Integra il delitto di cui all'articolo 338 c.p. la minaccia, rivolta anche al Governo della Repubblica, che sia stata percepita da un suo singolo componente, nella specie il Ministro di grazia e giustizia , e non dell'intero Governo riunito.
In applicazione di tale principio la Sesta sezione della Corte di cassazione con la sentenza numero 45506/2023, in accoglimento del ricorso degli imputati ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, rigettando il ricorso del Procura generale presso la Corte di appello di Palermo. Il caso I fatti traggono origine per avere il GUP del Tribunale di Palermo disposto il rinvio a giudizio degli imputati accusati del reato di violenza o minaccia a un corpo politico, di cui agli articolo 81 cpv., 110, 338 e 339 c.p., articolo 7d.l. numero 152/1991, commesso a partire dal 1992, in Palermo e Roma. Secondo l'ipotesi di accusa, gli esponenti di vertice dell'associazione mafiosa denominata cosa nostra sarebbero gli autori del delitto di minaccia ad un corpo politico, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, avrebbero, in tempi diversi, minacciato il Governo della Repubblica, turbandone l'attività, a partire dal 1992 e sino al 1994, al fine di ottenere «benefici di varia natura». I benefici richiesti avrebbero riguardato la revisione del c.d. maxiprocesso, la mitigazione della legislazione penale e processuale in materia di contrasto alla criminalità organizzata e l'attenuazione del trattamento penitenziario degli associati in state di detenzione, anche mediante il superamento del regime di estremo rigore introdotto dall'articolo 41-bis della l. numero 354/1975. La minaccia mafiosa sarebbe consistita nel prospettare l'ottenimento di tali benefici come condizione ineludibile per porre fine alla strategia stragista di violento attacco alle Istituzioni. Il «ricatto mafioso» sarebbe stato prospettato ad alcuni esponenti delle istituzioni, Carabinieri e politici, perché ne dessero comunicazione a rappresentanti del Governo» e, in particolare, agli uomini cerniera ovvero al Comandante e al Vicecomandante del R.O.S, dell'epoca e ad un Ufficiale addetto al R.O.S., nonché a due politici dell'epoca un ex Ministro della Repubblica e un ex Senatore. Inoltre, uno degli imputati affiliato al clan dei corleonesi avrebbe curato i contatti tra un ex sindaco di Palermo e due noti latitanti corleonesi nella fase dell'interlocuzione tra un ex sindaco di Palermo, l'Ufficiale addetto ai R.O.S., veicolando all'ex sindaco di Palermo le minacce e le richieste di cosa nostra . Il Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Palermo e gli imputati hanno impugnato per cassazione la sentenza della Corte di assise di appello di Palermo, e ne hanno chiesto l'annullamento, lamentando distintamente plurime censure. Le soluzioni giuridiche La sentenza della Cassazione, ben strutturata, è di particolare interesse perché, ripercorre un determinato periodo della storia del nostro Paese in cui ci fu uno smarrimento politico-istituzionale quello delle stragi a partire dal 1992 e sino al 1994. Mettendo un punto a tutti gli elementi raccolti nel processo per la c.d. trattativa tra Stato e mafia, la sentenza da una rilettura giuridica delle relazioni intessute tra pezzi ‘deviati' delle istituzioni e vertici mafiosi in quel periodo. Ma non solo. La sentenza è all'attenzione dell'interprete in quanto involge molte domande su profili penal-processuali non sopiti. Il più dogmatico così pare cogliere attiene non solo alla verifica delle condotte accertate e alla loro eventuale rilevanza penale ma attiene soprattutto a quale sia la fattispecie di reato da applicare nel caso di specie. Il tema, quindi, involge ulteriormente i delicati rapporti tra le fattispecie di violenza o minaccia ad un corpo politico di cui all'articolo 338 c.p. e di attentato contro organi costituzionali di cui all'articolo 289 c.p. non ancora esaminati dalla giurisprudenza di legittimità. In tale contesto occorre, muovere dall'esame delle formulazioni che le fattispecie di reato di cui si controverte articolo 338 e 289 c.p. avevano all'epoca delle condotte contestate nel presente procedimento e, dunque, nel biennio 1992-1994. Ma ancora più dommatico, è poi l'interrogativo che si pone sul piano interpretativo che risiede, nello stabilire se le minacce mafiose accertate dalle sentenze di merito siano riconducibili, alternativamente, alla fattispecie di cui all'ormai abrogato secondo comma dell'articolo 289 c.p., quale fatto diretto a turbare l'esercizio delle attribuzioni costituzionali riconosciute al Governo della Repubblica, o alla fattispecie di cui al primo comma dell'articolo 338 c.p., quale minaccia ad un corpo politico, al fine di turbarne l'attività. Entrambe le sentenze di merito hanno ritenuto che le condotte accertate debbano essere ricondotte alla fattispecie del reato di violenza o minaccia ad un corpo politico dello Stato di cui all'articolo 338 c.p. e non già quella di attentato contro gli organi costituzionali di cui all'articolo 289 c.p., indicata dalle difese degli imputati, in quanto la nozione di «corpo politico», che nella prima compare, è talmente ampia, sul piano semantico, da poter ricomprendere anche gli organi costituzionali e, dunque, il Governo. Secondo queste pronunce, dovrebbe trovare applicazione la fattispecie ex articolo 338 c.p. posto che la minaccia mafiosa era stata nella specie rivolta ai membri del Governo ed era giunta a conoscenza del Ministro di grazia e giustizia dell'epoca. Le sentenze di merito hanno accertato infatti che le minacce mafiose poste in essere nel biennio 1993-1994 erano dirette a condizionare l'attività del Governo al fine di ottenere provvedimenti legislativi in favore di “cosa nostra”. In questa prospettiva, ad avviso della Sesta sezione, ricorre nella specie l'ipotesi del turbamento e non già dell'impedimento dell'attività di Governo, in quanto il ricatto mafioso non l'ha preclusa, ma ha solo cercato di orientarla favorevolmente agli interessi di “cosa nostra”. A ben vedere nelle ragioni sistematiche della Corte assume rilievo, il sintagma “corpo politico” di cui all'articolo 338 c.p. a cui è ascrivibile secondo la S.C., il Governo della Repubblica in quanto nella sua dimensione collegiale svolge una funzione di indirizzo politico ed amministrativo. E dunque, evidenzia la Corte il dilemma relativo alla individuazione della fattispecie di reato applicabile alle condotte accertate dalla sentenza impugnata, non può essere risolto applicando la disposizione speciale, ex articolo 15 c.p. Il legislatore, infatti, non ha configurato il reato ex articolo 289 c.p. comma 2 come una fattispecie speciale rispetto a quella dell'articolo 338 c.p. Invero, nel caso esaminato dalla S.C., non si è in presenza di un concorso apparente di norme ma di una mera interferenza nell'ambito applicativo di due norme, che pone un problema di sussunzione del fatto nell'una o nell'altra fattispecie. Ora, per quanto qui rileva, la Corte condivide l'impostazione dei giudici del merito che hanno ritenuto integrato il reato ex articolo 338 c.p., posto che nella specie si è accertato che la minaccia espressa dai vertici di “cosa nostra” nell'ambito dell'interlocuzione con gli alti ufficiali del R.O.S. era rivolta al Governo, al fine di condizionare la politica di contrasto alla mafia ed era giunta al Ministro di grazia e giustizia. La mancata proroga da parte di quest'ultimo, per effetto del ricatto mafioso, dei c.d. decreti delegati adottati ai sensi dell'articolo 41-bis ord. penumero costituisce l'avvenuta percezione della minaccia da parte del componente del Governo e dunque la consumazione del reato ex articolo 338 c.p. Al riguardo la S.C. ha chiarito che il discrimine tra le fattispecie di reato in esame è costituito dal diverso destinatario della minaccia intesa a turbare l'attività del Governo. Ma sotto altro profilo, è da osservare come la Corte condivide alcune censure difensive, evidenziando come la sentenza di merito non solo non ha superato il criterio del ragionevole dubbio quale metodo di fatto, ma ha pure invertito i poli del ragionamento indiziario descritto dall'articolo 192, comma 2, c.p.p. l'esclusione di possibili ipotesi alternative rileva la Corte, non può supplire alla carenza di certezza dell'indizio. La sentenza impugnata sottolinea la Cassazione, ha posto a fondamento della dimostrazione dell'avvenuta consumazione del reato di minaccia ai danni dei Governi Amato e Ciampi elementi di prova privi di adeguata efficacia dimostrativa, quanto all'avvenuta dinamica di trasmissione della minaccia dall'ex vice comandante del R.O.S. al Ministro di grazia e giustizia dell'epoca, e, al contempo, non ha dimostrato l'irragionevolezza delle ipotesi ricostruttive antagoniste prospettate dalla difesa sulla base delle prove acquisite al processo. La Corte inoltre non condivide il modello di ricostruzione del fatto penalmente rilevante condotto secondo un approccio metodologico di stampo storiografico. Le sentenze del merito infatti hanno finito, osserva la Sesta sezione, per smarrire la centralità dell'imputazione nella trama del processo penale, profondendo sforzi imponenti nell'accertare fatti per nulla rilevanti nell'economia del giudizio, così violando la funzione euristica della motivazione. La trama di entrambe le sentenze di merito, pur muovendo dal corretto rilievo che la c.d. «trattativa Stato-Mafia» non costituisce di per se reato, in quanto condotta non punita dalla legislazione penale, e tuttavia, monopolizzata dal tema dei contatti intercorsi, successivamente alla strage di Capaci, tra esponenti del R.O.S. e quelli della associazione mafiosa denominata cosa nostra e dall'accertamento dello sviluppo degli stessi negli anni successivi, riservando un rilievo proporzionalmente minimale alle condotte contestate di minaccia al Governo. Ebbene, nel caso di specie, la marcata discrasia tra imputazione e oggetto principale dell'accertamento processuale ha, determinato un'eccessiva dilatazione delle motivazioni delle sentenze, tale da offuscare le ragioni della decisione e rendere le linee argomentative di difficile identificazione e interpretazione. Non essendo stata raggiunta la prova dell'«oltre ogni ragionevole dubbio» che la minaccia mafiosa sia stata «veicolata» dall'ex vice comandante del R.O.S. all'ex Vicedirettore generale del D.A.P. e da quest'ultimo riferita al Ministro di grazia e giustizia, il delitto di cui all'articolo 338 c. p. commesso ai danni dei Governi Amato e Ciampi è stato ritenuto, dalla Sesta sezione della Corte, integrato solo nella forma tentata. La derubricazione in tentativo del reato di cui all'articolo 338 c.p. posto in essere ai danni dei Governi Ciampi e Amato, ha comportato l'accertamento della sua intervenuta prescrizione. Ma per la Cassazione, si è comprovato che i vertici di cosa nostra hanno posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a minacciare i Governi in carica nel biennio 1992-1993, prospettando l'accoglimento delle richieste formulate dall'ex Sindaco di Palermo all'ex vice comandante e all'Ufficiale addetto al R.O.S. quale condizione ineludibile per porre fine alla strategia stragista.
Presidente Fidelbo – Relatore D'Arcangelo Ritenuto in fatto 1. L'ipotesi di accusa. 1.1. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Palermo, con decreto emesso in data 7 marzo 2013, ha disposto il rinvio a giudizio di R.S., B.G., B.L.B., C.A., S.A., M.M., D.D.G., M.C. e D.M., unitamente a P.B., giudicato separatamente, per rispondere del reato contestato al capo A dell'imputazione di violenza o minaccia a un corpo politico, di cui agli articolo 81 cpv., 110, 338 e 339 c.p., articolo 7D.L. numero 152 del 1991, commesso a partire dal Omissis , in Omissis e Omissis . 1.2. Secondo l'ipotesi di accusa, gli esponenti di vertice dell'associazione mafiosa denominata cosa nostra R.S., P.B., B.L.B., B.G. e C.A. sarebbero gli autori del delitto di minaccia ad un corpo politico, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, avrebbero, in tempi diversi, anche mediante l'intervento di C.V., minacciato il Governo della Repubblica, turbandone l'attività, a partire dal Omissis e sino al Omissis , al fine di ottenere benefici di varia natura . I benefici richiesti avrebbero riguardato l'esito di importanti vicende processuali la revisione del c.d. maxiprocesso , la mitigazione della legislazione penale e processuale in materia di contrasto alla criminalità organizzata e l'attenuazione del trattamento penitenziario degli associati in stato di detenzione, anche mediante il superamento del regime di estremo rigore introdotto dall'articolo 41-bis della L. 26 luglio 1975, numero 354 Legge sull'ordinamento penitenziario . La minaccia mafiosa sarebbe consistita nel prospettare l'ottenimento di tali benefici come condizione ineludibile per porre fine alla strategia stragista di violento attacco alle Istituzioni. Il ricatto mafioso sarebbe stato prospettato ad alcuni esponenti delle istituzioni, Carabinieri e politici, perché ne dessero comunicazione a rappresentanti del Governo pag. 12 della memoria a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico Ministero del Tribunale di Palermo e, in particolare, agli uomini-cerniera ovvero S.A., Comandante del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri R.O.S , M.M., Vice Comandante del R.O.S., e D.D.G., Ufficiale addetto al R.O.S., nonché i politici M.C. e D.M 1.3. Secondo l'ipotesi di accusa, C. avrebbe curato i contatti tra C.V. e i latitanti R. e P. nella fase dell'interlocuzione tra C., M. e D.D., veicolando all'ex sindaco di Omissis le minacce e le richieste di cosa nostra . B. avrebbe partecipato alla prima fase della trattativa e, di seguito, dopo la carcerazione di R., unitamente a B.G., avrebbe prospettando al Capo del Governo in carica B.S., per il tramite dell'affiliato a cosa nostra M.V. medio tempore deceduto e di D.M., una serie di richieste finalizzate ad ottenere benefici di varia natura per gli aderenti all'associazione mafiosa denominata cosa nostra . S.A., M.M. e D.D.G. avrebbero concorso nel reato di minaccia ad un corpo politico mediante tre distinte condotte a contattando, dopo la Omissis Omissis , C.V., nella sua veste di tramite con uomini di vertice di cosa nostra e ambasciatore delle loro richieste, instaurando così un canale di comunicazione con i capi del predetto sodalizio criminale, finalizzato a sollecitare eventuali richieste per far cessare la strategia omicidiaria e stragista b favorendo lo sviluppo della trattativa fra lo Stato e la mafia, attraverso reciproche parziali rinunce in relazione, da una parte, alla prosecuzione della strategia stragista e, dall'altra, all'esercizio dei poteri repressivi dello Stato c assicurando, altresì, il protrarsi dello stato di latitanza di P.B., principale referente mafioso di tale trattativa . Secondo la pubblica accusa, tali condotte avrebbero agevolato la minaccia rivolta allo Stato di prosecuzione della strategia stragista e, al contempo, rafforzato i responsabili mafiosi nel loro proposito criminoso. A D.M. si e', invece, contestato di essersi proposto e attivato, in epoca immediatamente successiva all'omicidio 18Lima e in luogo di quest'ultimo, come interlocutore degli esponenti di vertice di cosa nostra per le questioni connesse all'ottenimento dei benefici sopra indicati, di aver rinnovato tale interlocuzione con i vertici di cosa nostra , in esito alle avvenute carcerazioni di C.V. e R.S., e di aver trasmesso al Presidente del Consiglio B.S. il messaggio ricattatorio ricevuto nella primavera del Omissis , consistito nella richiesta al Governo di emanare provvedimenti favorevoli all'organizzazione criminale, come condizione ineludibile per la cessazione della stagione stragista. 1.4. Il reato di violenza o minaccia a un corpo politico è contestato come aggravato per tutti gli imputati ai sensi degli articolo 61, comma 1, numero 2, 339, comma 2, c.p. e articolo 7 del D.L. 13 maggio 1991 numero 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1992 numero 203, in quanto il fatto sarebbe stato commesso in più di dieci persone riunite, al fine di avvantaggiare l'associazione mafiosa denominata cosa nostra , nonché per essersi avvalsi della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva e all'ulteriore scopo di assicurare ai membri dell'associazione mafiosa il prodotto e l'impunità di reati precedentemente connessi. A D.D., M. e S. e', inoltre, contestata l'ulteriore aggravante di cui all'articolo 61 numero 9 c.p., per aver commesso il fatto con abuso dei poteri e con violazione dei doveri inerenti alla loro qualità di pubblici ufficiali. Nei confronti di B., B., P. e R. sussisterebbe, inoltre, l'ulteriore aggravante di cui all'articolo 61 numero 6 c.p., per aver commesso il reato durante il tempo in cui erano in stato di latitanza in relazione al delitto di associazione mafiosa e a numerosi altri specifici delitti-fine. 1.5. Il reato di cui al capo A , secondo l'ipotesi di accusa, sarebbe stato commesso in concorso anche con ignoti e con P.V., all'epoca Capo della Polizia, e D.M.F., all'epoca Vicedirettore generale del Dipartimento Amministrativo Penitenziario D.A.P. del Ministero della giustizia, entrambi deceduti. Nell'imputazione figura anche M.C., cui si è contestato di aver contattato, a cominciare dai primi mesi del Omissis , esponenti degli apparati info-investigativi al fine di acquisire informazioni da uomini collegati a cosa nostra e aprire la trattativa con i vertici dell'organizzazione mafiosa, finalizzata a sollecitare eventuali richieste di cosa nostra per far cessare la programmata strategia omicidiario-stragista, già avviata con l'omicidio di L.S., e che aveva inizialmente previsto l'eliminazione tra gli altri, di vari esponenti politici e di Governo, fra i quali lo stesso M L'imputato, inoltre, avrebbe esercitato, in epoca successiva, e in relazione alle richieste di cosa nostra , indebite pressioni, finalizzate a condizionare in senso favorevole a detenuti mafiosi la concreta applicazione dei decreti di cui all'articolo 41-bis ord. penumero . La posizione di M. e', tuttavia, stata separata dal Giudice dell'udienza preliminare dal presente processo, in quanto l'imputato ha chiesto di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato. All'esito di tale giudizio, con sentenza emessa in data 31 ottobre 2016, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ha assolto M. per non aver commesso il fatto . Tale sentenza è stata confermata dalla Corte di appello di Palermo del 22 luglio 2019 ed è divenuta irrevocabile, in quanto il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo è stato dichiarato inammissibile dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 5621 dell'11/12/2020. 2. La sentenza di primo grado. 2.1. La Corte di assise di Palermo, con sentenza emessa in data 20 aprile 2018 all'esito del dibattimento di primo grado, ha dichiarato B.L.B. e C.A. colpevoli del reato di minaccia aggravata e continuata, commesso in Omissis , Omissis e altrove dal Omissis in poi, e come loro ascritto al capo A della rubrica dichiarato, altresì, D.D.G., M.M. e S.A. colpevoli del reato loro ascritto al medesimo capo A della rubrica, esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 61 numero 2 c.p., limitatamente alle condotte contestate come commesse sino al 1993 ha assolto, ai sensi dell'articolo 530 c.p. penumero , gli imputati dal reato ascritto al capo A della rubrica per le condotte contestate come commesse successivamente al Omissis per non avere commesso il fatto dichiarato D.M. colpevole del reato ascrittogli al capo A della rubrica, limitatamente alle condotte contestate come commesse nei confronti del Governo presieduto da B.S. e, dunque, successive all'11 maggio Omissis e ha assolto l'imputato per le condotte contestate come commesse nei confronti dei Governi precedenti a quello presieduto da B.S. per non avere commesso il fatto condannato B.L.B. alla pena di anni ventotto di reclusione C.A., D.M., M.M. e S.A. ciascuno alla pena di anni dodici di reclusione D.D.G.M. e C. ciascuno alla pena di anni otto di reclusione condannato tutti gli imputati al pagamento delle spese processuali e alle pene accessorie di legge dell'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e dell'interdizione legale durante l'espiazione della pena condannato gli imputati, in solido tra loro, al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, Presidenza del Consiglio dei ministri liquidati in complessivi Euro 10.000.000,00 , e in favore delle altre parti civili Presidenza della Regione Siciliana, Comune di Omissis , Omissis e Omissis , nella misura da liquidarsi dal competente giudice civile dichiarato, ai sensi degli articolo 157 e segg. c.p., 69, 129 e 531 c.p. penumero , di non doversi procedere nei confronti di B.G., previa concessione della circostanza attenuante speciale prevista dall'articolo 8 D.L. numero 13 maggio 1991 numero 152 attualmente articolo 416 bis.1, comma 3, c.p. , perché il reato contestato era estinto per intervenuta prescrizione e nei confronti di R.S. perché il reato contestato era estinto per morte del reo. 2.2. La Corte di assise di Palermo, in particolare, ha accertato che una prima interlocuzione tra gli esponenti del R.O.S. e gli esponenti apicali di cosa nostra ebbe inizio subito dopo l'omicidio L., nell'estate del Omissis e, dunque, sotto il Governo A., ma che il delitto di cui all'articolo 338 c.p. si sarebbe consumato nel novembre del Omissis , quando la minaccia mafiosa sarebbe pervenuta a conoscenza del Ministro di grazia e giustizia dell'epoca, C.G., che si sarebbe determinato a lasciar decadere, senza rinnovarli, 334 provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero dai vertici del D.A.P. c.d. 41-bis delegati . Una seconda interlocuzione o trattativa , nel corso della quale sarebbe stato veicolato il ricatto mafioso sarebbe intervenuta, invece, nel Omissis , una volta insediatosi il Governo B. e, in particolare, in due incontri di M. con D., il primo tra giugno e luglio del Omissis e il secondo nel dicembre Omissis . La Corte di assise di Palermo ha, inoltre, ritenuto che rispondono a titolo di concorso di persone nel reato di violenza o minaccia a un corpo politico pluriaggravato, sia gli esponenti di vertice di cosa nostra , per avere formulato e inoltrato al Governo della Repubblica richieste finalizzate al conseguimento di benefici a favore dell'organizzazione mafiosa, in cambio della cessazione della strategia violenta, sia gli ufficiali dei carabinieri del R.O.S. nonché, D., per avere svolto il ruolo di istigatori e/o agevolatori, sollecitando o aiutando i boss mafiosi a formulare e inoltrare le richieste predette. 3. La sentenza di appello. 3.1. La Corte di assise di appello di Omissis , con sentenza emessa in data 23 settembre 2021, in parziale riforma della sentenza di primo grado, appellata da B.L.B., C.A., D.D.G., D.M., M.M. e S.A., nonché dalla parte civile Presidenza del Consiglio dei ministri ha assolto D.D., M. e S. dalla residua imputazione loro ascritta per il reato di cui al capo A , perché il fatto non costituisce reato ha dichiarato non doversi procedere nei riguardi di B.L.B., per il reato di cui al capo A , limitatamente alle condotte commesse in pregiudizio del Governo presieduto da B.S., previa riqualificazione del fatto, ai sensi dell'articolo 56 c.p., come tentata minaccia pluriaggravata a corpo politico dello Stato, per essere il reato così riqualificato estinto per intervenuta prescrizione e, per l'effetto, ha rideterminato la pena nei riguardi di B.L.B. in ventisette anni di reclusione ha assolto D.M. dalla residua imputazione per il reato di cui al capo A , come sopra riqualificato, per non aver commesso il fatto e ha dichiarato cessata l'efficacia della misura cautelare del divieto di espatrio già applicata nei suoi riguardi ha revocato le statuizioni civili adottate nei riguardi degli imputati D.D., M., S. e D. e ha rideterminando in Euro 5.000.000,00 l'importo complessivo del risarcimento dovuto da B. e C. alla Presidenza del Consiglio dei ministri ha confermato nel resto l'impugnata sentenza, anche nei riguardi di B.G., coimputato nel presente giudizio di appello ai sensi degli articolo 587 e 601 c.p.p. ha condannato gli imputati B. e C. alla rifusione delle ulteriori spese processuali in favore delle parti civili costituite ha condannato la parte civile appellante al pagamento delle spese del procedimento. 3.2. La Corte di assise di appello ha ritenuto che l'interlocuzione tra gli alti ufficiali del R.O.S. con i vertici di cosa nostra sia effettivamente intervenuta, sotto il Governo A. C., e che la minaccia mafiosa sia giunta al suo destinatario istituzionale, pur ritenendo che difettasse l'elemento soggettivo del reato contestato in capo a M., a D.D. e a S La finalità perseguita dagli ufficiali dell'Arma dei Carabinieri, con un'iniziativa, che la Corte di assise di appello ha definito improvvida , era stata, infatti, certamente quella di fermare l'escalation di violenza mafiosa e di evitare nuove stragi e tale finalità sarebbe radicalmente incompatibile con il dolo di minaccia, sia pure declinato nella forma del dolo eventuale pag. 2070 della sentenza impugnata . L'intento dell'avvio della trattativa sarebbe stato, infatti, incompatibile con la volontà di rafforzare il programma criminale dell'organizzazione mafiosa e di facilitare la trasmissione del messaggio minatorio agli esponenti istituzionali investiti di compiti legislativi e amministrativi. Il disegno dei Carabinieri dei R.O.S. era stato quello di insinuarsi in una spaccatura che si sapeva già esistente, almeno in nuce all'interno di cosa nostra e fare leva sulle tensioni e i contrasti che covavano dietro l'apparente monolitismo dell'egemonia corleonese, per sovvertire gli assetti di potere interni all'organizzazione criminale, assicurando alle patrie galere i boss più pericolosi e favorendo indirettamente lo schieramento che, per quanto sempre criminale, appariva tuttavia, ed era, meno pericoloso per la sicurezza dello Stato e l'incolumità della collettività rispetto a quello artefice della linea stragista pag. 2120 della sentenza impugnata . 3.3. La Corte di assise di appello ha, inoltre, assolto D. per non aver commesso il fatto , ritenendo che non fosse stata raggiunta la prova che la minaccia mafiosa fosse prevenuta al Presidente del Consiglio B.S Nonostante il pesante coinvolgimento di D. nella fase pre e post-elettorale, difetta la prova certa che lo stesso abbia fatto da tramite per comunicare la rinnovata minaccia mafiosa/stragista sino a B. quando questi era Presidente del Consiglio dei Ministri così percorrendo quello che, per opera di semplificazione, può essere individuato come l'ultimo miglio del percorso mediante il quale il reato sarebbe stato portato a consumazione pag. 2948 della sentenza impugnata . Proprio in ragione della mancanza della prova della ricezione della minaccia da parte del destinatario istituzionale, la Corte di assise di appello ha riqualificato i fatti contestati nel reato di minaccia tentata al Governo di cui agli articolo 56 e 338 c.p. e ha dichiarato la prescrizione del reato in favore del B 4. I ricorsi proposti. 4.1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo, gli imputati B.L.B., C.A., M.M. e D.D.G. hanno presentato ricorso per cassazione avverso tale sentenza e ne hanno chiesto l'annullamento. 5. Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo. 5.1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo propone tre motivi di ricorso. 5.2. Con il primo motivo, deduce la violazione degli articolo 110, 338, 339 e 7 D.L. numero 152 del 1991 e la mancanza e la contraddittorietà della motivazione con riferimento all'esclusione dell'elemento soggettivo del reato contestato di minaccia a corpo politico per gli imputati M., D.D. e S Le motivazioni del giudice di appello non possederebbero, infatti, i requisiti della c.d. motivazione rafforzata, richiesta dalla giurisprudenza di legittimità in caso di riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna emessa in primo grado, in quanto non sarebbe stata puntualmente dimostrata l'insostenibilità, sul piano logico e giuridico, degli argomenti posti dal primo giudice a fondamento della pronuncia di colpevolezza. La Corte di assise di appello, inoltre, ritenendo che gli imputati abbiano agito per finalità solidaristiche e, comunque, in assenza del dolo, al fine di alimentare la spaccatura asseritamente già esistente in cosa nostra tra l'ala stragista e l'ala moderata, avrebbe amplificato oltremodo i motivi dell'agire illecito, che, peraltro, sono pacificamente irrilevanti ai fini della connotazione dell'elemento soggettivo del reato. L'intento di alimentare una spaccatura all'interno di cosa nostra sarebbe, del resto, del tutto privo di agganci fattuali nella ricostruzione operata dal giudice di appello e totalmente assente anche nelle dichiarazioni rese da M. e D.D Illogico sarebbe, inoltre, il riferimento operato dalla sentenza impugnata alla fattispecie, non conferente nel caso di specie, della non punibilità dell'intermediario nel delitto di estorsione, in quanto riguarda casi nei quali un soggetto, per mera solidarietà, si mette a disposizione per agevolare la chiusura della vertenza, restituendo alla vittima condizioni di minor pregiudizio di natura economica o psicologica nel caso di specie, invece, gli ufficiali dell'arma dei Carabinieri, senza alcuna investitura e disattendendo precise indicazioni di netto segno contrario provenienti dai vertici istituzionali, hanno contribuito alla fase genetica dell'estorsione stessa. Non potrebbe, dunque, andare esente da pena colui che, nel corso di un'estorsione, dialoghi con l'estorsore all'insaputa della vittima ovvero contro precise prese di posizione della vittima sul suo fermo intendimento di non voler cedere al ricatto. Come affermato dalla sentenza di primo grado, sarebbe, inoltre, del tutto irrilevante stabilire per quali effettive ragioni gli imputati si siano determinati ad agire, in quanto sarebbe sufficiente per attribuire rilevanza penale alla loro condotta, sotto il profilo oggettivo e soggettivo anche nella forma del dolo eventuale , la circostanza che essi agirono in violazione dei loro doveri funzionali, senza alcuna legittimazione da parte dei vertici istituzionali, governativi e politici, anzi disattendendo precise e univoche indicazioni provenienti dai vertici istituzionali. Illogica sarebbe, del resto, l'esclusione del dolo eventuale ad opera della sentenza impugnata, posto che gli imputati avevano certamente previsto le richieste contra legem poi avanzate dagli esponenti di cosa nostra , che erano dirette ad attentare alla libera autodeterminazione del potere esecutivo. Gli imputati, dunque, avrebbero agito consapevolmente, nella certezza di ricevere richieste contrarie all'ordine pubblico, promosse da cosa nostra , e di farsene latori innanzi agli organi istituzionali. Secondo la Procura generale, l'avere M., attraverso D.M., portato la minaccia di cosa nostra al Ministro C., implica rappresentazione, volontà ed accettazione non solo del rischio che la minaccia giunga ai suoi legittimi destinatari, ma piena e consapevole partecipazione alla consumazione del reato . I giudici di secondo grado avrebbero, inoltre, accertato condotte successive alla commissione del reato che avrebbero dimostrato la coscienza e volontà delle condotte degli imputati. 5.3. Con il secondo motivo, la Procura generale contesta l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione con riferimento al pluriennale sostegno prestato da parte dei Carabinieri del R.O.S. M., D.D. e S. alla fazione di cosa nostra facente capo a P.B La Procura premette che la sentenza impugnata ha ritenuto provata la pluriennale interlocuzione tra gli imputati ed esponenti di cosa nostra e, dunque, una condotta complessiva di straordinaria gravità, con riferimento alla quale la Corte di assise di appello ha però omesso del tutto di valutarne la rilevanza penale il riferimento è alla mancata perquisizione del covo di R., alla mancata cattura di P. a Omissis , alla protezione della latitanza di P., alla mancata tempestiva identificazione dei più fidati favoreggiatori di P. L.B.N. e N.G. , alle anomalie verificatesi nell'arresto di N.G. e nell'arresto dell'infiltrato R.P Secondo la Procura generale, nella decisione impugnata si afferma, con ricchezza di argomentazioni e di puntuali riferimenti a fonti orali e documentali, che gli imputati hanno cercato e sono, di seguito, riusciti a realizzare un'intesa con l'ala di cosa nostra facente capo a P.B., prima, per indebolire e, poi, rendere inoffensiva l'ala stragista, facente capo a R.S. e, dopo il suo arresto, a B.L.B., B.G. e G.F. nel primario interesse di scongiurare stragi, anche a costo di allearsi con il proprio nemico per fronteggiare e sconfiggere un nemico ancora più pericoloso queste condotte avrebbero consentito, tuttavia, per almeno un decennio, alla componente di cosa nostra propensa a rinunciare a una contrapposizione stragista, di continuare a gestire i propri affari, attraverso la tutela della latitanza del nuovo indiscusso capo di cosa nostra . Ad avviso della Procura ricorrente, la Corte di assise di appello ha, dunque, accertato comportamenti, omissioni e violazioni dei doveri funzionali ad opera degli ufficiali del R.O.S. imputati, indicativi della volontà di costruire un'alleanza ibrida, sotto l'impellenza di ragioni superiori e di una reciproca convenienza di ragioni contingenti, anche se suscettibili di acquistare un respiro strategico sotto il profilo dell'auspicato ripristino di un rapporto di non belligeranza o di conflittualità sostenibile tra Stato e mafia . Sarebbe, tuttavia, illogico e contraddittorio il ragionamento della Corte, in quanto la propensione di P.B. ad abbandonare la strategia stragista, a differenza di R.S., costituirebbe una mera illazione sfornita di prova e, anzi, in contrasto con solidi ed incontrovertibili elementi di segno contrario, che inducono ad escludere che nell'estate del Omissis gli apparati investigativi fossero a conoscenza di tale spaccatura all'interno di cosa nostra . Da ultimo, la Procura generale precisa di avere il concreto interesse a veder cassato il principio che si ricava dalla impugnata decisione, attraverso una chiara affermazione in sede nomofilattica della rilevanza penale di ogni genere di intesa, accordo, alleanza ibrida tra ufficiali di polizia giudiziaria ed esponenti di frange di organizzazioni criminali, stretta al fine di contrastare una frangia avversa ritenuta in ipotesi meno pericolosa e poi per anni proteggere la frangia risultata vincitrice . Ad avviso della parte pubblica ricorrente, la finalità, quindi, di scongiurare che alleanze di questo genere possano invece trovare avallo, incentivo, legittimazione dalla pronuncia in questa sede impugnata è ragione concreta ed attuale più che sufficiente per sottoporre questa specifica censura alla valutazione di codesta Corte di Cassazione . 5.4. Con il terzo motivo il Procuratore generale censura la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'assoluzione di D.M. e alla declaratoria di intervenuta prescrizione, previa derubricazione del reato ascritto a B., in quello di tentativo di minaccia a un corpo politico. Il diverso convincimento espresso dalla Corte di appello in ordine alla carenza della prova nell'ultimo miglio del percorso probatorio sarebbe, infatti, estremamente lacunoso se non anche manifestamente illogico e contraddittorio, in quanto la stessa Corte di appello considera acquisita prova del fatto che M.V., anche nel periodo successivo all'insediamento del Governo B., ebbe ulteriori contatti con D. nei mesi di giugno-luglio 2014 e poi nel dicembre stesso, ricevendo, di volta in volta, aggiornamenti sulle azioni che il governo stava portando avanti, in linea con l'impegno preso solo durante la campagna elettorale da poco conclusa. La Corte di Appello, inoltre, avrebbe riconosciuto alle pagine 2277 e 2879 della sentenza impugnata che, come emerso anche dalle intercettazioni delle esternazioni di R. durante la sua detenzione e riferito dal collaboratore di giustizia D.N., almeno sino al Omissis cosa nostra ricevette effettivamente la somma di 250 milioni di lire all'anno per tenere indenni le antenne a Omissis delle società televisive riferibili a B., secondo una dinamica tanto consolidata, che R.S., conversando col suo compagno di detenzione, si compiaceva della periodicità di tale dazione di danaro. La Corte di appello, tuttavia, illogicamente non avrebbe dato risalto alla circostanza che l'importo versato dalla società di B., che era pari a 200 milioni, secondo quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia D.N., ritenuto credibile da entrambi i giudici del merito nel presente procedimento, sarebbe stato rimodulato a 250 milioni nel Omissis e, dunque, successivamente all'insediamento del Governo B Ad avviso della parte pubblica ricorrente, sarebbe illogico, ritenere che D. abbia potuto concordare con i mafiosi l'aumento della tangente annuale senza neppure parlare con l'amico B., nell'interesse del quale curava i rapporti con cosa nostra da numerosi anni. Sarebbe, parimenti, illogico sostenere che D., che pure aveva avuto un ruolo determinante nella fondazione del movimento politico Omissis , non abbia riferito nulla dei suoi contatti per un possibile sostegno elettorale con esponenti di vertice di cosa nostra all'amico imprenditore B.S., leader del predetto partito. L'interlocuzione tra B. e D. su tali argomenti, del resto, non poteva che essere diretta, esclusiva e riservata. Escludere B. dai rapporti pericolosi intrattenuti da D. con i vertici mafiosi significherebbe, dunque, irrazionalmente immaginare che l'imputato abbia deciso, senza avvertire il suo dominus, questioni di così vitale importanza, che riguardavano la sicurezza collettiva, in regione della sempre incombente minaccia di nuove stragi, e che coinvolgevano anche la tenuta della coalizione di maggioranza. 6. Il ricorso proposto da B.L.B 6.1. L'avvocato Giovanni Anania, nell'interesse di B.L.B., ha dedotto due motivi di ricorso. 6.2. Con il primo motivo il difensore deduce la violazione della legge sui collaboratori . Secondo il difensore le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia poste a fondamento della sentenza impugnata sarebbero intrinsecamente inattendibili, in quanto i medesimi come S.G. e i collaboratori del clan G. avrebbero appreso le circostanze riferite da altri soggetti anche nel corso della propria detenzione e avrebbero fatto proprie le argomentazioni dell'accusa. Ad avviso del difensore, dunque, i racconti dei collaboratori di giustizia non sarebbero di prima mano e mancherebbero i riscontri certi, esterni e individualizzanti a tali dichiarazioni accusatorie. 6.3. Con il secondo motivo il difensore censura la violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c.p.p. in relazione all'articolo 3 Cost., per disparità di trattamento tra imputati del medesimo processo, pur gravati dalla medesima accusa. B., infatti, sarebbe stato condannato in primo grado per la prima trattativa quella intercorsa tra R.S. e gli ufficiali S., M. e D.D., per il tramite di C.V. , anche se nell'imputazione non era evocata alcuna condotta dell'imputato in relazione a tale segmento temporale. La Corte di assise di appello, inoltre, aveva assolto gli ufficiali dei R.O.S. perché il fatto non costituisce reato e illogicamente ha confermato la condanna del B., ancorché, secondo il capo di imputazione, non vi sarebbe differenza tra chi avrebbe posto in essere la minaccia e chi l'avrebbe riferita ad altri. Disparità di trattamento sarebbe, inoltre, ravvisabile anche con riguardo all'assoluzione pronunciata nei confronti di D., in quanto, anche con riferimento a questa trattativa , non vi sarebbe prova della stessa e che la minaccia sia stata ricevuta da B., quando era divenuto Presidente del Consiglio dei ministri. I contatti di B. con D., peraltro, sarebbero stati limitati a mere promesse operate in campagna elettorale. 6.4. L'avvocato Luca Cianferoni, nell'interesse di B., ha proposto cinque motivi di ricorso. 6.5. Con il primo motivo eccepisce la violazione del principio del ne bis in idem e dell'articolo 129 c.p.p Deduce che il presente processo costituirebbe una replica delle contestazioni per le quali B. sarebbe stato già condannato dalla Corte di assise di Caltanissetta per la strage di Capaci e dalla Corte di assise di Firenze per le c.d. stragi del continente eseguite a Omissis , Omissis e Omissis . Ricorrendo, al fine di accertare l'identità del fatto, alla concezione naturalistica del fatto e, dunque, avendo riguardo, alle condotte in concreto realizzate e non già alla loro qualificazione giuridica, come richiesto dall'articolo 4 del Protocollo 7 allegato alla CEDU, così come interpretato dalla Corte Edu, i fatti contestati nel presente procedimento sarebbero sovrapponibili o, persino, ricompresi in quelli già giudicati in via definitiva. Posto che le stragi per le quali B. è stato già giudicato e condannato recavano in sé quella finalità estorsiva, che è stata autonomamente contestata nel presente procedimento, avrebbe, dunque, dovuto essere dichiarato il ne bis in idem per tutte le condotte contestate, almeno sino al gennaio Omissis . 6.6. Con il secondo motivo il difensore deduce la nullità dell'udienza istruttoria del 28 ottobre 2014, nel corso della quale si è svolto l'esame testimoniale del Presidente della Repubblica N.G. presso il Palazzo del Quirinale, in ragione dell'impossibilità dell'imputato di partecipare all'udienza disposta dalla Corte di assise di Palermo, e la nullità delle ordinanze del 25 settembre 2014 e del 9 ottobre 2014, già impugnate unitamente alla sentenza di primo grado, per violazione degli articolo 178, lett. c , c.p.p., 24 Cost. e 6CEDU. 6.7. Con il terzo motivo il difensore censura la violazione degli articolo 110,338 c.p. e dell'articolo 416 bis.1 c.p., in quanto il ricorrente sarebbe stato condannato solo in quanto cognato di R. . Il difensore rileva che B. non aveva alcuna voce in capitolo in ordine alle decisioni strategiche di cosa nostra nel programmare le stragi mentre R. era in stato di libertà e che, dopo l'arresto del cognato, non ebbe forza e peso decisorio effettivo all'interno del sodalizio criminoso. Affermare, dunque, che B., semplice soldato in cosa nostra , potesse ricattare lo Stato sarebbe una mera petizione di principio. 6.8. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione dell'articolo 11 c.p.p Il difensore deduce che la sentenza impugnata considera le stragi del Omissis connesse a quelle del Omissis e, dunque, non sarebbe possibile eludere l'applicazione della regola attributiva della competenza enunciata dall'articolo 11 c.p.p., posto che le stragi dell'estate del Omissis furono commesse ai danni di magistrati. Erroneamente la Corte di appello avrebbe, dunque, onerato la difesa della prova della pendenza di uno tra i processi celebrati in relazione alla strage di Omissis al fine di ritenere operante il principio di immanenza della competenza per connessione, quale criterio originario attributivo della stessa. Secondo il difensore che nel 2012 era pendente il processo c.d. Omissis Ter e, quindi, sarebbe errata l'esclusione di tale strage quale fatto attributivo della competenza. La competenza a giudicare delle condotte contestate nel presente processo sarebbe, dunque, spettata, ai sensi dell'articolo 11 c.p.p., all'autorità giudiziaria di Omissis , cui dovevano essere trasmessi gli atti. 6.9. Con il quinto motivo il difensore censura la violazione delle disposizioni di cui agli articolo 338 e 289 c.p Secondo il difensore la Corte di appello avrebbe erroneamente applicato la fattispecie di violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario di cui all'articolo 338 c.p. in luogo di quella di attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali di cui all'articolo 289 c.p Le condotte contestate dovrebbero, invece, essere ascritte all'ambito applicativo della fattispecie di reato di cui all'articolo 289 c.p. proprio in ragione della specificità del sintagma organo costituzionale , che si riferisce anche al Governo, e della specificazione introdotta solo dalla L. numero 105 del 2017, che attribuisce rilevanza anche alla minaccia di un unico componente dell'organo collegiale. 7. Il ricorso proposto da C.A 7.1. Gli avvocati Giovanni Di Benedetto e Federica Folli nell'interesse di C.A. propongono dieci motivi di ricorso e, segnatamente 7.2. la violazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b e c , c.p.p., di norme processuali stabilite a pena di nullità, in ragione dell'impedita partecipazione degli imputati e di C. all'udienza tenutasi al Palazzo del Quirinale in data 28 ottobre 2014. La violazione del diritto dell'imputato a partecipare personalmente all'udienza, dunque, comporterebbe la nullità assoluta e insanabile delle udienze successive e delle sentenze di primo e secondo grado 7.3. la violazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c.p.p., degli articolo 11 e 12 e ss. c.p.p., nella parte in cui la Corte di assise di appello ha rigettato le eccezioni di incompetenza reiteratamente sollevate dalla difesa. Il ricorrente premette che i giudici di appello hanno riaffermato la competenza della Corte di assise di Palermo in ragione della connessione, ai sensi dell'articolo 12, lett. c , c.p.p., tra il reato di omicidio aggravato ai danni di L.S., contestato al computato P.B. al capo b della rubrica, con quello di violenza o minaccia ad un corpo politico di cui al capo a . L'interesse di un imputato alla trattazione unitaria di procedimenti connessi non può, tuttavia, pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al proprio giudice naturale, anche per evidenti ragioni di ordine costituzionale. Competente per il reato contestato di violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario sarebbe stato, dunque, il Tribunale di Omissis , quale sede del Governo, destinatario dell'asserita minaccia. Sotto altro profilo, sussisterebbe connessione tra il delitto di cui al capo a e la strage di Omissis , per la quale al momento della richiesta e del decreto di rinvio a giudizio nel presente procedimento, pendeva il processo c.d. B. quater innanzi alla Corte di assise di Caltanissetta. La Corte di assise di appello ha, tuttavia, escluso la sussistenza di una connessione giuridicamente rilevante tra tale reato e quello per cui si procede, in quanto la strage di Omissis e, in particolare, l'omicidio del Dott. B. sarebbe stato finalizzato, secondo l'ipotesi accusatoria, non a compiere o proseguire la minaccia di cui all'articolo 338 c.p., ma a realizzare la cosiddetta trattativa e, dunque, non ad occultare la minaccia, bensì ad occultare la trattativa, impedendo che B. la denunciasse pubblicamente . Eccepiscono, tuttavia, i difensori che, nella prospettazione accusatoria, la trattativa è una parte della condotta descritta come minaccia e la minaccia sarebbe stata esplicitata proprio in seno alla trattativa . Secondo l'impostazione accusatoria, infatti, la minaccia sarebbe giunta al Governo, così integrando il reato di cui all'articolo 338 c.p., proprio attraverso il canale aperto con la trattativa se, dunque, il Dott. B. si fosse opposto alla trattativa o l'avesse pubblicamente denunciata, il reato di minaccia al Governo non avrebbe potuto realizzarsi. L'omicidio di B.P. sarebbe stato, dunque, commesso al fine di eseguire il reato di minaccia al Governo, che aveva come presupposto ineludibile la trattativa , e, comunque, di occultarlo. Sussisterebbe, dunque, la connessione, ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lett. c , c.p.p., tra la strage di Omissis e il delitto per cui si procede, in quanto la strage sarebbe stata commessa sia per eseguire che per occultare il delitto di violenza o minaccia ad un corpo politico 7.4. la violazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p., degli articolo 15,338c.p., dell'articolo 12 c.c. recte preleggi , nella parte in cui la Corte di assise di appello ha sussunto, con motivazione in parte illogica e in parte mancante, il fatto accertato entro la fattispecie di cui all'articolo 338 c.p. e non già in quella di cui all'articolo 289 c.p Errata sarebbe l'interpretazione della Corte di assise di appello, in quanto nei Lavori preparatori al Codice penale e, segnatamente, nella relazione del Ministro Guardasigilli si precisa che nella nozione di corpo politico di cui all'articolo 338 c.p. non rientrano né il Governo, né le assemblee legislative, in quanto gli attentati all'esercizio delle loro funzioni sono ricompresi nella previsione dell'articolo 289 c.p Errato sarebbe, inoltre, il rilievo della Corte di assise di appello secondo il quale il legislatore avrebbe attribuito maggiore gravità alla violenza che colpisce direttamente l'organo costituzionale, sanzionata dall'articolo 338 c.p., rispetto all'atto violento che soltanto indirettamente abbia l'effetto di impedire l'esercizio delle attribuzioni dell'organo costituzionale, in quanto prima della riforma del 2006 chi esercitava una violenza diretta sul Governo, atta ad impedirne l'attività avrebbe rischiato una pena contenuta nel massimo entro i sette anni di reclusione il massimo edittale previsto dall'articolo 338 c.p. , mentre chi si fosse limitato a fare uso di violenza indiretta avrebbe rischiato una pena non inferiore a dieci anni di reclusione il massimo edittale previsto dall'articolo 289 c.p. . Ad integrare la minaccia nel reato di cui all'articolo 338 c.p. sarebbero, inoltre, indifferentemente, sia la coazione diretta, che quella indiretta. I difensori chiedono, dunque, di dichiararsi l'intervenuta abolito criminis, in quanto la L. numero 85 del 2006 ha abrogato il comma 2 dell'articolo 289 c.p. e, dunque, le condotte tese solo al turbamento dell'attività del Governo, non sarebbero più previste come reato 7.5. in subordine, la violazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c.p.p., degli articolo 56,338,336 e 339 c.p., nella parte in cui, stando alla ricostruzione fattuale assunta in sentenza, la Corte di assise di appello avrebbe dovuto sussumere le condotte accertate in parte entro la fattispecie di cui all'articolo 56,338 c.p. e in parte entro la diversa fattispecie di cui all'articolo 336 c.p I difensori rilevano che, pur accedendo alla qualificazione operata dalla sentenza impugnata, dovrebbe ritenersi integrato il diverso reato di violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale di cui all'articolo 336 c.p., in quanto, nel caso di specie, l'attività oggetto di turbativa o di condizionamento fu quella del Ministro di grazia e giustizia C.G., che, nel novembre del Omissis , decise di non prorogare i decreti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, di cui alla L. numero 354 del 1975. La competenza ad emettere i decreti applicativi del regime di cui all'articolo 41-bis, comma 2, L. numero 354 del 1975, era, infatti, di esclusiva competenza del Ministro di grazia e giustizia. Le altre minacce, dirette a turbare le attività rientranti nella competenza del Governo, non essendo mai state trasmesse a tale organo costituzionale, integrerebbero il mero tentativo del delitto di cui all'articolo 338 c.p., peraltro ormai prescritto 7.6. la violazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p., nella parte in cui la Corte di assise di appello ha affermato la responsabilità penale di C. adottando uno standard probatorio incompatibile con la regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio e, pur ammettendo l'esistenza di ricostruzioni alternative possibili, ha fornito una ricostruzione contraddittoria dell'ipotesi ricostruttiva prescelta la violazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c.p.p., degli articolo 338 e 56 c.p., nella parte in cui la Corte di assise di appello ha sussunto nella fattispecie di cui al capo a una condotta inidonea ad integrarla, nella sua forma consumata. Premettono i difensori che al capo a della rubrica si contesta a C. di aver curato i contatti tra C.V. e i latitanti R. e P. il ricorrente, in tal modo, avrebbe concorso alla realizzazione della minaccia penalmente rilevante, contribuendo a prospettare al Governo una serie di richieste finalizzate a ottenere benefici di varia natura per gli affiliati a cosa nostra , ponendo l'ottenimento degli stessi come condizione ineludibile per porre fine alla strategia di violento attacco frontale alle istituzioni. Il reato di minaccia a un corpo politico, essendo, tuttavia, un reato di mero pericolo, si perfeziona al momento della ricezione della percezione della minaccia dal soggetto passivo, che nella specie sarebbe stata veicolata dal canale M. D.M. secondo la sentenza impugnata, dunque, l'intervento del C. sarebbe avvenuto nell'estate del Omissis e il reato si sarebbe poi perfezionato nel novembre del Omissis , allorquando la minaccia mafiosa sarebbe pervenuta al soggetto passivo, individuato nell'allora Ministro di grazia e giustizia, C.G. che avrebbe deciso di non prorogare 334 decreti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero . La sentenza impugnata, tuttavia, avrebbe affermato l'esistenza del canale M. D.M. in violazione del canone probatorio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, fondandosi, come già evidenzia il lessico utilizzato nella sentenza, su ipotesi ritenute meramente plausibili o verosimiglianti. La motivazione sarebbe, inoltre, contraddittoria, in quanto secondo la Corte di assise di appello il ministro C. avrebbe deciso di non prorogare i decreti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero per incunearsi in una spaccatura interna a cosa nostra , tra l'ala stragista e l'ala moderata, ma la consapevolezza di tale spaccatura non sarebbe stata esclusiva del coimputato M.M La sentenza illogicamente avrebbe, dunque, obliterato le dichiarazioni di C.S., che aveva già riferito agli inquirenti di tale spaccatura, che risultava, peraltro, anche dalle dichiarazioni rese dal Presidente della Repubblica, dalle dichiarazioni di B.P. in un'intervista del 3 luglio Omissis e dalle notizie acquisite dalla D.I.A. La Corte di assise di appello, inoltre, avrebbe illogicamente affermato che, quand'anche la minaccia mafiosa fosse pervenuta al Ministro per effetto dell'attivazione di un canale distinto da quello M. D.M., C. dovrebbe pur sempre rispondere del reato di minaccia, in quanto si sarebbe in presenza di un'aberratio causae errato sarebbe, tuttavia, questo rilievo, in quanto il reato di cui all'articolo 338 c.p. è un reato di pericolo e non già di evento. C., dunque, risponde del reato di cui all'articolo 338 c.p., nonostante abbia concorso a veicolare una minaccia mai arrivata al Governo e non abbia concorso, né alla fase ideativa, che a quella esecutiva delle stragi. Rilevano i difensori che, peraltro, sarebbe insussistente l'elemento oggettivo del reato contestato, in quanto M., per il tramite di D.M., non prospettò mai al Ministro la minaccia mafiosa ricevuta da R. l'anno prima, ma, al contrario, consegnò delle informazioni, che lungi dal coartare la volontà del suo destinatario, vennero utilizzate in chiave di politica criminale, utile a disarticolare l'unità del sodalizio criminale 7.7. la violazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p., degli articolo 192,195,238-bis c.p.p. e il vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità penale di C. per il reato contestato al capo a . Rilevano i difensori che la Corte di assise di appello aveva affermato la responsabilità penale di C. sulla base delle dichiarazioni rese de auditu da L.G. e D.G.G., escussi nel corso del dibattimento di primo grado. La Corte di assise di appello, tuttavia, nel valutare queste dichiarazioni avrebbe obliterato l'osservanza dei canoni legali, tanto più che il racconto di L. era risultato reticente e denotava la mancanza di volontà di una sincera collaborazione . La Corte illogicamente avrebbe ritenuto la credibilità del dichiarante sulla base del vincolo di solidarietà tra compagni di detenzione, che predispone ad aprirsi a confidenze anche personali , laddove le massime di esperienza indicano che per gli associati mafiosi si impone la regola del silenzio. Illogico sarebbe, del resto, che C. si prestasse a tali confidenze, peraltro a rischio di intercettazioni ambientali, che avrebbe aggravato la sua posizione processuale in relazione alle imputazioni allora formulate solo in sede cautelare. D.G., inoltre, avrebbe affermato che il papello sarebbe giunto a destinazione e che C. ne sarebbe stato l'autore materiale, ma tali circostanze erano state smentite da tutti i soggetti escussi in dibattimento. Incongruo sarebbe, dunque, il giudizio di piena affidabilità formulato dalla Corte di appello nei confronti delle dichiarazioni di D.G I dichiaranti utilizzati dalla Corte di appello N., D.G. e L. sarebbero, dunque, inattendibili e le loro accuse sarebbero viziate da circolarità 7.8. il vizio della motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e , c.p.p., in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto in capo ad C.A Rilevano i difensori che la sentenza impugnata aveva ritenuto di disattendere le censure svolte in grado di appello relativamente all'assenza di dolo dell'imputato, in quanto C., secondo quanto riferito da G.A., era all'epoca il consigliere più fidato di R. per le questioni politiche e, secondo quanto affermato da B.G., era l'unico uomo d'onore che poteva permettersi di andare a casa del capo di cosa nostra senza bisogno di bussare da nessuna parte . Secondo la sentenza impugnata, dunque, non si vede per quale ragione lo stesso R. avrebbe dovuto privarsi dell'apporto del suo consigliere più fidato e ascoltato, per ricevere suggerimenti e consigli sia in ordine alla decisione, che poi effettivamente prese, di rispondere alla sollecitazione trasmessa da C., sia in ordine alla formulazione delle richieste. Ne' si vede per quale ragione avrebbe dovuto tenerlo all'oscuro di tali richieste, essendosi C. fatto latore e, quindi, sponsor dell'iniziativa . In altro passo della medesima sentenza, la Corte di assise di appello, contraddittoriamente, ha precisato che C. non chiese a C.V. se i Carabinieri avessero avanzato delle proposte, perché non competeva a lui farlo C., dunque, non avrebbe condiviso alcun intento intimidatorio. Illogica e contraddittoria sarebbe, inoltre, la valorizzazione delle dichiarazioni rese dai pentiti B. e G., utilizzati quali utili elementi di contesto , in quanto nessuno dei due dichiaranti riferisce alcunché rispetto allo specifico ruolo che C. avrebbe svolto nella fase dei contatti tra i militari del R.O.S. e C.V L'imputato anzi aveva ritenuto che l'instaurazione di determinati contatti da parte dei Carabinieri fosse mossa dalla finalità di consentire la cattura di R.S. assolutamente generiche, del resto, sarebbero le condizioni di tempo e di luogo riferite da C. in ordine all'incontro nel quale lo stesso avrebbe ricevuto da C. la delega a trattare per conto di cosa nostra . Stante l'inaffidabilità delle dichiarazioni rese da L.G. , D.G.G. e N.R., dunque, nessun elemento probatorio sarebbe emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale in ordine all'elemento soggettivo del reato in capo a C. 7.9. la violazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c.p.p., degli articolo 61 numero 2, 416-bis.1, 15 e 68 c.p., nella parte in cui la Corte di assise di appello ha condannato il ricorrente ad una pena illegale, applicando un duplice aumento di pena a fronte della medesima circostanza fattuale. Il difensore rileva che le circostanze aggravanti previste dall'articolo 61 numero 2 e dall'articolo 416-bis.1 c.p. astrattamente ben possono coesistere, ma non possono trovare contestuale applicazione ove ciò in concreto finisca per attribuire più volte rilevanza alla medesima situazione di fatto, in violazione degli articolo 15 e 68 c.p Il reato contestato all'imputato, infatti, non contemplando una pena nel massimo superiore a ventiquattro anni, dovrebbe ritenersi estinto per prescrizione in data antecedente all'intervento del primo atto interruttivo del corso della prescrizione 7.10. la violazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c.p.p., degli articolo 63, comma 4, 339 cpv., 416-bis.1 c.p., nella parte in cui la Corte di assise di appello ha condannato il ricorrente ad una pena illegale, in quanto, a fronte di un concorso di circostante aggravanti ad effetto speciale, non avrebbe applicato solo la più grave delle stesse, operando successivamente un eventuale aumento di un terzo della pena. Le sentenze di merito hanno affermato che per la circostanza aggravante di cui all'articolo 7 D.L. numero 152 del 1991 non opererebbe la previsione di cui all'articolo 63, comma 4, c.p., in quanto dovrebbe trovare applicazione l'autonoma disciplina derogatoria stabilita dalla stessa disposizione, come sancito dalla Sezioni Unite Indelicato 7.11. la violazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c.p.p., dell'articolo 339 c.p., nella parte in cui la Corte di assise di appello ha ritenuto sussistente l'aggravante della minaccia commessa da più di dieci persone riunite. Deducono i difensori, infatti, che, come affermato dalle Sezioni Unite nel 2012 con riferimento all'analoga aggravante prevista dall'articolo 628, comma 3, numero 1, c.p., l'aggravante speciale contestata richiede la simultanea presenza delle persone nel luogo e al momento della realizzazione della violenza o della minaccia e nella specie questo presupposto sarebbe insussistente parimenti, secondo la giurisprudenza di legittimità, la presenza delle più persone riunite non potrebbe essere utilmente surrogata dalla consapevolezza da parte della vittima del fatto che dietro l'azione intimidatoria vi sia una cosca mafiosa e, segnatamente, come argomentato nella sentenza di primo grado, che la minaccia fu deliberata non solo dalla Commissione provinciale, ma anche regionale di cosa nostra . 8. Il ricorso proposto da M.M L'avvocato Basilio Milio, nell'interesse di M.M., propone tre motivi di ricorso. Premette il difensore che l'imputato ha interesse a ricorrere per Cassazione, pur a fronte di una sentenza assolutoria pronunciata perché il fatto non costituisce reato , per pervenire una più ampia pronuncia assolutoria, che escluda anche la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, stante le conseguenze morali della sentenza impugnata e i diversi e più favorevoli effetti che gli articolo 652 e 653 c.p.p. connettono alle formule perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare. 8.1. Con il primo motivo l'avvocato Basilio Milio censura, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b e c , c.p.p. la violazione degli articolo 338 c.p. e 533, comma 1, c.p.p. e la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla ritenuta materiale consumazione del reato di minaccia a corpo politico ad opera di M.M Premette il difensore che, secondo la sentenza impugnata, il delitto di cui all'articolo 338 c.p. si sarebbe consumato in quanto la minaccia mafiosa sarebbe pervenuta all'allora Ministro di grazia e giustizia, che si sarebbe determinato a lasciar decadere, senza rinnovarli, 334 provvedimenti ex articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero adottati dai vertici del D.A.P. Secondo i giudici di appello, il Ministro C. avrebbe appreso l'esistenza di una diversità di vedute e di una spaccatura esistente tra i capi corleonesi R. e P. in merito alla prosecuzione della strategia stragista, rispetto alla quale quest'ultimo non sarebbe stato d'accordo il Ministro avrebbe, quindi, deciso di compiere un gesto di distensione , non rinnovando quei provvedimenti nella speranza che il segnale potesse, per un verso, essere colto dagli appartenenti a cosa nostra e, per altro, favorire il prevalere dell'ala moderata, facente capo a P., così determinando la fine delle stragi. Il Ministro C. sarebbe stato informato di tale divergenza tra i capi corleonesi dall'allora vicedirettore del D.A.P., D.M.F., il quale, a sua volta, l'avrebbe appreso da M.M Nella ricostruzione operata dalla Corte di assise di appello il reato si sarebbe, dunque, consumato per effetto della successione di due colloqui il primo avvenuto in data 22 ottobre Omissis tra M.M. e D.M.F., Vicedirettore del D.A.P., e il successivo tra D.M. ed il Ministro C Quest'ultimo sarebbe avvenuto in una data neanche individuata, né individuabile, così come nessuna certezza processuale la sentenza può vantare di aver raggiunto circa il contenuto di entrambi i colloqui. Gli stessi giudici, peraltro, avrebbero rilevato come non sarebbe stata raggiunta alcuna certezza che D.M. abbia riferito di spaccature interne a cosa nostra al Ministro C Il ragionamento della sentenza sarebbe, dunque, di tipo ipotetico, probabilistico, fondato su una serie di sillogismi ed ipotesi, senza che vi sia alcuna prova certa e nemmeno indizi seri, precisi e concordanti sul punto ad avviso del difensore, sono gli stessi giudici di appello ad evidenziarlo frequentemente nella motivazione della sentenza impugnata. Il ricorrente cita in proposito plurimi passi della sentenza ed evidenzia come le affermazioni della Corte siano espressamente qualificate come ipotesi , ipotesi più probabile , ipotesi ricostruttiva più aderente o almeno meno lontana dalle risultanze processuali e di frequente corredate da espressioni dubitative. La motivazione sarebbe, dunque, fondata su una serie di congetture che, oltre a difettare di logica, sarebbero in radicale contrasto con il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. L'ipotesi secondo la quale D.D. avrebbe fornito protezione e sostegno alla latitanza di P. ad esempio, in occasione nel mancato arresto del latitante a Omissis non solo sarebbe fondata su mere ipotesi, ma sarebbe anche contraria alle risultanze della sentenza numero 154 del 2006, passata in giudicato, del Tribunale di Palermo, che ha assolto M.M. e O.M. dal reato di favoreggiamento aggravato. Parimenti sarebbero mere ipotesi quelle formulate relativamente al contributo all'arresto di R. fornito da C.V. o da P La cattura di R. costituì, infatti, il risultato dell'intuito investigativo del Capitano Ultimo e la perquisizione del covo di Omissis dopo la cattura di R. non fu eseguita per decisione della Procura Repubblica di Omissis , per consentire al R.O.S. di proseguire, con malintesi sulle modalità, indagini volte ad assicurare a disarticolare il circuito economico di sostegno ai boss corleonesi. Il postulato dell'appartenenza di P.B. ad una componente non sanguinaria di cosa nostra , sarebbe, del resto, smentito dalle sentenze emesse dalla Corte di assise e della Corte di assise di appello di Omissis sulle c.d. stragi nel continente del Omissis , che hanno ritenuto che R. e P. perseguissero la medesima strategia stragista. Gli arresti di C.V., R.S. e C.A., nel giro di novanta giorni, dal dicembre Omissis al febbraio Omissis , avrebbero, del resto, rappresentato un segnale devastante per i boss mafiosi, dimostrando che la presunta trattativa degli ufficiali del R.O.S. era solo una trappola per decapitare cosa nostra . La Corte di assise di appello avrebbe, inoltre, travisato le risultanze probatorie relative all'incontro del 22 ottobre Omissis tra M.M., Giampaolo 40Ganzer e D.M.F., in quanto non vi sarebbe prova che si fosse parlato delle richieste di cosa nostra e delle divergenze in seno al sodalizio mafioso tra un'ala stragista e una moderata. Parimenti sarebbe travisata e, comunque, mancante la prova che D.M., peraltro integralmente contrario a un allentamento del rigore carcerario imposto con i decreti ex articolo 41-bis ord. penumero , abbia speso la sua influenza per convincerlo a far decadere i decreti, orientandone la scelta. Ad avviso della difesa, del resto, la mancata proroga dei decreti attuativi del 41-bis ord. penumero , come dallo stesso Ministro C. dichiarato nell'audizione alla Commissione giustizia della Camera dei deputati del 3 novembre Omissis , era dovuta alla volontà del Ministro di rispettare le indicazioni della sentenza della Corte costituzionale numero 349 del 28 luglio Omissis , che richiedeva per ciascun detenuto una motivazione individualizzata. Secondo il difensore, dunque, mancherebbe la prova dell'elemento oggettivo del reato contestato con una certezza che vada al di là di ogni oltre ragionevole dubbio. La sentenza sarebbe, peraltro, viziata da manifesta illogicità, in quanto ha ritenuto sussistente l'elemento oggettivo del reato contestato nei confronti di M. e carente nei confronti di D., per il quale non vi sarebbe la prova certa che abbia trasmesso la minaccia mafiosa all'allora Presidente del Consiglio dei ministri B La sentenza impugnata sarebbe, inoltre, incorsa nel travisamento o, comunque, nell'omissione di alcuni significativi elementi di prova, atti a disarticolare la ricostruzione accolta in fatto e, segnatamente, la nota dello SCO del 12 agosto Omissis , a firma M., relativa a una profonda spaccatura negli esponenti di maggior spicco di cosa nostra , la nota della DIA del 10 agosto Omissis a firma 36De Gennaro, in ordine all'esistenza, secondo le dichiarazioni del C. di un profondo contrasto tra una mafia stragista ed un'altra, invece, pacifista e quasi rassegnata , l'atteggiamento intransigente di D.M.F. sull'attenuazione del regime del 41-bis ord. penumero , che, peraltro, avrebbe avvisato la Procura di Omissis dell'intenzione del Ministro di non prorogare i decreti attuativi ed ebbe un acceso litigio con il Ministro per questa ragione. 8.2. Con il secondo motivo il difensore censura, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. d ed e , c.p.p., la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla mancata valutazione di elementi di prova ritualmente acquisiti, costituiti dalla testimonianza resa nel giudizio di primo grado dal Mons. F.F. e dalle dichiarazioni dal medesimo rese in sede di audizione presso la Commissione Parlamentare Antimafia e in quelle rese, dinanzi al medesimo organismo, dal Dott. C.A Il difensore rileva che la sentenza impugnata incorre nel vizio di travisamento della prova per effetto della mancata valutazione della testimonianza resa dal Mons. F.F., della nota della DIA del 10 agosto Omissis a firma D.G., in ordine ad un c L. di crescente insofferenza verso misure restrittive sopportate con estrema difficoltà dai detenuti , e delle indagini svolte dal Dott. C.G., pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia, applicato alla Procura di Omissis , che indagava sulla genesi delle stragi del Omissis per accertare se alcuni input fossero venuti dall'ambiente carcerario. Dalla testimonianza del Mons. F., vice e braccio destro di Mons. C.C., capo dei cappellani delle carceri e amico del Presidente della Repubblica S. da quasi quarant'anni, si evincerebbe, infatti, che furono i due prelati a propiziare la nomina di C.A. a direttore del D.A.P., su impulso di S., incontrando personalmente il Ministro C., con il quale avevano un rapporto diretto. Ad avviso della difesa, anche a ritenere che il Ministro C. non si sia semplicemente e doverosamente uniformato ai dettami della sentenza della Corte costituzionale in materia di 41-bis ord. penumero , come dallo stesso dichiarato alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati, numerosi elementi probatori dimostrerebbero che C. venne informato dai cappellani delle carceri sia delle richieste della mafia, che delle ragioni delle bombe e, a seguito di tali notizie, decise di non prorogare i c.d. 41-bis delegati. Tale ricostruzione, anche qualora non fosse ritenuta assolutamente certa, sarebbe, tuttavia, maggiormente plausibile di quella indicata nella sentenza impugnata, ma la Corte di assise di appello avrebbe integralmente pretermesso la valutazione di tali circostanze che dimostravano che il Ministro C. fu informato del legame tra le stragi e la disciplina del 41-bis ord. penumero da un canale totalmente diverso da quello M. D.M. e costituito, invece, da S. C. F La sentenza, dunque, avrebbe violato il principio enunciato dall'articolo 533, comma 1, c.p.p., nulla dicendo sulla ricostruzione della difesa idonea a destrutturare il percorso argomentativo della sentenza e sugli elementi offerti a supporto della stessa, ancorché abbia escluso la sussistenza della responsabilità penale di M. per carenza dell'elemento soggettivo. 8.3. Con il terzo motivo il difensore censura l'erronea applicazione dell'articolo 338 c.p. e dell'articolo 533, comma 1, c.p.p. e la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla mancata assunzione di una prova decisiva costituita dall'intervista resa da Mons. F.F. al quotidiano Omissis . Rileva il difensore che la Corte di assise di appello illegittimamente non aveva consentito l'acquisizione di un'intervista resa dal Mons. F.F. al quotidiano Omissis , pubblicata in data 14 luglio 2012 e intitolata Omissis , e la Corte di assise non aveva consentito al difensore, nel corso dell'audizione del prelato all'udienza del 19 febbraio 2015, di porgli domande su quanto dichiarato alla stampa ancorché, in altre occasioni, la Corte di assise abbia consentito ai testi di leggere interi brani di proprie interviste rese alla stampa . La decisività di tali prove è apprezzabile con riferimento alle modalità con le quali, secondo la sentenza, la minaccia sarebbe pervenuta a conoscenza del Ministro C., determinando così la consumazione del reato. Nell'intervista, infatti, il Mons. F. avrebbe riferito dell'iniziativa assunta dai cappellani delle carceri di sollecitare un gesto di distensione, attenuando il regime del 41-bis ord. penumero nei confronti delle seconde linee delle cosche mafiose e dell'assenso manifestato dal Presidente S. a tale iniziativa. Tali dichiarazioni, infatti, in aperto contrasto con quanto affermato in sentenza, escluderebbero qualsiasi ruolo degli ufficiali del R.O.S. in ordine alla mancata proroga dei decreti applicativi del 41-bis ord. penumero , riconducendolo, invece, a un'iniziativa dei cappellani militari. Questi indizi, valutati sia singolarmente che complessivamente, non presenterebbero distonie, a differenza dell'ipotetico tortuoso percorso C. M. D.M. C., in quanto si sarebbe di fronte ad un canale informativo sicuramente più attendibile di ogni altro, più confidenziale, più immediato e sicuro e più elettivamente affine al Ministro C 9. Il ricorso proposto da D.D.G L'avvocato Francesco Antonio Romito nell'interesse di D.D.G. propone tre motivi, premettendo, al pari del M., di aver interesse a ricorrere per Cassazione, pur a fronte di una sentenza assolutoria pronunciata perché il fatto non costituisce reato per pervenire una più ampia pronuncia assolutoria. 9.1. Con il primo motivo il difensore censura, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b e c , c.p.p. la violazione degli articolo 338 c.p. e 530 e 533, comma 1, c.p.p. con riferimento alla ritenuta materiale consumazione del reato di minaccia a corpo politico ad opera del coimputato M.M., dapprima portata al Vicedirettore del D.A.P. Dott. D.M.F. e al Ministro di Grazia e Giustizia C.G Il motivo presenta contenuto analogo al primo motivo proposto da M.M Il difensore rileva, tuttavia, che il ricorrente D.D.G. non ha partecipato in alcun modo a quelle che la sentenza individua come condotte di consumazione del reato l'incontro del 22 ottobre Omissis tra M., G. e D.M. e il dialogo tra D.M. e C. , in quanto medio tempore il ricorrente era tornato a prestare servizio a N., ancorché la sentenza impugnata abbia ritenuto l'inscindibile unità del reato di minaccia, con destinatari dapprima il Governo A. e di seguito il Governo C Nessun divieto sarebbe, peraltro, rinvenibile nell'ordinamento, che impedisca nella lotta alla criminalità organizzata di adottare tecniche di indagine volte a scompaginare e dividere il fronte avversario, senza che ciò significhi colludere illecitamente con una fazione dell'organizzazione criminale. 9.2. Con il secondo motivo il difensore censura, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. d ed e , c.p.p., la mancata assunzione di prova decisiva ai sensi dell'articolo 495, comma 2, c.p.p., e il vizio di motivazione per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla mancata assunzione di prova decisiva costituita dal documento costituito dall'intervista resa dal Mons. F.F. al quotidiano Omissis , pubblicata in data 14 luglio 2012, e all'omessa valutazione di elementi di prova ritualmente acquisiti, costituita dalla testimonianza resa nel giudizio di primo grado dallo stesso Mons. F. e dalle dichiarazioni dal medesimo rese in sede di audizione presso la Commissione Parlamentare Antimafia. Il motivo è svolto secondo cadenze argomentative analoghe a quelle del terzo motivo proposto da M.M 9.3. Con il terzo motivo il difensore deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p., il vizio di violazione di legge con riguardo all'articolo 338 c.p., all'articolo 530 c.p.p. e al principio di ragionevole dubbio, e il vizio di motivazione per manifesta contraddittorietà e illogicità circa l'esito del giudizio e la formula assolutoria adottata rispetto a quella dell'imputato D.M., accusato del ruolo di intermediario, nell'ipotizzata minaccia al Governo B Rileva il difensore che la Corte di assise di appello, nel ritenere provato l'elemento materiale del reato di minaccia contestato a M.M. e D.D.G., avrebbe applicato principi diversi da quelli affermati con riferimento alla posizione dell'imputato D La Corte di assise di appello, infatti, ha ritenuto che, in assenza della prova diretta di dialoghi tra D. e B. avente ad oggetto la minaccia mafiosa, non si potesse ritenere dimostrato che il progetto ricattatorio del quale l'imputato era a conoscenza per volere degli esponenti di cosa nostra fosse pervenuto a un membro del Governo. La mancanza di prove diretta di dialoghi tra M. e C. e tra D.M. e C., tuttavia, non aveva comportato l'applicazione degli stessi principi affermati con riferimento a D La sussistenza dell'elemento materiale del delitto di cui articolo 338 c.p., del resto, non potrebbe essere inferita dalla mera mancata proroga dei decreti in scadenza nel novembre del Omissis decisa dal Ministro di giustizia quale frutto di una minaccia paventata, in quanto non vi sarebbe una prova certa che l'incontro tra M. e D.M. del 22 ottobre Omissis abbia avuto ad oggetto suggerimenti su presunte spaccature interne a cosa nostra , né che D.M. abbia suggerito la possibilità di lasciar decadere i decreti in scadenza al Ministro C Per raggiungere la certezza razionale che il mancato rinnovo dei decreti ex articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero fosse stato causato proprio da quella minaccia, occorrerebbe avere acquisito la prova che la stessa fosse stata resa nota al Ministro C., che fosse stata resa nota ad opera dell'imputato e che, di contro, il mancato rinnovo non fosse dipeso da altre cause e che, se causato da minaccia, non fosse stata persona diversa dall'imputato a farla conoscere, né che la sua conoscenza fosse avvenuta in altro modo. 10. La prima memoria depositata dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione. 10.1. In data 22 marzo 2023 la Procura generale presso la Corte di cassazione ha depositato una memoria relativa ai motivi proposti in ordine alle questioni processuali. Premette la Procura generale che deve riconoscersi l'interesse a ricorrere degli imputati M.M. e D.D.G., pur a fronte di una sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non costituisce reato anche solo per le conseguenze morali della sentenza impugnata. La Procura generale esclude la violazione del ne bis in idem nei confronti di B., pur secondo il canone di accertamento di identità del fatto convenzionalmente orientato, in quanto, nel caso di specie la condotta contestata sarebbe ben più articolata di quella già giudicata e l'evento storico naturalistico la minaccia al Governo per condizionarne l'azione sarebbe diverso da quello oggetto dei precedenti giudizi. Corretto, ad avviso della Procura generale, sarebbe stato l'avvenuto radicamento della competenza presso la Corte di assise di Palermo sulla base del principio della perpetuatio iurisdictionis, in quanto le parti non avevano fornito al giudice dell'udienza preliminare e, invero, neppure successivamente allegazioni sufficienti a consentire di ravvisare la connessione dei fatti per cui si procede con i processi per le stragi di Omissis o di Omissis . Non essendo la formulazione del capo d'imputazione del tutto chiara sul punto se le stragi di Omissis e Omissis siano state forme di esecuzione della minaccia nei confronti del Governo o forme di vendetta nei confronti dei magistrati , la motivazione della Corte di assise di appello fondata sul rilievo che la strage di Omissis non era collegata né alla trattativa, né alla minaccia, in quanto realizzata a fine di vendetta implica un giudizio di fatto, che, nella specie, sarebbe immune da censure, in quanto motivato in modo non arbitrario. Infondata sarebbe la dedotta nullità per effetto della mancata partecipazione degli imputati detenuti all'udienza tenutasi presso il Palazzo del Quirinale, in quanto le motivazioni della sentenza impugnata sarebbero corrette. Quanto alla qualificazione giuridica, la Procura ritiene che l'interpretazione della fattispecie di cui all'articolo 338 c.p., postuli una previa operazione di ricontestualizzazione , in quanto introdotta in una cornice costituzionale diversa da quella dello Stato costituzionale. Rileva la Procura generale che il Governo, pur espressamente incluso nella sola disposizione incriminatrice dell'articolo 289 c.p., rientri anche nella nozione di corpo politico ed amministrativo rilevante ai fini dell'articolo 338 c.p., in quanto gli articolo 92 e 95 Cost., nonché la disciplina dell'attività di Governo e l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri recata nella L. numero 400 del 1988 dimostrerebbero come possa ritenersi indubitabile che esista un nucleo essenziale di attribuzioni, volte ad esprimere un indirizzo politico e amministrativo unitario, imputabile al Governo inteso come struttura collegiale . Secondo la Procura generale, inoltre, mentre l'articolo 338 c.p. collega direttamente la violenza o minaccia al soggetto passivo del reato, l'articolo 289 c.p. collega il fatto all'attività dell'organo di cui vengono impedite o turbate le attribuzioni, prospettive e funzioni , concludendo quindi che nettamente differenziate sembrano, pertanto, le condotte coperte dall'una o dall'altra norma incriminatrice. Tra le due fattispecie vi sarebbe, dunque, un rapporto originario di specialità bilaterale per aggiunzione , in cui l'elemento comune alle due fattispecie sarebbe dato dalla direzione all'impedimento o turbamento non si sarebbe, pertanto, in presenza di un concorso apparente di norme, bensì solo di un problema di sussunzione del fatto concreto nell'una o nell'altra fattispecie . 11. I motivi nuovi proposti da M.M 11.1. In data 28 marzo 2023 l'avvocato Basilio Milio ha depositato un motivo nuovo nell'interesse di M.M., ribadendo la sussistenza del vizio di manifesta illogicità della motivazione della sentenza con riferimento all'elemento oggettivo del reato di cui all'articolo 338 c.p Rileva il difensore che, secondo la sentenza impugnata, il delitto di minaccia a un corpo dello Stato si sarebbe consumato al momento della sua ricezione al destinatario della stessa, il Ministro C.G In particolare, nella ricostruzione operata dalla Corte di assise di appello il reato si sarebbe consumato in due colloqui in successione il primo avvenuto in data 22 ottobre Omissis tra M.M. ed il Dott. D.M.F., e il successivo tra D.M. ed il Ministro C Quest'ultimo sarebbe avvenuto in una data non individuata né individuabile. La sentenza, tuttavia, ad avviso del difensore, perviene a questa conclusione senza del tutto escludere che le richieste estorsive abbiano raggiunto per altra via, diversa ed autonoma , il Ministro. La ricomposizione del compendio indiziario operata dalla sentenza impugnata sarebbe, dunque, basata su travisamenti e omessa valutazione di elementi di prova decisivi in atti o su prove che avrebbero dovuto esser acquisite. 12. I motivi nuovi proposti da D.D.G. 12.1. In data 28 marzo 2023 l'avvocato Francesco Antonio Romito ha depositato un motivo nuovo nell'interesse di D.D., nuovamente deducendo il vizio di manifesta illogicità della motivazione della sentenza con riferimento all'elemento oggettivo del reato di cui all'articolo 338 c.p., di contenuto analogo a quello proposto dall'avvocato Basilio Milio. 13. La memoria depositata da S.A 13.1. Gli avvocati Gianluca Tognozzi e Cesare Placanica in data 28 marzo 2023 hanno depositato una memoria nell'interesse di S., contestando la legittimità della qualificazione delle condotte accertate nella sentenza impugnata ai sensi dell'articolo 338 c.p Rilevano i difensori come sia la Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, che autorevole dottrina, coeva all'entrata in vigore del Codice penale, ma anche recentemente espressasi sui temi giuridici posti dalla trattativa Stato-mafia, escludono che, nel disegno sistematico del codice penale, il Governo della Repubblica e i suoi rappresentanti possano essere ascritti come invece ipotizza l'imputazione nel novero dei soggetti passivi, ricompresi nella nozione di corpo politico esplicitata nell'articolo 338 del codice penale il Governo, infatti, gode di piena protezione quale organo costituzionale dalla fattispecie di attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali di cui all'articolo 289 c.p Ulteriori argomenti di ordine sistematico, secondo la difesa, avvalorano questa conclusione. L'articolo 338 c.p., infatti, figura tra i reati contro la pubblica amministrazione, laddove l'articolo 289 c.p. trova la propria collocazione tra i delitti contro la personalità dello Stato. L'articolo 393-bis c.p. prevede espressamente l'applicabilità della scriminante della reazione legittima al caso in cui la violenza o minaccia a un corpo politico articolo 338 c.p. siano commesse per reagire a un atto arbitrario di un soggetto pubblico, mentre una analoga causa di non punibilità non è prevista in relazione al reato di cui all'articolo 289 c.p Questa differenza di disciplina, spiegabile considerando che sarebbe più difficilmente ipotizzabile una reazione legittima del privato contro un atto arbitrario proveniente da un organo costituzionale come il Governo, conferma indirettamente che quest'ultimo non è sussumibile sotto la nozione di corpo politico di cui all'articolo 338 c.p La condotta diretta a turbare l'attività del Governo sarebbe, del resto, punita, applicando l'articolo 338 c.p., con una pena superiore rispetto a quella irrogabile nei confronti della ben più grave condotta diretta ad impedire con violenza l'esercizio delle prerogative governative. L'organo di Governo, nella propria veste di apice del sistema della pubblica amministrazione, non ha nulla di politico, in quanto la funzione politica e la funzione amministrativa sono all'evidenza due distinte funzioni del Governo della Repubblica. La sentenza impugnata ha, inoltre, affermato che sussiste il reato previsto dall'articolo 338 c.p. quando l'agente, pur rivolgendo la minaccia ad un solo componente, eventualmente non in presenza dell'organo collegiale riunito, miri non già alla persona fisica del componente medesimo, ma al corpo politico al fine di impedirne o turbarne l'attività. Tale conclusione sarebbe, tuttavia, inficiata dalla modifica apportata dalla L. 3 luglio 2017 numero 105, che ha inserito le parole non previste nella disposizione originaria ai singoli componenti dopo le parole corpo politico, amministrativo, giudiziario , tanto nella rubrica quanto nel testo dell'articolo. Per converso, l'interpretazione adottata dalla sentenza impugnata, assegnando alla norma un significato che travalica la formulazione letterale della disposizione, si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale di legalità in materia penale, e con i suoi corollari di tassatività e determinatezza, sanciti dall'articolo 25, comma 2, Cost., dall'articolo 7CEDU, con il suo corollario della prevedibilità, sancito dalla Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell'Uomo nella sentenza De Tommaso C. Edu, sentenza 23 febbraio 2017 e recepito dalla Corte costituzionale nelle sentenze numero 24 e 25 del 2019. I fatti di cui al capo A dell'incolpazione avrebbero dovuto, pertanto, correttamente essere qualificati ai sensi della distinta fattispecie di cui all'articolo 289 c.p. e, in particolare, nell'ipotesi originariamente disciplinata dal comma 2 di tale disposizione. A fronte della novella normativa integrata dalla L. 24 febbraio 2006 numero 85, che ha abrogato il comma 2 dell'articolo 289 c.p., infine, i giudici del merito avrebbero dovuto riconoscere l'intervenuta abolitio criminis, in virtù della quale la condotta concreta di cui al capo A dell'incolpazione, relativa a una condotta diretta solo a turbare le funzioni, attribuzioni o prerogative, non risulta più prevista dalla legge come reato. La minaccia asseritamente veicolata, per il tramite del Dott. D.M., avrebbe prodotto l'effetto di turbare l'attività del Ministro C., che si sarebbe determinato a non prorogare, nel novembre del 2003, il regime del carcere duro di cui al 41-bis, comma 2, ord. penumero , ma tale materia era di competenza esclusiva del Ministro interessato, senza necessità di alcuna deliberazione collegiale. 14. La memoria depositata nell'interesse di D.D 14.1. In data 29 marzo 2023 l'avvocato Vittorio Manes e l'avvocato Francesco Antonio Romito hanno depositato una memoria nell'interesse di D.D. in replica al ricorso della Procura generale di Omissis . Rilevano i difensori che l'assenza di prova circa il fatto che il computato M.M. abbia parlato con D.M. di presunte spaccature/divergenze in cosa nostra tra R. e P. e l'assenza di prova sulle esatte parole che M. avrebbe detto a D.M. induce a ritenere che la formula assolutoria avrebbe dovuto essere quella per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste . Sarebbe, inoltre, come correttamente rilevato dalla Corte di assise di appello, insussistente l'elemento soggettivo del reato contestato, anche nella forma del dolo eventuale. Applicando i criteri delineati dalle Sezioni Unite per l'accertamento del dolo eventuale Sez. U, numero 38343 del 24/04/2014, Espenhahn , sarebbe, inoltre, evidente nel caso di specie la mancanza della prova rigorosa che l'agente si sia confrontato con lo specifico evento verificatosi, aderendo psicologicamente allo stesso. L'arresto di R. dimostrerebbe, inoltre, come sia insussistente nella specie ogni adesione alla supposta volontà di agire secondo un accordo sinallagmatico e, per converso, l'intento dell'imputato di far cessare le stragi mediante l'arresto dei vertici di cosa nostra . Ne' D.D., né M. avrebbero mai accettato il rischio dell'evento-minaccia, in quanto, nell'avviare e intrattenere contatti con C.V., il loro intendimento fu solo quello di arrestare i mafiosi e carpire informazioni sulle dinamiche interne a cosa nostra . A tutto voler concedere il loro comportamento potrebbe essere qualificato come imprudente, per mancata valutazione del rischio della minaccia, ma si permarrebbe pur sempre nell'ambito della colpa e non già del dolo necessario per integrare il delitto contestato. I contatti intervenuti con C.V. dovrebbero, peraltro, essere inquadrati nell'ambito dei rapporti di natura confidenziale previsti dall'articolo 203 c.p.p., come stabilito dalla sentenza della Corte di appello di Palermo, divenuta irrevocabile, in ordine al coimputato M.C., che ha escluso anomalie operative, rilevando come si trattasse di attività info-investigativa diretta a creare un rapporto fiduciario con costui per trasformarlo in un confidente/infiltrato prima e .collaboratore poi, sempre all'unico fine della cattura dei latitanti e della cessazione delle stragi . I difensori rilevano che continuare ad indagare, ricorrendo anche ai confidenti e a false trattative , acquisire informazioni sui boss latitanti, conoscere i progetti di cosa nostra , era un dovere per gli ufficiali di polizia giudiziaria del R.O.S. al fine di contrastare l'azione criminale mafiosa e salvare vite umane, ancor di più dopo l'ulteriore catastrofico attentato di Omissis . Il ricorso della Procura Generale si risolverebbe, dunque, in un inammissibile tentativo di pervenire nel giudizio di legittimità ad una rinnovata valutazione delle prove. C., peraltro, una volta arrestato, non avrebbe mai parlato di richieste estorsive formulate da cosa nostra , pur volendo collaborare per beneficiare di sconti di pena. Il carattere puramente ipotetico della ricostruzione del momento perfezionativo della minaccia sarebbe dimostrato dall'incertezza in ordine alla collocazione temporale del colloquio tra M. e D.M. avvenuto, secondo la sentenza di primo grado il 27 luglio Omissis e, secondo la sentenza di secondo grado il 22 ottobre Omissis e ai suoi contenuti e a quello, mai circostanziato nei tempi e nei contenuti, tra D.M. e C La Procura generale distrettuale, inoltre, con riferimento alle condotte successive alla consumazione del reato contestato, asseritamente confermative del dolo eventuale la mancata perquisizione del covo di R. e la mancata cattura di P. a Omissis , non si sarebbe confrontata con le sentenze già passate in giudicato sul punto. 15. La memoria depositata nell'interesse di M 15.1. In data 29 marzo 2023 l'avvocato Vittorio Manes e l'avvocato Basilio Milio hanno depositato una memoria nell'interesse di M., dal contenuto analogo a quella presentata da D.D., e hanno ribadito la tesi della insussistenza, già a livello oggettivo, della condotta consistita nella veicolazione della minaccia . 16. La memoria depositata nell'interesse di D.M 16.1. Gli avvocati Tullio Padovani e Francesco Centonze, in data 29 marzo 2023, hanno depositato una memoria di replica nell'interesse di D.M I difensori deducono che il ricorso proposto dalla Procura generale presso la Corte di appello di Palermo è inammissibile, e comunque radicalmente infondato, e rilevano che la qualificazione giuridica dei fatti fornita dal Collegio di Appello deve ritenersi errata. Secondo i difensori la Procura generale di Omissis , nel proprio motivo di ricorso, ha operato uno stravolgimento della motivazione dei giudici di secondo grado, omettendo di menzionare un passaggio cruciale del percorso logico argomentativo della sentenza. Nella motivazione resa, infatti, la Corte di Assise di appello non ha affermato che D. avrebbe potuto concordare con i mafiosi l'aumento della tangente annuale senza neppure parlarne con Omissis B. , ma ha per contro sostenuto che, anche ritenendo dimostrato che si sia effettivamente verificata una rimodulazione dell'importo del pizzo alla quale sia seguita una conversazione tra D. e B., da questo dato non è comunque possibile inferire che nel contesto di questi ipotetici dialoghi sia stato inserito anche l'argomento della minaccia stragista che cosa nostra rivolgeva al Governo della Repubblica per assicurarsi il rispetto degli accordi preelettorali intrecciati con D. . Il problema, dunque, non sarebbe come si sostiene nel ricorso quello della tenuta logica della tesi secondo cui D. avrebbe potuto o meno concordare con i mafiosi l'aumento del pizzo senza parlarne con B. ma, piuttosto, se è corretto, sotto il profilo logico, affermare che non è possibile dedurre la prova che D. avrebbe riferito il messaggio ricevuto da M. al Presidente B. dalla circostanza ipotetica che ci sarebbe stato un colloquio tra D. e B. in merito all'aumento del pizzo che le imprese riconducibili a B. avrebbero pagato a cosa nostra . La Procura generale distrettuale nel ricorso non avrebbe individuato alcuna forma specifica di contraddittorietà, illogicità o sostanziale mancanza della motivazione in ordine all'assenza di responsabilità di D.M., ma si sarebbe limitata a rappresentare una ricostruzione alternativa dei fatti fondata su una rilettura delle prove poste a fondamento della decisione. Ad avviso dei difensori, inoltre, sarebbe corretta la qualificazione delle condotte contestate ai sensi dell'articolo 289 c.p. e non già ai sensi dell'articolo 338 c.p. e, in subordine, nel delitto di cui all'articolo 338 c.p Secondo i difensori il Governo sarebbe escluso dal novero dei corpi politici di cui all'articolo 338 c.p., come indicato dalla Relazione del Guardasigilli e i giudici di merito avrebbero ignorato il tema della successione delle leggi penali nel tempo per effetto dell'intervento della L. 24 febbraio 2006, numero 85, che ha abrogato il comma 2 dell'articolo 289 c.p Le sentenze di merito, in particolare, avrebbero eluso l'onere di definire puntualmente quale fosse la fattispecie penale applicabile ai fatti contestati al momento della loro commissione il 1 comma dell'articolo 289 il 2 comma di tale disposizione direttamente ed immediatamente l'articolo 338 c.p. . Illogicamente i giudici avrebbero distinto la violenza che figura nella fattispecie di cui all'articolo 338 c.p. da quella che compare nella fattispecie di cui all'articolo 289 c.p La norma applicabile nel momento in cui i fatti sarebbero stati commessi era senza alcun dubbio rappresentata dall'articolo 289 c.p. che, all'epoca, sanzionava qualsiasi atto diretto a impedire o a turbare le funzioni di taluni organi collegiali di massimo rilievo costituzionale e, tra questi, anche il Governo della Repubblica, cui secondo l'accusa contestata era diretta la presunta condotta minatoria. Non sarebbe stato invero possibile ricorrere all'articolo 338 c.p. disposizione ricompresa peraltro tra quelle a tutela della pubblica amministrazione, e non già tra i delitti contro la personalità dello Stato, come invece l'articolo 289 c.p. , assumendo che, in definitiva, il Governo della Repubblica non è che una species del più ampio genus corpo politico cui si riferisce per l'appunto la condotta violenta o minacciosa tipizzata dall'articolo 338. Il principio di specialità avrebbe, comunque, imposto di ricorrere alla disposizione dell'articolo 289 c.p., proprio in quanto caratterizzata da una peculiare tutela assicurata a specifici organi politici collegiali di rilievo costituzionale, così come sin dall'origine precisato dal Guardasigilli nella sua Relazione. Ne' si sarebbe potuto obiettare che l'articolo 338 c.p. identificava la condotta tipica in termini speciali rispetto a quella descritta dall'articolo 289 c.p. violenza o minaccia rispetto a fatti diretti a impedire o a turbare . Quest'ultima disposizione, infatti, includeva e include una clausola di riserva relativamente indeterminata salvo che il fatto costituisca più grave reato , che avrebbe in ogni caso impedito l'applicazione prevalente dell'articolo 338 c.p. dato che, all'epoca dei fatti, questo era punito molto meno gravemente all'articolo 289 c.p L'interpretazione dei giudici di merito condurrebbe ad un'interpretatio abrogans dell'articolo 289 c.p., che, secondo questa tesi, non troverebbe mai applicazione. Il ricorso della Procura generale di Omissis sarebbe, peraltro, radicalmente infondato, in quanto illogica e contraddittoria sarebbe la sentenza della Corte di assise di appello in ordine alla trasmissione della minaccia preventiva e condizionata da M. a D. prima D.M. Omissis e in ordine alla trasmissione della minaccia da M. a D. dopo maggio Omissis . I difensori ribadiscono la propria tesi fondata sulla totale estraneità di D.M. ai fatti contestati, in particolare i sull'assenza di prova dell'effettiva realizzazione di incontri tra D. e M.V. dopo l'insediamento del Governo B. e prima delle sue dimissioni ii anche ammettendo che tali incontri si siano verificati, sull'impossibilità di accertarne il contenuto e, precisamente, se M.V. abbia realizzato una condotta attiva dal contenuto inequivocabilmente minatorio percepibile da D. e iii in ogni caso, la mancata dimostrazione della trasmissione di tale minaccia da D. al presidente B 17. La memoria integrativa depositata dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione. 17.1. In data 30 marzo 2023 il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha depositato una memoria integrativa. In tale memoria si rileva che le censure relative alla violazione dell'oltre ogni ragionevole dubbio, sono ammissibili nella sola parte in cui o denunciano lo standard probatorio utilizzato dal giudice di merito come incompatibile rispetto alla regola bard beyond any reasonable doubt oppure specificamente individuano illogicità manifeste o contraddittorietà della motivazione e non meri dissensi valutativi . Rileva, ancora il Procuratore generale, che la valutazione complessiva del quadro probatorio di tipo indiziario deve essere condotta con l'estremo rigore che il criterio di cui all'articolo 533 c.p.p. impone ed aggiunge che ancora più prudente dovrà farsi il giudizio di concordanza degli elementi indiziari laddove i singoli indizi manifestino carenze di certezza ma anche di valore dimostrativo tanto più la convergenza sia stata impiegata come fattore di correzione dei deficit di portata dimostrativa dei singoli indizi, tanto meno vi si potrà fare ricorso per rimediare alla loro incertezza. Infine, un'ulteriore premessa necessaria perché trattasi di argomento utilizzato in sentenza riguarda la prova logica della ascrivibilità di una condotta ad un soggetto ottenuta mediante l'esclusione, al di là di ogni ragionevole dubbio, della possibilità che la stessa condotta sia stata effettuata da un terzo la tesi, cioè, del non può essere stato nessun altro . Precisa, inoltre, il Procuratore generale che la confutazione di spiegazioni alternative di un fatto non può supplire alla mancanza di prova positiva del fatto medesimo fermo restando che potendo l'accertamento positivo del fatto desumersi anche in via indiziaria, secondo i canoni sopra precisati della gravità, precisione e concordanza l'individuazione delle ipotesi antagoniste e la loro confutazione ben può formare parte integrante della complessiva valutazione della ricorrenza dei canoni suddetti. In riferimento alla tesi del non può essere stato nessun altro , la Procura generale conclude rilevando che . applicando le precisazioni metodologiche di cui sopra alla fattispecie con riferimento ai profili attaccati nei ricorsi il quid, il quis e il quomodo del messaggio veicolato al Ministro C. in assenza di una vera e propria fonte diretta di natura testimoniale o documentale , l'accertamento si sviluppa sostanzialmente in una dimostrazione di carattere logico-indiziario, nel senso che la motivazione giunge alla ricostruzione del chi disse e del che cosa fu detto al Ministro sulla base di un'analisi congiunta di plurimi elementi, ciascuno dei quali inidoneo a provare direttamente ed autonomamente la tesi accusatoria . 18. La memoria di replica depositata nell'interesse di S 18.1. Gli avvocati Cesare Placanica e Gianluca Tognozzi in data 7 aprile 2023 hanno depositato una memoria di replica nell'interesse di S., replicando nel termine di cui all'articolo 611 c.p.p., alle considerazioni che la Procura generale presso la Corte di cassazione, ha affidato, in modo particolare, al p. 5 della memoria del 23 marzo 2023, inerenti alla qualificazione giuridica del fatto. Rilevano i difensori che il legislatore repubblicano si è preoccupato di operare quella che la Procura generale definisce una ricontestualizzazione di talune espressioni normative, intervenendo, ad esempio, sul testo dell'articolo 289 c.p Eccepiscono, tuttavia, i difensori che ogni qual volta si è inteso proteggere il Governo e gli altri organi costituzionali, il legislatore è intervenuto sul testo delle disposizioni incriminatrici con chiarezza si vedano gli articolo 281,282,290 c.p. , tenendo conto del mutamento politico-costituzionale. L'articolo 338 c.p., invece, ha continuato a riferirsi al corpo politico, che per logica è da intendersi in senso diverso, dall'organo costituzionale del Governo, non potendosi postulare una sua esatta coincidenza, come opinato dal Procuratore generale. La funzione di indirizzo politico-amministravo che spetta al Governo e', inoltre, distinta dalla funzione politica e non ha subito cambiamenti. Possono, dunque, essere ascritti alla nozione di corpo politico di cui all'articolo 338 c.p. le commissioni e gli uffici elettorali, ma non già le Assemblee legislative e il Governo. Nel caso in cui si preferisse l'interpretazione proposta dalla Procura generale, occorrerebbe, peraltro, confrontarsi con l'elevato grado di oscurità ed incertezza che il sintagma corpo politico presenta e, conseguentemente, meriterebbe di essere sollevata, in via incidentale, una questione di legittimità costituzionale dell'articolo 338 c.p., in relazione agli articolo 25, comma 2, e 27 Cost., per deficit di tassatività e determinatezza e, quindi, per la connessa violazione del principio di colpevolezza sotto il profilo della conoscibilità del precetto. Nella legislazione, tanto primaria quanto secondaria, non sarebbe, infatti, ravvisabile un referente normativo che consenta di pervenire ad una definizione certa della nozione di corpo politico e lo stesso non risulterebbe esattamente definito né dalla dottrina né, a ben vedere, dalla giurisprudenza. I difensori, inoltre, deducono che il ricorso proposto dalla Procura generale presso la Corte di appello di Palermo non si è adeguatamente confrontato con passaggi della motivazione, che restituiscono un percorso giustificativo della decisione del tutto logico e coerente tanto con i risultati probatori, quanto con i criteri di valutazione della prova adottati e risulta, per quanto in questa sede più rilevi, esente dai vizi di legittimità denunciati. 19. Le memorie di replica depositate nell'interesse di M. e di D.D 19.1. In data 8 aprile 2023 l'avvocato Vittorio Manes, l'avvocato Basilio Milio e l'avvocato Francesco Antonio Romito hanno depositato memorie di replica nell'interesse di M.M. e di D.D.G. dal contenuto identico. I difensori, richiamandosi alle conclusioni della memoria integrativa depositata dalla Procura generale, rilevano che non è rinvenibile nella sentenza impugnata e sempre per quanto riguarda la consumazione del fatto sotto il profilo materiale attribuito agli ufficiali del R.O.S. una ricostruzione tale da configurare una condotta che, sul piano materiale, attraverso la trasmissione della asserita minaccia, abbia costretto il pubblico ufficiale Ministro C. a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'Ufficio . La condotta accertata sarebbe, dunque, sussumibile in base alla conclusione cui perviene la Procura generale nella fattispecie di cui al comma 2 dell'articolo 336 c.p Tali rilievi, ad avviso dei difensori, comporterebbero la declaratoria dell'improcedibilità dell'azione penale, che non avrebbe neanche dovuto essere esercitata, trattandosi di ipotesi di reato comunque prescritte ben prima della richiesta di rinvio a giudizio, depositata in data 23 luglio 2012. Nella sentenza impugnata non sarebbero, peraltro, state accertate altre richieste , diverse da quella relativa ad un allentamento del regime di cui all'articolo 41-bis ord. penumero , tali da costituire una minaccia al Governo quale corpo collegiale. I difensori, inoltre, richiamando, i rilievi svolti dalla Procura generale presso la Corte di cassazione in ordine alle censure afferenti alla violazione della regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio, osservano che la tesi del non può essere stato nessun altro viene utilizzata, in sentenza al fine di dimostrare come si sarebbe giunti alla consumazione del reato di minaccia ex articolo 338 c.p. non solo con riguardo a M. ma anche relativamente a D.M In altre parole, la sentenza parte da un fatto noto vale a dire l'incontro tra M. e D.M. del 22 ottobre Omissis per desumere da esso ben due fatti ignoti, ossia che . fu D.M.F. la fonte delle informazioni riservate che furono valutate al Ministro per adottare le sue decisioni. Ed è altresì altamente probabile ma non più di tanto che sia stato a sua volta M.M. a rendere D.M. edotto delle conoscenze più profonde e aggiornate, che erano all'epoca in possesso del R.O.S., sulla posizione e il ruolo di P.B. e sulla diversità di vedute strategiche rispetto al suo titolato compaesano Sentenza, pag. 2533 . Che si sia in presenza di due fatti ignoti, è dimostrato, per M., dalla circostanza che sia altamente probabile ma non più di tanto - che abbia informato D.M. . In assenza di certezze sul fatto che M. abbia informato D.M. e, poi, questi ne abbia reso edotto C., la sentenza muove dal fatto noto l'incontro del 22 ottobre Omissis per dimostrare il primo fatto ignoto l'interlocuzione M. D.M. . E poi, utilizza tale accadimento ignoto per presumere un secondo fatto ignoto l'interlocuzione D.M. C. . La mancanza di logicità nel percorso ricostruttivo seguito dalla sentenza sarebbe ancor più manifesta in ragione della ricostruzione, a dir poco ipotetica, del contenuto del colloquio nell'incontro avvenuto il 22 ottobre Omissis tra M. e D.M., del quale, invece, elementi processualmente acquisiti quali la testimonianza di G. e l'agenda di M. come già illustrato nel ricorso offrono prova contraria. 20. La discussione pubblica e il rinvio della deliberazione. 20.1. Alla pubblica udienza del 14 aprile 2023, il Collegio, all'esito della discussione delle parti, ha differito la deliberazione, ai sensi dell'articolo 615 c.p.p., all'udienza del 27 aprile 2023, nella quale è stata data lettura del dispositivo della presente sentenza. Considerato in diritto 1. Premessa. Il ricorso della Procura generale presso la Corte di appello di Palermo deve essere rigettato, in quanto i motivi dedotti sono infondati i ricorsi proposti dagli imputati devono, invece, essere accolti nei limiti che di seguito si precisano. 2. La competenza della Corte di assise di Palermo. 2.1. L'avvocato Cianferoni, con il terzo motivo proposto nell'interesse di C. censura la violazione dell'articolo 11 c.p.p., in quanto il presente processo avrebbe dovuto essere celebrato innanzi alla Corte di assise di Omissis . Il difensore rileva che la sentenza impugnata reputa le stragi c.d. del continente, commesse nel Omissis , connesse a quelle di Omissis e di Omissis del Omissis e, dunque, non sarebbe possibile eludere l'applicazione della regola attributiva della competenza enunciata dall'articolo 11 c.p.p., posto che le stragi dell'estate del Omissis furono commesse ai danni di magistrati. Erroneamente, dunque, la Corte di assise di appello di Omissis avrebbe richiesto la prova della pendenza di uno tra i processi celebrati in relazione alla strage di Omissis al fine di ritenere operante il principio di immanenza della competenza per connessione, quale criterio originario attributivo della stessa. Secondo il difensore, nel 2012 era già pendente il processo c.d. Omissis Ter e, quindi, sarebbe errata l'esclusione di tale strage quale fatto attributivo della competenza, che dovrebbe essere individuata in quella dell'autorità giudiziaria di Omissis ai sensi dell'articolo 11 c.p.p 2.2. Gli avvocati Giovanni Di Benedetto e Federica Folli, con il secondo motivo di ricorso proposto nell'interesse di C., deducono, inoltre, la violazione degli articolo 11 e 12 e ss. c.p.p., in quanto la Corte di assise di appello ha rigettato le eccezioni di incompetenza reiteratamente sollevate dalla difesa e non ha trasmesso gli atti per competenza alla Corte di assise di Omissis . Sussisterebbe, infatti, la connessione, ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lett. c , c.p.p., tra la strage di Omissis e il delitto per cui si procede, in quanto la strage sarebbe stata commessa sia per eseguire che per occultare il delitto di violenza o minaccia ad un corpo politico. 2.3. I motivi sono infondati. Il delitto di violenza o minaccia ad un corpo politico di cui all'articolo 338 c.p. si consuma nel momento e nel luogo in cui viene esercitata la violenza o la minaccia e, dunque, sulla base dell'imputazione si sarebbe perfezionato a Omissis , sede del Governo. La sentenza impugnata ha, tuttavia, ritenuto che la competenza fosse stata correttamente radicata presso l'autorità giudiziaria di Omissis in ragione della connessione, ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lett. b , c.p.p., del reato di minaccia a corpo politico dello Stato con l'imputazione di cui al capo b contestata al P. ovvero l'omicidio premeditato dell'Onumero L.S., commesso per eseguire il delitto di minaccia al Governo contestato al capo a . Il delitto di minaccia al corpo dello Stato sarebbe, peraltro, connesso, in quanto espressione di un medesimo disegno criminoso, con i reati di strage commessi a Omissis , Omissis e Omissis c.d. stragi in continente , ma, a parità di gravità, la competenza per connessione spetta al giudice competente per il primo reato e, dunque, alla Corte di assise di Palermo competente per l'omicidio L., commesso in data 12 marzo Omissis , e, dunque, anteriormente alle stragi predette. Nessun rilievo assume, inoltre, la circostanza che la connessione sia radicata dall'imputazione di omicidio contestata al solo P., in quanto le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che, ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall'articolo 12, lett. c , c.p.p. e della sua idoneità a determinare uno spostamento della competenza per territorio, non è richiesto che vi sia identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo, ferma restando la necessità di accertare che l'autore di quest'ultimo abbia avuto presente l'oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione o all'occultamento di un altro reato Sez. U, numero 53390 del 26/10/2017, G., Rv. 271223 01 . Nel caso di specie, inoltre, la Corte di assise di Palermo e la Corte di assise di appello di Omissis hanno correttamente stigmatizzato come generiche e indeterminate le eccezioni di incompetenza svolte dalle difese di B. e di C. con riferimento alla ritenuta connessione con i processi penali pendenti per le stragi di Omissis e di Omissis , nei quali figuravano tra le vittime magistrati che avevano prestato servizio presso il Tribunale di Palermo e che avrebbe determinato l'applicazione della peculiare regola di competenza sancita dall'articolo 11 c.p.p Numerosi e assai articolati, nelle successive dinamiche procedimentali, sono stati, infatti, i processi celebrati per tali stragi e i difensori nell'udienza preliminare e nel seguito del processo non hanno compiutamente documentato le proprie eccezioni processuali, indicando i procedimenti e le specifiche imputazioni che radicherebbero la competenza. Anche nel giudizio di legittimità i ricorrenti si sono limitati ad invocare genericamente ragioni di connessione con i processi pendenti per le stragi di Omissis e di Omissis senza, tuttavia, documentarle e specificamente dimostrarne la sussistenza. Anche l'eccezione di incompetenza per territorio determinata dalla connessione, al pari di ogni altro fatto dal quale dipende l'applicazione di norme processuali, richiede, in conformità all'articolo 187, comma 2, c.p.p. la prova dei suoi fatti costitutivi Sez. 2, numero 19579 del 21/04/2006, Foraboschi, Rv. 234194 01 . La parte che intenda sollevare eccezione di incompetenza per territorio determinata dalla connessione ha, dunque, l'onere di provare sia la pendenza attuale dell'altro procedimento, pur non nello stesso stato e grado Sez. U, numero 27343 del 28/02/2013, Taricco, Rv. 255345 01 , sia il titolo del reato o dei reati sui quali si fonda la connessione qualificata ai sensi dell'articolo 12 lettere b e c del codice di rito. La Corte di assise di Palermo ha, inoltre, ritenuto che, indipendentemente dalla carenza della prova della coeva pendenza dei processi e delle imputazioni che asseritamente eserciterebbero una vis atractiva, non sussiste la connessione tra il presente processo e i processi per le stragi di Omissis e di Omissis . L'omicidio dell'Onumero L.S. sarebbe, infatti, connesso, come dimostrato dalla contestazione dell'aggravante del nesso teleologico, alle minacce rivolte al Governo contestate nel presente processo, in quanto prima manifestazione dell'intenzione di cosa nostra di condizionare le scelte politiche nel contrasto alla mafia, intimidendo direttamente esponenti del mondo politico. La strage di Omissis , successiva all'omicidio L., invece, sarebbe riconducibile, sulla base della stessa prospettazione accusatoria, a moventi e contesti diversi rispetto a quello del reato di minaccia al corpo dello Stato il delitto sarebbe, infatti, stato determinato non già da una finalità estorsiva, bensì meramente ritorsiva e, dunque, persino anteriore agli esiti del c.d. maxiprocesso da parte degli esponenti apicali di cosa nostra nei confronti di F.G., a causa della sua opera di contrasto del fenomeno mafioso. Secondo la Corte di assise di appello, inoltre, la strage di Omissis sarebbe stata realizzata, oltre che quale forma di vendetta per l'azione giudiziaria perseguita da B.P. contro la mafia, non già per eseguire il delitto di minaccia a corpo politico dello Stato, ma per evitare che il magistrato denunciasse l'interlocuzione iniziata tra i vertici del R.O.S. e cosa nostra e, dunque, per assicurare all'organizzazione mafiosa l'esito auspicato della propria condotta estorsiva anche in relazione a questo delitto di strage, dunque, non sussisterebbe alcuna ipotesi di connessione rilevante con il delitto per cui si procede. Quest'apprezzamento è stato motivato dalle sentenze di merito in termini non manifestamente illogici e, del resto, dal capo di imputazione, pur a fronte di alcuni elementi di possibile ambiguità dovuti alla rapsodica e generica citazione delle stragi palermitane nell'ampia formulazione del capo a , non emergono precisi elementi idonei a confutare tale ricostruzione. Deve, pertanto, ritenersi che la competenza è stata radicata innanzi alla Corte di assise di Palermo conformemente alla disciplina del codice di rito. 3. La violazione del principio del ne bis in idem eccepita da B 3.1. L'avvocato Cianferoni, con il primo motivo di ricorso proposto, ha dedotto la violazione del divieto di un secondo giudizio sancito dall'articolo 649 c.p.p., in quanto le accuse rivolte a B. nel presente processo costituirebbero nient'altro che una replica delle contestazioni per le quali l'imputato è stato già condannato dalla Corte di assise di appello di Omissis per la strage di Omissis e dalla Corte di assise di appello di Omissis per le c.d. stragi nel continente. Posto, pertanto, che, secondo il ricorrente, tali stragi recavano in sé quella finalità estorsiva, che è stata autonomamente contestata nel presente procedimento, sarebbe stato violato il principio del ne bis in idem e, dunque, l'azione penale esercitata nel presente processo sarebbe improcedibile, almeno per le condotte contestate sino al gennaio Omissis . 3.2. Il motivo è infondato. La Corte costituzionale, nella sentenza numero 200 del 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 649 c.p.p., nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussista un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale. In tale pronuncia, la Corte costituzionale ha affermato che, per stabilire se opera il divieto del secondo giudizio, il giudice deve porre a confronto il fatto, così come emerge nei processi, nelle sue componenti storiche comprensivo di condotta, nesso eziologico ed evento , indipendentemente dalle qualificazioni legali. La Corte costituzionale ha, dunque, precisato che, in virtù dell'articolo 117, comma 1, Cost., l'articolo 649 c.p.p., che enuncia il divieto del bis in idem, deve essere interpretato in senso conforme a quello attribuito dalla giurisprudenza della Corte Edu in relazione all'analogo principio enunciato dall'articolo 4 del Protocollo numero 7 alla CEDU. Secondo la giurisprudenza della Corte Edu, infatti, l'idem factum deve essere colto in una dimensione squisitamente naturalistica facts which constitute a set of concrete factual circumstances involving the same defendant and inextricably linked together in time and space , nella quale è indifferente la diversa qualificazione giuridica ex plurimis Corte Edu, Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine c. Russia, p. 84 . La Corte costituzionale ha, dunque, precisato, che, nell'accertare l'identità del fatto, il giudice deve verificare la medesimezza o meno del fatto storico-naturalistico affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico , in quanto le sempre opinabili considerazioni sugli interessi tutelati dalle norme incriminatrici, sui beni giuridici offesi, sulla natura giuridica dell'evento, sulle implicazioni penalistiche del fatto e su quant'altro concerne i diversi reati, oggetto dei successivi giudizi, non si confanno alla garanzia costituzionale e convenzionale del ne bis in idem e sono estranee al nostro ordinamento Corte Cost., sent. numero 200 del 2016, p. 7 del Considerato in diritto . L'identità del fatto , pertanto, sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi condotta, evento, nesso causale e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona sentenza numero 129 del 2008 Corte Cost., sent. numero 200 del 2016, p.8 del Considerato in diritto . Declinando tali principi nel caso di specie, deve rilevarsi che la Corte di assise di appello, adottando un criterio di accertamento dell'identità del fatto convenzionalmente orientato, al pari della sentenza di primo grado, ha correttamente ritenuto che non vi fosse identità tra i fatti già giudicati dalle sentenze definitive pronunciate nei confronti di B. per le stragi poste in essere nel biennio Omissis - Omissis e i fatti contestati nel presente processo. Oggetto del presente processo sono, infatti, non le stragi perpetrate dall'organizzazione mafiosa cosa nostra tra il Omissis ed il Omissis , ma la minaccia, con cui nel biennio Omissis - Omissis i vertici dell'associazione mafiosa hanno cercato di esercitare pressioni sul Governo italiano per condizionarne l'azione, prospettando la prosecuzione dell'attività stragista se non fossero intervenuti benefici in favore del sodalizio criminale quali, ad esempio, la revisione delle pesanti condanne inflitte all'esito del maxiprocesso e confermate dalla Corte di cassazione, la mitigazione della legislazione di contrasto alla mafia, l'attenuazione del rigore carcerario per i sodali detenuti e l'abrogazione del regime di cui all'articolo 41-bis ord. penumero . Il motivo di ricorso deve, pertanto, essere rigettato, in quanto nessuna violazione dell'articolo 649 c.p.p. e del diritto fondamentale a non essere giudicati due volte per lo stesso fatto è ravvisabile nella specie. 4. La nullità delle sentenze di merito per la lesione del diritto alla partecipazione personale al dibattimento degli imputati B. e C 4.1. L'avvocato Cianferoni, con il secondo motivo proposto nell'interesse del C., eccepisce la nullità dell'udienza del 28 ottobre 2014, ovvero dell'udienza nel corso della quale è stata assunta la testimonianza del Presidente della Repubblica N.G. presso il Palazzo del Quirinale, in quanto la Corte di assise di Palermo avrebbe illegittimamente precluso all'imputato di partecipare all'udienza. Il ricorrente deduce anche la nullità delle ordinanze del 25 settembre 2014 e del 9 ottobre 2014, già impugnate unitamente alla sentenza di primo grado, per violazione degli articolo 178, lett. c , c.p.p., 24 Cost. e 6CEDU. Secondo il ricorrente, infatti, la Corte di assise di appello avrebbe illogicamente affermato che il principio della pubblicità del giudizio non assume valore assoluto, in quanto nella specie poteva cedere a fronte delle esigenze asseritamente connesse alle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica. Il paragrafo 3 dell'articolo 6 CEDU, alle lettere c , d ed e , invece, attribuisce all'accusato diritti che non possono essere esercitati se non attraverso la partecipazione personale all'udienza e che non possono essere garantiti esclusivamente dalla presenza della difesa tecnica parimenti, la partecipazione personale dell'imputato al processo invera i principi costituzionali di immediatezza ed oralità richiamati dall'articolo 111, comma 3, Cost. Ad avviso del difensore, il diritto, inviolabile, dell'imputato, che ne faccia richiesta, di presenziare all'udienza ben avrebbe potuto essere bilanciato con l'inviolabilità della sede del Presidente della Repubblica, consentendo la partecipazione a distanza dell'imputato, mediante la videoconferenza, peraltro richiesta dalla difesa. La mancata attivazione della videoconferenza e dei mezzi di collegamento da remoto sarebbe, dunque, equiparabile all'omessa traduzione dell'imputato detenuto all'udienza e determinerebbe la nullità assoluta e insanabile del giudizio e della relativa sentenza, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Analoga censura è stata proposta dagli avvocati Giovanni Di Benedetto e Federica Folli con il primo motivo di ricorso proposto nell'interesse di C.A 4.2. I motivi sono infondati. 4.3. Occorre premettere che qualora sia, come nella specie, sottoposta al vaglio del giudice di legittimità la correttezza di una decisione in rito, la Corte di cassazione è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla ne consegue che la Corte, in presenza di una censura di carattere processuale, può e deve prescindere dalla motivazione addotta dal giudice a quo e, anche accedendo agli atti, deve valutare la correttezza in diritto della decisione assunta, quand'anche non correttamente giustificata o giustificata solo a posteriori ex plurimis Sez. U, numero 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092-01 Sez. 5, numero 19970 del 15/03/2019, Girardi, Rv. 275636-01 . La Corte di assise di Palermo, con ordinanza del 25 settembre 2014, ha disposto l'esclusione della partecipazione all'udienza che si sarebbe tenuta presso il Palazzo del Quirinale degli imputati, delle altre parti private e del pubblico. La Corte di assise, inoltre, con ordinanza del 9 ottobre 2014, ha confermato la decisione già adottata, rigettando le richieste degli imputati B. e R. di poter presenziare al compimento dell'esame testimoniale, ai sensi dell'articolo 502, comma 2, ult. parte, c.p.p In tale provvedimento la Corte ha posto a fondamento della propria decisione, da un lato, l'applicazione analogica del disposto dell'articolo 502, comma 2, ultima parte, c.p.p., relativo all'esame a domicilio dei testimoni, che consente agli imputati assenti di essere rappresentati dal loro difensore, dall'altro, l'immunità di sede riconosciuta dalla Costituzione al Presidente della Repubblica, che non consentirebbe al giudice di disporre l'accompagnamento di un imputato detenuto con la scorta presso il Palazzo del Quirinale, né di assicurare l'ordine durante lo svolgimento dell'udienza. La Corte ha, inoltre, rilevato che il compimento dell'atto istruttorio in assenza dell'imputato che abbia richiesto di parteciparvi personalmente non comporterebbe alcuna lesione del diritto di difesa, che sarebbe adeguatamente assicurato dall'assistenza tecnica e dal ius postulandi dei difensori, che lo esercitano anche in forza di un potere di rappresentanza, legale e convenzionale . Con provvedimento del 15 ottobre 2014, la Corte ha, da ultimo, accolto la richiesta del Presidente dell'ordine dei giornalisti Sicilia di realizzare un collegamento audio e/o video tra la sala di assunzione della testimonianza e una postazione esterna riservata alla stampa, ma questa possibilità è stata esclusa dalla Presidenza della Repubblica, che ha negato l'accesso all'udienza dei giornalisti, anche mediante il collegamento video o audio. Da ultimo, il Presidente della Repubblica, con un comunicato stampa dir A. successivamente all'assunzione della propria testimonianza, ha auspicato che la Cancelleria della Corte d'assise di Omissis provvedesse ad assicurare al più presto la trascrizione della registrazione per l'acquisizione agli atti del processo, affinché sia possibile dare tempestivamente notizia agli organi di informazione e all'opinione pubblica delle domande rivolte al teste e delle risposte rese dal Capo dello Stato con la massima trasparenza e serenità . 4.4. La Corte di assise di appello, nella sentenza impugnata, ha escluso la nullità dell'udienza 28 ottobre 2014 e della sentenza emessa all'esito del giudizio di primo grado per effetto della mancata partecipazione alla stessa degli imputati, in quanto la loro assenza sarebbe stata giustificata dall'applicazione della disciplina di cui all'articolo 502 c.p.p. e, comunque, dalla necessità di rispettare la c.d. immunità di sede garantita al Presidente della Repubblica dalla Costituzione. 4.5. I ricorrenti pongono il tema del delicato bilanciamento tra il diritto fondamentale dell'imputato alla partecipazione al proprio processo ex plurimis Corte Cost., sent. numero 317 del 2009 e il rispetto delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, in occasione dell'assunzione della sua testimonianza, avvenuta, per la prima volta nella storia repubblicana, il 28 ottobre 2014 presso il Palazzo del Quirinale. L'articolo 205 c.p.p., dedicato alla assunzione della testimonianza del Presidente della Repubblica e di grandi ufficiali dello Stato , al comma 1 sancisce, con una formulazione tassativa, che la testimonianza del Presidente della Repubblica è assunta nella sede in cui egli esercita la funzione di Capo dello Stato . L'assunzione della testimonianza del Presidente della Repubblica presso la sede nella quale esercita la propria funzione costituzionale non e', dunque, derogabile, nemmeno per diretta volontà della prima carica dello Stato. Questa disposizione, dunque, differenzia nettamente la posizione della più alta carica dello Stato rispetto a quella degli altri ufficiali che compaiono nel comma 2 i presidenti delle Camere, il Presidente del Consiglio dei Ministri o della Corte costituzionale , che, invece, possono chiedere di essere esaminati nella sede in cui esercitano il loro ufficio . L'articolo 205, comma 1, c.p.p., come indicato dalla Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, è volto a garantire la continuità e la regolarità nello svolgimento dei compiti istituzionali della più alta carica dello Stato, ma nulla dispone in ordine alle modalità di svolgimento del processo penale in tale sede istituzionale. Nel silenzio della legge, la dottrina ha ritenuto che potesse essere invocata in proposito la disciplina dettata dall'articolo 502 c.p.p. per l'esame a domicilio di testimoni, periti e consulenti tecnici. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, il ricorso alla disciplina di cui all'articolo 502 c.p.p. deve ritenersi consentito in tutti i casi in cui, anche per ragioni contingenti e occasionali, viene a determinarsi una situazione di impossibilità assoluta del teste a comparire nella pubblica udienza, con l'effetto che, in tale ipotesi, è legittimo escutere il teste nel luogo dove al momento si trova Sez. 6, numero 6589 del 02/03/2000, Ischia, Rv. 217073 01 Sez. 4, numero 18657 del 27/02/2018, F., Rv. 273253 01 . Se, tuttavia, nella disciplina dell'esame a domicilio del testimone delineata dall'articolo 502 c.p.p., è necessitata l'esclusione della presenza del pubblico, non lo è quella dell'imputato, che può pur sempre richiedere di partecipare all'atto istruttorio o di farsi rappresentare dal proprio difensore Sez. 4, numero 18657 del 27/02/2018, F., Rv. 273253 01 Sez. 6, numero 6589 del 02/03/2000, Ischia, Rv. 217073 01 . Nel caso della testimonianza del Presidente della Repubblica, tuttavia, la presenza dell'imputato nella sede in cui si svolge l'esame testimoniale non può essere garantita dall'autorità giudiziaria. La Corte costituzionale ha, infatti, espressamente sancito, peraltro in una sentenza che ha tratto origine proprio dalla richiesta di utilizzazione delle intercettazioni indirette eseguite in questo processo penale Corte Cost., sent. numero 1 del 2013 , l'inviolabilità della sede del Presidente della Repubblica rispetto all'esercizio di poteri coercitivi dell'autorità giudiziaria o di polizia, quale diretta applicazione delle norme costituzionali che garantiscono l'indipendenza di tale organo costituzionale Corte Cost., sent. numero 231 del 1975 . Il giudice penale, pertanto, non può far eseguire coattivamente propri provvedimenti rivolti a disciplinare le attività processuali che si svolgono nelle sedi degli organi costituzionali che esercitano le massime funzioni di rappresentanza e di garanzia , in quanto la violazione delle sedi degli organi costituzionali potrebbe avvenire solo in uno Stato autoritario di polizia, che ovviamente costituisce l'opposto dello Stato costituzionale delineato dalla Carta del 1948 Corte Cost., sent. numero 1 del 2013 . La Corte di assise di Palermo, dunque, legittimamente non ha disposto la traduzione degli imputati, né la partecipazione a distanza all'assunzione della testimonianza del Presidente della Repubblica in data 28 ottobre 2014, tenutasi presso il Palazzo del Quirinale, in quanto ha correttamente ritenuto che non spetti al giudice comune contemperare il diritto fondamentale dell'imputato di partecipare al proprio processo con le prerogative costituzionali riconosciute al Presidente della Repubblica. Il contemperamento tra l'inviolabilità della sede garantita dalla Costituzione al Presidente della Repubblica e il diritto fondamentale dell'imputato alla partecipazione al proprio processo può, infatti, essere realizzato esclusivamente a mezzo della leale collaborazione tra poteri dello Stato, così come sancito dalla Corte costituzionale nel caso, per certi aspetti analogo, del contemperamento dell'esercizio del mandato parlamentare con lo svolgimento di attività processuali che coinvolgano deputati o senatori Corte cost, sent. numero 263 del 2003 numero 225 del 2001 . Qualora, pertanto, il Presidente della Repubblica, nell'esercizio delle proprie prerogative costituzionali, ritenga di non consentire l'accesso agli imputati alla sede ove deve essere assunta la propria testimonianza anche nella forma della videoconferenza , nessuna nullità può ritenersi integrata. In tal caso, infatti, nessuna violazione di legge è ravvisabile, in quanto il giudice penale è tenuto a rispettare i principi costituzionali che tutelano l'inviolabilità della sede istituzionale del Presidente della Repubblica e che costituiscono un limite invalicabile per il potere giurisdizionale. D'altra parte, il diritto dell'imputato a presenziare al proprio processo non fonda un diritto assoluto e inderogabile alla comparizione personale, che non è riconosciuto, ad esempio, nel giudizio di legittimità Sez. 1, numero 13854 del 27/02/2019, Forte, Rv. 275891 01 Corte Edu, 8 luglio 2003, Fontane e Bertin c. Francia Corte Edu, 17 gennaio 2008, Abbasov c. Azerbaijan o è legittimamente compresso nel caso di allontanamento coattivo dell'imputato dall'aula di udienza nell'ipotesi prevista dall'articolo 475 c.p.p Nel caso di specie, peraltro, il diritto di difesa degli imputati è stato pur sempre garantito dalla presenza dei difensori degli imputati, che hanno potuto porre le proprie domande al Presidente della Repubblica, come risulta dal testo della deposizione gli imputati, peraltro, nel seguito del dibattimento, hanno avuto la possibilità di chiamare eventuali testimoni, di chiedere di rendere spontanee dichiarazioni o di essere esaminati in relazione al contenuto della deposizione assunta. 4.6. La mancata partecipazione degli imputati B. e C. alla sola udienza istruttoria tenutasi in data 28 ottobre 2014 presso il Palazzo del Quirinale non ha, dunque, determinato la nullità dell'atto probatorio compiuto nei loro confronti, né della sentenza impugnata. Tale testimonianza, peraltro, non ha assunto una valenza decisiva nella ricostruzione delle condotte ascritte agli imputati, come è stato concordemente riconosciuto sia dalla sentenza di primo, che da quella di secondo grado e non è stato revocato in dubbio dagli stessi difensori degli imputati assenti. 5. La qualificazione giuridica delle condotte accertate. 5.1. Prima di esaminare le statuizioni di merito della sentenza impugnata occorre verificare se le condotte accertate siano penalmente rilevanti e quale sia la fattispecie di reato applicabile nella specie. 5.2. La Corte di assise di Palermo e la Corte di assise di appello di Omissis hanno accertato che nel biennio Omissis - Omissis , R.S., P.B., B.L.B., B.G. e C.A., esponenti apicali dell'organizzazione mafiosa cosa nostra , hanno minacciato i Governi A. e C., succedutisi in quell'arco temporale, al fine di condizionarne le decisioni e, in particolare, hanno cercato di barattare la rinuncia alla strategia stragista con un'attenuazione da parte dello Stato del rigore repressivo nei confronti della mafia. La minaccia sarebbe consistita nel prospettare l'ottenimento dei benefici richiesti come condizione non negoziabile per porre fine alla strategia di violento attacco alle Istituzioni. Nella ricostruzione della Corte di assise di appello, la minaccia sarebbe stata prospettata a Omissis , dall'ex sindaco C.V., nel contesto dell'interlocuzione promossa, dopo la strage di Omissis , da M.M. e D.D.G., rispettivamente Vice Comandante e Ufficiale del Raggruppamento Operativo Speciale R.O.S. dei Carabinieri, con i vertici di cosa nostra , per cercarne di bloccare la strategia stragista. Il reato si sarebbe, tuttavia, perfezionato a Omissis , nel novembre del Omissis , quando il ricatto mafioso sarebbe pervenuto a conoscenza dell'allora Ministro di Grazia e Giustizia C.G., che si sarebbe determinato a lasciar decadere, senza rinnovarli, 334 provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero dai vertici del Dipartimento Amministrativo Penitenziario D.A.P. nei confronti di appartenenti alla criminalità organizzata anche di tipo non mafioso . La minaccia mafiosa sarebbe, inoltre, stata rinnovata anche nei confronti del Governo B., insediatosi nel maggio del Omissis , ad opera del B., in concorso con B.G., e con M.V. e C.S., gli ultimi due medio tempore deceduti. Secondo la sentenza impugnata, tuttavia, in questo caso il reato sarebbe rimasto solo allo stadio del tentativo, in quanto non vi sarebbe la prova che l'intermediario D.M. abbia portato a conoscenza del Presidente del Consiglio dei ministri o di altro esponente del Governo la minaccia mafiosa. 5.3. Entrambe le sentenze di merito hanno ritenuto che le condotte accertate debbano essere ricondotte alla fattispecie del reato di violenza o minaccia ad un corpo politico dello Stato di cui all'articolo 338 c.p. e non già quella di attentato contro gli organi costituzionali di cui all'articolo 289 c.p., indicata dalle difese degli imputati, in quanto la nozione di corpo politico , che nella prima compare, è talmente ampia, sul piano semantico, da poter ricomprendere anche gli organi costituzionali e, dunque, il Governo. Secondo queste pronunce, inoltre, la fattispecie di cui all'articolo 338 c.p. sanziona la violenza o la minaccia rivolte direttamente contro le persone che costituiscono il corpo politico gli atti violenti o le minacce che, senza attingere direttamente i componenti dell'organo costituzionale, abbiano l'effetto di impedire o turbare l'esercizio delle sue attribuzioni sarebbero, invece, ascrivibili all'ambito applicativo del delitto di attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali di cui all'articolo 289 c.p Secondo le sentenze di merito, dunque, posto che la minaccia mafiosa era stata rivolta ai membri del Governo ed era giunta a conoscenza del Ministro di grazia e giustizia dell'epoca, dovrebbe trovare applicazione la fattispecie di reato di cui all'articolo 338 c.p 5.4. Gli avvocati Di Benedetto e Folli, con il terzo motivo di ricorso proposto nell'interesse del C., l'avvocato Cianferoni, con il quarto motivo di ricorso proposto nell'interesse del B., gli avvocati Padovani e Centonze, nella memoria depositata nell'interesse di D., e gli avvocati Gianluca Tognozzi e Cesare Placanica, nella memoria depositata in data 28 marzo 2023 nell'interesse di S., con varietà di accenti, ma in modo unitario, hanno dedotto che i giudici di merito avrebbero erroneamente applicato alle condotte accertate la fattispecie di violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario di cui all'articolo 338 c.p. in luogo di quella di attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali di cui all'articolo 289 c.p Ad avviso dei difensori, considerando le formulazioni di tali fattispecie di reato vigenti al momento di commissione del fatto, la minaccia rivolta nei confronti di un organo costituzionale quale il Governo potrebbe integrare esclusivamente il delitto di cui all'articolo 289 c.p., che, in qualità di lex specialis, esclude l'applicazione dell'articolo 338 c.p I difensori hanno rilevato che nei Lavori preparatori al Codice penale e, segnatamente, nella relazione del Ministro Guardasigilli si precisa, infatti, che nella nozione di corpo politico di cui all'articolo 338 c.p. non rientrano né il Governo, né le assemblee legislative, in quanto gli attentati all'esercizio delle loro funzioni sono stati già ricompresi nella previsione dell'articolo 289 c.p Secondo le difese degli imputati, inoltre, sarebbe errata l'interpretazione adottata dalle sentenze di primo e secondo grado, in quanto la minaccia necessaria per integrare il reato di cui all'articolo 338 c.p. può essere, indifferentemente, diretta o indiretta. Le condotte di minaccia al Governo accertate dalle sentenze di merito, dunque, avrebbero dovuto più propriamente essere ricondotte alla fattispecie di attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali di cui al comma 2 dell'articolo 289 c.p Posto, tuttavia, che l'articolo 4 della L. 24 febbraio 2006, numero 85 Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione ha abrogato il comma 2 dell'articolo 289 c.p., le condotte tese solo al turbamento dell'attività del Governo, ancorché poste in essere mediante minacce, non sarebbero più previste come reato e, dunque, i giudici di merito avrebbero dovuto assolvere gli imputati perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. I difensori di S., in via subordinata, hanno comunque richiesto alla Corte di proporre una questione di legittimità costituzionale dell'articolo 338 c.p., in relazione agli articolo 25, comma 2, e 27 Cost., per la carenza di tassatività e determinatezza dell'espressione corpo politico , perché di significato oscuro, e, quindi, per la connessa violazione del principio di colpevolezza sotto il profilo della conoscibilità del precetto. 5.5. I rilievi proposti dai difensori sono infondati. Il tema dei rapporti tra le fattispecie di violenza o minaccia ad un corpo politico di cui all'articolo 338 c.p. e di attentato contro organi costituzionali di cui all'articolo 289 c.p. non è stato ancora esaminato dalla giurisprudenza di legittimità e la casistica relativa a tali reati e', invero, assai esigua. L'individuazione della fattispecie di reato applicabile alle condotte accertate nei giudizi di merito deve essere operata con riferimento alla disciplina vigente al momento del fatto, ferma restando l'efficacia retroattiva dell'eventuale disciplina penale più favorevole medio tempore sopravvenuta, in forza della previsione dell'articolo 2, commi secondo e quarto, c.p Occorre, dunque, muovere dall'esame delle formulazioni che le fattispecie di reato di cui si controverte articolo 338 e 289 c.p. avevano all'epoca delle condotte contestate nel presente procedimento e, dunque, nel biennio Omissis - Omissis . 5.6. L'articolo 338 c.p., rubricato violenza o minaccia a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario , all'epoca dei fatti in contestazione, puniva, al comma 1, con la reclusione da uno a sette anni chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l'attività . Questa formulazione è rimasta immutata sino a quando l'articolo 1, comma 1, lettera a , della L. 3 luglio 2017, numero 105 Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, numero 570, a tutela dei Corpi politici, amministrativi o giudiziari e dei loro singoli componenti , ha espressamente previsto anche la punibilità delle condotte di violenza o minaccia poste in essere in danno del singolo componente dei corpi politici, amministrativi e giudiziari. L'articolo 1, comma 1, lett. b , della legge citata ha, inoltre, introdotto una nuova figura di reato, non applicabile nel caso di specie, in quanto sopravvenuta rispetto al momento del fatto, al comma 2 dell'articolo 338 c.p., disponendo che alla stessa pena prevista dal comma 1 soggiace chi commette il fatto per ottenere, ostacolare o impedire il rilascio o l'adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo, ovvero a causa dell'avvenuto rilascio o adozione dello stesso . L'articolo 289 c.p., nella formulazione vigente all'epoca dei fatti, sotto la rubrica di attentato contro organi costituzionali e contro le Assemblee regionali , puniva, invece, con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto a impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente 1 al Presidente della Repubblica o al Governo della Repubblica l'esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge 2 alle Assemblee legislative o ad una di queste, o alla Corte costituzionale o alle Assemblee regionali, l'esercizio delle loro funzioni . Il comma 2 dell'articolo 289 c.p. prevedeva, inoltre, che la pena è della reclusione da uno a cinque anni, se il fatto è diretto soltanto a turbare l'esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette . L'articolo 4 della L. 24 febbraio 2006, numero 85 Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione ha, tuttavia, riformulato il reato di attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali, che attualmente, con unico comma, punisce con la reclusione da uno a cinque anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette atti violenti diretti ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente 1 al Presidente della Repubblica o al Governo l'esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge 2 alle assemblee legislative o ad una di queste, o alla Corte costituzionale o alle assemblee regionali, l'esercizio delle loro funzioni . Il legislatore del 2006, in ossequio ai principi di tassatività e di offensività della fattispecie penale, ha, dunque, fortemente ristretto l'ambito applicativo del delitto di cui all'articolo 289 c.p., sostituendo la punibilità dell'originario fatto diretto a impedire con i più stringenti atti violenti diretti ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente l'esercizio delle funzioni degli organi costituzionali. In seguito all'intervento di riforma il legislatore ha anche soppresso la punibilità del fatto . diretto soltanto a turbare l'esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette previsto dal comma 2 dell'articolo 289 c.p 5.7. Le sentenze di merito hanno accertato che le minacce mafiose poste in essere nel biennio Omissis - Omissis erano dirette a condizionare l'attività del Governo e, segnatamente, a ottenere provvedimenti legislativi e amministrativi in favore dell'organizzazione criminale cosa nostra . Ricorre, dunque, nella specie l'ipotesi del turbamento e non già dell'impedimento dell'attività del Governo, in quanto il ricatto mafioso non l'ha preclusa, ma ha solo cercato di orientarla in senso favorevole agli interessi di cosa nostra . Del resto, se l' impedire , che figura nel comma 1 degli articolo 289 e 338 c.p., significa precludere, in tutto o in parte, anche temporaneamente, l'esercizio delle attribuzioni, delle prerogative o delle funzioni conferite all'organo costituzionale o al corpo politico, il turbamento , richiamato dal comma 2 dell'articolo 289 e dal comma 1 dell'articolo 338 c.p., è costituito, invece, da ogni atto che, senza paralizzare lo svolgimento dell'attività funzionale, lo alteri significativamente. 5.8. Il dilemma che si pone sul piano interpretativo risiede, dunque, nello stabilire se le minacce mafiose accertate dalle sentenze di merito siano riconducibili, alternativamente, alla fattispecie di cui all'ormai abrogato comma 2 dell'articolo 289 c.p., quale fatto diretto a turbare l'esercizio delle attribuzioni costituzionali riconosciute al Governo della Repubblica, o alla fattispecie di cui al comma 1 dell'articolo 338 c.p., quale minaccia ad un corpo politico, al fine di turbarne l'attività. 5.9. Secondo le difese la nozione di corpo politico di cui all'articolo 338 c.p., non potrebbe ricomprendere né il Governo, né le assemblee ragionali, in quanto i medesimi sono destinatari della tutela penale speciale, appositamente apprestata per gli organi costituzionali dall'articolo 289 c.p Questo rilievo non e', tuttavia, persuasivo, per ragioni di ordine testuale e sistematico. Nella costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, con l'espressione corpo , infatti, il legislatore ha inteso riferirsi genericamente ad ogni autorità o organo politico, amministrativo o giudiziario, costituita in collegio, al fine di differenziare l'articolo 338 c.p. dalle fattispecie che tutelano i singoli pubblici ufficiali articolo 336 e 337 c.p. . La nozione di corpo di cui all'articolo 338 c.p. designa, dunque, al pari della nozione omologa che figura nell'articolo 342 c.p., qualsiasi autorità costituita in collegio che eserciti una delle funzioni ivi indicate, in modo da esprimere una volontà unica tradotta in atti che siano riferibili al collegio e non ai singoli componenti che alla formazione di tale volontà concorrano ex plurimis Sez. 6, numero 16487 del 04/02/2020, Solitario, Rv. 278890 01 Sez. 6, numero 18194 del 05/04/2012, Abate, Rv. 252688 01 Sez. 6, numero 32869 del 18/05/2005, Romeo, Rv. 231661 01 Sez. 6, numero 2636 del 14/01/2000, Pagni, Rv. 215777 01 . Il sintagma corpo politico ricomprende, dunque, quegli organi collegiali che, nell'assetto istituzionale, svolgono funzioni politiche, come il Parlamento, le Assemblee regionali, i Consigli comunali, gli uffici e le sezioni elettorali ex plurimis Sez. 6, numero 33067 del 18/05/2005, Partinico Sez. 6, numero 32869 del 18/05/2005, Romeo, Rv. 231661 01 Sez. 6, numero 32868 del 18/05/2005, Matacena Sez. 6, numero 32867 del 18/05/2005, Colonna Sez. 6, numero 4159 del 14 aprile 2000, Salemi . Manifestamente infondata e', dunque, la questione di legittimità costituzionale prospettata dai difensori di S., in quanto il significato dell'espressione corpo politico , nella sintassi del codice penale e sulla base delle coordinate interpretative delineate dalla giurisprudenza di legittimità, non risulta radicalmente oscuro e, pertanto, non è foriero di intollerabile incertezza nella sua applicazione concreta e per i destinatari del precetto Corte Cost., sent. numero 110 del 2023 sent. numero 25 del 2019 sent. numero 24 del 2019 sent. numero 96 del 1981 . Proprio sulla base di questi consolidati principi di diritto, il Governo della Repubblica ben può essere ascritto alla nozione di corpo politico in quanto, nella sua dimensione collegiale, come sancito dagli articolo 92,94 e 95 della Costituzione, svolge indubitabilmente una funzione di indirizzo politico ed amministrativo . Questo principio e', peraltro, stato già affermato a più riprese, seppur incidentalmente, dalla giurisprudenza di legittimità Sez. 6, numero 32869 del 18/05/2005, Romeo, Rv. 231661 01 Sez. 6, numero 33067 del 18/05/2005, Partinico Sez. 6, numero 32867 del 18/05/2005, Colonna Sez. 6, numero 32868 del 18/05/2005, Matacena Sez. 6, numero 4159 del 14 aprile 2000, Salemi . Non integra, pertanto, un'inammissibile analogia in malam partem ascrivere il Governo all'ambito dei corpi politici contemplati dall'articolo 338 c.p., proprio in ragione del significato letterale di tale sintagma e della sua ampia latitudine semantica. Peraltro, questa interpretazione è stata confermata, in epoca successiva alla commissione delle condotte contestate, dall'articolo 1 della L. 3 luglio 2017, numero 105, che ha introdotto un nuovo comma 2 dell'articolo 338 c.p., assoggettando alla medesima pena prevista dal comma 1 chi commette il fatto per ottenere, ostacolare o impedire il rilascio o l'adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo . . Questa disposizione ha, dunque, confermato come l'articolo 338 c.p. possa trovare applicazione anche con riferimento alla violenza o alla minaccia posta in essere ai danni di organi costituzionali, quali, ad esempio, quelli che esercitano la funzione legislativa. 5.10. La stessa Relazione ministeriale sul progetto di codice penale vol. II, p. 146 , del resto, non esclude che il Governo possa essere ascritto al novero dei corpi politici tutelati dall'articolo 338 c.p., in quanto si limita a precisare che, nel disegno del legislatore storico, sulla tutela apprestata dall'articolo 388 c.p. doveva prevalere, quale lex specialis, quella specifica prevista dall'articolo 289 c.p L'esame dei lavori preparatori al Codice penale rivela, infatti, come il legislatore storico, con l'articolo 289 c.p. abbia inteso accordare agli organi costituzionali, una tutela autonoma, anticipata alle condotte di mero attentato e rafforzata dalla previsione di pene più severe, anche rispetto alla disciplina previgente, riservando al delitto di violenza o minaccia a un corpo politico la funzione residuale di punire con sanzioni meno rigorose condotte analoghe in danno di corpi politici di rango subordinato. 5.11. Questo intento, tuttavia, per lo meno con riferimento alle condotte di turbamento di cui al comma 2 dell'articolo 289 c.p., non è stato compiutamente realizzato. Il comma 1 dell'articolo 289 c.p., nella formulazione originaria, ha riproposto le scelte di incriminazione del codice penale previgente, adattandole, tuttavia, alle profonde trasformazioni intervenute nell'assetto istituzionale italiano la disposizione ha, infatti, esteso al Capo del Governo, al Governo e al Gran Consiglio del Fascismo, quali organi costituzionali, quella tutela penale che il previgente articolo 118 del codice penale Zanardelli del 1889 riservava soltanto al Re, al Reggente e alle due Camere. Innovativa nella trama sistematica del codice penale e', invece, la previsione del comma 2 dell'articolo 289 c.p Con tale disposizione, infatti, il legislatore del 1930, in netta discontinuità rispetto al codice penale previgente, ha introdotto una fattispecie di reato specifica per punire anche la semplice turbativa arrecata all'attività degli organi costituzionali dello Stato. Nel vigore del codice penale del 1889 le turbative contro gli organi costituzionali dello Stato venivano, infatti, perseguite ricorrendo alle fattispecie di cui all'articolo 188, il delitto di violenza o minaccia a un corpo politico, e di cui all'articolo 197, il delitto di vilipendio ad un corpo politico, entrambi delitti contro la pubblica amministrazione. Il legislatore del 1930, tuttavia, con riferimento alle turbative previste dal comma 2 dell'articolo 289 c.p., non ha perseguito in modo coerente il proprio obiettivo di politica-criminale. Le minacce dirette a turbare l'attività di un corpo politico di cui al comma 1 dell'articolo 338 c.p. sono, infatti, sin dall'entrata in vigore del codice penale, più gravemente punite con la pena della reclusione da uno a sette anni rispetto a qualsiasi fatto diretto a turbare l'esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni conferite dalla legge al Governo della Repubblica punito con la reclusione da uno a cinque anni di cui all'ormai abrogato comma 2 dell'articolo 289 c.p 5.12. La condotta incriminata dalle due fattispecie di reato e', del resto, diversa e non sovrapponibile. La condotta nella fattispecie di violenza o minaccia ad un corpo politico di cui all'articolo 338 c.p. è descritta dal legislatore in termini analoghi a quelli delle fattispecie di cui agli articolo 336 e 337 c.p., nelle quali la violenza o la minaccia sono esercitate o rivolte in modo diretto o indiretto, esplicito o implicito contro l'agente pubblico, al fine di coartarne la volontà o impedirne l'agire funzionale Sez. U, numero 40891 del 22/02/2018, Apolloni, Rv. 273771 01 . Dalla formulazione testuale delle disposizioni in esame risulta, dunque, che, nel reato di cui all'articolo 338 c.p., la minaccia o la violenza sono rivolte contro l'organo pubblico collettivo o i suoi componenti Sez. U, numero 40891 del 22/02/2018, Apolloni, p. 4.2. del Considerato in diritto , laddove, nella formulazione previgente della fattispecie di cui al comma 2 dell'articolo 289 c.p., la condotta di attentato rappresentata eventualmente anche dalla violenza o dalla minaccia era diretta esclusivamente contro l'attività dell'organo costituzionale, senza dunque essere rivolta ai suoi componenti. Questa distinzione, fondata sulla direzione della violenza o della minaccia, che i difensori censurano come illegittima, rinviene, invero, un preciso fondamento nel codice penale. Proprio esaminando il disegno sistematico delineato dal legislatore del 1930, risulta, infatti, che l'articolo 289 c.p., nella formulazione previgente, non era deputato a incriminare la violenza o la minaccia rivolta contro le persone che rappresentano l'organo costituzionale, in quanto tali condotte erano punite da fattispecie di reato diverse. Infatti, nell'assetto originario del codice penale, pur essendo il Re ricompreso nel novero degli organi costituzionali espressamente considerati dall'articolo 289 c.p., tale fattispecie di reato non tutelava la persona del sovrano se il fatto diretto a impedirgli l'esercizio della sovranità avesse costituito, al tempo stesso, un attentato alla vita, all'incolumità o alla libertà personale, nel disegno del legislatore storico, infatti, si sarebbe dovuta applicare la fattispecie di attentato contro il Re di cui all'articolo 276 c.p. o di offesa alla sua libertà di cui all'articolo 277 c.p Nel contesto normativo vigente all'epoca dei fatti oggetto del presente processo, analogamente, le fattispecie di attentato contro il Presidente della Repubblica articolo 276 c.p. e l'offesa della sua libertà articolo 277 c.p. ulteriormente confermano come la fattispecie di cui all'articolo 289, comma 2, c.p., che pur espressamente tutelava l'esercizio delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, non incriminava la violenza rivolta alle persone che compongono gli organi costituzionali. L'articolo 338 c.p., dunque, assicura ai componenti degli organi costituzionali costituiti in collegio una tutela contro la violenza e la minaccia rivolta ai loro componenti, analoga a quella che gli articolo 276 e 277 c.p. garantiscono al Presidente della Repubblica contro le forme di aggressione e di violenza più gravi rivolte direttamente contro la sua persona. 5.13. Se si comparano, dunque, le fattispecie astratte di reato in esame, nei propri elementi strutturali, come richiesto dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di concorso apparente di norme ex plurimis Sez. U, numero 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668 01 Sez. U, numero 1963 del 28/10/2010 dep. 2011 , Di Lorenzo, Rv. 248722 01 Sez. U, numero 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962 01 , risulta che il legislatore non ha configurato la fattispecie di cui all'articolo 289, comma 2, c.p. come una fattispecie speciale rispetto a quella di cui all'articolo 388 c.p E', infatti, speciale quella disposizione che contiene tutti gli elementi compresi nella disposizione generale, più ulteriori elementi specifici, in modo che tra le due norme esista un rapporto tale che, se mancasse la norma speciale, la fattispecie concreta sarebbe ricompresa nella norma generale. Nel caso di specie, tuttavia, al nucleo comune costituito dal fine di turbamento delle attribuzioni del Governo, si affiancano elementi generali o speciali rispetto ai corrispondenti elementi dell'altra e, dunque, le due fattispecie di reato risultano reciprocamente speciali. La condotta del reato di cui al comma 2 dell'articolo 289 c.p. costituiva, infatti, una tipica fattispecie di attentato, che puniva qualsiasi atto idoneo, diretto in modo non equivoco, a turbare l'esercizio delle attribuzioni degli organi costituzionali e delle assemblee regionali, ma senza attingere i componenti dell'organo costituzionale. Nella fattispecie di reato di cui all'articolo 338 c.p., invece, la violenza o la minaccia non è finalizzata, come nell'articolo 289 c.p., a turbare, in via immediata e diretta, l'attività degli organi costituzionali, ma è rivolta al collegio o al suo componente per influire sull'attività del collegio. Il legislatore storico, dunque, indipendentemente dall'intento espresso nei lavori preparatori, ha posto le due fattispecie in un rapporto di c.d. specialità reciproca o bilaterale per aggiunzione, in quanto tra gli elementi di fattispecie che si aggiungono sussiste un rapporto di eterogeneità e di totale non sovrapponibilità. Il dilemma relativo all'individuazione della fattispecie di reato applicabile alle condotte accertate dalla sentenza impugnata, dunque, non può essere risolto applicando la disposizione speciale, in forza del disposto dell'articolo 15 c.p Tale disposizione, infatti, postula una relazione logico-strutturale tra due norme di cui una sia generale e l'altra sia speciale e, al di fuori di questo specifico ambito, non è in grado di determinare quale fattispecie debba essere applicata. Nel caso di specie, pertanto, non si è in presenza di un concorso apparente di norme, che ricorre quando un unico fatto concreto sia riconducibile ad una pluralità di norme incriminatrici, una sola delle quali applicabile, ma di una mera interferenza dell'ambito applicativo di due norme, che pone un problema di sussunzione del fatto concreto nell'una o nell'altra fattispecie. Posto, dunque, che il discrimine tra le fattispecie di reato in esame è costituito dal diverso destinatario della minaccia intesa a turbare l'attività del Governo, correttamente i giudici di primo e di secondo grado hanno ritenuto integrato nel caso di specie il delitto di minaccia a un corpo politico dello Stato. Le sentenze di merito hanno, infatti, accertato che la minaccia espressa dai vertici di cosa nostra nell'ambito dell'interlocuzione con gli alti ufficiali del R.O.S. era rivolta al Governo, al fine di condizionare la politica di contrasto alla mafia, ed è giunta a conoscenza del Ministro di Giustizia dell'epoca. Non può, dunque, essere dichiarata la non punibilità per intervenuta abolitio criminis delle condotte di minaccia al Governo accertate, in quanto le stesse, sin dalla loro commissione, integrano il delitto di cui all'articolo 338 c.p. e l'abrogazione che, successivamente alle condotte contestate, ha interessato il comma 2 dell'articolo 289 c.p. è irrilevante nel caso di specie. 5.14. La configurabilità del delitto di cui all'articolo 338 c.p., del resto, non è preclusa dalla circostanza che la minaccia, rivolta al Governo della Repubblica, secondo quanto accertato dalle sentenze di merito, sia stata percepita da un suo singolo componente, il Ministro di grazia e giustizia, e non dell'intero Governo riunito. Già prima della modifica operata dall'articolo 1, comma 1, lettera a , della L. 3 luglio 2017, numero 105, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto integrato il reato di cui all'articolo 338 c.p. anche a fronte di violenza o minaccia rivolta ai danni di un singolo componente dei corpi politici, amministrativi e giudiziari, qualora la condotta fosse sorretta dalla finalità di impedimento o di turbativa dell'attività dell'intero collegio Sez. 6, numero 2810 del 14/10/ Omissis dep. 1995 , De Omissis , Rv. 201076-01 Sez. 6, 30 aprile 1954, Cadelo, non massimata . Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto di cui all'articolo 338 c.p. e', infatti, configurabile anche nei casi in cui l'agente abbia minacciato un solo componente dell'organo collegiale, non in presenza dello stesso organo riunito, essendo sufficienti la coscienza e volontà dell'agente di minacciare, attraverso il singolo componente, l'intero organo collegiale allo scopo di impedirne o turbarne l'attività Sez. 2, numero 5611 del 17/01/2012, De Marzio, Rv. 252702 01 e, in motivazione, Sez. U, numero 40891 del 22/02/2018, Apolloni, Rv. 273371-01 . L'espressa previsione della punibilità delle condotte di violenza o minaccia poste in essere in danno del singolo componente dei corpi politici, amministrativi e giudiziari introdotta dall'articolo 1, comma 1, lettera a , della L. 3 luglio 2017, numero 105 non ha, dunque, avuto un effetto innovativo, essendosi il legislatore limitato a recepire, nella trama sistematica del codice penale, l'orientamento espresso sul punto dalla giurisprudenza di legittimità. 5.15. Non può, da ultimo, essere accolta la richiesta, avanzata dai difensori di C., con il quarto motivo, di M. e di D.D., nella memoria depositata in data 8 aprile 2023, di riqualificare le condotte accertate nel diverso reato di violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale, peraltro medio tempore prescritto. Secondo i difensori, infatti, la fattispecie applicabile sarebbe quella di cui all'articolo 336 c.p., in quanto l'attribuzione oggetto della turbativa realizzata dalla minaccia mafiosa sarebbe stata quella, incontestabilmente monocratica e non già collegiale, del Ministro di Grazia e Giustizia C.G., che, nel novembre del Omissis , decise di non prorogare i decreti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero nei confronti di 334 detenuti. Tali decreti non sarebbero atti di natura politica o, comunque, di indirizzo politico, ma meri atti amministrativi, di competenza del Ministro, soggetti a reclamo innanzi al giudice ordinario qualora incidano sui diritti del detenuto, come stabilito, a più riprese, dalla giurisprudenza di legittimità ex plurimis Sez. 1, numero 29143 del 22/06/2020, Libri, Rv. 279792 01 Sez. 1, numero 4717 del 29/09/1995, D.G., Rv. 202617 . La minaccia mafiosa avrebbe, dunque, ostacolato l'esercizio delle sole attribuzioni del Ministro di Grazia e Giustizia e non già del Governo nella sua collegialità e, pertanto, non sarebbe sussumibile nella fattispecie di reato di cui all'articolo 338 c.p Nella ricostruzione operata dalle sentenze di merito, tuttavia, la mancata proroga da parte del Ministro, per effetto del ricatto mafioso , dei c.d. decreti delegati adottati ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero , costituisce la prova dell'avvenuta percezione della minaccia da parte di un componente del Governo e, dunque, dell'avvenuta consumazione del reato di minaccia ad un corpo politico. Il delitto di cui all'articolo 338 c.p. si consuma, infatti, nel momento e nel luogo in cui la minaccia, diretta al corpo politico nella sua integralità, è percepita da almeno un suo componente. Per ritenersi integrato tale reato, e', del resto, sufficiente che la minaccia venga indirizzata nei confronti del collegio o di taluni suoi componenti al fine di alterare il normale svolgimento delle funzioni, ma non è necessario che l'impedimento o il turbamento voluto si siano effettivamente verificati Sez. 6, numero 2810 del 14/10/ Omissis dep. 17/03/1995 , De Omissis , Rv. 201076 01 . Secondo quanto accertato dalle sentenze di merito, dunque, la mancata proroga dei decreti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero non ha costituito l'oggetto originario e specifico della condotta intimidatoria, che invece era diretta al Governo nella sua integralità e non già solo al Ministro di Grazia e Giustizia. La minaccia mafiosa riferita da C.V. a M. e a D.D., nel corso dell'interlocuzione intervenuta tra la fine D.M. e la prima parte del mese di giugno del Omissis , del resto, come rilevato dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, non poteva avere ad oggetto la mancata proroga di provvedimenti adottati ai sensi del comma 2 dell'articolo 41-bis ord. penumero . Tale disposizione, che ha attribuito al Ministro di Grazia e Giustizia, quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per taluni delitti, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dallo stesso ordinamento penitenziario che possano porsi in contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza, e', infatti, stata introdotta solo dall'articolo 19 del D.L. 8 giugno Omissis numero 306, convertito in L. 7 agosto Omissis numero 356. I provvedimenti, disposti ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero , che non furono rinnovati dal Ministro C., per quanto risulta dalla sentenza impugnata e dalla sentenza di primo grado, furono adottati solo dopo la strage di Omissis , avvenuta il 19 luglio Omissis e, dunque, non potevano aver formato oggetto dell'interlocuzione tra C., M. e D.D., intervenuta anteriormente. Corretta si rivela, dunque, anche sotto questo profilo, la qualificazione delle condotte accertate quali minacce ad un corpo politico ai sensi dell'articolo 338 c.p 6. La violazione della regola bard nell'accertamento della commissione del reato di minaccia ad un corpo politico ai danni dei Governi A. e C 6.1. Gli avvocati Giovanni Di Benedetto e Federica Folli, con il quinto motivo del ricorso proposto nell'interesse di C., gli avvocati Basilio Milio e Francesco Antonio Romito con il primo motivo dei ricorsi rispettivamente proposti nell'interesse di M. e di D.D. e con i motivi nuovi hanno dedotto la violazione della regola bard beyond any reasonable doubt ovvero del canone dell' oltre ogni ragionevole dubbio prescritto dall'articolo 533, comma 1, c.p.p Ad avviso dei ricorrenti, infatti, il ragionamento probatorio operato dalla Corte di assise di appello per dimostrare l'avvenuta consumazione del reato di minaccia ad un corpo politico posto in essere ai danni dei Governi A. e C. sarebbe meramente ipotetico, fondato su sillogismi e ipotesi corredati da espressioni dubitative, e, dunque, si rivelerebbe in radicale contrasto con il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio. 6.2. Nell'esaminare questo motivo di ricorso occorre premettere che i ricorsi degli imputati M. e D.D., pur assolti dalla Corte di appello di Palermo perché il fatto non costituisce reato , sono ammissibili. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, sussiste, infatti, l'interesse dell'imputato all'impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula perché il fatto non costituisce reato , al fine di ottenere il proscioglimento con le più ampie formule liberatorie perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto , in quanto, a parte le conseguenze di natura morale, vanno considerati i diversi e più favorevoli effetti che gli articolo 652 e 653 c.p.p. connettono al secondo tipo di dispositivi nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare ex plurimis Sez. 5, numero 29377 del 29/05/2019, Mussari, Rv. 276524 02 Sez. 6, numero 49831 del 19/04/2018, Annese, Rv. 274285 01 Sez. 4, numero 26109 del 05/05/2016, Delle Foglie, Rv. 268996 01 . 6.3. I motivi proposti dalle difese in ordine alla violazione del canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio sono, inoltre, ammissibili, in quanto non contrastano con l'articolo 606 c.p.p La violazione della regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio di cui all'articolo 533, comma 1, c.p.p., non può, infatti, essere dedotta con ricorso per cassazione né quale violazione di legge ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c.p.p., né ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. c , c.p.p., non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, ma può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e della stessa norma, ossia esclusivamente ove la sua violazione si traduca nell'illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e , c.p.p. cfr. Sez. 4, numero 2132 del 12/01/2021, Maggio, Rv. 280245-01 Sez. 2, numero 28957 del 03/04/2017, D'Urso, Rv. 270108 01 conf. Sez. U, numero 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 04, con riferimento alla violazione dei criteri fissati dall'articolo 192 c.p.p. in relazione agli articolo 125 e 546 comma 1, lett. e c.p.p. . Gli articolo 606 e 609 c.p.p. precludono, infatti, alla Corte di cassazione la possibilità di ricostruire il fatto diversamente dalla sentenza impugnata, attraverso una nuova valutazione delle prove che si sovrapponga a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio tra le altre, Sez. U, numero 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260 Sez. 2, numero 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362 . La Corte di cassazione, infatti, nella sua qualità di giudice di mera legittimità, deve limitarsi a verificare l'esistenza e la tenuta logica della motivazione in fatto, mentre non può procedere a un rinnovato esame delle prove valutate da quest'ultima, per stabilire se l'ipotesi del ricorrente sia più plausibile di quella ivi accolta così, ex plurimis, Sez. 3, numero 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 01 Sez. 4, numero 22257 del 25/03/2014, Guernelli, Rv. 259204. . I difensori, tuttavia, nel caso di specie, non prospettano una diversa interpretazione degli elementi probatori raccolti nell'istruttoria dibattimentale, ma chiedono alla Corte di cassazione di accertare l'avvenuta violazione della regola di cui all'articolo 535, comma 1, c.p.p., in quanto la Corte di assise di appello di Omissis , nel ritenere comprovato il reato di minaccia ad un corpo politico posto in essere ai danni dei Governi A. e C., non avrebbe adottato un approccio probatorio rispettoso del canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio. I motivi di ricorso proposti sul punto dalle difese sono, dunque, ammissibili, in quanto, il giudice di legittimità è chiamato ad accertare, sulla base della motivazione della sentenza impugnata e non già valutando direttamente le prove, se il giudizio conclusivo di colpevolezza sia stato formulato all'esito di una corretta applicazione del canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio. La Corte di Cassazione in questo sindacato, dunque, non sostituisce il proprio apprezzamento sul fatto a quello espresso dal giudice di merito, ma permane giudice della legittimità, della coerenza e non manifesta illogicità della motivazione, secondo quanto prescritto, in via generale, dall'articolo 606 c.p.p 6.4 I motivi proposti con riferimento alla violazione della regola bard sono fondati. L'articolo 533, comma 1, c.p.p. introdotto dall'articolo 5 della L. 20 febbraio 2006 numero 46 Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento , sancisce che il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio . Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, in realtà, affermato la vincolatività di questa regola nel sistema processuale anche anteriormente alla sua introduzione nella trama sistematica del codice di rito Sez. U, numero 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222139 01, sulla prova del nesso di causalità nel reato colposo omissivo improprio Sez. U, numero 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226100-01, sul controllo di verifica delle ipotesi antagoniste e sul metodo di accertamento giudiziale del fatto Sez. U, numero 33748 del 12/07/2005, M., Rv. 231671-01, in tema di accertamento della efficacia causale della condotta di concorso esterno in associazione mafiosa e ne hanno progressivamente chiarito le implicazioni ex plurimis Sez. U, numero 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269786 01 Sez. U, numero 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487 01, sull'obbligo di rinnovare la prova dichiarativa decisiva in caso di ribaltamento nel giudizio di appello della sentenza di assoluzione di primo grado . La giurisprudenza di legittimità ha, dunque, rilevato, in primo luogo, che l'articolo 533, comma 1, c.p.p. enuncia una regola di giudizio, definendo lo standard probatorio necessario per pervenire alla condanna dell'imputato. L'oltre ogni ragionevole dubbio, come regola giuridica di decisione alla cui stregua deve essere risolto il problema delle prove insufficienti e delle prove contraddittorie, rappresenta il limite della libertà di convincimento del giudice, apprestato dall'ordinamento per evitare che l'esito del processo sia rimesso ad apprezzamenti discrezionali, soggettivi, confinanti con l'arbitrio in tal senso, Sez. 3, numero 30382 del 08/03/2016, De Lucia Sez. 1, numero 32494 del 14/05/2004, Grasso . Tale regola di giudizio impone al giudice di condannare l'imputato alla sola condizione che le prove acquisite nel contraddittorio fra le parti lascino fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili, ma la cui realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze probatorie, ponendosi in ultima analisi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana Sez. 6, numero 21314 del 05/03/2015, Casamonica, Rv. 263565 Sez. 2, numero 2548 del 19/12/2014, dep. 2015, Segura, Rv. 262280 Sez. 4, numero 30862 del 17/06/2011, Giulianielli, Rv. 250903 01 . La regola di giudizio dell' al di là di ogni ragionevole dubbio , pertanto, preclude che la condanna dell'imputato sia fondata esclusivamente sulla consistente verosimiglianza o sulla forte plausibilità della ricostruzione adottata Sez. 5, numero 25272 del 19/04/2021, Maurici, Rv. 281468 01 , in quanto queste evenienze non confinano nell'ambito dell'irragionevolezza le ipotesi ricostruttive alternative emerse nella dialettica processuale. Secondo la giurisprudenza di legittimità, tuttavia, la regola dell'oltre il ragionevole dubbio fonda anche un metodo legale di accertamento del fatto Sez. 5, numero 25272 del 19/04/2021, Maurici, Rv. 281468 01 , che obbliga il giudice, a sottoporre, nella valutazione delle prove, l'ipotesi accusatoria alle confutazioni costituite dalle ipotesi ricostruttive antagoniste prospettate dalla difesa. La regola bard, quale metodo probatorio, impone, dunque, al giudice di adottare un metodo di verifica dell'ipotesi accusatoria secondo il criterio della dialettica del dubbio Sez. 3, numero 1544 del 15/03/2023, Leone, Rv. 284364 01 Sez. 4, numero 28102 del 21/03/2019, Hannouche, Rv. 277474 01 e, in particolare, di accertare l'eventuale esistenza di spiegazioni alternative di un determinato fatto compatibili con le prove assunte, esplicitando razionalmente i motivi per i quali tali ipotesi ricostruttive del fatto non siano ritenute ragionevoli. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio, per la sua immediata derivazione dal principio della presunzione di innocenza, esplica i suoi effetti conformativi non solo sull'applicazione delle regole di giudizio, ma anche, e più in generale, sui metodi di accertamento del fatto, imponendo protocolli logici del tutto diversi in tema di valutazione delle prove e delle contrapposte ipotesi ricostruttive in ordine alla fondatezza del tema d'accusa la certezza della colpevolezza per la pronuncia di condanna il dubbio originato dalla mera plausibilità processuale di una ricostruzione alternativa del fatto per l'assoluzione Sez. U, numero 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, in motivazione . Nella sua complessa valenza, dunque, il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio impone un modello di argomentazione sul fatto che non ammette nella motivazione la sussistenza di dubbi interni ovvero la autocontraddittorietà o la sua incapacità esplicativa o esterni alla stessa ovvero l'esistenza di un'ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica Sez. 1, numero 41110 del 24/10/2011, Javad, Rv. 251507 01 . Ciò posto, entrambi i profili della c.d. regola bard sono stati violati nella sentenza impugnata. 6.5. La Corte di assise di appello ha, in primo luogo, violato l'articolo 533, comma 1, c.p.p. quale regola di giudizio. Nella ricostruzione operata dalla sentenza impugnata la consumazione del reato di minaccia a un corpo dello Stato posto in essere ai danni dei Governi A. e C. sarebbe, infatti, dimostrata dalla mancata proroga, nel novembre Omissis , di 334 decreti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero dal Ministro della Giustizia dell'epoca, C.G In particolare, secondo i giudici di appello, la richiesta estorsiva mafiosa sarebbe stata veicolata al Ministro di Giustizia per effetto della successione di due colloqui il primo intervenuto secondo la sentenza di primo grado in data 27 luglio Omissis e, secondo la sentenza di appello, in data 22 ottobre Omissis tra M.M. e D.M.F., alla presenza del Generale G.G. il successivo, intervenuto in data ignota, tra D.M. e il Ministro C M., nel primo incontro, avrebbe riferito a D.M. della richiesta estorsiva di cosa nostra e della spaccatura in essere all'interno di tale sodalizio criminoso tra l'ala stragista e la fazione contraria alla prosecuzione della strategia di violenta contrapposizione allo Stato questa notizia riservata sarebbe, di seguito, stata riferita da D.M. al Ministro C., che avrebbe scelto di non prorogare i decreti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero , mosso dalla volontà politica di incunearsi in questa frattura per tentare di porre fine alla stagione stragista. La Corte di assise di appello ha, tuttavia, ritenuto raggiunta la prova della veicolazione della minaccia mafiosa da M. a D.M. e da questo al Ministro C. alle pagg. 1266-1267 della sentenza impugnata sulla base di assunti descritti come fondati sulla mera possibilità, pur qualificata, del loro accadimento, e, dunque, abdicando allo standard probatorio sancito dall'articolo 533, comma 1, c.p.p Nella sentenza impugnata si precisa che la Corte di assise di Palermo non specifica il modo in cui M. avrebbe trasmesso la minaccia, affidandosi alla presunzione, imbastita valorizzando alcuni elementi fattuali non tutti a loro volta provati con certezza, che ciò sia avvenuto attraverso il rapporto instaurato dallo stesso M. con il vice direttore del D.A.P. D.M.F. e che non si può allora escludere, attesa la fragilità degli elementi di prova valorizzati sul punto dal primo giudice, che le richieste estorsive di cosa nostra abbiano effettivamente raggiunto il Governo in carica . per vie diverse e autonome pag. 1832 della sentenza impugnata . La Corte di assise di appello ha, tuttavia, affermato di ritenere altamente probabile ma non più di tanto che sia stato a sua volta M.M. a rendere D.M. edotto delle conoscenze più profonde e aggiornate, che erano all'epoca in possesso del R.O.S., sulla posizione e il ruolo di P.B. e sulla diversità di vedute strategiche . rispetto a R. pag. 2676 della sentenza impugnata . Da ultimo, la Corte di assise di appello ha concluso che si può concedere non senza qualche residua titubanza sulla piena congruenza del compendio probatorio che sia stato M., e non altri, a chiudere per così dire il circuito realizzativo della minaccia qualificata per cui si procede pag. 2731 della sentenza impugnata . Nella sentenza impugnata, tuttavia, la Corte di assise di appello ha precisato che non si può del tutto escludere che le richieste estorsive di cosa nostra abbiano raggiunto il Governo in carica . per una via diversa e autonoma rispetto all'interlocuzione iniziale, incentrata sull'intermediazione di C. e C. pag. 1268 della sentenza impugnata . Già dal lessico della motivazione risulta, dunque, evidente la distanza dal parametro di verifica imposto dall'articolo 533, comma 1, c.p.p., che richiede il superamento dell'oltre ogni ragionevole dubbio e non già la mera plausibilità o la semplice verosimiglianza, sia pur dotata di forte plausibilità, della ricostruzione adottata. Non si intende, tuttavia, stigmatizzare le scelte lessicali, quanto l'aver posto a fondamento della sentenza di condanna apprezzamenti di fatto che dichiaratamente si attestano su uno standard probatorio strutturalmente insufficiente a giustificare la condanna degli imputati. La non adeguata persuasività delle inferenze probatorie poste a fondamento della condanna degli imputati consegue, come rilevato dalle difese e dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione, alla disapplicazione dei criteri legali di valutazione della prova indiziaria, peraltro in un processo connotato da un alto tasso di indiziarietà. L'articolo 192, comma 2 c.p.p. consente di raggiungere la prova di un fatto ignoto mediante indizi solo a condizione che gli stessi siano gravi, precisi e concordanti. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, gli indizi sono gravi, quando sono consistenti, ovvero resistenti alle obiezioni e capacità dimostrativa in relazione al thema probandum, precisi, quando sono specifici, univoci e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto o più verosimile, nonché concordanti, quando sono convergenti e non contrastanti tra loro e con gli altri dati ed elementi certi ex plurimis Sez. 5, numero 1987 del 11/12/2020 dep. 2021 , Piras, Rv. 280414 01 Sez. 2, numero 35827 del 12/07/2019, Matasaru, Rv. 276743 01 Sez. 2, numero 36152 del 30/04/2019, Barone, Rv. 277529 02 . La Corte di assise di appello ha ritenuto integrato il delitto di minaccia a un corpo politico sulla base di un'errata dimostrazione di carattere logico-indiziario della dinamica di trasmissione della minaccia mafiosa alla conoscenza del Ministro C., che lo avrebbero indotto, abdicando dalla strategia della fermezza sino ad allora perseguita dal Governo nel contrasto a cosa nostra , a non prorogare i c.d. decreti delegati. I giudici di secondo grado, in particolare, hanno inferito da un unico fatto noto l'incontro tra M., D.M. e G. del 22 ottobre Omissis due fatti ignoti, posti in rapporto di derivazione, e, segnatamente, l'interlocuzione M. D.M., in ordine alla frattura strategica verificatasi all'interno di cosa nostra tra l'ala stragista e l'ala moderata , e la successiva interlocuzione tra D.M. e il Ministro C. sui medesimi temi. Argomentando in tal modo, tuttavia, la Corte di assise di appello ha violato il divieto della c.d. praesumptio de praesumpto. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice può muovere da un fatto noto per risalire ad uno ignoto, ma non può utilizzare quest'ultimo come fonte di un'ulteriore presunzione sulla base della quale fondare la propria decisione, in quanto la doppia presunzione contrasta con la regola della certezza dell'indizio ex plurimis Sez. 6, numero 37108 del 02/12/2020, Frunza, Rv. 280195 01 Sez. 1, numero 18149 del 11/11/2015 dep. 2016 , Korkaj, Rv. 266882 01 Sez. 1, numero 4434 del 6/11/2013 dep. 2014 , Cianfardino, Rv. 259138 01 . Il dato della certezza dell'indizio, che costituisce espressione del requisito normativo della precisione codificato dall'articolo 192, comma 2, c.p.p., impone, infatti, che ciascun indizio debba corrispondere a un fatto certo, e cioè realmente esistente e non soltanto verosimile o supposto Sez. 1, numero 8863 del 18/11/2020 dep. 2021 , S., Rv. 280605 02 Sez. 1 numero 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321 . La Corte di assise appello ha, inoltre, ritenuto dimostrato che, nel corso dell'incontro del 22 ottobre Omissis , M., alla presenza di G., abbia rivelato a D.M. le richieste estorsive di cosa nostra e la spaccatura strategica creatasi all'interno dell'organizzazione criminale, muovendo da premesse obiettivamente connotate da un rilevante tasso di incertezza, in quanto marcatamente congetturali e ipotetiche. La Corte di assise di appello ha rilevato che e' davvero arduo credere che, mentre ferveva la discussione sulla soluzione da adottare sulla proroga dei decreti di cui all'articolo 41-bis ord. penumero e già D.M. aveva messo in allarme la Procura di Omissis circa le intenzioni del Ministro, lo stesso D.M. non ne abbia fatto cenno al Vice Comandante operativo del R.O.S. e al comune amico G. , né può escludersi che quell'incontro abbia avuto un'appendice alla quale G. potrebbe non avere partecipato pag. 2676 della sentenza impugnata . Per quanto risulta dalla sentenza impugnata e dalla sentenza di primo grado, tuttavia, G. e M. hanno recisamente escluso che nel corso della cena si sia parlato di questi temi e anche le annotazioni riportate sull'agenda di M. non confermano la ricostruzione adottata nella sentenza impugnata. D.M.F. e', peraltro, deceduto prima dell'apertura del presente procedimento penale e, dunque, non è stato possibile acquisire le sue dichiarazioni. La Corte di assise di appello ha, pur tuttavia, ritenuto comprovato che la comunicazione dell'informazione riservata a D.M. sia stata operata da M., sulla base dell'argomento logico secondo il quale nessun soggetto diverso dall'imputato potrebbe aver veicolato queste informazioni riservate. Come rilevato dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione e dalle difese degli imputati, tuttavia, l'argomento del nessun altro avrebbe potuto si rivela fallace sul piano logico e giuridicamente errato, in quanto la confutazione delle spiegazioni alternative di un fatto non può supplire alla radicale mancanza di prova positiva del fatto medesimo. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti e l'intrinseca valenza dimostrativa di norma solo possibilistica , e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana ex plurimis Sez. 1, numero 8863 del 18/11/2020 dep. 2021 , S., Rv. 280605 02 Sez. 1, numero 20461 del 12/04/2016, Graziadei, Rv. 266941 01 . La Corte di assise di appello nel caso di specie ha, dunque, invertito i poli del ragionamento indiziario descritto dall'articolo 192, comma 2, c.p.p., in quanto l'esclusione di possibili ipotesi alternative non può supplire alla carenza di certezza dell'indizio. 6.6. La Corte di assise di appello, inoltre, non ha osservato il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio quale metodo di accertamento del fatto, in quanto ha posto a fondamento del proprio giudizio una verifica probatoria incompleta, che non si è compiutamente confrontata con le ipotesi dedotte dalle difese degli imputati, volte a dimostrare un'interpretazione alternativa del fatto. 6.7. La Corte di assise di appello ha ritenuto dimostrato che il mancato rinnovo dei decreti ex articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero sia stato determinato proprio dalla minaccia mafiosa trasmessa da M. e, segnatamente, dalla speranza del Ministro che la nuova leadership mafiosa succeduta a R. abbandonasse la linea della contrapposizione violenta allo Stato pag. 2525 della sentenza impugnata . La Corte di assise di appello ha, dunque, ritenuto che solo M. potesse aver rivelato l'informazione relativa al ricatto mafioso e alla spaccatura in essere all'interno di cosa nostra , senza aver previamente dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che questa informazione riservata non fosse previamente nota al Ministro, che costituisse patrimonio conoscitivo esclusivo dell'imputato e che non fosse pervenuta a conoscenza del Ministro per effetto di canali diversi e autonomi. Le difese hanno, tuttavia, eccepito nel giudizio di appello che, per quanto emerso nel dibattimento di primo grado, la consapevolezza della spaccatura interna a cosa nostra , tra l'ala stragista e l'ala moderata non sarebbe stata esclusiva di M.M., ma fosse una conoscenza acquisita per lo meno in qualificati ambiti investigativi. Questo dato emergerebbe dalla nota dello SCO del 12 agosto Omissis , a firma M., relativa a una profonda spaccatura negli esponenti di maggior spicco di cosa nostra e dalla nota della DIA del 10 agosto Omissis , a firma D.G., in ordine all'esistenza, secondo le dichiarazioni di C.S., di un profondo contrasto tra una mafia stragista ed un'altra, invece, pacifista e quasi rassegnata . Tale spaccatura, ad avviso delle difese, sarebbe, peraltro, risultata anche dalle dichiarazioni rese dal Presidente della Repubblica in dibattimento e dalle dichiarazioni di B.P. in un'intervista del 3 luglio Omissis . La sentenza impugnata ha, dunque, ritenuto che la minaccia mafiosa sia stata trasmessa da M. a C., tramite D.M., omettendo di confrontarsi approfonditamente con alcuni significativi elementi di prova, astrattamente idonei a disarticolare la ricostruzione accolta in fatto. Nella sentenza impugnata, inoltre, la Corte di assise di appello ha ritenuto che la ragione della mancata proroga dei decreti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero sarebbe stata costituita proprio dall'avvenuta conoscenza del ricatto mafioso da parte del Ministro e dalla sua speranza di approfondire la divisione strategica insorta all'interno di cosa nostra , al fine di far cessare la stagione stragista. L'intento del Ministro C. sarebbe stato, dunque, quello di lanciare un segnale di distensione che valesse a far decantare la tensione senza che potesse interpretarsi come una manifestazione di debolezza dello Stato come comprovato dalla contestuale decisione di rinnovare in blocco i 232 decreti che scadevano alla fine di gennaio e concernevano le posizioni degli associati mafiosi ritenuti di maggiore spicco pag. 2528 della sentenza impugnata . Nel corso del giudizio di appello le difese hanno, tuttavia, proposto plurime spiegazioni alternative, volte a dimostrare come la mancata rinnovazione di provvedimenti di applicazione del carcere duro non abbia costituito espressione di una logica di concessione all'associazione mafiosa, che non hanno ricevuto adeguata confutazione nella motivazione della sentenza impugnata. Le difese hanno, infatti, rilevato che lo stesso Ministro C., nell'audizione alla Commissione giustizia della Camera dei deputati del 3 novembre Omissis , ebbe a dichiarare che la mancata proroga dei decreti attuativi del 41-bis ord. penumero era dovuta alla volontà di rispettare le statuizioni della Corte costituzionale, che, con la sentenza numero 349 del 28 luglio Omissis , aveva prescritto per l'applicazione del regime del c.d. carcere duro il ricorso a una puntuale motivazione per ciascuno dei detenuti cui sono rivolti in modo da consentire poi all'interessato un'effettiva tutela giurisdizionale e non già, come in precedenza, unitaria e generalizzante. Il Ministro C. in proposito chiarì che si stava procedendo ad emettere i nuovi decreti ministeriali ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero , usando la massima attenzione sia nella individuazione delle regole di trattamento detentivo da sospendere e degli elementi di effettiva pericolosità sociale del detenuto sia nella motivazione delle scelte adottate . La Corte di assise di appello, inoltre, non ha compiutamente confutato l'ipotesi alternativa prospettata dalle difese, secondo la quale il Ministro C. non avrebbe prorogato il regime di carcere duro in ragione delle segnalazioni e sollecitazioni, fondate su ragioni umanitarie, ricevute dal Presidente della Repubblica S. e dai cappellani delle carceri. Le difese hanno, inoltre, eccepito che l'istruttoria dibattimentale aveva comprovato che D.M. era radicalmente contrario a un allentamento del rigore carcerario imposto con i decreti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis ord. penumero e che, proprio in ragione del proprio atteggiamento intransigente sull'attenuazione del regime di carcere duro per i detenuti affiliati a cosa nostra , aveva avvisato la Procura di Omissis dell'intenzione del Ministro di non prorogare i decreti attuativi, avendo anche un acceso litigio, con il Ministro. La Corte di assise di appello, dunque, non ha rispettato il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio nella sentenza impugnata, in quanto ha posto a fondamento della dimostrazione dell'avvenuta consumazione del reato di minaccia ai danni dei Governi A. e C. elementi di prova privi di adeguata efficacia dimostrativa, quanto all'avvenuta dinamica di trasmissione della minaccia da M. al Ministro, e, al contempo, non ha dimostrato l'irragionevolezza delle ipotesi ricostruttive antagoniste prospettate dalla difesa sulla base delle prove acquisite al processo. La sentenza impugnata risulta, dunque, manifestamente illogica su tali punti, in quanto la condanna degli imputati, essendo fondata su argomentazioni irrispettose dei canoni di accertamento del fatto dettati dal legislatore e che si sono attestate su uno standard probatorio incompatibile con la regola di giudizio codificata dall'articolo 533, comma 1, c.p.p., dà spazio a ragionevoli dubbi. 6.8. Fermo restando il riconoscimento per l'impegno profuso nell'attività istruttoria dai giudici di merito, deve, tuttavia, rilevarsi che la sentenza impugnata, e ancor più marcatamente quella di primo grado, hanno, invero, optato per un modello di ricostruzione del fatto penalmente rilevante condotto secondo un approccio metodologico di stampo storiografico. Tuttavia, anche quando oggetto del processo penale siano accadimenti di rilievo storico o politico, e, dunque, connotati da una genesi complessa e multifattoriale, l'accertamento del giudice penale non muta la sua natura, la sua funzione e il suo statuto garantistico, indefettibile sul piano costituzionale. Anche quando il giudice penale deve confrontarsi con complessi contesti fattuali di rilievo storico-politico, l'accertamento del processo penale resta, invero, limitato ai fatti oggetto dell'imputazione e deve essere condotto nel rigoroso rispetto dalle regole epistemologiche dettate dalla Costituzione e dal codice di rito, prima tra tutte quella dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Le sentenze di merito, conferendo di fatto preminenza ad un approccio storiografico nell'interpretazione del dato probatorio, hanno, inoltre, finito per smarrire la centralità dell'imputazione nella trama del processo penale, profondendo sforzi imponenti nell'accertare fatti spesso poco o per nulla rilevanti nell'economia del giudizio. La trama di entrambe le sentenze di merito, infatti, pur muovendo dal corretto rilievo che la c.d. trattativa Stato-Mafia non costituisce di per sé reato, in quanto condotta non punita dalla legislazione penale, è tuttavia, monopolizzata dal tema dei contatti intercorsi, successivamente alla strage di Omissis , tra esponenti del R.O.S. e quelli della associazione mafiosa denominata cosa nostra e dall'accertamento dello sviluppo degli stessi negli anni successivi, riservando un rilievo proporzionalmente minimale alle condotte contestate di minaccia al Governo. Tale marcata discrasia tra imputazione e oggetto principale dell'accertamento processuale ha, inoltre, determinato un'eccessiva dilatazione delle motivazioni delle sentenze, che hanno assunto, sia in primo, che in secondo grado, una mole imponente 5237 pagine in primo e 2971 pagine in secondo grado , tale da offuscare le ragioni della decisione e rendere le linee argomentative di difficile identificazione e interpretazione. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, del resto, fortemente stigmatizzato le motivazioni delle sentenze caratterizzate da elefantiasi o macroscopicamente sovrabbondanti , rilevando che tale stile ostacola la comprensione del senso della decisione, tradisce la funzione euristica della motivazione, disattende precise indicazioni di plurime norme processuali Sez. U, numero 40516 del 23/06/2016, Del Vecchio, in motivazione . Secondo le Sezioni Unite, il virtuoso paradigma della chiarezza e concisione impone, infatti, di discutere, ove occorra anche diffusamente, solo i fatti rilevanti e le questioni problematiche, liberando la motivazione dalla congerie di dettagli insignificanti che spesso vi compaiono senza alcuna necessità . 6.9. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha chiesto, in parziale accoglimento dei ricorsi degli imputati ricorrenti e con effetto estensivo anche nei confronti dell'imputato non ricorrente S.A., l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di Palermo per la celebrazione di un nuovo giudizio limitatamente alla minaccia rivolta nei confronti dei Governi A. e C Secondo il Procuratore generale, infatti, la celebrazione di un nuovo giudizio di appello, in sede di rinvio, consentirebbe di accertare chi parlò con D.M. e cosa gli fu detto e cosa D.M. rappresentò al Ministro . L'istruzione di un giudizio di rinvio consentirebbe, inoltre, di chiarire se la decisione del Ministro C. di non prorogare i decreti adottati ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2, ord. penumero sia stata influenzata da una generica intimidazione derivante dagli omicidi e dalle stragi efferate perpetrate da cosa nostra , se sia stata motivata dalla conoscenza dell'esistenza di una spaccatura all'interno dell'organizzazione mafiosa tra una componente più morbida e una decisa a proseguire la strategia di contrasto violento, o se, invece, sia stata condizionata, anche parzialmente, dalla rappresentazione della minaccia qualificata espressa da cosa nostra nel corso delle interlocuzioni tra M., D.D. e C.V Il lunghissimo lasso di tempo decorso dai fatti oggetti di accertamento, il decesso di molti soggetti coinvolti nella vicenda oggetto di scrutinio il Presidente della Repubblica S.O.L., il Ministro C.G., il Vice direttore del D.A.P. D.M.F. , l'avvenuta escussione di tutti gli altri soggetti convolti e l'ampia dialettica processuale svoltasi sui punti controversi, sia nel giudizio di primo che di secondo grado, non consentono, tuttavia, di ritenere che la celebrazione di un giudizio di rinvio possa, in alcun modo, arrecare contributi utili all'ulteriore chiarimento della regiudicanda. L'ampia e completa istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, ulteriormente integrata nel giudizio di appello, ha, dunque, ormai esaurito le possibilità di accertamento del giudizio penale sui fatti ancora controversi relativi ai reati contestati nel presente processo. In questa situazione di obiettiva impossibilità di arricchire il quadro degli elementi probatori disponibili, una rinnovata valutazione degli stessi da parte del giudice di rinvio si rivela, inoltre, strutturalmente inidonea a colmare le lacune nel ragionamento probatorio operato dalla sentenza impugnata e a superare ogni ragionevole dubbio in ordine all'avvenuta consumazione del reato di minaccia commesso ai danni dei Governi A. e C Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, del resto, affermato che nel giudizio di cassazione, l'annullamento della sentenza di condanna va disposto senza rinvio allorché un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata Sez. U, numero 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 22610001 Sez. U, numero 22327 del 30/10/2002 dep. 2003 , Carnevale, Rv. 224182 01 Sez. 6, numero 18125 del 22/10/2019 dep. 2020 , Bolla, Rv. 279555-19 . La superfluità della celebrazione di un giudizio di rinvio risulta anche in relazione all'inidoneità delle condotte poste in essere dai tre ufficiali del R.O.S. ad integrare una forma di concorso punibile nel reato di minaccia ad un corpo politico, di cui si dirà di seguito. 7. La riqualificazione del delitto di minaccia ad un corpo dello Stato in delitto tentato e i suoi effetti. 7.1. Non essendo stata raggiunta la prova oltre ogni ragionevole dubbio che la minaccia mafiosa sia stata veicolata da M. a D.M. e da quest'ultimo riferita al Ministro C., il delitto di cui all'articolo 338 c.p. commesso ai danni dei Governi A. e C. deve essere ritenuto integrato solo nella forma del tentativo. E', del resto, configurabile il tentativo del delitto di minaccia, quando il reato sia stato commesso mediante un processo esecutivo frazionabile Sez. 5. numero 9362 del 13/11/2013, Deganutti, Rv. 262431, fattispecie in cui la lettera minatoria, contenente un proiettile, è stata intercettata prima di giungere al destinatario . Le modalità esecutive del reato di minaccia posto in essere ai danni dei Governi A. e C. sono, peraltro, state frazionate, in quanto il ricatto espresso dagli esponenti apicali di cosa nostra , e riferita da C.V. a M., era destinato a essere comunicato a esponenti del Governo per condizionarne l'attività. Per quanto accertato dalle sentenze di merito, deve ritenersi, dunque, comprovato che i vertici di cosa nostra abbiano posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a minacciare i Governi in carica nel biennio Omissis - Omissis , prospettando l'accoglimento delle richieste formulate da C.V. a M. e a D.D. quale condizione ineludibile per porre fine alla strategia stragista. La minaccia prospettata dall'organizzazione mafiosa, del resto, nel momento in cui venne esternata a M. e a D.D., in ragione del proprio contenuto, della sua provenienza e, segnatamente, degli omicidi e delle stragi compiute da cosa nostra in quel periodo, aveva obiettivamente un'attitudine ad intimorire e a turbare l'attività del Governo, a prescindere dal fatto che non si abbia l'ulteriore dimostrazione che sia stata poi concretamente trasmessa e pervenuta a conoscenza del destinatario finale. 7.2. La derubricazione in tentativo del reato di cui all'articolo 338 c.p. posto in essere ai danni dei Governi C. e A. comporta l'accertamento della sua intervenuta prescrizione, essendo decorsi oltre ventidue anni e sei mesi dal suo perfezionamento e, dunque, dalle interlocuzioni tra M., D.D. e C.V. intervenute nel giugno del Omissis . La disciplina della prescrizione applicabile nel caso di specie, in quanto più favorevole agli imputati ai sensi dell'articolo 2, comma 4, c.p., e', infatti, quella vigente all'epoca dei fatti e non già quella introdotta dalla legge del 5 dicembre 2005, numero 251. Quest'ultima non soltanto ha previsto, all'articolo 157, comma 6, c.p., che il termine di prescrizione è raddoppiato per i reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis e 3-quater, c.p.p. quali quelli aggravati ai sensi dell'articolo 7 D.L. 152 del 1991 , ma anche, all'articolo 160, comma 3, c.p., che per gli stessi non è contemplato un termine massimo di prescrizione ex plurimis Sez. 2, numero 4822 del 15/11/2022 dep. 03/02/2023 , Cristiano, Rv. 284389 02 Sez. 2, numero 40855 del 19/04/2017, Giampà, Rv. 271164 01 . Il termine di prescrizione del reato per cui si procede deve, pertanto, essere determinato ai sensi dell'articolo 157, comma 1 1, numero 2 , c.p. vigente all'epoca dei fatti, che stabiliva il maturarsi in quindici anni di tale causa di estinzione per i delitti puniti nel massimo con la reclusione inferiore ai ventiquattro anni, ma superiore ai dieci anni di reclusione sette anni di reclusione per il delitto di cui all'articolo 338 c.p., aumentata della metà ai sensi dell'articolo 7 D.L. 152 del 1991 quattordici anni di reclusione e di un ulteriore terzo ai sensi dell'articolo 61 numero 9 c.p. per gli ufficiali del R.O.S. e ai sensi dell'articolo 61 numero 2 c.p. per gli imputati appartenenti a cosa nostra , di un ulteriore terzo ai sensi dell'articolo 61 numero 6 c.p. per B. e ridotta di un terzo ai sensi dell'articolo 56, comma 2, c.p. . Come correttamente rilevato dalla Corte di assise di appello, infatti, la circostanza aggravante di cui al comma 2 dell'articolo 339 c.p. non può essere applicata, in ragione della propria formulazione letterale, al reato tentato di cui all'articolo 338 c.p. le Sezioni Unite di questa Corte, del resto, hanno statuito, in tema di compatibilità tra delitto tentato e circostanze aggravanti speciali, che quando il legislatore indica nominativamente un determinato delitto, intende riferirsi solo al delitto consumato, mentre quando richiama una categoria di delitti non specificati, si riferisce sia a quelli consumati che a quelli tentati Sez. U, numero 40985 del 19/04/2018, Di Maro, Rv. 273752 01, in ordine all'applicabilità della circostanza aggravante prevista dall'articolo 7 del D.L. numero 13 maggio 1991 numero 152, conv. con modif. in L. 12 luglio 1991 numero 203 al delitto tentato . Il reato tentato di cui all'articolo 338 c.p., aggravato come nell'imputazione, si prescrive, dunque, dopo quindici anni dalla commissione del fatto, prorogabili al massimo della metà, ai sensi dell'articolo 160, ultimo comma, c.p., per effetto del deposito della richiesta di rinvio a giudizio in data 23 luglio 2012 e, dunque, nel termine di ventidue anni e sei mesi. Il tentativo di minaccia posto in essere dai vertici di cosa nostra ai danni dei Governi A. e C., nel giugno del Omissis , si e', dunque, prescritto nel gennaio del 2015. 7.3. Per effetto della dichiarazione di prescrizione del reato, il sindacato di legittimità sui residui motivi di ricorso proposti in relazione alla commissione del delitto di minaccia ai danni dei Governi A. e C. deve, dunque, essere circoscritto alla verifica dell'eventuale prevalenza, ai sensi dell'articolo 129, comma 2, c.p.p., di una più favorevole causa di proscioglimento sulla causa estintiva del reato. Il proscioglimento nel merito potrà, infatti, essere dichiarato solo se la prova dell'insussistenza del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti evidente sulla base del testo della sentenza impugnata ex plurimis Sez. 6, numero 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258169 01 Sez. 1, numero 35627 del 18/04/2021, Amurri, Rv. 253458-01 , senza possibilità di nuove indagini e ulteriori accertamenti, che sarebbero incompatibili con l'immediata operatività della causa estintiva, che determina il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta Sez. U, numero 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274 01 . 7.4. Posto che la prescrizione del reato tentato di minaccia ai danni dei Governi A. e C. è maturata nel gennaio del 2015 e, dunque, prima della pronuncia della sentenza di primo grado, emessa in data 20 aprile 2018 dalla Corte di assise di Palermo, non è consentito, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., al giudice di pronunciare sulle richieste risarcitorie proposte dalle parti civili e, pertanto, le statuizioni civili disposte nei confronti degli imputati dalla sentenza impugnata devono essere revocate. 8. Il concorso di S., M. e D.D. nel reato di minaccia ai danni dei Governi A. e C 8.1. Secondo l'ipotesi di accusa, S.A., M.M., e D.D.G. avrebbero concorso nel reato di minaccia ad un corpo politico, ponendo in essere tre distinte condotte e, segnatamente a contattando, dopo la Omissis Capaci Omissis Omissis , C.V., nella sua veste di tramite con uomini di vertice di cosa nostra e ambasciatore delle loro richieste, e instaurando un canale di comunicazione con i capi del predetto sodalizio criminale, finalizzato a sollecitare eventuali richieste per far cessare la strategia omicidiaria e stragista b favorendo lo sviluppo della trattativa fra lo Stato e la mafia, attraverso reciproche parziali rinunce in relazione, da una parte, alla prosecuzione della strategia stragista e, dall'altra, all'esercizio dei poteri repressivi dello Stato c assicurando, altresì, il protrarsi dello stato di latitanza di P.B., principale referente mafioso di tale trattativa . 8.2. La Corte di assise di Palermo, all'esito del giudizio dibattimentale di primo grado, ha ritenuto sussistente il concorso dei tre ufficiali del R.O.S. nel reato di violenza o minaccia posto in essere ai danni dei Governi A. e C., in quanto gli imputati avrebbero svolto il ruolo di istigatori e/o agevolatori, sollecitando o aiutando i boss mafiosi a formulare e a inoltrare il proprio ricatto agli esponenti del Governo. L'iniziativa dei Carabinieri del R.O.S. di aprire un dialogo con gli esponenti apicali di cosa nostra , con la mediazione di C.V., al fine di farli desistere dalla strategia stragista, sarebbe stata, dunque, determinante per l'attuazione del proposito criminoso minatorio e ricattatorio dei mafiosi, in quanto avrebbe segnato l'abbandono della linea della fermezza , che sino a quel momento aveva contrassegnato l'azione dello Stato. La stessa apertura della trattativa , al contempo, avrebbe fatto sorgere, o comunque, rafforzato, quanto meno rendendo concreto, il proposito criminoso del R. di ricattare lo Stato. 8.3. La Corte di assise di appello di Omissis ha, invece, ritenuto che la condotta degli ufficiali del R.O.S. sia stata idonea ad integrare una forma di concorso esclusivamente sotto il profilo oggettivo e li ha assolti per carenza dell'elemento soggettivo. Gli imputati, nel sollecitare il dialogo con il vertice di cosa nostra , con l'intermediazione di C.V., sarebbero stati mossi da fini solidaristici la salvaguardia dell'incolumità della collettività nazionale e di tutela di un interesse generale e fondamentale dello Stato ossia, da ragioni e interessi del tutto convergenti con quelli della vittima del reato di minaccia a corpo politico dello Stato pagg. 2074-2075 della sentenza impugnata . La sentenza impugnata ha, infatti, precisato che si può parlare al più di un calcolo sbagliato e di un'imperdonabile negligenza e superficialità, ma anche supponenza, nel valutare le conseguenze di un'iniziativa che richiedeva un'assunzione di responsabilità politica che esulava completamente dall'ambito delle loro competenze. Ma deve escludersi un'imputazione dolosa del contributo che pure essi diedero al rafforzamento del proposito di porre in essere la condotta criminosa per cui si procede, non essendo tale contributo voluto, neppure a titolo di dolo eventuale pag. 2120 della sentenza impugnata . Lo spregiudicato disegno sotteso all'operazione C. . non sottintendeva né implicava alcuna consapevolezza e tanto meno l'accettazione del rischio che ne potesse sortire, come di fatto avvenne, un effetto corroborativo della minaccia stragista, non essendo la sollecitazione al dialogo rivolta agli stessi artefici della minaccia o a chi se ne facesse latore pag. 2258 della sentenza impugnata . Secondo la Corte di assise di appello, tuttavia, sul piano oggettivo, l'apporto che l'improvvida iniziativa dei Carabinieri, attraverso la sollecitazione a trovare un intesa, trasmessa da C.V. per il tramite di C. ai vertici mafiosi e la conseguente apertura, agli occhi dei medesimi vertici, di un canale di comunicazione con un'Autorità di Governo sovraordinata a quelli che essi ritenevano suoi emissari ebbe nel far sì che prendesse corpo e poi si rafforzasse, con il progredire dell'interlocuzione tra gli Ufficiali del R.O.S. e il C., il proposito non più di una generica intimidazione, qual era quella che poteva rinvenirsi nei primi eclatanti delitti che scandirono lo sviluppo della strategia di contrapposizione frontale allo Stato iniziata con l'omicidio L., ma di un vero e proprio ricatto allo Stato pag. 1265-1266 . 8.4. Ritiene, tuttavia, questa Corte che la motivazione della sentenza impugnata evidenzi la strutturale inidoneità della condotta degli ufficiali del R.O.S. a integrare, già sotto il profilo oggettivo, una forma penalmente rilevante di istigazione o di determinazione alla commissione del reato di minaccia ad un corpo politico commesso dai vertici di cosa nostra . Il codice penale ha, infatti, scelto di non descrivere normativamente le forme di concorso punibile, materiale o morale, e l'articolo 110 c.p. ha posto, quale unico criterio giuridico per selezionare i contributi rilevanti rispetto all'evento che costituisce il reato, quello dell'accertamento della loro concreta incidenza causale. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito come il giudice di merito, per affermare la sussistenza del concorso morale nel reato, debba accertare specificamente l'efficacia eziologica della forma di partecipazione rispetto alla condotta che si assume abbia integrato il reato contestato. La circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso non esime, infatti, il giudice di merito dall'obbligo di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'articolo 110 c.p., con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà Sez. U, numero 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226101-01 conf., ex plurimis, Sez. 2, numero 43067 del 13/10/2021, Taglialatela, Rv. 282295 01 . La partecipazione psichica sotto forma di istigazione richiede, dunque, la prova che il comportamento tenuto dal presunto concorrente morale abbia effettivamente fatto sorgere il proposito criminoso ovvero lo abbia anche soltanto rafforzato, esercitando un'apprezzabile sollecitazione idonea ad influenzare la volontà altrui Sez. 3, numero 30035 del 16/03/2021, R., Rv. 281968 01 Sez. 6, numero , 1986 del 6/12/2016 dep. 2017 , Salamone, Rv. 268972 01 Sez. 1, numero 2260 del 26/03/2014 dep. 2015 , P., Rv. 261893-01 Sez. 6, numero 39030 del 05/07/2013, Pagano, Rv. 256608 01 . E', pertanto, ineludibile la necessità di ravvisare un nesso di causalità tra la condotta dell'istigatore e quella dell'istigato e, in particolare, che il giudice possa pervenire, sulla base delle prove raccolte e di un giudizio controfattuale, alla conclusione razionale, oltre ogni ragionevole dubbio, che la concreta condotta dell'istigato sia stata realmente determinata dall'istigatore. La Corte di assise di appello, tuttavia, nella sentenza impugnata, ha affermato la sussistenza di un'ipotesi di concorso penalmente rilevante nelle condotte di M., D.D. e S., distaccandosi da questo indefettibile presupposto legale. Invero, la mera apertura di un'interlocuzione con i vertici di cosa nostra non può ritenersi essere stata idonea ex se a determinare i vertici dell'organizzazione criminale a minacciare il Governo, in quanto questo assunto, argomentato nella sentenza impugnata come autoevidente, non è fondato su alcuno specifico dato probatorio, né argomentato sulla base di C.lidate massime di esperienza. L'interlocuzione promossa da M. e da D.D. con C., per quanto accertato dalla sentenza impugnata, era, infatti, volta a comprendere le condizioni per la cessazione degli omicidi e delle stragi da parte di cosa nostra e la ricerca dell'apertura di un dialogo, sia pure con una spietata organizzazione criminale, non può assumere la valenza obiettiva, sulla base di un inammissibile automatismo probatorio, di una istigazione a minacciare lo Stato. Le stesse sentenze di primo e di secondo grado, del resto, esprimono, non certo incongruamente, il convincimento che cosa nostra , sotto la direzione di R.S., sin dall'omicidio dell'Onumero L.S., stesse realizzando una propria strategia terroristica, volta all'ottenimento di concessioni da parte dello Stato, e che, dunque, sarebbe proseguita, anche a prescindere dall'intervento degli imputati appartenenti al nucleo operativo dei R.O.S. Non e', pertanto, configurabile, sul piano logico, prima ancora che giuridico, l'istigazione o la determinazione di un proposito criminoso che è già in corso di esecuzione. Può, del resto, assumere rilievo, quale condotta di concorso morale nel reato, solo il comportamento che rafforzi e renda definitivo un proposito criminoso già esistente, ma non ancora C.lidato, in modo da aumentare la possibilità di commissione del reato ex plurimis Sez. 6, numero 36125 del 13/05/2014, Minardo, Rv. 260235 01 . 8.5. Parimenti non può ritenersi dimostrato sulla base degli apodittici rilievi della sentenza impugnata che l'interlocuzione ricercata da S., da M. e da D.D. sia stata idonea a integrare una forma di rafforzamento del proposito criminoso dei vertici di cosa nostra di minacciare il Governo. Le sentenze di merito hanno, infatti, rilevato che, aprendo il canale di comunicazione con cosa nostra , tramite C.V. , gli stessi avrebbero agevolato la commissione del reato di minaccia a corpo dello Stato, in quanto avrebbero istituito proprio quel canale informativo utilizzato dall'organizzazione mafiosa per minacciare il Governo. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato ex plurimis Sez. 5, numero 43569 del 21/06/2019, P., Rv. 276990 01 Sez. 6, numero 1986 del 06/12/2016 dep. 2017 , Salamone, Rv. 268972 01 . L'apertura dell'interlocuzione con i vertici di cosa nostra non può, pertanto, essere considerata quale forma di rafforzamento dell'altrui proposito criminoso, in quanto ha solo creato l'occasione nella quale ha trovato realizzazione l'autonomo intento ricattatorio dei vertici di cosa nostra , ulteriore espressione della strategia minatoria già in corso verso gli organi dello Stato. D'altra parte, nelle condizioni di contesto descritte dalla sentenza impugnata, non è possibile affermare l'esistenza di un preciso rapporto di causalità tra l'azione dei pubblici ufficiali e la genesi del ricatto mafioso. La stessa Corte di assise di appello, infatti, negando che la minaccia di cosa nostra abbia costituito un esito prevedibile e in concreto previsto della sollecitazione al dialogo promossa dagli ufficiali del R.O.S., ha significativamente rilevato che gli scenari possibili erano diversi e gli sviluppi della situazione non prevedili con certezza pag. 2064 della sentenza impugnata . Nella ricostruzione operata dalla sentenza impugnata l'iniziativa degli alti ufficiali del R.O.S. era, infatti, intesa non già a indurre cosa nostra a rivolgere minacce al Governo, bensì al perseguimento dell'obiettivo contrario di far cessare la stagione stragista, cercando di comprendere se le eventuali condizioni poste da quest'ultima potessero o meno essere considerate nella prospettiva di prevenzione di ulteriori attacchi criminali. Nella loro azione, infatti, M., S. e D.D. miravano al contempo alla contestuale decapitazione dell'ala stragista o militarista mediante la cattura dei suoi esponenti, come di seguito avvenuto in data 15 gennaio Omissis con l'arresto di R.S. pag. 2082 della sentenza impugnata . Vi e', dunque, per quanto emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, un'insanabile contraddizione logica tra l'elemento soggettivo recte l'intenzione che animava i tre ufficiali del R.O.S. nell'interlocuzione con i vertici mafiosi e il riconoscimento di una obiettiva valenza agevolatrice della minaccia mafiosa della loro condotta. Sul piano strettamente giuridico, del resto, sia l'istigazione, che il rafforzamento di un altrui proposito criminoso, richiedono che ne sia determinato l'oggetto, che deve concernere un reato specifico, anche se indicato in via alternativa o non individuato in tutte le sue concrete modalità. Deve, pertanto, essere esclusa la responsabilità a titolo di concorso morale nel reato realizzato, quando l'oggetto dell'istigazione o del rafforzamento dell'altrui proposito criminoso, come nel caso di specie, per quanto emerso dalla sentenza impugnata, sia del tutto generico e indeterminato. La rilevanza della condotta ascritta a M., D.D. e S. quale forma di concorso del reato non può, del resto, essere inferita dalla stessa ritenuta illiceità per asserita carenza di un preciso fondamento legale dell'iniziativa di aprire un'interlocuzione con gli esponenti di cosa nostra , introducendo una sorta di responsabilità oggettiva giustificata dal mero versari in re illicita. Anche se l'apertura di un dialogo con i vertici di cosa nostra , come rilevato dalla sentenza impugnata, è stata molto di più che una spregiudicata iniziativa di polizia giudiziaria, assumendo piuttosto la connotazione di un'operazione di intelligence pag. 2190 della sentenza impugnata , tale condotta non è espressamente sanzionata dalla legislazione penale e, in assenza della dimostrazione di un preciso nesso di condizionamento o di agevolazione delle condotte degli autori del reato, non può integrare concorso nel reato di minaccia al Governo. Pertanto, una volta escluso, in quanto non provato oltre ogni ragionevole dubbio, che gli ufficiali del R.O.S. abbiano riferito la minaccia mafiosa ad esponenti dell'autorità di governo, dalla sentenza impugnata risulta che i medesimi si sono limitati a ricevere la minaccia mafiosa, senza sollecitarla, né rafforzare l'altrui intento criminoso. Ogni forma di concorso penalmente rilevante degli imputati M. e D.D. nel reato commesso dagli imputati appartenenti a cosa nostra e', all'evidenza, insussistente. 8.6. L'evidenza dell'insussistenza dell'elemento oggettivo delle condotte di concorso contestate ai predetti imputati, in ragione del suo rilievo preliminare, determina l'assorbimento del primo motivo di ricorso proposto dal Procuratore generale della Corte di assise di Palermo, volto a dimostrare la manifesta irragionevolezza dell'esclusione del dolo e la violazione di legge sul punto. 8.7. Con il secondo motivo di ricorso il Procuratore generale della Corte di assise di Palermo ha, inoltre, censurato l'illogicità delle conclusioni espresse nella sentenza impugnata in ordine alle condotte di ausilio della latitanza contestate agli imputati, quali terzo segmento delle condotte di concorso nel delitto di cui all'articolo 338 c.p Secondo il Procuratore generale ricorrente, quali ulteriori forme di partecipazione al reato di minaccia al Governo commesso dai vertici di cosa nostra ai danni dei Governi A. e C. assumerebbero rilievo anche ulteriori condotte, indebitamente non considerate nella sentenza impugnata, quali la mancata perquisizione del covo di R., la mancata cattura di P. a Omissis , la protezione della latitanza di P., la mancata tempestiva identificazione dei più fidati favoreggiatori di P. L.B.N. e N.G. e le anomalie verificatesi nell'arresto di N.G. e nell'arresto dell'infiltrato R.P 8.8. Il motivo è infondato. Anche in relazione a tali condotte sussiste, infatti, l'evidenza della loro inidoneità ad integrare forme di concorso punibile nel reato tentato di cui all'articolo 338 c.p. per quanto accertato nelle sentenze di merito. M. è stato assolto, con sentenza del Tribunale di Palermo del 17 luglio 2013, confermata dalla Corte di appello di Palermo il 19 maggio 2016 e divenuta irrevocabile in data 8 giugno 2017 dal reato di favoreggiamento della latitanza di P.B. ed è stato assolto in via definitiva dall'accusa di favoreggiamento elevata con riferimento alla mancata perquisizione del covo di R.S. dopo la sua cattura. Proprio muovendo dalle statuizioni di tali sentenze, la Corte di assise di Palermo ha rilevato come le risultanze probatorie di tali processi risultassero neutre rispetto alle contestazioni svolte nel presente processo e non potessero essere utilizzate ai fini della conferma del terzo profilo di partecipazione concorsuale al reato di minaccia contestato. Come rilevato dalla Corte di assise di appello, del resto, la mancata cattura di P.B. in data 30 ottobre 1995 nel corso del summit di Omissis , essendo un episodio intervenuto in epoca ampiamente successiva al mese di novembre del Omissis epoca della mancata proroga dei decreti del 41-bis, comma 2, ord. penumero , si colloca cronologicamente al di là dell'orizzonte temporale del reato di minaccia in contestazione e, dunque, inammissibilmente dilata i confini del concorso di persone del reato sino a condotte successive alla stessa commissione del reato. Analogamente le ulteriori condotte indicate nel motivo di ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo la mancata tempestiva identificazione dei più fidati favoreggiatori di P., L.B.N. e N.G., e le anomalie verificatesi nell'arresto di N.G. e nell'arresto dell'infiltrato R.P. , essendo successive al novembre del Omissis , non possono essere considerate quali forme di concorso in un reato ormai già realizzato. 8.9. Alla stregua dei rilievi che precedono deve, dunque, essere annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M.M. e D.D.G. per non aver commesso il fatto, in quanto risulta l'evidenza che i medesimi non abbiano concorso con gli esponenti di cosa nostra nel reato tentato di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato posto in essere ai danni dei Governi A. e C., ormai prescritto. 9. L'estensione dell'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in favore di S 9.1. L'annullamento della sentenza impugnata disposto in favore degli imputati ricorrenti M. e D.D. deve essere esteso, in virtù del disposto dell'articolo 587 c.p.p., anche nei confronti dell'imputato non ricorrente S.A Tale disposizione intende, infatti, evitare giudicati contrastanti e privilegiare esigenze di giustizia, estendendo a colui che non impugni, o che impugni per diversi motivi, la fondatezza del motivo non personale Sez. 6, numero 46202 del 02/10/2013, Serio, Rv. 258155 Sez. 5, numero 15288 del 24/03/2005, Manzi, Rv. 231242 01 Sez. 5, numero 15446 del 17/02/2004, Koshi, Rv. 228758 01 . La giurisprudenza di legittimità, del resto, ha già rilevato che l'impugnazione proposta dai coimputati di un medesimo reato giova anche agli altri concorrenti nello stesso reato che non abbiano proposto impugnazione se, pur in presenza di motivi diretti a negare la personale partecipazione di ciascuno alle azioni criminose, il giudice accerti, esaminata la portata dei motivi accolti e le ragioni dell'assoluzione, che le prove a carico del non impugnante siano state, anche incidentalmente, ritenute inutilizzabili o, come nella specie, sprovviste di reale efficacia dimostrativa Sez. 1, numero 23456 del 08/03/2007, Picardi, Rv. 236787 01 . Nel caso di specie, l'inidoneità delle condotte poste in essere da S. ad integrare forme di concorso punibile nel reato tentato accertato è giustificata dalle medesime ragioni espresse per M. e D.D. e, dunque, non è legata a motivi esclusivamente personali dei coimputati impugnanti. Per quanto accertato dalla sentenza impugnata, infatti, l'apporto di S. si sarebbe limitato all'avallo dell'iniziativa intrapresa da M. e da D.D. pag. 2733 della sentenza impugnata . 10. Il ricorso proposto da B 10.1. Tutti i motivi di ricorso proposti dall'avvocato Cianferoni nell'interesse di B., ad eccezione del terzo, sono stati già esaminati. Con tale motivo, il difensore ha censurato la violazione degli articolo 110,338 c.p. e dell'articolo 416 bis.1 c.p., posto che il ricorrente sarebbe stato condannato solo in quanto cognato di R. , ma privo di potere decisionale effettivo all'interno di cosa nostra . 10.2. Il motivo e', tuttavia, inammissibile per aspecificità in quanto si limita a riproporre, peraltro in termini apodittici, la propria versione difensiva senza confrontarsi compiutamente con la motivazione della sentenza impugnata, che ha rilevato come l'imputato abbia partecipato sia alla minaccia rivolta ai danni dei Governi A. e C., che a quella rivolta al Governo B B., del resto, per quanto accertato dalle sentenze di merito, anche dopo l'arresto del cognato era stato tra i più strenui fautori della strategia stragista pag. 2750 della sentenza impugnata , come dichiarato da plurimi collaboratori di giustizia. 10.3. Con il primo motivo del ricorso proposto dall'altro difensore di B., avvocato Giovanni Anania, è stata dedotta la violazione della legge sui collaboratori , in quanto le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia poste a fondamento della sentenza impugnata sarebbero intrinsecamente inattendibili. 10.4. Il motivo è inammissibile, in quanto, pur formalmente deducendo la violazione di legge, si risolve in una sollecitazione nel giudizio di legittimità ad un rinnovato esame del merito delle testimonianze rese nel corso del dibattimento. Esula, tuttavia, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione 84 e' riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate ex multis Sez. U, numero 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. 6, numero 47204, del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 Sez. 6, numero 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148 . 10.5. Con il secondo motivo, il difensore censura la violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c.p.p. in relazione all'articolo 3 Cost., per disparità di trattamento tra imputati dello stesso processo, pur gravati dalla medesima accusa, anche in riferimento alla tentata minaccia posta in essere ai danni del Governo B 10.6. Il motivo è infondato, non essendo consentito il motivo di ricorso che deduca la violazione di norme della Costituzione ad opera delle statuizioni della sentenza impugnata Sez. U, numero 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 Sez. 5, numero 4944 del 3/12/2021, Falbo, Rv. 282778-01 Sez. 2, numero 12623 del 13/12/2019, dep. 2020, Leone, Rv. 279059 Sez. 2, numero 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261551 . L'inosservanza di disposizioni della Costituzione, non contemplata tra i casi di ricorso dall'articolo 606 c.p.p., può, infatti, soltanto costituire fondamento di questione di legittimità costituzionale, nel caso di specie non proposta. Nessuna difformità di trattamento e', peraltro, stata riservata dalla sentenza impugnata a B. rispetto a quanto statuito nei confronti di altri imputati M., D.D. e S. nonché D. si sono, infatti, limitati a ricevere la minaccia mafiosa, senza sollecitarla, agevolarla, né di seguito divulgarla a esponenti del governo, mentre B. è uno degli ideatori e degli autori del ricatto mafioso sia nei confronti dei Governi A. e C. che del Governo B Alla stregua dei rilievi che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di B.L.B., in relazione ai fatti al medesimo contestati come commessi ai danni dei governi A. e C., perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione. Non deve essere pronunciato il proscioglimento nel merito dell'imputato, in quanto dalla sentenza impugnata non risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, secondo quanto previsto dall'articolo 129, comma 2, c.p.p 11. Il ricorso proposto da C 11.1. I primi cinque motivi di ricorso proposti dai difensori del C. sono stati già delibati. 11.2. Con il sesto motivo i difensori hanno censurato la violazione degli articolo 192,195,238-bis c.p.p. e il vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità penale del C. operata sulla base delle dichiarazioni rese da N.R., L.G. e D.G.G. nel corso del dibattimento di primo grado. Con il settimo motivo i difensori hanno dedotto il vizio della motivazione, in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di cui all'articolo 338 c.p.p. in capo all'imputato. 11.3. Entrambi i motivi sono, tuttavia, inammissibili. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, il controllo della motivazione della sentenza impugnata in sede di legittimità non è consentito allorché sussista una causa estintiva del reato, quale la prescrizione, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva Sez. U, numero 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275 01 Sez. 2, numero 2545 del 16/10/2014 dep. 2015 , Riotto, Rv. 262277 01 Sez. 5, numero 588 del 04/10/2013, Zambonini, Rv. 258670 . 11.4. L'ottavo, il nono e il decimo motivo di ricorsi proposti dai difensori del C., relativo all'errato computo della pena inflitta all'imputato sono, inoltre, assorbiti dall'intervenuta declaratoria della prescrizione del reato accertato dalla sentenza impugnata. 11.5. Alla stregua dei rilievi che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di C.A., in relazione ai fatti al medesimo contestati come commessi ai danni dei governi A. e C., perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione. Dalle sentenze di merito, del resto, non risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, secondo quanto previsto dall'articolo 129, comma 2, c.p.p Secondo quanto accertato dalle sentenze di merito, infatti, C., affiliato a cosa nostra e consigliere di R.S., ha concorso alla realizzazione del tentativo di minaccia ai danni dei Governi A. e C., fungendo da intermediario dell'interlocuzione avviata da M. per il tramite di C.V Il ricorrente, in particolare, avrebbe assunto il ruolo di ambasciatore come lo definiva lo stesso C. nelle due direzioni, e cioè facendo da tramite prima tra C.V. e R.S. per recapitare a quest'ultimo la sollecitazione alla trattativa pervenuta a C. dai Carabinieri e, poi, facendo ancora da tramite tra R.S. e C.V. per recapitare a quest'ultimo la risposta di R., consistente nelle condizioni ineludibili dallo stesso poste per cessare la contrapposizione totale con lo Stato e, quindi, le stragi pag. 2761 della sentenza impugnata . 12. Il ricorso proposto dalla Procura generale presso la Corte di appello di Palermo in relazione alla posizione di D.M 12.1. Secondo l'ipotesi di accusa, B.G. e B.L.B., nella primavera del Omissis , avrebbero richiesto a M.V., reggente del mandamento di Porta Nuova, che, a sua volta, si sarebbe rivolto a D.M., di trasmettere al Presidente del Consiglio B.S. il messaggio ricattatorio di cosa nostra , consistito nella richiesta al Governo di emanare provvedimenti favorevoli all'organizzazione criminale come condizione ineludibile per porre fine alla strategia di violento attacco frontale alle istituzioni . 12.2. La sentenza di primo grado ha rilevato che gli autori principali della minaccia sarebbero stati B., B. e M.V. in particolare, quest'ultimo, dopo le elezioni D.M. Omissis e l'insediamento del Governo B., avrebbe, di propria iniziativa, incontrato D Tali incontri, secondo quanto riferito dal collaboratore C. e riscontrato dalle acquisizioni documentali effettuate nel corso dell'istruttoria, sarebbero avvenuti a giugno/luglio Omissis e a dicembre Omissis . In queste occasioni M. avrebbe avuto un approccio dotato di un'indiscutibile attitudine ad intimorire e avrebbe rappresentato a D. possibili ritorsioni , esercitando così su quest'ultimo pressioni e tentativi di pressione . Successivamente, D. avrebbe, quindi, informato il Presidente B. dei colloqui avuti con M. e conseguentemente anche delle pressioni ricevute da quest'ultimo. Con riferimento a questo ultimo segmento della catena di trasmissione della minaccia da D. a B. , la Corte di assise di Palermo, pur avendo riconosciuto espressamente l'assenza di una prova diretta sull'inoltro della minaccia da D. a B. perché ovviamente soltanto l'uno o l'altro possono conoscere il contenuto dei loro colloqui . , ha, tuttavia, ritenuto di poter affermare la penale responsabilità dell'imputato sulla base di ragioni logico fattuali che conducono a non dubitare che D. abbia effettivamente riferito a B. quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l'associazione mafiosa cosa nostra mediati da M.V. . 12.3. La Corte di assise di appello, nella sentenza impugnata, ha ritenuto comprovata la trasmissione del messaggio minatorio da M. a D., ma ha escluso che sia stato dimostrato l'ultimo miglio del percorso attraverso il quale il reato sarebbe stato portato a consumazione pag. 2948 della sentenza impugnata e cioè l'effettiva trasmissione della minaccia da parte di D. a B. nel periodo in cui quest'ultimo fu presidente del Consiglio dei ministri dall'11 maggio al 22 dicembre Omissis . I giudici di appello hanno, dunque, riqualificato il delitto di cui all'articolo 338 c.p. in tentativo e, in riforma della sentenza di primo grado, hanno assolto D. per non aver commesso il fatto , dichiarando la prescrizione nei confronti di B.L.B. e B.G. per il delitto tentato di minaccia al Governo. La sentenza di secondo grado ha, innanzitutto, confermato le conclusioni della Corte di assise, secondo cui, sulla base degli elementi di prova emersi nel procedimento, D. avrebbe incontrato M. nel periodo tra il Omissis e il Omissis pag. 2808-2809 della sentenza impugnata e ha operato una distinzione temporale tra gli incontri che si sarebbero tenuti prima della vittoria di Omissis alle elezioni anteriori al mese D.M. del Omissis e quelli avvenuti nel periodo durante il quale B.S. era presidente del Consiglio. a Quanto al periodo precedente all'insediamento del Governo B., la Corte di assise di appello, confermando sul punto la sentenza di primo grado, ha riconosciuto innanzitutto l'irrilevanza dei fatti avvenuti in quel periodo ai fini dell'integrazione dell'articolo 338 c.p. pag. 2804 della sentenza impugnata , in quanto, pur escludendo che fosse stato concluso, per il tramite di D., un accordo pre-elettorale tra cosa nostra e Omissis , un accordo di questo genere o anche la semplice promessa elettorale si fonda su una convergenza di interessi lontana dal concetto della minaccia . pag. 2821 della sentenza impugnata . Inoltre, i giudici di appello, ribadendo sul punto le conclusioni della sentenza di primo grado, hanno escluso che fosse stato dimostrato che della sanguinaria minaccia condizionata sottesa a tali contatti fosse stato messo al corrente B.S. all'epoca in qualità di leader della nascente formazione politica di Omissis pag. 2823 v. anche 2918 e 2931 della sentenza impugnata . b Quanto al periodo successivo all'insediamento del Governo B. e, segnatamente, al segmento temporale intercorso tra il mese D.M. e il mese di dicembre del Omissis , la Corte di assise di appello ha affermato che dall'istruttoria erano emersi elementi in grado di riscontrare le dichiarazioni del collaboratore C. pag. 2891 ss. della sentenza impugnata . Secondo le dichiarazioni di tale collaboratore, M., dopo l'insediamento del Governo B., avrebbe nuovamente incontrato D. in due distinte occasioni la prima tra giugno/luglio Omissis e la seconda a metà dicembre Omissis e durante tali incontri avrebbe avuto un' approccio dotato di un'indiscutibile carica ricattatoria nella sua interlocuzione con D., sotto la minaccia di nuove ritorsioni secondo il terribile modello stragista p. 2928 della sentenza impugnata . La Corte ha, tuttavia, ritenuto che non v'e' e non può esservi prova diretta sull'inoltro della minaccia da D. a B. perché ovviamente soltanto l'uno o l'altro possono conoscere il contenuto dei loro colloqui . pag. 2871 . I giudici di secondo grado, in particolare, hanno escluso che tale prova potesse essere dedotta, come invece ritenuto nella sentenza di primo grado 1 dalla sentenza di condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa di D.M., in quanto l'imputato era stato assolto in via definitiva per le condotte poste in essere successivamente al Omissis 2 dall'asserita prosecuzione del pagamento del pizzo per le antenne televisive da parte delle società riconducibili a B.S. anche nel Omissis e, dunque, successivamente all'insediamento del suo Governo , in quanto la sua riscossione era incanalata su binari ormai consolidati 3 dalla circostanza che, secondo quanto riferito da C., D. avrebbe incontrato M. in due occasioni, dopo l'insediamento del Governo presieduto da B.S. rispettivamente a luglio e a dicembre del Omissis e che, durante questi incontri, D. lo avrebbe informato di provvedimenti legislativi di imminente adozione da parte del Governo o del Parlamento pag. 2873-2881 , in quanto queste notizie non avrebbero avuto carattere riservato. B., peraltro, all'udienza dell'11 novembre 2019, alla quale era stato convocato in sede di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, si era avvalso della facoltà di non rispondere alle domande che gli sarebbero state rivolte. 12.4. Con il terzo motivo il Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo censura la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'assoluzione di D.M. e alla declaratoria di intervenuta prescrizione, previa derubricazione del reato ascritto a B., in quello di tentativo di minaccia a un corpo politico. Il convincimento espresso dalla Corte di assise di appello in ordine alla carenza della prova nell' ultimo miglio del percorso probatorio sarebbe estremamente lacunoso se non anche manifestamente illogico e contraddittorio, in quanto la stessa Corte di appello ha considerato acquisita la prova del fatto che M.V., anche nel periodo successivo all'insediamento del Governo B., ebbe ulteriori contatti con D. nei mesi di giugno-luglio 2014 e poi nel dicembre, ricevendo, di volta in volta, aggiornamenti sulle azioni che il Governo stava portando avanti, in linea con l'impegno preso solo durante la campagna elettorale da poco conclusa. La Corte di appello, inoltre, avrebbe riconosciuto alle pagine 2277 e 2879 della sentenza impugnata che, come emerso anche dalle captazioni delle esternazioni di R. durante la sua detenzione e riferito dal collaboratore di giustizia D.N., almeno sino al Omissis cosa nostra ricevette effettivamente la somma di 250 milioni di lire per tenere indenni le antenne a Omissis delle società televisive riferibili a B., secondo una dinamica tanto consolidata, che R.S., conversando col suo compagno di detenzione, si compiaceva di tale periodicità semestrale. La Corte di appello, tuttavia, illogicamente non avrebbe dato risalto alla circostanza che l'importo versato alla società di B., che era pari a 200 milioni, secondo quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia D.N., ritenuto credibile da entrambi i giudici del merito nel presente procedimento, sarebbe stato rimodulato a 250 milioni nel Omissis e, dunque, anche successivamente all'insediamento del Governo B Sarebbe, dunque, illogico, ritenere che D. abbia potuto concordare con i mafiosi l'aumento della tangente annuale senza neppure parlare con l'amico B., nell'interesse del quale curava i rapporti con cosa nostra da numerosi anni. Sarebbe, parimenti, illogico sostenere che D., che pure aveva avuto un ruolo determinante della fondazione di Omissis , non abbia riferito nulla dei suoi contatti per un possibile sostegno elettorale con esponenti di vertice di cosa nostra all'amico imprenditore B.S L'interlocuzione tra B. e D. su tali argomenti, del resto, non poteva che essere diretta, esclusiva e riservata. Escludere B. dai rapporti pericolosi intrattenuti da D. con i vertici mafiosi significherebbe, dunque, irrazionalmente immaginare che l'imputato abbia deciso da solo, senza avvertire il suo dominus, su questioni di così vitale importanza, che riguardavano la sicurezza collettiva, in ragione della sempre incombente minaccia di nuove stragi, e che coinvolgevano anche la tenuta della coalizione di maggioranza. La Corte di assise di appello sarebbe, del resto, incorsa in una contraddizione nel dichiarare l'intervenuta prescrizione nei confronti del B. per il reato di tentativo di minaccia in pregiudizio del Governo B. ed escludere invece ogni responsabilità nei confronti del D 12.5. Il motivo è infondato. Secondo la Procura generale di Omissis , la Corte di assise di appello avrebbe erroneamente omesso di riconoscere la realizzazione, nel Omissis , di una rimodulazione della somma estorta alla Fininvest di B.S. pag. 5961 del ricorso della procura generale mentre sarebbe, altresì, illogica la tesi secondo cui l'aumento dell'importo da pagare a cosa nostra avrebbe potuto essere concordat o senza l'intervento di D. pag. 61 del ricorso della procura generale e che quest'ultimo avrebbe potuto concordare con i mafiosi l'aumento della tangente annuale senza neppure parlarne con Omissis B., del quale curava la problematica dei rapporti con cosa nostra da numerosi anni pag. 61 del ricorso della Procura generale . Sul punto deve, tuttavia, osservarsi che la Corte di assise di appello non ha affatto obliterato il dato probatorio invocato dalla parte pubblica ricorrente, ma ha affermato che, anche ritenendo dimostrato che si fosse effettivamente verificata una rimodulazione dell'importo del pizzo alla quale fosse seguita una conversazione tra D. e B., da questo dato non sarebbe stato comunque possibile inferire che nel contesto di questi ipotetici dialoghi sia stato inserito anche l'argomento della minaccia stragista che cosa nostra rivolgeva al Governo della Repubblica per assicurarsi il rispetto degli accordi preelettorali intrecciati con D. pag. 2880 della sentenza impugnata . Non risulta, del resto, manifestamente illogico l'apprezzamento della sentenza impugnata sul punto, in quanto diverso era l'ambito di attività cui si riferiva la richiesta estorsiva mafiosa, né è comprovato che B., assurto alla carica di Presidente del Consiglio dei ministri, avesse avocato la decisione di queste vicende relative alle sue società televisive. La Corte di assise di appello ha, del resto, non certo incongruamente rilevato che nel Omissis il pagamento del pizzo da parte delle società di B. era instradato su binari prestabiliti tali da non comportare un'attività ulteriore di D. quale mediatore tra cosa nostra e B. pag. 2897 della sentenza impugnata . Inammissibile e', inoltre, la deduzione secondo la quale sarebbe del tutto illogico sostenere che D., al Omissis imprenditore B.S., sceso nell'agone politico e che ambiva ad assumere il ruolo di Primo Ministro, non avesse riferito nulla dei suoi contatti, per un possibile sostegno elettorale, con esponenti di vertice di cosa nostra . La censura non ha, infatti, carattere decisivo, in quanto, come già rilevato, integra il reato di cui all'articolo 338 c.p. solo la minaccia rivolta al Governo e ai suoi componenti. La sentenza impugnata, del resto, in maniera non illogica ha rilevato che, anche se fossero state comprovate, eventuali intese elettorali tra il movimento politico di Omissis ed esponenti di cosa nostra , in ragione della loro natura paritaria e consensuale, esse esulerebbero dal paradigma del reato, incentrato sulla violenza o sulla minaccia, di cui all'articolo 338 c.p Inammissibile e', inoltre, la terza censura formulata, relativamente alle informazioni in ordine a iniziative legislative adottate dal Governo B. che D. avrebbe rivelato a M Secondo il Procuratore generale ricorrente sarebbe, infatti, illogico non considerare che su questioni così tanto delicate, da involgere la tenuta stessa del Governo di coalizione, non potesse essere escluso proprio il Presidente del Consiglio, che già aveva provocato una frattura all'interno della compagine governativa con la presa di posizione del Ministro M. nel luglio del Omissis e che quindi rischiava la caduta del Governo se fossero state scoperte analoghe improvvide iniziative pag. 62-63 del ricorso della Procura generale . Rileva ancora il Procuratore generale che M.R., all'epoca Ministro dell'Interno del Governo B., si era opposto, con un'intervista e con la richiesta rivolta al proprio gruppo parlamentare di non votare la legge di conversione, al tentativo di inserire in un decreto legge approvato il 14 luglio Omissis , una disposizione che modificava l'articolo 335 c.p.p., in particolare, l'esclusione di alcuni reati tra i quali quello di cui all'articolo 416-bis c.p. dalla previsione della comunicazione a richiesta sentito nel corso del dibattimento M. ha dichiarato che la sua opposizione era motivata dal fatto che il testo sottoposto all'esame del Consiglio dei ministri era diverso rispetto a quello originariamente rimesso all'esame dei suoi Uffici. L'apprezzamento della Corte di assise di appello di Omissis , tuttavia, non risulta manifestamente illogico, avendo rilevato che le informazioni sulle iniziative legislative comunicate da D. a M. non erano a conoscenza solo del Presidente del Consiglio dei ministri, ma erano note negli ambienti governativi e parlamentari coinvolti nel dibattito e nell'approvazione di tali provvedimenti legislativi. Entrambe le sentenze di merito, del resto, concordano nell'escludere che le iniziative legislative del Governo e del partito di Omissis furono determinate o condizionate dalla minaccia mafiosa, in quanto costituirono libera espressione delle ragioni ideali di tale movimento, che, per risalente asserita vocazione garantista , da tempo si battevano contro alcuni provvedimenti adottati in funzione antimafia dai precedenti Governi pag. 2921 della sentenza impugnata . Infondata e', da ultimo, la censura relativa all'asserita contraddizione in cui sarebbe incorsa la Corte di assise di appello nel dichiarare l'intervenuta prescrizione nei confronti di B. per il reato di tentativo di minaccia in pregiudizio del Governo B. ed escludere invece ogni responsabilità nei confronti di D Secondo la ricostruzione operata nella sentenza impugnata, infatti, la minaccia mafiosa sarebbe stata rivolta al Governo da B. e B., con l'intermediazione di M., ma D. si sarebbe limitato solo a riceverla, senza sollecitarla, agevolarla, divulgarla in alcun modo a esponenti di governo o, comunque, concorrere in alcun modo alla condotta di reato. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso proposto dalla Procura generale presso la Corte di appello di Palermo deve essere, pertanto, rigettato. P.Q.M. Qualificato il reato contestato nella forma tentata, annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di B.L.B. e C.A., in relazione ai fatti loro contestati come commessi ai danni dei governi A. e C., perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione revoca le statuizioni civili adottate nei riguardi di B. e C., rigettando nel resto i loro ricorsi. Annulla, altresì, senza rinvio la medesima sentenza nei confronti di M.M. e D.D.G. per non aver commesso il fatto annullamento che, per l'effetto estensivo dei ricorsi proposti dai predetti, dispone anche nei confronti di S.A., non ricorrente. Rigetta il ricorso della Procura generale presso la Corte di appello di Palermo.