Giustificata la sospensione dei lavori da parte dell’appaltatore se le opere sono totalmente difformi rispetto al progetto approvato

La nullità del contratto di appalto concluso dalle parti elide in radice la configurabilità di un inesatto adempimento delle obbligazioni quando la causa della nullità stessa sia addebitabile alla committente. Non è configurabile, pertanto, una responsabilità contrattuale dell’appaltatore nei confronti della committente per negligenza nell’adempimento di obbligazioni che possono sorgere soltanto da un negozio valido e produttivo di effetti.

Il titolare di una ditta citava in giudizio dinanzi al Pretore di Ugento l'odierna ricorrente, affermando di aver stipulato con la stessa, nel 1995, un contratto di appalto per la realizzazione di opere di edilizia, relative ad un immobile, e di aver dovuto sospendere l'attività commissionata in quanto la sua completa esecuzione avrebbe comportato la realizzazione di opere abusive . Chiedeva, pertanto, il pagamento di una somma pari al valore delle opere eseguite prima della sospensione dei lavori, a titolo di ingiustificato arricchimento. La convenuta si costituiva in giudizio contestando le ragioni addotte dall'appaltatore e ritenendo, invece, che la sospensione fosse stata determinata da una non corrispondenza delle opere eseguite al progetto e dal tentativo di ottenere una non chiara revisione del contratto. In via riconvenzionale, chiedeva il ristoro dei danni derivati dalla sospensione, ascrivibile a colpa dell'appaltatore, sia a titolo di spese necessarie per la demolizione delle opere realizzate non a regola d'arte, sia a ristoro del nocumento derivatole per la violazione degli accordi contrattuali. Il Pretore, considerata la richiesta economica avanzata in via riconvenzionale, dichiarava la propria incompetenza per valore e rimetteva le parti dinanzi al Tribunale di Lecce. Riassunto il giudizio, il Tribunale, all'esito di numerose CTU espletate, rigettava la domanda dell'appaltatore e accoglieva la domanda riconvenzionale proposta dalla committente. Condannava, pertanto, il primo al pagamento di una somma a titolo di risarcimento dei danni emergenti derivanti dalla mancata esecuzione del contratto di appalto. La decisione veniva impugnata dinanzi alla Corte d'Appello di Lecce, la quale rideterminava la somma che l'appaltatore avrebbe dovuto pagare, confermando nel resto la decisione impugnata. Avverso la sentenza della Corte territoriale le due parti proponevano ricorso per Cassazione. La Corte di legittimità accoglieva il primo motivo di ricorso dell'appaltatore e cassava la decisione d'appello con rinvio. Riteneva infatti che la Corte di merito si fosse limitata all' errata affermazione dell'astratta possibilità di una eventuale sanatoria dell'opera abusiva, senza indagare se le difformità fossero tali da comportare un'opera difforme totalmente o parzialmente rispetto a quella di cui al progetto approvato. Per questa sola ragione la Corte d'appello aveva ritenuto ingiustificato l'abbandono del cantiere da parte dell'appaltatore e aveva affermato il suo inadempimento agli accordi contrattuali. La Corte d'appello inoltre aveva ulteriormente errato in quanto non aveva dato valore al fatto che, nel momento in cui l'appaltatore aveva abbandonato il cantiere, le difformità erano esistenti. La causa dunque veniva riassunta dinanzi alla Corte d'appello di Lecce, la quale giungeva a dichiarare la nullità del contratto di appalto concluso nel 1995 dalle parti, avendo ad oggetto la realizzazione di opere in totale difformità rispetto alla concessione edilizia e al progetto esecutivo. Riteneva, conseguentemente, l'insussistenza di un danno risarcibile in capo alla committente. La donna proponeva ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi. L'appaltatore resisteva in giudizio con controricorso. La ricorrente ritiene, innanzitutto, che la difformità delle opere da realizzare rispetto al progetto approvato non sarebbe totale ma parziale. Per la stessa, inoltre, la Corte territoriale ha errato nel qualificare come legittima la condotta dell'appaltatore, omettendo di considerare che l'abbandono del cantiere da parte dello stesso era avvenuto dopo che questi aveva dato volontariamente esecuzione al contratto. I Supremi Giudici affermano che la Corte d'appello, con ampia ed esauriente motivazione, ha accertato che i lavori riguardavano un'opera che per conformazione, volumi e sagoma doveva ritenersi complessivamente diversa da quella prevista dalla concessione edilizia ottenuta dalla committente. Le opere, analiticamente indicate dal CTU nel proprio elaborato peritale, erano da ritenersi difformi rispetto al progetto approvato e necessitavano di una denuncia di inizio attività, di una concessione edilizia o di una presentazione di un progetto di variante. Per gli Ermellini, l'accertamento operato dalla Corte d'appello è tale da giustificare l'abbandono del cantiere da parte dell'appaltatore, con conseguente rigetto della domanda della committente di inadempimento contrattuale, tenuto conto del fatto che il contratto di appalto concluso dalle parti è nullo. La Seconda Sezione ritiene che la non ultimazione dei lavori, nel caso de quo , non sia da addebitare all'appaltatore, quanto piuttosto alla committente. Pertanto, ritenendo le statuizioni della Corte territoriale, sul punto, conformi alla giurisprudenza di legittimità in tema di inadempimento alle obbligazioni derivanti da un contratto nullo, ritiene giustificato l'abbandono del cantiere , data la nullità del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori. I Supremi Giudici ribadiscono, infatti, un principio già affermato in altre occasioni, secondo il quale l'eventuale inosservanza degli obblighi di esecuzione della prestazione non può essere posta a base di azioni contrattuali del committente - come quella risarcitoria per inesatto adempimento - essendo questi partecipe della violazione delle norme che hanno dato causa alla nullità del contratto e non potendo dolersi dell'inesatta prestazione contrattuale in violazione di norme di ordine pubblico cui scientemente ha dato causa. In conclusione, con l'ordinanza in esame, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità nei confronti della controparte.

Presidente Di Virgilio – Relatore Varrone Fatti di causa 1. Con atto di citazione B.F., titolare dell'omonima ditta, citava in giudizio innanzi al Pretore di Omissis D.R., deducendo di aver stipulato con la convenuta un contratto di appalto in data 3.3.1995 per la realizzazione di opere di edilizia, relative ad un immobile sito in Omissis e di aver dovuto sospendere l'attività commissionata perché la sua completa esecuzione avrebbe comportato di porre in essere opere abusive. Chiedeva, pertanto, il pagamento della somma di L. 20.000.000 - pari al valore delle opere eseguite prima della sospensione dei lavori - a titolo di ingiustificato arricchimento. 2. Si costituiva in giudizio la D.R., la quale contestava le ragioni addotte dall'appaltatore a giustificazione della sospensione, assumendo che questa era stata, invece, determinata da una non corrispondenza delle opere eseguite al progetto e dal tentativo di ottenere una non chiara revisione del contratto. Chiedeva, in via riconvenzionale, il ristoro dei danni derivati dalla sospensione - perché ascrivibile a colpa dell'appaltatore - e quantificati in L. 100.000.000, sia a titolo di spese necessarie per la demolizione delle opere realizzate non a regola d'arte, sia a ristoro del nocumento derivatole per la violazione degli accordi contrattuali in esame. Il Pretore di Omissis , preso atto della richiesta economica avanzata in via riconvenzionale, con ordinanza del 19.7.1996, dichiarava la propria incompetenza per valore e rimetteva le parti innanzi al Tribunale di Lecce. 3. Con atto di citazione la D.R. riassumeva il giudizio innanzi al Tribunale di Lecce, il quale, all'esito delle numerose CTU, con sentenza numero 667-2010, depositata il 17.3.2010, rigettava la domanda proposta dal B. e accoglieva la domanda riconvenzionale proposta dalla D.R., condannando il B. al pagamento della somma di Euro 86.879,79, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, a titolo di risarcimento dei danni, derivanti dalla mancata esecuzione del contratto di appalto. Danni limitati a quelli emergenti con esclusione a dei danni relativi alla necessità di realizzazione di parcheggio b di una parte dei danni derivanti dalla necessità di locazione di un immobile per la propria famiglia, nelle more della sospensione dei lavori edili c dei danni derivanti dalla necessità di realizzazione di opere di salvaguardia delle abitazioni dei vicini. 4. Avverso tale sentenza proponeva appello la D.R., e subito dopo proponeva appello anche il B Gli appellati, costituendosi nel giudizio rispettivamente introdotto dalla controparte, eccepivano l'infondatezza del gravame e proponevano ciascuno appello incidentale. Le due cause erano riunite avendo ad oggetto la medesima sentenza. 5. Con sentenza numero 763-2013, depositata il 21.10.2013, la Corte d'Appello di Lecce accoglieva in parte sia l'appello - principale ed incidentale - proposto dalla D.R. che l'appello - sia principale che incidentale - proposto dal B., per l'effetto, rideterminava in Euro 83.576,14, oltre interessi nella misura legale dalla domanda al soddisfo, la somma cui B. era condannato a pagare, confermando nel resto l'impugnata sentenza e compensando le spese del grado del giudizio. 6. Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione sia D.R. che B.F 7. Questa Corte accoglieva il primo motivo del ricorso di B.F. e cassava la decisione della Corte d'Appello. In particolare, la sentenza di cassazione con rinvio evidenziava che in tema di contratti di appalto aventi ad oggetto la costruzione di immobili eseguiti in difformità rispetto alla concessione edilizia, occorre distinguere a seconda che tale difformità sia totale o parziale nel primo caso L. 28 febbraio 1985, numero 47, articolo 7 - che si verifica quando è stato realizzato un edificio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie - l'opera è da equiparare a quella costruita in assenza di concessione, con la conseguenza che il relativo contratto di appalto è nullo per illiceità dell'oggetto e violazione delle norme imperative in materia urbanistica detta nullità, invece, non sussiste nel secondo caso L. numero 47 del 1985, articolo 12 , che si verifica quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto Cass. numero 2187 del 2011 . Nella specie la Corte d'appello si era limitata all'errata affermazione secondo la quale dall'indagine tecnica sarebbe emerso che le difformità non meglio identificate per gravità potessero essere sanate, senza verificare se le stesse rendessero la costruzione del tutto difforme rispetto al progetto approvato. Viceversa, proprio dalla CTU si evidenziava che le difformità rendevano l'opera non conforme rispetto al progetto approvato infatti, il CTU in risposta al quesito numero 6 del supplemento di perizia depositato il 7.10.2004, riportato nel ricorso incidentale a pag. 23 aveva affermato che la realizzazione delle opere indicate in contratto, e non riportate nel progetto approvato, avrebbe comportato il mancato rispetto degli indici previsti dallo strumento urbanistico all'epoca vigente, in quanto sia la superficie che la cubatura, espresse in progetto, erano al limite dell'assentito . Poiché incombe al costruttore - oltre che al titolare della concessione edilizia e al committente - l'obbligo giuridico del rispetto della normativa sulle concessioni, ai sensi della L. numero 47 del 1985, articolo 6, comma 1, ora D.P.R. numero 380 del 2001, articolo 29, comma 1 , il B., come costruttore, era tenuto a verificare che l'opera contrattualmente prevista fosse conforme alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano, alle previsioni della concessione edilizia e alle sue modalità esecutive. Tale conformità, come rilevato dai CTU, nella specie non esisteva e ciò veniva riconosciuto dalla stessa sentenza. La Corte di merito, dunque, si era limitata all'apodittica affermazione, sganciata dalla effettiva indagine tecnica svolta, della mera e astratta possibilità di una eventuale sanatoria dell'opera abusiva, senza indagare se le difformità fossero tali da comportare un'opera difforme totalmente o parzialmente da quella di cui al progetto approvato. Per questa sola ragione aveva ritenuto ingiustificato l'abbandono del cantiere da parte del B. e dunque aveva affermato il suo inadempimento agli accordi contrattuali. Inoltre la Corte d'Appello aveva commesso un altro errore nella parte in cui, pur avendo accertato l'esistenza delle difformità e avendo semplicemente ritenuto che esse potessero essere risolte, non aveva valorizzato la circostanza che, nel momento in cui il B. aveva abbandonato il cantiere, le difformità erano esistenti così finendo per addossare al B. le responsabilità delle difformità medesime, ritenendo ingiustificato un suo inadempimento, nonostante il medesimo si trovasse nell'impossibilità di adempiere alle obbligazioni proprio perché sussistenti le difformità riconosciute dalla Corte. Infatti, ai sensi del D.P.R. numero 380 del 2001, articolo 11, secondo cui il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo , rientrano tra i doveri della committenza quello di ottenere tutti i provvedimenti amministrativi necessari per l'esecuzione dell'opera appaltata. 8. B.F. riassumeva il giudizio innanzi alla Corte di Appello di Lecce deducendo che la verifica delle caratteristiche tipologiche dell'edificio da realizzarsi in esecuzione del contratto di appalto avrebbe consentito di accertarne la radicale difformità, per caratteristiche tipologiche e volumetriche, rispetto alle opere assentite con concessione edilizia numero 478 dell'8 novembre 1994. Le difformità erano state analiticamente indicate dal CTU nominato nel giudizio ed erano già esistenti allorquando il B. abbandonò il cantiere. 9. Si costituiva nel giudizio di rinvio D.R. deducendo che la Corte di cassazione nel disporre il rinvio aveva inteso chiedere la verifica della sussistenza di difformità parziali o totali rispetto alla concessione e insisteva nel ritenere l'abbandono del cantiere da parte del B. del tutto ingiustificato. 10. La Corte d'Appello di Lecce accoglieva la domanda proposta da B.F. e dichiarava la nullità del contratto siglato tra le parti il 3 marzo 1995. La Corte d'Appello rilevava come fosse incontestato che il contratto di appalto siglato tra le parti prevedesse la realizzazione di opere ulteriori e difformi rispetto al progetto esecutivo. Sulla base della pronuncia di cassazione con rinvio doveva accertarsi la sussistenza di una difformità totale o parziale tra l'opera da costruire e la concessione edilizia rilasciata dal Comune di Omissis . In base al D.P.R. numero 380 del 2001, articolo 31 l'edificio realizzando dalla D.R. risultava radicalmente differente rispetto a quello assentito sia per caratteristiche tipologiche che volumetriche. Infatti, per contratto si doveva procedere alla demolizione del solaio di circa 150 metri quadri alla realizzazione di 18 plinti, pilastri e gabbie in cemento, sebbene nel progetto fosse prevista la sola ristrutturazione del solaio e la struttura portante fosse in muratura. Inoltre, nel contratto si conveniva la realizzazione di uno stanzino nel giardino non riportato in progetto, la realizzazione di una veranda di maggiori dimensioni rispetto a quella assentita, la trasformazione di una finestra del vano cucina in porta finestra non prevista in progetto, la realizzazione di un'abitazione al primo piano con aumento di una linea di conci di cm 25 dall'altezza del solaio, con aumento del medesimo solaio, la realizzazione di un altro vano bagno al primo piano in luogo della veranda, la realizzazione di un frangisole a copertura della veranda e di un frangisole sul terrazzo per tutta l'ampiezza del salone, un vano deposito e, infine, la realizzazione di un ulteriore vano al secondo piano. Tali opere analiticamente indicate dal consulente tecnico M. nel proprio elaborato peritale erano difformi rispetto al progetto approvato e necessitavano di una denuncia di inizio attività, di una concessione edilizia o di una presentazione di un progetto di variante. Peraltro, la concessione aveva già previsto una superficie e una cubatura al limite dell'assentibile, dunque, le opere costituivano varianti essenziali non assentite sotto il profilo volumetrico di superficie e cubatura. La demolizione del solaio già programmata al momento della stipula del contratto di appalto del Marzo 1990 avrebbe determinato una vera e propria riedificazione, dovendosi provvedere alla realizzazione di un nuovo corpo di fabbrica. La realizzazione di aperture non indicata in progetto come la porta finestra in luogo di una semplice finestra e l'apertura di un'ulteriore finestra modificava il prospetto ed essendo diversa rispetto a quanto approvato comportava anche una modifica della sagoma e costituivano una variante essenziale per la quale sarebbe stato necessario conseguire un nuovo titolo concessorio. Anche la demolizione del solaio e la realizzazione dei pilastri in cemento armato costituivano opere abusive non conformi al progetto. Non era condivisibile la tesi della controparte secondo cui, in base all'articolo 25 del contratto, le opere difformi rispetto al progetto approvato erano subordinate all'acquisizione dei relativi titoli abilitativi in quanto tra le opere indicate dall'articolo 25 non vi era né la demolizione del solaio né la realizzazione dei pilastri che erano comunque ricompresi nel contratto. Le difformità riguardanti le opere realizzate e quelle da realizzare erano totali, determinando l'edificazione di un corpo di fabbrica differente rispetto a quello originariamente assentito sia sotto il profilo tipologico che volumetrico. Il contratto di appalto siglato tra le parti doveva dichiararsi nullo avendo ad oggetto opere in totale difformità rispetto alla concessione edilizia e, dunque, legittimamente l'appaltatore si era allontanato dal cantiere non essendogli stati messi a disposizione i titoli abilitativi per la prosecuzione delle attività ed essendo già realizzate opere in contrasto con la concessione al momento del rilascio del cantiere. La Corte d'Appello, infine, respingeva la domanda di arricchimento senza causa proposta B.F L'accoglimento della domanda di nullità del contratto di appalto determinava l'insussistenza di un danno risarcibile in capo alla committente. 11. D.R. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso. 12. B.F. ha resistito con controricorso. 13. La ricorrente con memoria depositata in prossimità dell'udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione del d. lgs. numero 380 del 2001, articolo 31, della l.numero 47 del 1985, articolo 7, 13, 26, della l. numero 457 del 1978 , articolo 31, della L.R. Puglia numero 26 del 1985 , articolo 2 del D.L. 24 marzo 1995, articolo 7, comma 7, del D.P.R. numero 380 del 2001 , articolo 7 e 10, comma 1, del D.L. numero 193 del 1995 , articolo 7 degli articolo 1175,1362,1363,1346,1418,1375 c.c Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione dell' articolo 384 c.p.c. . La censura si appunta sulla valutazione di radicale difformità dell'edificio contrattualmente prevista rispetto a quello approvato e assentito dal Comune di Omissis sia per caratteristiche tipologiche che volumetriche. Secondo la ricorrente sulla base delle norme indicate in rubrica non vi sarebbe una totale difformità. In tal senso richiama le variazioni essenziali previste dal D.P.R. numero 380 del 2001, articolo 32 a differenza di quanto previsto dal precedente articolo 31. Il citato articolo 32, peraltro, rimette alle regioni stabilire quali siano le variazioni essenziali e la legge regionale numero 26, articolo 2 prevede il mutamento di destinazione d'uso, l'aumento della cubatura oltre il 15 percento degli edifici o di oltre il 15 percento dei solai per edifici sino a 150 metri quadri. Dunque, nella specie non si trattava di totale difformità ma di un'opera parzialmente difforme. In tal senso la ricorrente richiama la consulenza tecnica. La ricorrente evidenzia che neanche la demolizione del solaio, la apposizione di pilastri in calcestruzzo e le altre opere possono rappresentare una totale difformità rispetto al progetto. Inoltre, la Corte d'Appello avrebbe errato nell'escludere la rilevanza dell'articolo 25 del contratto. Peraltro, la condotta di abbandono del cantiere era comunque illegittima mentre quella della D.R. era più che diligente e prudente di qui la violazione e falsa interpretazione rispetto gli articolo 1175 e 1375 c.c. . Infine, vi sarebbe la violazione dell' articolo 384 c.p.c. e del disposto della sentenza di rinvio. 2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione del d. lgs. numero 380 del 2001, articolo 31, della l. numero 47 del 1985, articolo 7, 13 e 26, della l. numero 457 del 1978 , articolo 31, della L.R. Puglia numero 26, articolo 2 degli articolo 1435,1455 e 1669 c.c. , buona fede esecuzione contratto. Violazione falsa applicazione articolo 1362,1363 c.c. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione dell' articolo 384 c.p.c. . La censura attiene alla statuizione della sentenza che ha ritenuto legittimo l'abbandono del cantiere da parte del B La Corte avrebbe omesso di considerare che l'abbandono del cantiere era avvenuto dopo che il B. aveva dato volontariamente esecuzione al contratto. Il B. prima di abbandonare il cantiere aveva realizzato esclusivamente la demolizione del solaio di pilastri e piccole variazioni e, dunque, non aveva ancora realizzato opere abusive né tale realizzazione poteva essere imposta per via del richiamato articolo 25 del contratto. Di conseguenza la Corte avrebbe errato nel qualificare la condotta del B. come legittima, in violazione delle norme in materia di responsabilità per inadempimento e di diligenza nell'esecuzione del contratto di appalto. In tal modo avrebbe anche violato il disposto della sentenza di rinvio che aveva affidato solo il mandato di accertare la natura delle difformità riscontrate e di farne discendere le connesse conseguenze in termini di incidenza sulla valutazione della condotta del B 2.1 I primi due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. La Corte d'Appello, in sede di rinvio, ha dato seguito alla sentenza di questa Corte e, con ampia ed esauriente motivazione, ha dichiarato la nullità del contratto di appalto ritenendo che le opere ivi previste fossero totalmente difformi da quelle oggetto della concessione edilizia ottenuta dalla committente. Pertanto, la censura di violazione dell' articolo 384 c.p.c. è manifestamente infondata. Quanto alla censura di violazione del D.P.R. numero 380 del 2001, articolo 31 e 32 e della normativa anche regionale richiamata in rubrica deve evidenziarsi che l'articolo 32 ora citato recita testualmente Fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell'articolo 31, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato . L'articolo 31, comma 1, del medesimo D.P.R. numero prevede a sua volta che Sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile . Nel caso di specie la Corte d'Appello con accertamento in fatto ampiamente motivato ha accertato che i lavori riguardavano un'opera che per conformazione, volumi e sagoma complessivamente doveva ritenersi diversa da quella prevista dall'atto di concessione. La sentenza è conforme alla giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui le variazioni essenziali sono quelle che comportano la realizzazione di un organismo edilizio diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile ex plurimis Cons. Stato Sez. VI, 28/02/2022, numero 1392 , Cons. Stato Sez. II, 23/01/2020, numero 561 Infatti in materia urbanistico-edilizia il concetto di parziale difformità presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall'autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzano in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera Cons. Stato Sez. VI, 30/06/2022, numero 5423 . Nel caso di specie la Corte d'Appello ha evidenziato che in base al citato D.P.R. numero 380 del 2001, articolo 31 l'edificio oggetto del contratto risultava radicalmente differente rispetto a quello assentito sia per caratteristiche tipologiche che volumetriche. Inoltre, la concessione aveva già previsto una superficie e una cubatura al limite dell'assentibile, e le opere costituivano varianti essenziali non assentite. In particolare, si doveva procedere alla demolizione del solaio di circa 150 metri quadri alla realizzazione di 18 plinti, pilastri e gabbie in cemento, sebbene nel progetto fosse prevista la sola ristrutturazione del solaio e la struttura portante fosse in muratura. Inoltre, nel contratto si conveniva la realizzazione di uno stanzino nel giardino non riportato in progetto, la realizzazione di una veranda di maggiori dimensioni rispetto a quella assentita, la trasformazione di una finestra del vano cucina in porta finestra non prevista in progetto, la realizzazione di un'abitazione al primo piano con aumento di una linea di conci di cm 25 dall'altezza del solaio, con aumento del medesimo solaio, la realizzazione di un altro vano bagno al primo piano in luogo della veranda, la realizzazione di un frangisole a copertura della veranda e di un frangisole sul terrazzo per tutta l'ampiezza del salone, un vano deposito e, infine, la realizzazione di un ulteriore vano al secondo piano. Tali opere, analiticamente indicate dal consulente tecnico M. nel proprio elaborato peritale, erano difformi rispetto al progetto approvato e necessitavano di una denuncia di inizio attività, di una concessione edilizia o di una presentazione di un progetto di variante. La concessione aveva già previsto una superficie e una cubatura al limite dell'assentibile, dunque, le opere costituivano varianti essenziali non assentite sotto il profilo volumetrico di superficie e cubatura. In definitiva deve affermarsi che al fine di valutare la totale difformità di un intervento edilizio rispetto a quello assentito è necessaria una comparazione unitaria e sintetica fra l'organismo programmato e quello che è stato realizzato con una valutazione complessiva e non parcellizzata delle singole difformità, non potendosi dunque ammettere una qualificazione di ognuna di esse come difformità solo parziale dell'immobile assentito rispetto a quello realizzato. D'altra parte, la stessa ricorrente nel richiamare l'articolo 25 del contratto, ammette che le opere erano difformi rispetto al progetto approvato tanto da richiedere l'acquisizione dei relativi titoli abilitativi. L'accertamento operato dalla Corte d'Appello circa la difformità totale dell'oggetto del contratto di appalto intercorso tra le parti rispetto al progetto assentito è tale da giustificare l'abbandono del cantiere con conseguente rigetto della domanda della D.R. di inadempimento contrattuale. In tal caso, infatti, come già evidenziato da questa Corte nella sentenza di cassazione con rinvio, il contratto di appalto è nullo. Di conseguenza anche la censura di violazione degli articolo 1175 e 1375 c.c. è del tutto infondata così come quella di erronea applicazione delle norme di interpretazione negoziale in relazione all'articolo 25 del contratto. Peraltro, la Corte d'Appello in sede di rinvio ha accertato che alcuni lavori abusivi erano già stati effettuati e già nella sentenza di rinvio si era evidenziato che alcune difformità erano già esistenti al momento dell'abbandono del cantiere, dunque, risulta infondata anche la tesi della possibilità di ottenere una variante in corso d'opera. 3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione del d. lgs. numero 380 del 2001, articolo 31, della l. numero 47 del 1985, articolo 7, 13, 26, della l. numero 457 del 1978 , articolo 31, della L.R. Puglia numero 26, articolo 2, degli articolo 1453,1455,1669, c.c., violazione e falsa applicazione del D.M. numero lavori pubblici del 14 febbraio 1992 degli articolo 1665 e 1163 c.c. , violazione falsa applicazione dell'articolo 33 del capitolato speciale d'appalto delle opere pubbliche, violazione e falsa applicazione dell' articolo 1227 c.c. . La sentenza impugnata, pur riconoscendo la cattiva esecuzione delle opere realizzate dal B. prima dell'abbandono del cantiere, ne ha tuttavia addossato la responsabilità anche alla ricorrente. Ciò sarebbe conseguenza dell'omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione, in primo luogo l'utilizzo di conglomerato di tipo 425 previsto nel contratto, idoneo all'edificazione dei pilastri ed alla faccia a vista dei medesimi contrariamente al conglomerato di tipo 525. In secondo luogo, il fatto che i problemi relativi alla staticità dei pilastri non erano riconducibili ai calcoli dell'ingegner G. ma alla cattiva esecuzione posta in essere in violazione della normativa di settore del ministero dei Lavori Pubblici. La responsabilità per la cattiva esecuzione dei pilastri ricadrebbe interamente sul B La Corte nel ritenere la corresponsabilità della ricorrente per la cattiva esecuzione delle opere sulla scorta della considerazione che avrebbe provveduto alla fornitura di materiale non idoneo e che avrebbe modificato la forma e dimensione dei pilastri previsti nei calcoli statici avrebbe evidentemente trascurato ed erroneamente interpretato quanto prescritto degli articolo 1655 e 1663 c.c. in termini di responsabilità dell'appaltatore. 3.1 Il terzo motivo di ricorso è infondato. La sentenza della Corte d'Appello afferma la non perfetta esecuzione dei lavori in relazione alla domanda di arricchimento senza causa proposta dall'appaltatore B. nei confronti della committente D.R In relazione alla domanda di risarcimento per inadempimento contrattuale, invece, conclude nel senso che la nullità del contratto impedisce di verificare il danno da inadempimento. La sentenza è conforme all'insegnamento di questa Corte secondo il quale non è configurabile una responsabilità contrattuale dell'appaltatore nei confronti del committente per negligenza nell'adempimento di obbligazioni che solo da un negozio valido e produttivo di effetti possono sorgere. La nullità del contratto elide in radice la configurabilità di un inesatto adempimento delle obbligazioni quando la causa della nullità sia addebitabile alla committente cfr. Cass., Sez. III, 23 giugno 2016, numero 12996 . Infatti, la eventuale inosservanza degli obblighi di esecuzione della prestazione non può essere posta a base di azioni contrattuali del committente, come quella risarcitoria per inesatto adempimento essendo questi partecipe della violazione delle norme che hanno dato causa alla nullità del contratto e non potendo dolersi della inesatta prestazione contrattuale in violazione di norme di ordine pubblico cui scientemente ha dato causa. Per queste ragioni il motivo va rigettato essendo la statuizione della Corte d'appello conforme alla giurisprudenza di questa Corte in tema di inadempimento alle obbligazioni derivanti da un contratto nullo. 4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione del d. lgs. numero 380 del 2001, articolo 31, della l. numero 47 del 1985, articolo 7, 13, 26, della l. numero 457 del 1978 , articolo 31, della L.R. Puglia numero 26, articolo 2, degli articolo 1453,1455,1669, c.c. violazione e falsa applicazione del decreto ministeriale ministero lavori pubblici del 14 febbraio 1992 degli articoli numero 115 e 2697 c.c. , omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La censura si appunta ancora una volta avverso la decisione circa la legittimità dell'allontanamento del cantiere del B. e circa l'insussistenza di un danno risarcibile in favore della ricorrente. Secondo quest'ultima sussisterebbe tanto il denunciato inadempimento quanto la responsabilità extracontrattuale dell'appaltatore. In particolare, con riferimento al danno derivante dalle spese tecniche di demolizione delle opere non eseguite correttamente e rimaste esposte alle intemperie a seguito dell'abbandono dai maggiori costi di edificazione per l'aumento dei prezzi dalle spese tecniche conseguenti allo scadere delle concessioni edilizie dalle spese per la locazione di altra abitazione dai danni connessi al maggior costo degli oneri da corrispondere al Comune dai danni lamentati dai vicini dai costi per i nuovi oneri concessori dalle spese sostenute nel giudizio. 4.1 Il quarto motivo di ricorso è in parte infondato in parte inammissibile. Con riferimento alla domanda della D.R. avente ad oggetto la richiesta di risarcimento per l'inadempimento del B. delle obbligazioni nascenti dal contratto, in particolare per aver abbandonato illegittimamente il cantiere, deve ribadirsi quanto affermato in relazione al terzo motivo. Quanto alla responsabilità extracontrattuale del B. anche ex articolo 1669 c.c. la censura è inammissibile. Infatti, dalla lettura del motivo emerge che i danni richiesti dalla ricorrente attengono tutti alle obbligazioni nascenti dal contratto e derivanti dall'abbandono del cantiere da parte dell'appaltatore senza alcun riferimento ad una eventuale responsabilità extracontrattuale. Gli unici danni che la D.R. attribuisce ad una non corretta esecuzione dei lavori astrattamente riconducibili all' articolo 1669 c.c. sono quelli relativi alla cattiva esecuzione dei pilastri in cemento armato rispetto ai quali la Corte d'Appello si è pronunciata in relazione alla domanda di arricchimento senza causa del B Sul punto, il giudice del gravame, oltre al fatto che i pilastri erano stati realizzati in mancanza di un progetto assentito, ha evidenziato che la mancata esecuzione secondo le regole dell'arte non poteva essere ascritta esclusivamente alla ditta atteso che il risultato estetico dei pilastri non poteva realizzarsi con il cemento fornito dalla committente e, quanto alla staticità, che i calcoli erano stati demandati a professionista di fiducia incaricato dalla committenza. Tale accertamento in fatto, fondato sulla consulenza tecnica, non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità se non per omesso esame di un fatto decisivo che nel caso di specie non è indicato. Infine deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la speciale disposizione di cui all' articolo 1669 c.c. integra - senza escluderne l'applicazione - la disciplina generale in materia di inadempimento delle obbligazioni con la conseguenza che, in caso di opera non ultimata, restando l'appaltatore inadempiente all'obbligazione contrattuale assunta, si applicano le norme generali in tema di risoluzione per inadempimento ex articolo 1453 e ss. c.c. , mentre la speciale garanzia prevista dagli articolo 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l'opera sia stata portata a termine Sez. 1, Ordinanza numero 4511 del 14/02/2019, Rv. 653113 - 01 . Tale principio deve essere adattato al caso di specie in cui la non ultimazione dell'opera non è stata ritenuta addebitabile all'appaltatore quanto piuttosto alla committente. Deve affermarsi pertanto che non è configurabile una responsabilità dell'appaltatore nei confronti della committente ex articolo 1669 c.c. in un caso come quello in esame in cui l'opera non sia stata ultimata e l'abbandono del cantiere sia stato ritenuto giustificato per la nullità del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori. 5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato violazione falsa applicazione degli articolo 91 e 92 c.p.c. . La ricorrente contesta la statuizione di compensazione delle spese e l'erronea valutazione circa la soccombenza. 5.1 Il quinto motivo di ricorso è infondato. Quanto alla violazione dell' articolo 91 c.p.c. è sufficiente richiamare il principio secondo il quale la soccombenza comporta solo che è vietato condannare alle spese la parte totalmente vittoriosa Cass. numero 18128 del 31/08/2020 Rv. 658963 - 01 . Con riferimento alla violazione dell' articolo 92 c.p.c. il collegio intende dare continuità ai seguenti principi di diritto La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell' articolo 92, comma 2, c.p.c. , rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un'esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente. D'altra parte in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all'esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all'esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione - e, tuttavia, complessivamente soccombente - al rimborso delle stesse in favore della controparte Sez. 1, Sent. numero 20289 del 2015 . 6. Il ricorso è rigettato. 7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. 8. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in Euro 7800, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater, inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1 , comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.