Si ha incertezza sul fatto che determina l’imputazione solo quando l’imputato non sia stato posto in grado di conoscere l’oggetto dell’addebito e l’attività materiale nei suoi profili storici essenziali in ordine alla quale viene chiamato a rispondere, risultando in tal modo preclusa o resa difficoltosa la possibilità di difesa […]
[…] Ne consegue che non è sufficiente a provocare la predetta incertezza e non può, quindi, dar luogo alla nullità una semplice indeterminatezza o imprecisione in ordine a circostanze che sono agevolmente desumibili dagli atti processuali e dalle quali non derivi un effettivo pregiudizio difensivo. Così ha stabilito il Tribunale di Bari in composizione monocratica, con la sentenza numero 2544 depositata il 18 luglio 2023. La questione affrontata dal Tribunale di Bari riguarda l'annosa questione relativa all'indeterminatezza dell'imputazione. In particolare, l'articolo 429 c.p.p. contempla, tra i requisiti formali del decreto che dispone il giudizio, l'enunciazione “in forma chiara e precisa” del fatto contestato e sanziona con la nullità del decreto il difetto di determinatezza o l'insufficienza dell'imputazione. In questi casi, secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, il GUP o il Giudice del dibattimento che ravvisi la genericità o l'indeterminatezza dell'imputazione, prima di dichiarare la nullità del decreto di citazione, deve chiedere al pubblico ministero di precisare o integrare la contestazione. In mancanza di questa sollecitazione, l'ordinanza con la quale si dichiara la nullità dell'atto e si dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero, è da ritenersi abnorme per la sua attitudine a determinare una indebita regressione del procedimento. Ma quando l'imputazione può dirsi indeterminata e generica? Al quesito risponde in maniera puntuale il Giudice monocratico del Tribunale di Bari con la sentenza in commento. Il fatto storico e l'imputazione oggetto di censura Nel procedimento dinanzi al Tribunale di Bari, la procura aveva contestato all'imputato la condotta prevista dall'articolo 368 c.p. perché «con atto di opposizione alla richiesta di archiviazione, datato il 3.7.2020 nr. […], indirizzate alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Militare di Roma, il Tribunale Militare di Napoli, il Tribunale di Roma, il Consiglio Superiore della Magistratura Sezione Disciplinare e il Ministero della Giustizia, attribuiva falsamente al Sostituto Procuratore della Repubblica dott. […] e al Giudice per le Indagini Preliminari dott.ssa […] la responsabilità penale in ordine ai reati di cui all'articolo 328 c.p. e 378 c.p.». In sede di udienza di discussione, l'imputato aveva eccepito la genericità ed indeterminatezza dell'imputazione, invocando la nullità dell'intero processo. Nella specie, egli ha eccepito che nel capo di imputazione sarebbe stata erroneamente riportata la definizione di «atto di opposizione alla richiesta di archiviazione» in luogo del corretto atto di reclamo ex articolo 410-bis c.p.p., in cui si era riversata di fatto la condotta criminosa contestata all'imputato. Tuttavia, rileva il Tribunale, a parte questo refuso riferito alla tipologia di atto costituente corpo del reato, tutti gli altri riferimenti, anche storici, inerenti la condotta addebitata all'imputato risultavano corretti. La Cassazione in tema di indeterminatezza dell'imputazione In tale contesto, il Tribunale, ripercorrendo le massime della Suprema Corte sul punto, rimarca che al fine di stabilire la determinatezza dell'imputazione occorre avere riguardo alla contestazione sostanziale ed escludere le dette nullità ogniqualvolta il prevenuto abbia avuto modo di individuare agevolmente gli specifici fatti con riferimento ai quali l'accusa è stata formulata. La indeterminatezza o genericità dell'imputazione è causa di nullità solo quando l'imputato non sia stato posto in grado di conoscere l'oggetto dell'addebito e l'attività materiale in ordine alla quale viene chiamato a rispondere e, dunque, è inibito in radice l'esercizio del diritto di difesa da parte del prevenuto. Inoltre, con specifico riferimento ai reati commessi a mezzo di documenti e/o scritti di qualsiasi genere, inoltre, la Cassazione ha ribadito che la mancata indicazione analitica dei documenti non determina genericità, purché essi siano facilmente individuabili in ragione del richiamo ad una categoria omogenea. Il rigetto dell'eccezione da parte del Tribunale Nel caso in esame — pur a fronte di un refuso grafico involgente il capo di imputazione —, non è dato rilevare né indeterminatezza, né genericità di entrambi i capi di imputazione, essendo storicamente ben enucleate tutte le condotte contestate al prevenuto, con indicazione, peraltro, dei documenti difensivi attraverso i quali si consumava la condotta di reato e relativa data di sottoscrizione. La determinatezza del capo di imputazione, difatti, ha consentito all'imputato di comprendere perfettamente la portata degli addebiti e di esercitare in pieno il proprio diritto di difesa. Tanto che egli, fino quasi all'ultimo giorno di udienza, ha acquisito e consultato ripetutamente, mediante continui accessi in Cancelleria, tutti gli atti del processo, tra i quali si colloca sicuramente anche il reclamo ex articolo 410-bis c.p.p. recante la sua firma la data del 3.7.2020 elementi, questi, richiamati nel capo di imputazione . Né la assunta indeterminatezza del capo di imputazione può desumersi dal mero lapsus commesso nell'indicazione del corpo di reato come «atto di opposizione alla richiesta di archiviazione», in luogo del diverso nomen iuris di «reclamo ex articolo 410-bis c.p.p.» appalesandosi autoevidente, sin dalla formulazione testuale dell'incolpazione, che detta contestazione intendeva riferirsi, nella sostanza, proprio al predetto reclamo, e tanto sulla base delle condotte espressamente addebitate all'imputato quanto in relazione alla data di sottoscrizione del documento. Pertanto, essendo chiaro l'addebito mossogli, in riferimento al fatto storico, quanto gli ulteriori e puntuali riferimenti contenuti nell'imputazione, di talché in alcun modo è stato violato il diritto di difesa, l'imputazione in esame deve ritenersi determinata e l'eccezione di nullità respinta.
Giudice Abbattista Svolgimento del processo Con decreto del 9.11.2021, il G.I.P. del Tribunale di Bari disponeva giudizio immediato nei confronti di M.P., dinanzi al Tribunale di Bari, in composizione monocratica, affinché lo stesso rispondesse dei reati di calunnia meglio indicati in rubrica. Detto procedimento perveniva all'Autorità Giudiziaria barese ex articolo 11 c.p.p., involgendo, quali persone offese, magistrati giudicanti e requirenti in servizio presso gli uffici giudiziari del Distretto di Corte di Appello di Campobasso. All'udienza del 22.12.2021, in cui l'imputato era presente e compariva in regime di arresti domiciliari, dichiarato aperto il dibattimento, in assenza di questioni preliminari, il Giudice ammetteva i mezzi di prova così come richiesti dalle parti, rinviando a udienza successiva per l'avvio dell'istruttoria. All'udienza del 9.2.2022 venivano acquisiti i seguenti documenti reclamo e contestuale richiesta di apertura delle indagini a firma di M.P. e annotazione a firma del Sostituto Procuratore della Repubblica di Isernia, dott. MA.G. cfr. verbale stenotipico di udienza . Dopodiché, venivano escussi i testi G.T., L. DE A., GI.F. infine, veniva acquisito agli atti processuali un video in originale e la relativa trascrizione, estrapolato, in data 5.10.2021, dal profilo Facebook dell'imputato. All'udienza del 7.4.2022 venivano acquisiti, su accordo delle parti, le trascrizioni depositate dalla difesa tecnica del M.P., nonché, tra l'altro, l'opposizione alla richiesta di archiviazione e contestuale istanza di remissione, il reclamo e documentazione allegata, tutti riferiti ai fatti riflessi in imputazione e meglio individuati nell'indice depositato dal Pubblico Ministero cfr. verbale stenotipico di udienza . Nel corso della medesima udienza, inoltre, veniva escusso il teste AN.B., mentre l'imputato si sottoponeva all'esame richiesto dalla difesa tecnica. Agli esiti di detta udienza, venendo ritenute attenuate le esigenze cautelari del caso concreto, la misura domiciliare in atto nei confronti del prevenuto veniva sostituita con quella dell'obbligo di presentazione alla P.G. L'udienza del 5.5.2022 veniva rinviata per l1egittimo impedimento del Giudice titolare. All'udienza del 22.9.2022 venivano ascoltati i testi S.V., V.P., M.C. e MA.G. altresì, la difesa tecnica dell'imputato depositava, previo consenso di controparte, documenti come da indice allegato cfr. verbale di udienza . All'udienza del 23.2.2023, revocata la misura cautelare in atto nei confronti dell'imputato, il Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, invitando le parti alla discussione. L'udienza veniva, dunque, aggiornata per repliche. All'udienza del 28.4.2023 l'originario difensore dell'imputato rinunciava al mandato, sicché il difensore subentrato richiedeva un breve rinvio. Il Giudice aggiornava il processo all'udienza al 4.5.2023. All'udienza odierna, previo rigetto, con ordinanze rese ed allegate al verbale di udienza, delle istanze di integrazione istruttoria presentate dalla difesa di M.P., perché prive dei presupposti di legge, l'imputato rendeva spontanee dichiarazioni e depositava memoria. Le parti rinunciavano alle repliche ed il Giudice, all'esito dell'udienza, dava lettura del dispositivo, riservando, nel termine di giorni novanta, il deposito della motivazione. Motivi della decisione Deve essere affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine alla commissione dei delitti ascrittigli in rubrica. La complessità, in fatto e diritto, della vicenda in esame induce il giudicante ad una articolata trattazione dei più significativi profili giuridici involgenti il presente giudizio per poi passare alle statuizioni di merito. 1. L'antefatto e le emergenze dell'istruttoria dibattimentale. La presente vicenda processuale trae le mosse dal reclamo ex articolo 410 bis c.p.p. - tale deve intendersi, per le ragioni tecniche che presto si indicheranno, il documento in esame, nonostante il refuso contenuto nel capo 1 della rubrica dove lo si indica come opposizione all'archiviazione -, presentato dall'odierno imputato, M.P. - carabiniere in servizio in Molise con il grado di Appuntato scelto all'epoca dei fatti -, in data 3.7.2020, avverso il provvedimento di archiviazione emesso in data 30.4.2019 dal G.I.P. del Tribunale di Isernia, dott.ssa SA.M., su richiesta del Pubblico Ministero, dott. MA.G., del procedimento penale numero 622/2018 R.G.N.R. iscritto in conseguenza della denuncia sporta dall'imputato contro il Brigadiere capo dei Carabinieri GI.F. capo 1 , nonché dall'opposizione e contestuale istanza di rimessione ex articolo 45,46,47,48 c.p.p. sottoscritta, in data 7.5.2021, dal medesimo odierno imputato avverso la richiesta di archiviazione proveniente dal Pubblico Ministero presso Tribunale di Isernia, dott. CA.F., procedimento penale numero 961/2020 R.G.N.R. originato dalla denuncia-querela sporta sempre dal M.P. contro il comandante della Stazione Carabinieri di omissis , PA.M. capo 2 . In particolare, nel capo 1 d'imputazione viene contestato all'imputato di aver affermato - nel documento in esame - che il Dott. MA.G., con il comportamento omissivo favoriva da un lato la discolpa degli indagati e dall'altro lato negava la giustizia all'odierno denunciante, lanciandolo in una spirale di vendetta dei superiori gerarchici, messa in campo con continui procedimenti disciplinari pagina 27 del reclamo ex articolo 410 bis c.p.p. del 3.7.2020 , nonché che la Dott.ssa SA.M., con quest'ultimo e con la P.G. delegata concorre e favorisce tutti i reati evidenziati pagina 30 del reclamo ex articolo 410 bis c.p.p. del 3.7.2020 . Nel capo 2 d'imputazione, invece, veniva contestato al M.P. di aver incolpato i magistrati in servizio presso la Procura della Repubblica di Isernia, nelle persone del dott. CA.F. Procuratore Capo della Repubblica , del dott. MA.G. e del dott. I. Sostituti procuratori , di aver agito, nell'ambito delle indagini scaturenti dalle numerose denunce dell'imputato, senza la dovuta imparzialità, perseguendo interessi propri pagine 5 e 6 dell'opposizione alla richiesta di archiviazione e contestuale istanza di rimessione ex articolo 45,46,47,48 c.p.p. del 7.5.2021 . Orbene, il presupposto storico-fattuale che fa solo da sfondo alle plurime incolpazioni dirette ai magistrati della Repubblica Italiana suddetti, odierne persone offese, è da rintracciarsi in relazione all'ordine di servizio emesso, in data 24.9.2016, dal Brigadiere Capo GI.F., in qualità di comandante interinale della Stazione Carabinieri di omissis , avente ad oggetto la gestione dell'ordine pubblico in omissis in occasione di un incontro di calcio dilettantistico. In detta occasione, infatti, M.P. veniva comandato per lo svolgimento del servizio di ordine pubblico sopra descritto, salvo successivamente rifiutarsi di firmare l'ordine di servizio emesso dal comandante dalla Stazione Carabinieri di omissis , comando territoriale dell'Arma cui l' App. se. M.P. apparteneva all'epoca dei fatti, avendo rilevato incongruità rispetto alle effettive modalità di svolgimento dell'attività comandata. Tali circostanze, quivi brevemente richiamate, sono state cristallizzate dall'istruttoria dibattimentale, dalla quale è emerso quanto di seguito meglio si esplicherà. La vicenda in esame, peraltro, si iscrive in un clima di sicura tensione generato in caserma e, di riflesso, nell'intera Compagnia Carabinieri cui l'App. se. M.P. metteva capo. Al fine di lumeggiare adeguatamente detto contesto - peraltro rimarcato plasticamente dall'escussione degli ufficiali superiori del M.P., i quali attribuivano a quest'ultimo la relativa responsabilità-, appare opportuno ricordare che già nell'udienza del 9.2.2022 il teste del Pubblico Ministero, Luogotenente dei Carabinieri G.T., militare mettente capo alla sezione di P.G., riferiva di aver svolto, su delega della Procura barese, la trascrizione di un video acquisito dal profilo Facebook dell'imputato presso l'URL omissis ed ivi pubblicato, in data 5.10.2021 alle ore 16.46, anch'esso acquisito, unitamente alla relativa trascrizione, e su consenso delle parti, agli atti del procedimento. A titolo esemplificativo, con riguardo al tenore della riproduzione descritta, se ne riporta uno stralcio involgente le dichiarazioni del M.P. siccome io nella mia abitazione conservo delle registrazioni che inchiodano diversi Ufficiali dei Carabinieri nonché Sottufficiali allora temo che mi vogliano perquisire casa per far sparire tutto il materiale che li possa accusare dopo che i Signori Pubblici .Ministeri hanno disatteso le indagini e non hanno fatto quello che dovevano fare. Adesso mi sento in pericolo anche di vita. Perché queste persone devono stare lontane anche da me. Sono coinvolti personalmente fino al Comandante ex Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri N.G. e anche il nuovo Comandante Generale . Nessun dubbio residua rispetto alla genuinità della trascrizione effettuata, con dovuta perizia, in maniera pedissequa e tale da riportare fedelmente quanto effettivamente dichiarato dal prevenuto nell'ambito del video pubblicato sulla sua personale bacheca Facebook. Peraltro, il Luogotenente Toscano, senza intenti calunniatori, si è limitato a riferire quanto oggetto del suo patrimonio cognitivo, direttamente derivante dallo svolgimento di attività strettamente tecnica. I testi della difesa, anch'essi appartenenti all'Arma dei Carabinieri, riferivano, invece, in relazione al servizio di ordine pubblico svolto, in data 24.9.2016, in occasione dell'incontro di calcio dilettantistico omissis -Tre Pini Matese tenutosi presso lo stadio di omissis , riportando i dettagli della vicenda che aveva visto coinvolto anche il M.P. In particolar modo, il teste Maresciallo L. DE A., all'epoca dei fatti comandante presso la Stazione Carabinieri di omissis , riferiva di aver richiesto, in occasione del predetto incontro di calcio, un rinforzo al comune Comando di Compagnia, in conseguenza del quale giungevano, dalla Stazione di omissis , l'App. AN.B. e l'odierno imputato. Il teste, inoltre, precisava di aver redatto l'ordine di servizio riferito ai miei militari, quelli che sono effettivi alla stazione di omissis , mentre l'ordine di servizio riferito agli App.ti BU. e M.P. non veniva redatto da lui, essendo stati i predetti inviati di rinforzo dalla Compagnia Carabinieri di omissis . Il teste Maresciallo GI.F., comandante interinale della Stazione di omissis all'epoca dei fatti, poi, riferiva di aver ''fatto prima il memoriale del servizio. Poi a seguito del memoriale di servizio venne redatto l'ordine di servizio, per, appunto l'espletamento del turno di ordine pubblico in omissis , sempre ambito Compagnia di omissis , dunque precisava di ricordare che, in detta occasione, il M.P. non firmava l'ordine di servizio per tale motivo, lo stesso dichiarante aveva informato di quanto accaduto l'ufficiale comandante di Compagnia. In data 7.4.2022, invece, veniva ascoltato il teste Appuntato scelto AN.B., il quale, avendo prestato servizio unitamente al M.P. in occasione del servizio di ordine pubblico già descritto, riferiva delle vicende successive, da cui sarebbero poi scaturite le denunce dell'odierno imputato a carico di F. e P. In particolar modo, questi narrava che io dissi al collega PI. 'PI., firma questo ordine di servizio che ce ne andiamo abbiamo finito'. Disse 'No, per ora non lo voglio firmare AN., perché voglio fare delle considerazioni'. In effetti, quando successivamente il F. richiedeva l'ordine di servizio, al fine di consegnarlo al Capitano GI., ufficiale comandante della Compagnia, il BU. si metteva in contatto con il M.P., al quale diceva PI., senti io qua c'ho il Brigadiere F., che ha portato l'ordine di servizio ma tu, come dicesti a me, che volevi fare delle considerazioni, che cosa ci vuoi scrivere qua? Lui dettò alcune cose , considerazioni che il BU. si preoccupò di trascrivere a penna in calce all'ordine di servizio, prima della consegna, ed in assenza di sottoscrizione da parte del M.P. Tale ricostruzione della vicenda veniva confermata, altresì, dagli ulteriori testi, Tenente colonnello S.V., Luogotenente V.P. e Colonnello M.C., quest'ultimo Comandante Provinciale dei Carabinieri all'epoca dei fatti. Il teste Maggiore MA.G., all'epoca dei fatti comandante, con il grado di Capitano, della Compagnia Carabinieri di omissis , esponeva in merito alla mancata firma dell'ordine di servizio, che io avrei dovuto procedere per disobbedienza nei confronti dell'appuntato M.P. se avessi avuto la convinzione che l'appuntato M.P. non firmava quell'ordine di servizio perché non voleva firmarlo per motivi strani. Io non ho proceduto, perché mancava l'elemento psicologico, perché l'appuntato M.P. in quel momento era convinto di non doverlo firmare. Ed io da buon comandante, perché nei nostri compiti c'è anche quello di ammaestrare ed istruire il personale, mi recai alla stazione di omissis e spiegai regolamenti alla mano, a partire dal regolamento generale e da quelli seguenti, dal T.U.O.M. o dal C.O.M, spiegai all'appuntato M.P. perché lui doveva compilare e firmare quell'ordine di servizio. Quindi non c'è stata né azione disciplinare né penale su questa cosa , aggiungendo che il M.P. non ha mai firmato il predetto documento. Il Maggiore GI., peraltro, riferiva del clima di tensione creatosi all'interno della Stazione Carabinieri di omissis a causa della frequenza con cui il M.P. rilevava, anche per iscritto, supposte omissioni da parte dei colleghi e superiori è un reparto dove si lavora e qualche dimenticanza si può anche fare. Poi se viene rilevata, viene sanzionata puntualmente, come è avvenuto. Però, voglio dire, vivere con questa paura aveva completamente ingessato il reparto. L'attività operativa era calata, il reparto viveva solamente la preoccupazione di non essere denunciato dall'appuntato M.P. E questo potete chiederlo a tutti i dipendenti della stazione di omissis in quel periodo . In sede di esame dibattimentale, l'imputato rilevava, ancora una volta, l'illegittimità dell'ordine di servizio predetto ed esplicava le motivazioni che lo avevano indotto a contestarlo, nonché a differirne la firma, invero mai apposta. Le predette emergenze dibattimentali, che si apprezzano in ogni caso per coerenza, linearità e non contraddittorietà, essendo, tra l'altro, corroborate da plurime fonti documentali confluite nell'incartamento processuale su impulso di entrambe le parti, tuttavia, cristallizzavano il contesto storico che determinava l'origine della condotta penalmente rilevante invece contestata in rubrica a M.P. L'odierno giudicante, infatti, pur prendendo atto del fatto storico, sinteticamente quivi richiamato, deve rilevare che l'odierno procedimento verte sulle invettive ed accuse esplicite di reato rivolte dall'imputato a magistrati della Repubblica Italiana, i quali, come pure l'istruttoria poneva in luce, restano avulsi dalle dinamiche interne all'ambiente militare censurate dal M.P. a mezzo delle denunce-querele che davano la stura ai procedimenti penali innanzi ai magistrati successivamente calunniati. Le espressioni - che si traducono nell'attribuzione di fatti di reato agevolmente qualificabili in diritto - rivolte da M.P. alle odierne persone offese e consacrate in atti di reclamo ed opposizione all'archiviazione diretti all'Autorità Giudiziaria, infatti, sono ictu oculi slegate - naturalisticamente e storicamente - dal clima di tensione creatosi - e sicuramente alimentato dallo stesso M.P. - all'interno della caserma di appartenenza del militare e della Compagnia Carabinieri di riferimento, nonché dai singoli episodi rilevati dal prevenuto tra cui la nota vicenda dell'ordine di servizio relativo all'incontro di calcio , dal momento che l'imputato incolpava espressamente i magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari di Isernia di omissione di atti d'ufficio e favoreggiamento personale, in tal modo concorrendo negli asseriti reati e/o agevolando i militari da egli stesso denunciati capo 1 di imputazione , ovvero di abuso di ufficio, per non aver osservato, nello svolgimento delle proprie funzioni giurisdizionali, la richiesta imparzialità, perseguendo interessi propri capo 2 di imputazione . 2. Sulla asserita genericità ed indeterminatezza dell'imputazione infondatezza del motivo di doglianza. In sede di udienza di discussione del 23.2.2023 e poi nell'udienza del 4.5.2023, la difesa tecnica dell'imputato, depositando due distinte memorie, ha eccepito la genericità ed indeterminatezza dell'imputazione, invocando la nullità dell'intero processo. Altrettanto faceva M.P. in sede di spontanee dichiarazioni. Trattasi, per vero, di censura rivolta, al limite, ad imprecisioni grafiche contenute nel solo capo 1 dell'imputazione, in cui viene erroneamente denominato, per evidente refuso, come opposizione all'archiviazione un atto di reclamo ex articolo 410 bis c.p.p. Ed infatti, in relazione al successivo capo di imputazione, si legge a pag. 3 della memoria depositata il 23.2.2023 dal difensore dell'imputato che con riferimento a questo secondo capo di imputazione è astrattamente possibile - leggendo le indicate pagine dell'atto di opposizione all'archiviazione - risalire a quelle che sembrerebbero essere le condotte contestate all'imputato quindi la stessa difesa tecnica spostava l'attenzione sui profili di merito piuttosto che sulle asserite patologie processuali. Deve rilevarsi sul punto che, a guisa di costante giurisprudenza di legittimità, al fine di stabilire la determinatezza dell'imputazione occorre avere riguardo alla contestazione sostanziale ed escludere le dette nullità ogniqualvolta il prevenuto abbia avuto individuare agevolmente gli specifici fatti con riferimento ai quali l'accusa è stata formulata in tali termini, ex multiis, Cass., sez. V, numero 3407/2004 depositata il 2.2.2005 , di talché si ha incertezza sul fatto che determina l'imputazione solo quando l'imputato non sia stato posto in grado di conoscere l'oggetto dell'addebito e l'attività materiale nei suoi profili storici essenziali in ordine alla quale viene chiamato a rispondere, risultando in tal modo preclusa o resa difficoltosa la possibilità di difesa ne consegue che non è sufficiente a provocare la predetta incertezza e non può, quindi, dar luogo alla nullità una semplice indeterminatezza o imprecisione in ordine a circostanze che sono agevolmente desumibili dagli atti processuali e dalle quali non derivi un effettivo pregiudizio difensivo in tal senso Cass., sez. I, numero 297/'90 . Pertanto, la indeterminatezza o genericità dell'imputazione è causa di nullità solo quando l'imputato non sia stato posto in grado di conoscere l'oggetto dell'addebito e l'attività materiale nei suoi profili storici essenziali in ordine alla quale viene chiamato a rispondere e, dunque, è inibito in radice l'esercizio del diritto di difesa da parte del prevenuto, non ponendolo nella condizione di scegliere la linea difensiva da assumere rispetto alla contestazione generica e, cioè, quando vengano in luce circostanze non agevolmente desumibili dagli atti processuali e dalle quali derivi un effettivo pregiudizio difensivo. Con specifico riferimento ai reati commessi a mezzo di documenti e/o scritti di qualsiasi genere, inoltre, la Cassazione ha ribadito che la mancata indicazione analitica dei documenti non determina genericità, purché essi siano facilmente individuabili in ragione del richiamo ad una categoria omogenea cfr. Cass., sez. III, numero 20858/2017 . Nel caso che ci occupa - pur prendendo atto di un refuso grafico involgente il capo 1 di imputazione -, non è dato rilevare né indeterminatezza, né genericità di entrambi i capi di imputazione, essendo storicamente ben enucleate tutte le condotte contestate al prevenuto, con indicazione, peraltro, dei documenti difensivi - attraverso i quali si consumava la condotta di reato - e relativa data di sottoscrizione, nonché delle pagine ove venivano riportate le affermazioni ritenute calunniatorie in seguito alle quali è nato il presente procedimento penale. La determinatezza dei capi di imputazione, come affermata, ha consentito, pertanto, al prevenuto - che ha acquisito e consultato ripetutamente, mediante continui accessi in Cancelleria svoltisi sin quasi all'ultimo giorno di udienza, tutti gli atti del processo tra i quali si colloca sicuramente anche il reclamo ex articolo 410 bis c.p.p. recante la sua firma autografata e la data del 3.7.2020 quale richiamato nel capo 1 della rubrica oltre che l'opposizione all'archiviazione con istanza di rimessione di cui al capo 2 della rubrica atti certamente versati ed indicizzati dal P.M. nell'udienza del 7.4.2022 1 ,- di comprendere perfettamente la portata degli addebiti e di esercitare in pieno il proprio diritto di difesa - peraltro analiticamente sviluppato, nel merito, nelle pagg. 3-39 della memoria depositata in data 23.2.2023 ed allegata al relativo verbale di udienza - ovvero di assumere una linea difensiva che è risultata ben delineata e calibrata nel corso dell'intera attività istruttoria, volta ad accertare - con terzietà ed obiettività - il contesto che accompagnò la gestazione e la stesura delle espressioni lesive rivolte ai magistrati coinvolti nelle indagini scaturenti dalle vicende occorse all'interno dell'ambiente militare in cui operava il M.P., pure sinteticamente qui richiamate. Né la assunta indeterminatezza del capo 1 di imputazione può desumersi dal mero lapsus calami commesso nell'indicazione del corpo di reato come atto di opposizione alla richiesta di archiviazione , in luogo del diverso nomen iuris di reclamo ex articolo 410 bis c.p.p. , appalesandosi autoevidente, sin dalla formulazione testuale dell'incolpazione, che detta contestazione intendeva riferirsi, nella sostanza, proprio al predetto reclamo, e tanto sulla base delle condotte espressamente addebitate all'imputato e della data di sottoscrizione del documento. D'altronde M.P. è il materiale estensore, nel reclamo ex articolo 410 bis c.p.p., delle frasi contenute a pag. 27 e 30 dell'atto predetto, quindi ne conosceva da principio la portata antigiuridica. Si rileva, in proposito, che risulta corretta persino la data del 3.7.2020 riportata in imputazione dell'atto attraverso il quale M.P., a sua firma e dopo essersi qualificato come militare dell'Arma dei Carabinieri , rivolgeva frasi lesive dell'integrità professionale dei magistrati dott. MA.G. e dott.ssa SA.M., ai quali dedicava persino due paragrafi dal titolo esplicito ed inequivoco a pag. 22, Responsabilità penali del Procuratore della Repubblica dott. MA.G. , ed a pag. 27, Responsabilità penali del Giudice per le Indagini Preliminari dott.ssa SA.M. . M.P., inoltre, ad onta di quanto sostenuto anche in sede di spontanee dichiarazioni, ha avuto ampiamente modo di dipanare ogni possibile dubbio circa la fondatezza dell'accusa rivoltagli nel capo 1 dell'imputazione, giacché risulta versato nell'incartamento processuale cui egli ha avuto ripetutamente accesso anche il differente atto di opposizione alla richiesta di archiviazione nel proc. penumero numero 622/2018 R.G.N.R., redatto dall'avv. Marco Marinelli nella diversa data del 13.12.2018 mai indicata in imputazione e composto da sole cinque pagine, nonché il documento contenente Motivi aggiunti all'atto di opposizione alla richiesta di archiviazione , redatto dall'avv. Paolo Palma in data 3.4.2019 del pari mai indicata in imputazione composto da due sole pagine il che dissolve anche le incertezze residue del prevenuto sul reale atto contestato in rubrica dove si fa riferimento alle pagine 27 e 30 sicuramente assenti nel documento di opposizione all'archiviazione e relativa integrazione. Ne consegue che ogni eccezione di indeterminatezza del capo di imputazione ed il tentativo del prevenuto di attribuire le frasi lesive dell'integrità professionale dei magistrati al diverso autore del differente atto di opposizione all'archiviazione appaiono solo pretestuose e strumentali. Deve, pertanto, rigettarsi detta preliminare eccezione difensiva perché tecnicamente destituita di ogni fondamento. 3. I profili di merito Come noto, l'articolo 368 c.p., disciplinante il delitto di calunnia, sanziona la condotta di chi, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato. Emerge, dunque, il carattere plurioffensivo del delitto de quo, in relazione al quale si è affermato che lo Stato assume la posizione di soggetto passivo primario ma non esclusivo, giacché l'offesa colpisce anche l'onore dell'incolpato, bene proprio del privato, tutelato dalla stessa norma. Pertanto, nel caso del delitto in questione, vi è immedesimazione nella stessa persona delle due posizioni di danneggiato e di offeso dal reato cfr. Cass., sez. VI, numero 49740/2017 . Il delitto di calunnia è reato di pericolo, poiché ad integrarne gli estremi è sufficiente la possibilità dell'inizio di un procedimento penale a carico della persona falsamente incolpata. Tale assunto trova fondamento nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui è sufficiente la astratta possibilità di inizio di un procedimento penale sul punto, si veda, ex plurimis, Cass., sez. VI, numero 10282/2014 . Inoltre, quanto all'elemento oggettivo del reato in analisi, va osservato che non è necessaria per la configurabilità della fattispecie una denuncia in senso formale, essendo sufficiente che taluno, rivolgendosi in qualsiasi forma a soggetto obbligato a riferire all'Autorità giudiziaria, esponga fatti concretanti gli estremi di un reato e li addebiti a persona di cui conosce l'innocenza cfr. Cass., sez. IV, numero 12076/2020 . Il che vale, a maggior ragione, per i fatti esposti in atti espressamente diretti all'Autorità giudiziaria. Né rileva la definizione giuridica attribuita dall'agente al reato, dovendosi aver riguardo al fatto, che si addebita all'innocente, quale emerga dall'insieme delle circostanze esposte in denuncia e integrativamente, se del caso, in successivi atti giudiziari cfr. Cass., sez. VI, numero 10017/'85 . Si è pure precisato nella giurisprudenza di legittimità che l'elemento materiale del delitto di cui all'articolo 368 c.p. consiste nell'incolpare falsamente taluno di un reato, di un fatto cioè che, alla stregua della prospettazione fattane dall'agente, corrisponda in ogni suo estremo ad una ben determinata fattispecie legale di delitto o di contravvenzione, di guisa che non si può ravvisare il delitto di calunnia nel fatto di colui che, denunziandola all'Autorità giudiziaria o ad altra che a questa abbia obbligo di riferire, attribuisca ad una persona una condotta non corrispondente ad alcuna fattispecie legale di reato e tanto finanche quando il denunziante abbia dato un preciso nomen juris al fatto addebitato all'incolpato e si sia proposto di provocare l'apertura di un procedimento penale nei suoi confronti. Il reato di calunnia è, altresì, integrato se il denunciante non si limita alla enfatizzazione dei fatti narrati o alla loro ricostruzione con modalità particolarmente allarmanti, ma compia una descrizione nella quale denunci un fatto che incide sull'essenza degli illeciti denunciati e sulla qualificazione giuridica della condotta dell'accusato cfr. Cass., sez. VI, numero 9874/2016 . La formulazione della fattispecie incriminatrice richiede, inoltre, sotto il profilo subiettivo, la rappresentazione e volontà, da parte dell'agente, che il soggetto falsamente incolpato sia, invero, innocente. A tal proposito, in giurisprudenza si è chiarito che, ove manchi nell'agente la certezza dell'innocenza dell'incolpato, il fatto stesso non può ritenersi offensivo dell'interesse tutelato dalla norma penale. Difatti, il nocumento di tale interesse, attinente al pericolo di deviazioni nell'amministrazione della giustizia, è correlato dalla norma non già a qualsiasi denuncia che risulti in prosieguo infondata, ma ad una incolpazione orientata a procurare siffatta deviazione in forza della consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato cfr., ex plurimis, Cass., sez. II, numero 46258/2019 cfr., altresì, Cass., sez. VI, numero 12209/2020 . Peraltro, la prova dell'elemento soggettivo può desumersi dalle concrete circostanze e modalità esecutive dell'azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà di un'accusa mendace nell'ambito di una piena rappresentazione del fatto attribuito all'incolpato cfr. Cass., sez. VI, numero 10289/2014 . Si è, quindi specificato che, in tema di calunnia, l'erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude il dolo del denunciante, a condizione che vi siano state un'effettiva verifica o una corretta rappresentazione dei fatti storici su cui l'errore si è fondato, in quanto l'ingiustificata attribuzione come vero di un fatto di cui non si è accertata la realtà presuppone la certezza della sua non attribuibilità sic et simpliciter all'incolpato in termini Cass., sez. VI, numero 26819/2012, Rv. 253106 - 01 . È stato, inoltre, evidenziato che in tema di calunnia, non sussiste il dolo quando la falsa incolpazione consegue ad un convincimento del/ 'agente in ordine a profili essenzialmente valutativi o interpretativi della condotta denunciata, sempre che tale valutazione soggettiva non risulti fraudolenta o consapevolmente forzata in termini Cass., sez. VI, numero 37654/2014 . In particolar modo, con riferimento all'esercizio del diritto di difesa, la giurisprudenza di legittimità ha rimarcato che ai fini della configurabilità dell'elemento soggettivo del delitto di calunnia è irrilevante la circostanza di avere agito nell'espletamento del mandato difensivo, quando la redazione di un atto giudiziario contenga la falsa incolpazione di un magistrato per uno o più reati, esorbitando dai limiti funzionali posti dalla legge al corretto esercizio del diritto di difesa in tali termini, Cass., sez. VI, numero 34821/2009 . Invero, pronunciatasi a più riprese sul tema del rapporto tra esercizio del diritto di difesa ed accuse calunniatorie, la Corte di legittimità ha precisato che commette il reato di calunnia chi non si limiti a ribadire la insussistenza delle accuse a lui addebitate, ma assume ulteriori iniziative dirette ad attribuire intenzionalmente a terzi, che sappia innocenti, la commissione di reati cfr. Cass., sez. II, numero 14761/2017 cfr., altresì, ex plurimis, Cass., sez. II, numero 17705/2022 Cass., sez. VI, numero 14385/1991 . Le condotte ascritte in rubrica al prevenuto si iscrivono sicuramente nel paradigma normativo fondante la tipicità penale del delitto di calunnia ex articolo 368 c.p., atteso che M.P., attraverso l'impiego improprio e strumentale dei rimedi processuali posti a tutela dei diritti difensivi - id est i mezzi impugnatori e di censura degli atti giudiziari -, senza rivolgere alcuna approfondita o fondata censura tecnico-giuridica ai provvedimenti giudiziari impugnati od al relativo procedimento e travalicando i limiti espositivi connaturati all'esercizio del diritto di difesa, attribuiva specifici fatti di reato a persone, rivestenti importante profilo istituzionale, estranee alle dinamiche interne all'ambiente militare in cui egli operava - costituito da superiori gerarchici rispetto ai quali l'imputato si professa in buona fede-, sapendole assolutamente innocenti 2 . In particolar modo, con riferimento al capo 1 d'imputazione, il reo impiegava lo strumento processuale del reclamo ex articolo 410 bis c.p.p. - previsto dal legislatore per consentire all'interessato di impugnare il provvedimento di archiviazione, limitatamente ai vizi di forma o strettamente tecnici indicati dalla norma medesima-, al fine non già o non solo di censurare la correttezza tecnica dell'iter procedimentale seguito, ma piuttosto di criticare pesantemente l'operato dei magistrati firmatari della richiesta di archiviazione e del provvedimento consequenziale, accusando costoro della commissione di reati senza un'effettiva verifica preventiva o corretta rappresentazione dei fatti storici su cui il presunto errore si sarebbe fondato e, dunque, senza accertare la reale esistenza del fatto-reato attribuito a persone innocenti. Più specificatamente, nella vicenda in esame, nell'ambito del procedimento penale iscritto in conseguenza della denuncia e discendente dai fatti correlati al servizio d'ordine relativo all'incontro di calcio dilettantistico omissis -Tre Pini Matese del 24.9.2016, il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Isernia, dott. MA.G., formulava richiesta di archiviazione che veniva accolta dal G.I.P., dott.ssa SA.M., la quale, in data 30.4.2019, emetteva il relativo provvedimento all'esito di opposizione ed a seguito dell'udienza camerale fissata ex articolo 410 c.p.p. Il M.P. spiegava reclamo ex articolo 410 bis c.p.p. avverso il provvedimento di archiviazione, deducendone la nullità, e richiedeva l'apertura delle indagini. Al contempo egli, all'interno dello stesso reclamo, e cioè di un atto sicuramente rivolto all'Autorità Giudiziaria, denunciava i magistrati e gli ufficiali di P.G. delegati al compimento delle indagini nel richiamato procedimento, sostenendo che tanto il Pubblico Ministero quanto il Giudice per le indagini preliminari avessero tenuto un contegno omissivo pur di non compiere approfondimenti investigativi sui fatti costituenti oggetto di denuncia e di avere costoro in tal modo favorito militari invisi al reclamante in modo da consentire a costoro di eludere le investigazioni. Appare, dunque, indubbio che con la condotta sub 1 il M.P., estensore e firmatario del reclamo del 3.7.2020, travalicando il limite di continenza connaturato al legittimo ed inviolabile esercizio del diritto di difesa, accusava di fatti di reato i magistrati MA.G. e SA.M. - ai quali vengono evidentemente attribuiti i reati di omissione di atti di ufficio e favoreggiamento personale, rispettivamente tipizzati nell'articolo 328 c.p. e nell'articolo 378 c.p. -, sulla base di proprie personali congetture piuttosto che della rappresentazione di vizi tecnico-giuridici inficianti il provvedimento costituente oggetto di reclamo con ciò attivando una valutazione soggettiva che non può che ritenersi fraudolenta o consapevolmente forzata, per riprendere le espressioni della Suprema Corte vedasi supra . Così facendo egli affermava, al contempo, il censurabile principio - proprio del suo modo di rapportarsi all'analisi dei provvedimenti giurisdizionali - secondo il quale è sufficiente non vedersi riconoscere ragione da un magistrato nell'ambito di una controversia giudiziaria in cui si è convinti di averne per accusarlo impunemente della commissione di un reato. Né la circostanza che M.P. fosse interiormente convinto di essere stato destinatario di ordini illegittimi da parte dei suoi superiori gerarchici, ed in particolare del Brigadiere F., consente di ritenere, in uno Stato di diritto, che egli possa liberamente accusare di reati i magistrati, i quali, nell'esercizio delle loro funzioni istituzionali e sulla base degli atti in loro possesso, hanno escluso la sussistenza, a carico del sottufficiale, del reato di abuso di ufficio di questo, infatti, si trattava , motivandone le ragioni. Giacché l'obbligo di motivazione, consacrato nell'articolo 111 Cost., rappresenta il presidio costituzionale di garanzia dell'attività giudiziaria e pone, al contempo, le basi per l'affermazione, nei provvedimenti giurisdizionali, del principio di diritto involgente il caso concreto ovvero per la articolazione di possibili doglianze tecniche - e non di contumelie e calunnie, secondo il limite della continenza - da parte dell'interessato. Soprattutto, il M.P. non può invocare buona fede alcuna in suo favore in quanto, lungi dal censurare sul piano tecnico-giuridico o procedimentale il provvedimento giudiziario costituente oggetto di reclamo - cosa assolutamente legittima -, egli, persuaso della malafede dei suoi superiori e senza alcuna adeguata analisi tecnica degli atti del procedimento, accusa esplicitamente i magistrati intervenuti - persone sicuramente estranee all'ambiente militare in cui sarebbero stati posti in essere gli atti ritenuti illeciti o illegittimi, alle quali dedica appositi paragrafi nominativi del proprio scritto - della commissione di fatti specifici costituenti reato, con ciò traslando in capo a costoro, sulla base di una propria personalissima applicazione della proprietà transitiva, la malafede attribuita ai suoi commilitoni. Altrettanto dicasi con riferimento alla condotta contestata al capo 2 d'imputazione, dal momento che il prevenuto impiegava lo strumento dell'opposizione alla richiesta di archiviazione oltre che della rimessione del procedimento, accusando espressamente i magistrati inquirenti CA.F., MA.G. e I. di aver agito, nell'ambito delle indagini scaturenti dalle numerose denunce sporte dall'odierno imputato - il quale si riteneva leso nel suo diritto di esercitare l'accesso agli atti dell'ufficio -, senza la dovuta imparzialità e perseguendo interessi propri. Nel caso concreto, la denuncia era stata presentata nei confronti di PA.M., comandante della Stazione Carabinieri di omissis , accusato di omissione di atti di ufficio, e nel relativo procedimento numero 961/2020 R.G.N.R. , il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Isernia, dott. CA.F., avanzava richiesta di archiviazione. Tale procedimento veniva poi riunito per connessione con altri procedimenti, confluendo in quello contrassegnato dal numero 273/2019 R.G.N.R. per tutti, i Pubblici Ministeri, coassegnatari dei fascicoli dott. A.I. e dott.ssa M.C.A. , richiedevano motivatamente l'archiviazione. Il 7.5.2021, oltre all'opposizione alla richiesta di archiviazione, il M.P. presentava istanza di rimessione ex articolo 45,46,47 e 48 c.p.p., contestando, tra l'altro, al dott. MA.G., già denunciato dal M.P. pagg. 5-6, 9 dell'atto , dì essere persona interessata dai fatti, ciò che inficerebbe il corretto espletamento dell'attività giudiziaria , al dott. Fucci dì essere divenuto incompatibile con qualunque altro procedimento che lo riguardasse per aver presentato in questo richiesta di archiviazione, al dott. I. carenza di imparzialità e di obiettività nella conduzione delle indagini. Veniva, in sostanza, addebitata dal M.P. ai magistrati appena menzionati, accusati di non astenersi e di perseguire intenzionalmente interessi propri, la commissione del delitto di abuso d'ufficio dì cui all'articolo 323 c.p. Sul punto, non possono che richiamarsi le superiori considerazioni, giacché la umana delusione del M.P. per provvedimenti giudiziari non graditi e la sua asserita amarezza per le condotte vessatorie subìte in caserma non possono legittimarlo, in assoluto difetto di analisi e seria censura tecnica degli atti, ad accusare di parzialità e della commissione di gravi reati i magistrati intervenuti solo per avere costoro motivatamente disatteso le sue aspettative. Ne consegue l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato per tutte le condotte riflesse nei capi 1 e 2 d'imputazione. 4. La continuazione criminosa ed il trattamento sanzionatorio. E' da ritenere che il prevenuto abbia posto in essere tutte le condotte descritte, assolutamente omogenee - trattasi di più calunnie in danno dì ben cinque magistrati - nell'ambito di un medesimo disegno criminoso preesistente ex ante nell'ideazione dell'agente sin dall'atto della prima condotta calunniatoria queste, pertanto, devono reputarsi avvinte dal vincolo della continuazione criminosa interna , ex articolo 81 cpv. c.p. cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, numero 13611/2011, alla cui stregua l'accertamento circa l'esistenza di un medesimo disegno criminoso tra più reati, tra i quali si asserisca il vincolo di continuazione, deve essere riferito al momento dell'ideazione e deliberazione del primo dei reati in senso cronologico, a nulla rilevando che questo abbia avuto una reiterazione in più episodi nel corso di un ampio arco di tempo . A fronte di condotte connotate da analogo disvalore giuridico, la pena base sarà parametrata sulla prima di esse in ordine cronologico. Non possono essere riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche ex articolo 62 bis c.p. In particolare, il prevenuto, graduato dell'Arma dei Carabinieri in servizio all'epoca dei fatti, risulta avere aggredito, con le sue condotte reiterate, l'integrità professionale di altri rappresentanti delle istituzioni della Repubblica Italiana al cui servizio egli stesso operava, avendo prestato giuramento di fedeltà di tal guisa, egli poneva in discussione l'imparzialità e l'onestà di magistrati chiamati ad amministrare la giustizia sul territorio ed, in quanto tali, soggetti solo alla legge come espressamente previsto dall'articolo 101, co. II, Cost. Nel corso delle spontanee dichiarazioni rese in dibattimento, inoltre, lo stesso imputato ha continuato ad attaccare, con nome e cognome, gli organi inquirenti titolari del procedimento iscritto a suo carico presso gli uffici giudiziari baresi ex articolo 11 c.p.p., presentandosi quale vittima del loro operato e senza mostrare alcuna forma di resipiscenza, né rispetto per le istituzioni dello Stato come se la macchina giudiziaria funzionasse al fine esclusivo di danneggiare e perseguire la sua persona anziché di amministrare la giustizia, tutelando le persone offese da reato e giudicando i responsabili. Viene, dunque, in luce, unitamente all'apprezzabile disvalore delle condotte monitorate, una elevata intensità del dolo connotante l'azione dell'imputato. Tanto preclude in radice la concessione, in suo favore, delle circostanze attenuanti generiche. In applicazione dei criteri enunciati dall'articolo 133 c.p. - l'intensità del dolo ed il disvalore delle condotte inducono il giudicante ad attestarsi su standards sanzionatori superiori ai minimi edittali-, M.P. deve essere, pertanto, condannato alla pena di giustizia di anni tre e mesi sei di reclusione. Detta pena deve intendersi così calcolata pena base per la prima delle condotte di cui al capo 1 di imputazione, anni due e mesi sei di reclusione aumentata ex articolo 81 cpv. c.p. di mesi tre di reclusione per ognuna delle ulteriori condotte di calunnia, poste in essere in danno di un altro magistrato richiamato nel capo 1 della rubrica, e di altri tre magistrati richiamati nel capo 2 per un totale di ulteriori quattro persone offese trattasi di condotte connotate da disvalore omogeneo anni tre e mesi sei di reclusione. A norma dell'articolo 535 c.p.p., consegue alla soccombenza la condanna del prevenuto al pagamento delle spese processuali. In applicazione dell'articolo 29 c.p., l'imputato deve essere dichiarato interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. La complessità del procedimento ed il concomitante carico di lavoro gravante su questo ufficio giudiziario impongono al giudicante di fissare, a norma dell'articolo 544, co. III, c.p.p., il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. Visti gli articolo 533 e ss. c.p.p., dichiara M.P. colpevole dei delitti ascrittigli in imputazione e, ritenute le singole condotte avvinte dal vincolo della continuazione criminosa ex articolo 81 cpv. c.p., condanna, per l'effetto, il predetto alla pena di giustizia di anni tre e mesi sei di reclusione. Visto l'articolo 535 c.p.p., condanna, altresì, l'imputato al pagamento delle spese processuali. Visto l'articolo 29 c.p., dichiara l'imputato interdetto dai pubblici uffici per anni cinque. Visto l'articolo 544, co. III, c.p.p., fissa il termine di giorni novanta per il deposito della sentenza.