Docente offensiva in classe: legittima e non diffamatoria la segnalazione dei genitori al Preside

Cade definitivamente l’ipotesi di catalogare come diffamatorio lo scritto con cui alcuni genitori hanno segnalato i disdicevoli comportamenti della docente al Preside dell’istituto scolastico e al Provveditorato degli Studi.

Riconosciuta la scriminante dell'esercizio del diritto di critica, quantomeno putativo, discendente anche dall’esercizio del diritto-dovere genitoriale, anche tenendo presente, poi, il contenuto della missiva, contenuto non denigratorio di per sé, ma esplicativo e rappresentativo delle ragioni per le quali, a tutela dei propri figli minori, i genitori rappresentavano al dirigente scolastico la situazione denunciata loro dai ragazzi. Se la professoressa è aggressiva e poco educata in classe nel confronto gli alunni, allora i genitori hanno il sacrosanto diritto di scrivere al Preside dell’istituto e al Provveditorato degli Studi per segnalare il problema e per porre sotto accusa la docente. Impossibile catalogare come diffamatorio l’esposto scritto fatto dai genitori, poiché, pur a fronte della mancanza di sanzioni disciplinari da parte della scuola, sono emersi comunque i comportamenti poco urbani tenuti in classe dalla professoressa. Missiva. Scenario della delicata vicenda è una scuola in Sicilia. A finire sotto accusa è una professoressa, oggetto di uno scritto fortemente critico che alcuni genitori hanno inviato al Preside dell’istituto per segnalare i comportamenti poco urbani della docente nei confronti degli studenti. Allo scritto dei genitori, che porta a un procedimento disciplinare che si conclude con un nulla di fatto, la docente reagisce per via giudiziaria, sostenendo di essere stata diffamata come persona e come professoressa. A sorpresa, però, il Giudice di Pace, prima, e i giudici del Tribunale, poi, fanno cadere le accuse nei confronti dei genitori - di due alunni - responsabili di «aver inviato una missiva al dirigente scolastico dell’istituto, inoltrata poi anche al Provveditorato degli Studi, con cui si lamentavano del comportamento offensivo e quasi persecutorio che la docente aveva avuto nei confronti di due alunni». I giudici di merito riconoscono, in sostanza, «la scriminante dell'esercizio del diritto di critica , ancorché nella forma putativa, in favore dei genitori, indotti a tutelare i rispettivi figli dal comportamento della docente, risultato quantomeno disdicevole e sovente offensivo in classe nei confronti degli alunni». Diritto di critica. Il legale che rappresenta la docente ritiene però illogica la decisione del Tribunale, soprattutto perché manca, a suo dire, «l’accertamento sicuro riguardo alla verità dei fatti» addebitati alla sua cliente nella lettera incriminata. In aggiunta, poi, il legale cataloga come «irrilevante il più importante degli indizi ritenuti idonei in secondo grado a costituire prova della veridicità dei fatti, vale a dire la relazione del dirigente scolastico dell'istituto teatro della vicenda, relazione ben successiva nel tempo ai fatti contestati nelle missive» considerate «diffamatorie» dalla docente. Prima di esaminare in dettaglio la vicenda, i Giudici di Cassazione ribadiscono che, in tema di diffamazione , è configurabile l'esimente putativa dell'esercizio del diritto di critica nei confronti di chi abbia la ragionevole e giustificabile convinzione della veridicità dei fatti denunciati, lesivi dell'altrui reputazione, anche se di essa non sussista certezza processuale. Partendo da questo presupposto, si può valutare la linea difensiva, centrata sulla «mancanza di prova del presupposto dell’esimente dell'esercizio del diritto di critica, vale a dire proprio la veridicità dei fatti ascritti alla docente» e mirata, al contempo, ad evidenziare che «gli indizi di tale veridicità sono stati desunti, in modo illogico e insufficiente, valorizzando la circostanza che i genitori non hanno potuto avere un contatto con l'insegnante per un chiarimento su quanto stava accadendo e che il procedimento disciplinare nei confronti della professoressa è stato archiviato per ragioni formali, vale a dire la mancata trasmissione, da parte del preside, della relazione richiesta dall'Ufficio Scolastico». A fronte di tali obiezioni, però, i Giudici di Cassazione ribattono richiamando «la plausibilità della ricostruzione delle prove , utili a determinare l'applicabilità della scriminante putativa in relazione alla condotta diffamatoria contestata ai genitori, nonché della comprensibile necessità di porgere vibrate rimostranze al Preside dell’istituto scolastico, esternate nella missiva incriminata da parte dei genitori degli alunni coinvolti, in qualche modo, dai comportamenti disdicevoli, concordemente attribuiti da più fonti alla professoressa».In sostanza, tra primo e secondo grado, «gli indizi messi in fila si rivelano plausibili, univoci, concordanti primo fra tutti, il ricordo di colleghi - insegnanti nella stessa scuola della docente criticata nella missiva - i quali hanno confermato di aver ricevuto diffusamente confidenze dagli alunni circa i comportamenti poco commendevoli della professoressa nei loro confronti», come ricostruito dal preside in una relazione ad hoc . Irrilevante il fatto che «la stesura di tale relazione sia avvenuta dopo l'invio delle missive dei genitori, avendo essa un significato di conforto alla tesi della verosimiglianza estrema delle doglianze nei confronti della docente da parte dei genitori degli alunni che lamentavano di ricevere un trattamento non in linea con la buona educazione e la correttezza pedagogica». In conclusione, è legittimo riconoscere «la scriminante dell'esercizio del diritto di critica, quantomeno putativo, discendente anche dall’ esercizio del diritto-dovere genitoriale », anche tenendo presente, poi, «il contenuto della missiva, contenuto non denigratorio di per sé, ma esplicativo e rappresentativo delle ragioni, ovviamente concrete e dettagliate, per le quali, a tutela dei propri figli minori, i genitori rappresentavano al dirigente scolastico la situazione denunciata loro dai ragazzi». Di conseguenza, «le espressioni ed i comportamenti attribuiti alla docente nella missiva non rivelavano neppure un dolo diffamatorio da parte degli autori dello scritto, ma solo la volontà di tutelare gli interessi dei loro figli minori, rivolgendosi al preside affinché si interessasse della questione e vi ponesse rimedio».

Presidente De Gregorio – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Viene in esame la sentenza del Tribunale di Messina che ha confermato la decisione assolutoria del Giudice di Pace di Rometta del 10.9.2021 nei confronti di L.S.S. e R.G. , genitori di due alunni dell'Istituto comprensivo di […], che erano stati tratti a giudizio per il reato di diffamazione ai danni di una professoressa - L.M.Y. -, per aver inviato una missiva al Dirigente Scolastico della scuola citata, inoltrata poi anche al Provveditorato degli Studi di […], con cui si lamentavano del comportamento offensivo e quasi persecutorio che ella aveva nei confronti dei due alunni. I giudici di merito hanno riconosciuto la scriminante dell'esercizio del diritto di critica, ancorché nella forma putativa, in favore degli imputati, indotti a tutelare i propri figli dal comportamento della docente, risultato, dagli elementi in atti, verosimilmente quantomeno disdicevole e sovente offensivo in classe, nei confronti degli alunni. 2. Ha proposto ricorso, tramite il difensore di fiducia, la parte civile, C.A. - in qualità di erede, come marito della persona offesa, deceduta nelle more del processo - eccependo, con un primo motivo, la mancata prova della verità dei fatti al centro della missiva diffamatoria, che ha visto quale bersaglio L.M.I., desunta da elementi indiziari insufficienti ed inadeguati. L'assenza di un accertamento sicuro riguardo alla verità dei fatti determinerebbe, secondo la giurisprudenza di legittimità che il ricorrente ripercorre, l'impossibilità di configurare la scriminante del diritto di critica, che presuppone la verità del fatto attribuito alla persona offesa. In un secondo punto difensivo si è eccepito che il più importante degli indizi ritenuti idonei dalla Corte d'Appello a costituire prova della veridicità dei fatti, vale a dire la relazione del dirigente scolastico dell'Istituto teatro della vicenda, datata 17.3.2014, è irrilevante, poiché si tratta di una relazione ben successiva nel tempo ai fatti contestati nelle missive diffamatorie, oltre che generica nei suoi contenuti non viene precisato quali docenti abbiano riferito al Preside di comportamenti offensivi della prof.ssa L.M. nei confronti di alunni, appresi da altrettanti studenti non meglio individuati né indicati . Di qui, la denunciata violazione degli articolo 234, comma 3, e 195, comma 3, c.p.p. poiché l'utilizzazione di tale relazione si pone in contrasto con il divieto di acquisire documenti che contengano voci correnti nel pubblico intorno ai fatti del processo e finirebbe con il determinare l'assunzione di una testimonianza indiretta, con violazione della seconda delle due disposizioni richiamate. Si chiede, quindi, l'annullamento con rinvio al giudice civile della sentenza impugnata e la condanna degli imputati al pagamento delle spese sostenute nel grado di giudizio e nelle precedenti fasi processuali dalla parte civile. 3. Il PG Giovanni Di Leo ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso della parte civile. 3.1. I difensori degli imputati hanno depositato conclusioni scritte con le quali si associano alle richieste del PG. 3.2. Il difensore della parte civile ha fatto pervenire una prima memoria difensiva con cui ribadisce le ragioni di ricorso datata 3.1.2023 ed una seconda memoria datata 13.1.2023 con cui, invece, contesta le conclusioni del Procuratore Generale, osservando in particolare che il mancato confronto degli imputati con la prof.ssa L.M. costituisce una circostanza neutra, inidonea a determinare l'automatica verità o veridicità degli addebiti a lei successivamente contestati nelle missive del 18.11.2013, né integra i caratteri di configurabilità necessari ai fini di poter ritenere sussistente l'esimente putativa tanto più che le dichiarazioni della persona offesa in udienza attestano che ella non fu mai cercata dai genitori per un chiarimento. Inoltre, si contesta fermamente il fatto che si sia data credibilità alle dicerie degli alunni e alle loro lamentele senza acquisire conferme di sorta. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. La giurisprudenza di questa Corte regolatrice, sul tema della scriminante putativa dell'esercizio del diritto di critica, ha tracciato alcune linee direttrici specificamente dedicate al delitto di diffamazione e che è opportuno richiamare, quanto al rapporto con l'accertamento della veridicità del fatto alla base della dichiarazione ritenuta diffamatoria. In particolare, recentemente si è sostenuto, con affermazione che il Collegio condivide, che, in tema di diffamazione, è configurabile l'esimente putativa dell'esercizio del diritto di critica nei confronti di chi abbia la ragionevole e giustificabile convinzione della veridicità dei fatti denunciati, lesivi dell'altrui reputazione, anche se di essa non sussista certezza processuale Sez. 5, numero 21145 del 18/4/2019, Olivieri, Rv. 275554 in tema di scriminante putativa, diffamazione a mezzo stampa e sufficienza dell'assolvimento dell'onere di controllo e verifica da parte del giornalista, cfr. Sez. 1, numero 40930 del 27/9/2013, Rv. 257795 Sez. 5, numero 14013 del 12/2/2020, Sasso, Rv. 278952 . 2.1. Nel caso di specie, il ricorrente deduce la mancanza di prova del presupposto dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica, vale a dire proprio la veridicità dei fatti ascritti alla persona offesa del reato di diffamazione, evidenziando, anche nelle memorie difensive successive alla proposizione del ricorso, come gli indizi di tale veridicità siano stati desunti, dai giudici d'appello, in modo illogico e insufficiente, valorizzando la circostanza che gli imputati non hanno potuto avere un contatto con l'insegnante per un chiarimento su quanto stava accadendo e che il procedimento disciplinare nei confronti della professoressa era stato archiviato per ragioni formali, vale a dire la mancata trasmissione, da parte del Preside, della relazione richiesta dall'Ufficio scolastico di […]. Né sarebbe idonea a fondare la prova della veridicità dei comportamenti sopra le righe ascritti alla vittima del reato la relazione redatta in ritardo, successivamente, dal dirigente, in cui si dava atto che diversi docenti avevano confermato in qualche modo le voci sulla professoressa, accusata di aver insultato un alunno diversamente abile, dandogli dell'handicappato. Gli argomenti difensivi, tuttavia, si rivelano manifestamente infondati, oltre che volti ad una inammissibile rivalutazione alternativa del significato di elementi di prova che il giudice di secondo grado, in linea con la sentenza conforme di primo grado, ha ritenuto del tutto logicamente capaci di sostenere la tesi degli imputati e, di conseguenza, la decisione di loro assoluzione per l'inammissibilità di simili ragioni di censura, cfr., tra le più recenti, Sez. 6, numero 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 Sez. 6, numero 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 . Si è, infatti, adeguatamente argomentato, nelle due pronunce di merito, della plausibilità della ricostruzione delle prove, utili a determinare l'applicabilità della scriminante putativa in relazione alla condotta diffamatoria contestata, nonché della comprensibile necessità di porgere vibrate rimostranze al Preside dell'istituto scolastico, esternate nella missiva oggetto della contestazione, da parte dei genitori degli alunni coinvolti, in qualche modo, dai comportamenti disdicevoli, concordemente attribuiti alla prof.ssa L.M. da più fonti. Gli indizi messi in fila logicamente dalla sentenza impugnata si rivelano, invero, plausibili, univoci, concordanti primo fra tutti, il ricordo di colleghi - insegnanti nella stessa scuola della docente offesa - i quali hanno, appunto, confermato di aver ricevuto diffusamente confidenze dagli alunni circa i comportamenti poco commendevoli della prof.ssa L.M. nei loro confronti, per come ricostruito dal Preside in un atto pubblico quale è la relazione del 17.3.2014. E non assume rilievo, per escludere l'affidabilità dei contenuti di tale relazione, la circostanza che il dirigente scolastico, per comprensibili ragioni di riservatezza, anche a tutela dei minorenni coinvolti, non abbia fornito dettagli specifici sulle persone e le circostanze dalle quali ha tratto le informazioni. Neppure rileva che la redazione di tale atto sia avvenuta dopo l'invio delle missive diffamatorie, avendo comunque il dato in sé della sua esistenza un significato di conforto alla tesi della verosimiglianza estrema delle doglianze nei confronti della docente, da parte dei genitori degli alunni che lamentavano di ricevere un trattamento non in linea con la buona educazione e la correttezza pedagogica. 2.2. Correttamente, pertanto, i giudici di merito, sulla base di tale tessuto di prova, hanno ritenuto sussistente la scriminante dell'esercizio del diritto di critica, quantomeno putativo, discendente anche dall'esercizio del diritto-dovere genitoriale, esaminato, altresì, il contenuto della missiva, non denigratorio di per sé, ma esplicativo-rappresentativo delle ragioni, ovviamente concrete e dettagliate, per le quali, a tutela dei propri figli minori, i genitori interessati rappresentavano al dirigente scolastico la situazione denunciata loro dai ragazzi. Il giudice di pace, in particolare, ha osservato che le espressioni ed i comportamenti attribuiti alla persona offesa nella missiva non rivelavano neppure un dolo diffamatorio, oltre ogni ragionevole dubbio, da parte degli autori dello scritto, ma solo la volontà di tutelare gli interessi dei figli minori, alunni della prof.ssa L.M., rivolgendosi al Preside, affinché si interessasse della questione e vi ponesse rimedio. Del resto, questa Corte ha affermato che gli argomenti che attacchino una persona screditandola a livello individuale, con espressioni denigratorie ad hominem , non possono fondare la scriminante del diritto di critica Sez. 5, numero 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, Simeone, Rv. 249239 Sez. 5, numero 38448 del 25/09/2001, Uccellobruno, Rv. 219998 viceversa, configurano la scriminante espressioni funzionali alla critica, dirette a persone con specifici poteri funzionali di intervento Sez. 5, numero 38962 del 04/06/2013, Di Michele, Rv. 257759 Sez. 5, numero 32180 del 12/06/2009, Dragone, Rv. 244495 , come avvenuto nel caso di specie. 3. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell' articolo 616 c.p.p. , la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità cfr. sul punto Corte Cost. numero 186 del 2000 , al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000. 3.1. Deve essere disposto, altresì, che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell' articolo 52 D.Lgs. numero 196 del 2003 , in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell 'articolo 52 del D.Lgs. numero 196 del 200 3 in quanto imposto dalla legge.