decreto di primo grado , e, mentre era detenuto, di continuare a dirigere le attività criminali, attraverso lettere e missive dirette all'esterno cfr. pag. 7 del decreto di primo grado , impegnandosi anche nei lavori di ristrutturazione dell'immobile acquistato dalla madre. La Corte di appello ha, dunque, esaminato anche il ed. periodo silente tra il 2007 e il 2015 , corrispondente al periodo di detenzione in carcere del De.Da. e lo ha ritenuto irrilevante, ai fini del giudizio di pericolosità, richiamando a tale riguardo le dichiarazioni rese da Su.Gi., congiunto e stretto collaboratore del De.Da., che aveva precisato come l'attività di spaccio, iniziata collaborando con il padre del prevenuto, era poi approdata al un consistente traffico, che aveva concentrato nelle mani del ricorrente e del padre, il potere decisionale in merito e valorizzando la reiterata commissione di reati rapine e ricettazioni , idonei alla produzione di redditi per approdare, nell'anno 2015, alla militanza nel clan mafioso. La Corte ha anche richiamato le dichiarazioni rese da Su.Gi. che, con riferimento all'immobile oggetto dì confisca, riferiva di avere egli stesso, su incarico del cugino, presenziato ai lavori di miglioria, documentandone l'avanzamento attraverso le foto fatte da un drone e di avere consegnato alla Ia.Lu., su incarico di De.Da., la somma di settantamila Euro, necessaria per fare tutto, la stalla, i muri . pag. 11 e ss. del decreto di primo grado . Tirando le fila del ragionamento svolto dalla Corte di appello non appare in discussione, sulla scorta della motivazione del decreto impugnato che si fonda su solidi dati di fatto, né l'origine dell'acquisto degli immobili, che è riconducibile alla madre del proposto e in periodo precedente alla emersione formale della pericolosità sociale di questi, collocata a partire dal compimento della maggiore età, nell'anno 2004 né il giudizio di pericolosità sociale generica, in correlazione alla commissione di numerosi reati c.d. lucro-genetici non solo in astratto ma in concreto. Né è in discussione che il valore dell'immobile è frutto di una ricomposizione dinamica realizzata nel corso degli anni. Non è, dunque, necessario verificare, come già precisato dalla Corte di appello, se nell'anno 2002, al momento dell'acquisto dell'immobile, sia configurabile, a carico del De.Da., il giudizio di pericolosità sociale che lo stesso decreto impugnato ha ritenuto sussistente a partire dall'anno 2004. Le censure difensive - svolte anche con l'odierno ricorso - sono, dunque, su tale aspetto, fuori fuoco. 17. Anche il terzo motivo di ricorso di De.Da. e di Ia.Lu., incentrati sulla contestazione della ritenuta sproporzione tra le somme investite dalla signora Ia.Lu. nei lavori di ristrutturazione e, viceversa, la riferibilità a investimenti direttamente riconducibili a De.Da., sono generici e manifestamente infondati. Secondo la Corte di merito pag. 10 , ribadito l'arco temporale 2004 a seguire nel quale può ritenersi ampiamente provata la pericolosità sociale del ricorrente, non v'è dubbio che le acquisizioni patrimoniali confiscate per interposta persona alla Ia.Lu., sono riconducibili ad investimenti del figlio, conclusione alla quale conduce il confronto tra l'entità degli incrementi patrimoniali, frutto di ripetuti e onerosi interventi edilizi, a fronte dell'assenza di adeguate fonti reddituali lecite sia del proposto che della terza interessata. Anche a questo riguardo le conclusioni della Corte di merito sono ineccepibili. 17.1. Va rilevato che sulla consistenza e sulla tempistica di realizzazione degli interventi edilizi si fronteggiano le risultanze della perizia di ufficio, a firma dell'architetto Fi.Ro., cui si contrappone la relazione di consulenza tecnica di parte redatta dall'ing. Pa.Vi. e la consulenza del geometra Pa.Gi., sulla cadenza temporale dei lavori. Premesso che la consulenza del geometra Pa.Gi. ha per oggetto precipuo la ricostruzione della cadenza temporale dei lavori, che sarebbero stati conclusi nell'anno 2008, i provvedimenti di merito ne hanno analizzato il contenuto che si limita alla descrizione dei lavori eseguiti sul fabbricato esistente, nel corso degli anni precisamente la realizzazione di un volume tecnologico e la realizzazione del tetto a falde del fabbricato preesistente, e la realizzazione, nel 2017, di un solo manufatto precario a monte della struttura , ritenendola, tuttavia, parziale al confronto con lo stato di fatto sicché tale consulenza, non tiene conto della complessità degli interventi che hanno comportato la realizzazione di ulteriori manufatti edilizi. Parimenti è stata ritenuta parziale e generica l'analisi del consulente di parte, cioè la consulenza redatta dall'ingegnere Pa.Vi., che si fonda sull'apodittica contestazione del metodo seguito dall'ingegnere Fi.Ro. che, come di seguito precisato, è, viceversa, fondato su accertamenti di natura obiettiva fra i quali la ricostruzione dello stato di fatto della struttura, l'analisi della documentazione contabile, ove esistente, e la verifica dei prezzi dei materiali e dei costi, ricostruiti sulla base di computi metrici e calcolati alla stregua di parametri affidabili quali gli elenchi regionali dei prezzi praticati per la esecuzione delle opere pubbliche. In particolare cfr. pagg. 12 e 13 del decreto impugnato , la Corte di appello ha diffusamente riportato le conclusioni del Tribunale, secondo cui gli interventi edilizi, svoltisi dal 2003 al 2022, sono stati eseguiti con maggiore intensità negli anni 2016 e 2017, proprio in coincidenza con la escalation criminale del De.Da., che è risultato ampiamente coinvolto nella esecuzione dei lavori secondo le dichiarazioni rese da Su.Gi., cugino del De.Da. e suo fidato collaboratore, il quale aveva riferito che, durante la detenzione, per suo tramite De.Da. faceva pervenire alla madre danaro. Il Tribunale, a propria volta, aveva valorizzato le conclusioni della consulente architetto Fi.Ro. che, al fine di accertare la consistenza degli immobili e la ricostruzione nel tempo degli interventi edilizi, non si era limitata all'analisi delle pratiche edilizie e delle planimetrie catastali e foto allegate, secondo le censure anche oggi riproposte con il ricorso, ma aveva esaminato le ortofoto reperite a partire dal 2006, 2010, 2011, 2013, 2015, 2016, 2019 le immagini satellitari di Google Maps e Google Earth e che, in relazione ai periodi di riferimento, aveva proceduto alla quantificazione economica degli interventi, redigendo computi metrici estimativi per i quali aveva utilizzato gli elenchi regionali dei prezzi delle opere pubbliche vigenti negli anni 2004, 2008, 2017 e 2019, quantificando anche gli oneri professionali dei professionisti incaricati, oneri concessori e altri oneri, espungendo dal computo i più recenti interventi realizzati nell'anno 2022, a causa dell'assenza di dati riguardanti la ricostruzione dei patrimoni e la sproporzione e ancorando le analisi alle caratteristiche in concreto degli interventi eseguiti, come detto del tutto genericamente contestati nel sintetico elaborato del consulente di parte, ingegnere Pa.Vi. 17.2. A pag. 11 del decreto impugnato è stato inoltre analizzato, senza incorrere nella omissione di aspetti valutativi decisivi e rilevanti, il profilo della sproporzione tra i redditi dichiarati e patrimonio del proposto e dei congiunti, ricostruito sulla scorta delle conclusioni alle quali era pervenuto il perito, dottor Zi., che aveva condiviso la maggior parte dei rilievi del consulente di parte, nella ricostruzione delle spese per il sostentamento dei rispettivi nuclei familiari, e analizzando, ai fini della verifica della sproporzione, i proventi documentati dalla signora Ia.Lu. quali quelli derivanti dalla vendita di un immobile e i redditi di lavoro dipendente cfr. pag. 14 del decreto e ravvisando una sperequazione, nel periodo 1997 - 2019, pari a - 430.977,19 con riferimento al nucleo familiare Ia.Lu. e nel periodo 2015 - 2019 di - 26.448,70 per il nucleo familiare @De.Da. Come anticipato al punto 2 del Considerato in diritto ciò che rileva, ai fini della confisca nel caso in esame, non è l'accertamento della natura fittizia della intestazione del complesso ma la riconducibilità a De.Da. degli incrementi patrimoniali attinenti alla struttura che, con argomentazioni ineccepibili e men che mai carenti o apparenti, i giudici del merito hanno ritenuto ricollegabili al reimpiego degli introiti provenienti dalle attività illecite del De.Da. non disponendo la madre, intestataria degli immobili, di risorse idonee a sostenere i numerosi e onerosi interventi migliorativi, e, dunque, confermando il giudizio di sproporzione tra le risorse finanziarie lecite della predetta e con le spese. 17.3. La Corte di appello ha esaminato le singole voci che, nella prospettazione difensiva dei ricorrenti, sarebbero valse a determinare una diversa composizione delle disponibilità economiche e finanziarie di Ia.Lu., ma, facendo coerente applicazione dei principi giurisprudenziali in materia, ha ritenuto irrilevanti le somme conseguite dai mutui, i redditi, da evasione fiscale, le risorse del convivente. Quanto ai mutui la Corte di appello ha rilevato che l'accensione di un mutuo non costituisce dimostrazione della legittima provenienza della provvista, dovendosi fornire la prova della disponibilità di risorse lecite e sufficienti a sostenere il pagamento delle rate mensili Sez. 6, numero 21347 del 10/04/2018, Salanitro, Rv. 273388 , nel caso di specie mancanti, e, anzi, più volte sospesi che il reddito prodotto, in nero, dall'attività di affittacamere, non era documentato in alcun modo ma solo allegato che le risorse del convivente della Ia.Lu., nel periodo di convivenza, erano state già effettivamente computate tra i redditi del nucleo Ia.Lu. 17.4. La Corte di appello, convalidando elementi indiziari significativi già valorizzati dal Tribunale, ha esaminato pag. 15 gli elementi che denotano la ingerenza del De.Da. nella conduzione del complesso turistico, sia quando marginali si tratta delle conversazioni intercettate intervenute tra il ricorrente e la moglie sia, soprattutto, le dichiarazioni rese da Su.Gi. che aveva precisato di avere egli stesso, su incarico del cugino, presenziato ai lavori di miglioria, documentandone l'avanzamento attraverso le foto fatte da un drone e di avere consegnato alla Ia.Lu., su incarico di De.Da., la somma di settantamila Euro, necessaria per fare tutto, la stalla, i muri. Può, dunque, ritenersi accertato che, in correlazione con le attività di ristrutturazione dell'immobile, perdurando il descritto e articolato giudizio di pericolosità sociale del De.Da., vanno ricondotte a questi sia il contributo economico necessario per apportare le migliorie e le nuove costruzioni sia la disponibilità degli immobili in questione, evidenziata dalle deleghe conferite al cugino e dagli investimenti realizzati. È, infatti, accertato il notevole accrescimento di valore dell'immobile che, acquistato nell'anno 2002 con un esborso di poco inferiore ai 50.000 Euro è stato valutato in quello di Euro 336.929,90 valore, come detto, determinato dal Tribunale all'anno 2019 , grazie ai miglioramenti e incrementi delle costruzioni realizzati nel corso degli anni, a partire dal 2003 quando la signora Ia.Lu. aveva ottenuto l'autorizzazione al frazionamento del fabbricato, proseguiti nell'anno 2006 con i lavori di ristrutturazione del tetto e nel 2017, con il recupero dell'area sottotetto e la sistemazione dell'area esterna. Risulta, infatti, sicuramente preponderante, nella individuazione del valore dei beni, quello degli immobili rispetto a quello dell'area, costituita da terreni scoscesi e valutati in termini irrisori anche nell'originario atto di acquisto della Ia.Lu. Da tali complesse valutazioni consegue la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso proposti da De.Da. e dalla Ia.Lu. 18. La ricorrente Ia.Lu. deve essere condannata al pagamento delle spese processuali. De.Da. deve, invece, essere condannato, ai sensi dell' articolo 616 cod. proc. penumero , al pagamento delle spese del procedimento e deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila Euro, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Rigetta il ricorso di Ia.Lu. che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso dì De.Da. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.