La convenzione tra un’associazione e l’avvocato è vincolante anche se non firmata dall’assistito

In virtù della convenzione stipulata da un’associazione con l’avvocato, il compenso spettante a quest’ultimo per l’attività prestata a favore di un socio viene regolato dalla convenzione medesima, anche se non sottoscritta specificatamente dal socio assistito.

Due avvocati chiedevano al Tribunale la condanna del cliente al pagamento dei compensi per l'attività professionale svolta a suo favore nell'ambito di una richiesta di risarcimento danni conseguenti a trasfusione di sangue infetto. La controversia si era conclusa con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere perché, nelle more del giudizio, il cliente aveva accettato la somma proposta a conclusione della procedura transattiva. Gli avvocati avevano quindi ricevuto, a compenso, la somma di 2.500 euro ciascuno, pari complessivamente al 5% della somma ricevuta dall'assistito a titolo transattivo. Il cliente negava di dovere altre somme perché il rapporto professionale era regolato da una convenzione stipulata dai due legali con un'associazione dove erano stabiliti i costi per eventuali giudizi che i soci – ed egli lo era - avessero intrapreso nei confronti del Ministero della Salute. Gli avvocati sostenevano invece che al rapporto non fosse applicabile la convenzione perché non specificamente sottoscritta dal loro assistito, fermo restando che, in ogni caso, la pattuizione violava i minimi tariffari. Il Tribunale adito rigettava la domanda degli avvocati, decisione confermata anche in appello, a seguito del quale i soccombenti hanno proposto ricorso in Cassazione. Punto centrale del ricorso è l'applicabilità della convenzione stipulata dagli avvocati con l'associazione al rapporto intercorso con l'assistito. Il Tribunale, infatti, sebbene abbia qualificato la convenzione un contratto con effetti protettivi verso terzi, ha comunque considerato questa figura di negozio come riconducibile alla categoria del contratto a favore di terzo articolo 1411 c.c. , affermazione immune da censure. La giurisprudenza infatti riconduce pacificamente alla forma contrattuale di cui all'articolo 1411 c.c. la convezione tra sindacato e avvocato per la determinazione delle tariffe applicabili alle prestazioni rese in favore degli associati v. Cass. civ. numero 4562/1983 da ultimo, Cass. civ. numero 26212/2019 . Deve invece essere corretta la motivazione del giudice di merito là dove ha ricostruito il contratto con effetti protettivi e il contratto a favore di terzi in rapporto di specie e genere la convenzione è vincolante per le parti perché è un contratto a favore di terzo ed è accertato che il cliente è il terzo che poteva beneficiarne in quanto associato. Quanto alla presunta violazione dei minimi tariffari, il Collegio ritiene in parte infondato e in parte inammissibile il motivo di ricorso. L'ordinanza impugnata infatti ha «”evidenziato” il sintagma verbale è utilizzato dal Tribunale che in convenzione gli avvocati - anche il ricorrente – e l'Associazione hanno stabilito, in forma scritta, che in caso di transazione il compenso in favore dello studio legale restava fissato nella misura del 5% riportando tra virgolette e in carattere corsivo il testo dell'accordo ha quindi escluso la fondatezza dell'eccezione di inderogabilità dei minimi tariffari in riferimento alla formulazione del secondo comma dell'articolo 2233 c.c. come sostituito dall'articolo 2-bisd.l. 4 luglio 2006, numero 223, conv., con modif., in l. 4 agosto 2006, numero 248, in sede di conversione». Il ricorso viene in conclusione respinto, con condanna del legale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Presidente Giusti – Relatore Papa Fatti di causa 1. Con ricorso ex articolo 14 D.Lgs. numero 150 del 2011, gli avv.ti F. N. T. e D.N. , attuale ricorrente, chiesero al Tribunale di Foggia la condanna di L.M. al pagamento in loro favore dei compensi per l'attività professionale svolta per lui, quantificandoli in Euro 7.795 oltre spese generali al 15% e contributi di cassa al 4%, considerato l'acconto di Euro 5.000 già loro versato il omissis . Entrambi avevano assistito L.M. in un giudizio instaurato per il risarcimento dei danni conseguenti a trasfusioni con sangue infetto e a somministrazione di emoderivati infetti la controversia si era conclusa con dichiarazione di cessazione della materia del contendere, pronunciata con sentenza numero 1028/2017, perché, nelle more del giudizio, L.M. aveva accettato la somma di Euro 100.000 del D.L. numero 90 del 2014, ex articolo 27 bis, a conclusione della procedura transattiva della L. numero 244 del 2007, ex articolo 2, comma 361 avevano quindi ricevuto, a compenso, ciascuno la somma di Euro 2.500, pari complessivamente al 5% della somma ricevuta dall'assistito a titolo transattivo. L.M. negò di dovere altre somme perché il rapporto professionale era regolato da una convenzione stipulata dai due difensori con l'Associazione Microcitemici di Capitanata al fine di stabilire i costi per eventuali giudizi che i soci - ed egli lo era - avessero intrapreso nei confronti del Ministero della Salute secondo la convenzione, infatti, il compenso da corrispondersi in ipotesi di transazione era esclusivamente determinato nella misura del 5% dell'importo riscosso a titolo di indennizzo. Gli avvocati ricorrenti negarono che al rapporto professionale fosse applicabile la convenzione perché non specificamente sottoscritta da L. e rappresentarono che in ogni caso la pattuizione violava i minimi tariffari. 2. Con l'ordinanza numero cronumero 5059/2018 del 16 maggio 2018, il Tribunale di Foggia ha rigettato la domanda ha affermato che la convenzione è applicabile al rapporto tra L. e gli avvocati ricorrenti perché può essere sussunta nella fattispecie di contratto con effetti protettivi verso terzi ex articolo 1411 c.c., e pertanto può ritenersi che gli effetti del negozio si estendano automaticamente in quanto favorevoli ai soci dell'associazione, in ragione della mera qualità di socio rivestita dagli stessi così nell'ordinanza . Per quel che qui ancora rileva, il Tribunale ha poi escluso l'inderogabilità dei minimi tariffari in forza dell'accordo perché per effetto dell'intervento normativo noto come “decreto Bersani”, fatto salvo l'obbligo di conclusione dell'accordo in forma scritta, è caduto il divieto di stabilire i compensi professionali a prescindere dalle griglie tracciate dal “tariffario forense” e di individuare nei beni e/o diritti in causa la fonte dalla quale attingere per soddisfare le pretese professionali dell'avvocato . 3. Avverso il decreto ha proposto ricorso per cassazione l'avvocato D.N. , affidandolo a tre motivi, a cui L.M. ha resistito con controricorso. L'avv. T. non ha svolto difese. Ragioni della decisione Preliminarmente deve escludersi la fondatezza dell'eccezione di litispendenza, sollevata dal controricorrente L. , per essere pendente dinanzi alla Corte d'appello di Bari l'appello dell'avv. T. avverso la stessa ordinanza resa dal Tribunale di Foggia, qui impugnata. In disparte la mancata prova dell'effettiva pendenza dell'appello dell'avv. T., deve considerarsi che l'ordinanza qui impugnata è stata resa dal Tribunale di Foggia D.Lgs. numero 150 del 2011, ex articolo 14, ed è, in conseguenza, non appellabile. Conseguentemente, opera nella fattispecie il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui non si versa in ipotesi di litispendenza nel caso in cui la medesima decisione sia impugnata con due diversi mezzi di gravame, nella specie l'appello e il ricorso per cassazione l'istituto della litispendenza è infatti finalizzato a impedire il simultaneo esercizio della funzione giurisdizionale sulla stessa controversia da parte di più giudici che abbiano competenza a decidere, per scongiurare il conflitto tra giudicati contrastanti quando, tuttavia, siano stati proposti avverso lo stesso provvedimento due diversi mezzi di impugnazione dei quali uno solo ammissibile perché previsto dalla legge, la litispendenza non è configurabile, perché unico giudice competente a decidere sull'impugnazione è il giudice dinanzi al quale è stato proposto il gravame ammissibile al contrario, il giudice dinanzi al quale sia stato proposto il mezzo non consentito deve limitarsi a dichiarare l'inammissibilità dell'impugnazione di cui è stato investito cfr. Cass. Sez. 3, numero 25452 del 06/12/2007 Sez. 3, numero 5069 del 03/03/2010 Sez. 3, numero 18312 del 27/08/2014 Sez. 2, numero 21434 del 19/7/2023 . 1. Con il primo motivo, l'avv. D. ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli articolo 1372 e 1411 c.c., in relazione dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, per avere il Tribunale considerato la convenzione del 2/3/2005 applicabile al rapporto professionale per cui è giudizio in quanto contratto con effetti protettivi verso i terzi ex articolo 1411 c.c. . In particolare, il Tribunale avrebbe violato il principio della cosiddetta relatività di efficacia dei contratti, accolto dal nostro codice civile nell'articolo 1372 c.c., secondo cui il contratto ha forza di legge tra le sole parti e non produce effetti nei confronti dei terzi se non nei casi previsti tassativamente dal legislatore avrebbe infatti ricostruito erroneamente in diritto la fattispecie perché, dopo aver qualificato la convenzione quale contratto con effetti protettivi verso terzi, ha contraddittoriamente ricondotto questa figura di elaborazione giurisprudenziale al contratto a favore dei terzi il contratto con effetti protettivi, invece, non sarebbe riconducibile alle ipotesi dell'articolo 1372 c.c., comma 2, perché assicura al terzo soltanto il diritto di chiedere il risarcimento del danno a titolo di responsabilità contrattuale, non di pretendere la prestazione, laddove per l'articolo 1411 c.c., la titolarità del diritto appartiene al terzo beneficiario, seppure non sia parte del contratto. 2. Con il secondo motivo, articolato in relazione dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, il ricorrente ha quindi sostenuto che il Tribunale avrebbe interpretato la convenzione quale contratto con effetti protettivi in favore di terzi in violazione degli articolo 1362 e 1363 c.c. in particolare, non avrebbe correttamente applicato il criterio logico-sistematico stabilito all'articolo 1362 c.c., comma 2 e articolo 1363 c.c., secondo cui il giudice deve desumere la volontà manifestata dai contraenti con un esame complessivo delle diverse clausole attinenti alla materia in contesa nella specie, invece, dalla qualificazione operata deriverebbe un risultato contraddittorio perché secondo lo schema del contratto con effetti protettivi, la protezione degli associati dovrebbe conseguire come effetto meramente riflesso, mentre la causa della convenzione è stata individuata proprio nella predeterminazione di un compenso legale a tariffa agevolata e, cioè, in un effetto diretto per il terzo associato che non è stato parte contraente. D'altro canto, sarebbe altresì esclusa la configurabilità di un contratto a favore di terzi perché la convenzione prevede l'assunzione diretta, da parte degli associati aderenti, di specifici obblighi di corresponsione del compenso ai difensori. 2.1. I due motivi - che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione - non conducono alla cassazione del provvedimento impugnato, sebbene la motivazione del Tribunale debba essere corretta. Innanzitutto deve puntualizzarsi che - come affermato in ordinanza pag. 3 penultimo capoverso - non è controverso che L.M. fosse socio dell'Associazione non risulta neppure che la convenzione non fosse applicabile alla fattispecie ratione temporis in tal senso l'eccezione non risulta proposta al Giudice del merito e, perciò, è preclusa in questa sede di legittimità per non essere più consentito alcun accertamento in fatto. Quel che dunque è stato stabilito dal Tribunale ma è ancora controvertibile è l'applicabilità della convenzione stipulata dagli avvocati T. e D. con l'Associazione al rapporto intercorso tra l'avv. D. ricorrente e L.M. . Sul punto, deve rilevarsi che il Tribunale, sebbene abbia qualificato la convenzione un contratto con effetti protettivi verso terzi, ha comunque considerato questa figura di negozio come riconducibile alla categoria del contratto a favore di terzo, ex articolo 1411 c.c., tanto da affermare esplicitamente che gli effetti del negozio si estendano automaticamente in quanto favorevoli ai soci dell'associazione, in ragione della mera qualità di socio rivestita dagli stessi . Le due censure, pertanto, non colgono nel segno, perché la sussunzione giuridica della convenzione per cui è giudizio nella specie di un contratto a favore di terzo ex articolo 1411 c.c., è immune da censure. Questa Corte ha, invero, da tempo risalente, già ricondotto all'articolo 1411 c.c., la convenzione tra sindacato e avvocato per la determinazione delle tariffe applicabili alle prestazioni rese in favore degli associati. In particolare, esaminando la questione dell'applicabilità di una convenzione stipulata fra un istituto di assistenza dei lavoratori e un avvocato, questa Corte ha rimarcato che la figura giuridica del contratto a favore di terzi, qual è delineata nell'articolo 1411 c.c., consiste nel contratto pur validamente concluso fra due soggetti e tuttavia rivolto, per dichiarato intento delle parti, ad attribuire un diritto, una potestà o comunque un vantaggio giuridicamente apprezzabile a un terzo soggetto che non ha partecipato nè direttamente nè indirettamente alla sua conclusione il terzo acquista, perciò, il diritto in forza del contratto stipulato da altri e non in virtù della sua accettazione, che ha l'unico effetto di rendere definitivo l'acquisto ove l'adesione intervenga prima dell'eventuale revoca del beneficio da parte dello stipulante Cass. Sez. 3, numero 4562 del 06/07/1983 da ultimo, Sez. 2, numero 26212 del 16/10/2019 . Per l'applicabilità della convenzione al rapporto tra l'avv. D. e L. , dunque, correttamente il Tribunale ha ritenuto unicamente rilevanti la qualità di associato di quest'ultimo e il fatto che il rapporto di prestazione d'opera professionale sia stato instaurato proprio sul presupposto di detta qualità per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, neppure è rilevante, al fine della validità del contratto ex articolo 1411 c.c., e della produzione dei suoi effetti in favore dei terzi, che questi ultimi siano stati preventivamente determinati, essendo sufficiente che con l'accordo siano stati fissati i criteri per la loro successiva determinazione. Cass. 4562/1983 cit., con numerosi richiami . Non conforme a diritto, invece, è la ricostruzione, offerta nell'ordinanza impugnata, del contratto con effetti protettivi e del contratto a favore di terzi in rapporto di specie e genere nel contratto con effetti protettivi verso terzi, oltre il diritto alla prestazione principale, è garantito e rimane esigibile un ulteriore diritto a che non siano arrecati danni a terzi che non siano stati parti contraenti conseguentemente, in caso di inadempimento della prestazione accessoria, in forza di tale contratto, può agire in responsabilità contrattuale non soltanto la parte contraente nella quale permanga un interesse attuale, ma anche e soprattutto il soggetto a protezione del quale è stata convenuta l'obbligazione Cass. Sez. 3, numero 11503 del 22/11/1993 Sez. 3 numero 14488 del 29/07/2004 e successive . Nel contratto a favore di terzi, invece, l'operazione economica è sin dall'origine sostanzialmente trilatera, perché il terzo riceve direttamente gli effetti della convenzione già costituita e operante come detto, la titolarità del rapporto fa sì capo ai contraenti, ma la titolarità del diritto appartiene al terzo beneficiario Cass. Sez. 2, numero 8766 del 30/03/2021 Sez. 3, numero 13661 del 24/12/1992 . In tal senso, allora, la motivazione deve essere corretta la convenzione è vincolante per le parti perché è un contratto a favore di terzo ed è accertato che L. è il terzo che poteva beneficiarne in quanto associato. 3. Con il terzo motivo, l'avvocato ha infine censurato l'ordinanza, in relazione dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, per motivazione apparente il Tribunale ha escluso che la convenzione salvaguardasse comunque l'inderogabilità dei minimi tariffari, rendendo sul punto una motivazione ellittica così in ricorso in quanto consistente soltanto nel richiamo alla previsione normativa dell'astratta derogabilità dei minimi dalle parti non avrebbe provveduto, però, all'interpretazione dell'accordo per verificare l'effettiva volontà derogatoria delle parti contraenti secondo la tesi prospettata a verbale dell'udienza di trattazione. 3.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile. L'ordinanza impugnata, al penultimo capoverso di pag. 2, ha evidenziato il sintagma verbale è utilizzato dal Tribunale che in convenzione gli avvocati - anche il ricorrente - e l'Associazione hanno stabilito, in forma scritta, che in caso di transazione il compenso in favore dello studio legale restava fissato nella misura del 5% riportando tra virgolette e in carattere corsivo il testo dell'accordo ha quindi escluso la fondatezza dell'eccezione di inderogabilità dei minimi tariffari in riferimento alla formulazione dell'articolo 2233 c.c., comma 2, come sostituito dal D.L. 4 luglio 2006, numero 223, articolo 2, comma 2-bis, conv., con modif., in L. 4 agosto 2006, numero 248, in sede di conversione. Con la sua censura, pertanto, il ricorrente non considera che, per principio affermato anche prima della riforma dell'articolo 360 c.p.c., e, dunque, già in riferimento alla precedente configurazione del vizio di motivazione Cass. Sez. 1, numero 12121 del 02/07/2004 , per considerare adeguata e sufficiente la motivazione adottata dal giudice di merito non è necessario che siano prese in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse. A ciò deve aggiungersi - e il motivo risulta per questo inammissibile - che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile e, soprattutto, utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione asseritamente inespressa e sulla sua decisività in ultimo, Cass. Sez. 3, numero 12131 del 08/05/2023 in tal senso, tuttavia, il ricorrente non ha evidenziato alcun elemento in fatto o in diritto non esaminato ma decisivo, per escludere la sussistenza della volontà derogatoria delle parti come riportata ed evidenziata nell'ordinanza impugnata. 4. Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna dell'avv. D. al rimborso delle spese processuali in favore di L. , liquidate in dispositivo in relazione al valore del credito preteso. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna D.N. al pagamento, in favore di L.M. , delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.