È discriminazione proporre al lavoratore con problemi di salute mansioni nettamente inferiori

Censurato il comportamento tenuto da un’azienda nel reinserimento di un dipendente affetto da una patologia cardiaca. Fatale all’azienda il non avere fornito prove concrete sull’impossibilità di proporre al lavoratore mansioni a lui più confacenti.

Discriminatorio reinserire il lavoratore – dichiarato inidoneo fisicamente alle precedenti mansioni assegnategli – offrendogli un’unica collocazione, palesemente inferiore rispetto a quella da lui occupata fino a poco tempo prima. Difficile, a dir la verità, il rapporto tra dipendente ed azienda. A testimoniarlo il fatto che la società abbia messo alla porta il lavoratore per i troppi giorni di malattia. A cancellare il licenziamento hanno provveduto però i giudici, ritenendo illegittimo il licenziamento e condannando la società a far rientrare in servizio il dipendente. Ma proprio quest’ultimo passaggio ha provocato un ulteriore strascico giudiziario il lavoratore, difatti, che era inquadrato come autista prima di essere dichiarato inidoneo fisicamente a quella mansione, si è ritrovato assegnato mansioni di addetto alle pulizie e ha per questo lamentato il carattere discriminatorio della condotta tenuta dal datore di lavoro . Secondo il lavoratore ci si trova di fronte a una chiarissima violazione del principio che impone al datore di lavoro di adottare nei confronti del lavoratore disabile – o colpito da una grave patologia – ragionevoli accomodamenti, e che, a suo dire, avrebbe dovuto consentirgli di ottenere altre mansioni rispetto a quelle di addetto alle pulizie, come, ad esempio, agente di movimento-addetto alla sala operativo. Per la società datrice di lavoro, invece, il dipendente non ha alcuna ragione per lamentarsi, poiché essa si è limitata ad «adeguarsi alla valutazione del medico competente, che aveva dichiarato il lavoratore idoneo unicamente alle mansioni di addetto alle pulizie e quindi argomentando sull’incompatibilità dello stato di salute del lavoratore e le mansioni di addetto alla sala operativa». Prima di prendere posizione, i giudici richiamano i dettagli della vicenda, originata da un precedente provvedimento giudiziario con cui è stata dichiarata la nullità del licenziamento intimato – per superamento del periodo di comporto – dalla società datrice di lavoro, con conseguente ordine di reintegra del dipendente. Ma il ritorno in servizio non è stato semplicissimo per il lavoratore, il quale – affetto da una malattia del cuore, con una sensibile riduzione della capacità lavorativa, accertata dall’INPS nella misura del 67% – non ha contestato la propria inidoneità alla mansione di autista precedentemente svolta ma ha precisato che «il datore di lavoro avrebbe potuto adibirlo alle mansioni di agente di movimento-addetto alla sala operativa, avendo già partecipato nel 2020 al bando di selezione interna per ricoprire tale mansione ed essendosi utilmente collocato al quarto posto in graduatoria». A questo proposito, il lavoratore ha sostenuto anche «l’equivalenza della mansione di agente di movimento a quella precedentemente ricoperta – autista –» e ha osservato che invece «le mansioni di addetto alle pulizie» assegnategli «appartengono ad altra area professionale e rappresentano un’offesa alla sua dignità professionale, di fatto concretizzando una discriminazione diretta». A tali considerazioni la società ha replicato in maniera semplice, sostenendo che «la mansione di addetto alle pulizie è l’unica a cui il lavoratore è stato dichiarato idoneo dal medico competente». I giudici ribadiscono, innanzitutto, che «è quindi discriminatoria la condotta del datore di lavoro che non adotti i ragionevoli accomodamenti volti a garantire al lavoratore disabile parità di trattamento rispetto agli altri lavoratori». E per «ragionevoli accomodamenti» devono intendersi «adeguamenti, lato sensu , organizzativi che il datore di lavoro deve porre in essere al fine di garantire il principio della parità di trattamento dei disabili e che si caratterizzano per la loro appropriatezza, ovvero per la loro idoneità a consentire alla persona svantaggiata di svolgere l’attività lavorativa e ciò entro il limite che tale accomodamento non imponga un onere sproporzionato o eccessivo, come quando richieda un onere finanziario sproporzionato, ma con la precisazione che la soluzione non è sproporzionata allorché l’onere sia compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato a favore dei disabili. Di conseguenza, «occorre soppesare gli interessi giuridicamente rilevanti delle parti coinvolte l’interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente con il suo stato fisico e psichico, in una situazione di oggettiva ed incolpevole difficoltà, e, poi, l’interesse del datore a garantirsi comunque una prestazione lavorativa utile per l’impresa, tenuto conto che la Costituzione vieta prestazioni assistenziali, anche a carico del datore di lavoro, se non previste per legge una direttiva comunitaria non prescrive il mantenimento dell’occupazione di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione». Tirando le somme, secondo i giudici «va ritenuta ragionevole ogni soluzione organizzativa praticabile che miri a salvaguardare il posto di lavoro del disabile in un’attività che sia utile per l’azienda e che imponga all’imprenditore, oltre che al personale eventualmente coinvolto, un sacrificio che non ecceda i limiti di una tollerabilità considerata accettabile secondo la comune valutazione sociale». Per difendere la propria scelta la società ha messo sul tavolo i documenti necessari per ricostruire «l’ iter seguito all’atto di reintegrare in servizio il lavoratore». Nello specifico, la società ha sottoposto il dipendente a visita dinanzi al medico competente dell’azienda «al fine di verificarne l’idoneità residua e consentire la sua reintegra in servizio» e «il medico competente ha dichiarato l’idoneità del lavoratore allo svolgimento della» sola «mansione di addetto alle pulizie con uso tassativo di mascherina FFP2 e di guanti, con il rigoroso rispetto del protocollo anti COVID-19». Ciò però non è sufficiente, secondo i giudici, per ritenere che la società datrice di lavoro abbia fornito «la prova di avere assolto all’onere dei ragionevoli accomodamenti» per il reinserimento del lavoratore, poiché «il medico competente si è limitato a valutare l’idoneità alla mansione di addetto alle pulizie» mentre l’azienda «non ha dato prova di avere compiuto uno sforzo adeguato, nel senso di proporre al lavoratore una mansione alternativa, adatta alla sua professionalità e diversa dalla mansione di autista, cui era diventato inidoneo». E a questo proposito i giudici censurano la posizione dell’azienda, ritenendo palese come «le mansioni di addetto alle pulizie siano del tutto estranee alla professionalità del lavoratore, che ha sempre svolto le mansioni di autista e che ha anche superato una selezione interna per la posizione di addetto alla sala operativa». In conclusione, «l’avere adibito il lavoratore a mansioni di pulizia rappresenta una condotta discriminatoria da parte dell’azienda che», osservano i giudici, «non ha dimostrato di avere adottato ragionevoli accomodamenti per adibire il lavoratore a mansioni confacenti alla sua professionalità».

Giudice Trovò 1. Il presente procedimento segue immediatamente quello di impugnazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto, all'esito del quale questo Giudice, con ordinanza del 26 giugno 2022, ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato a omissis , condannando omissis S.P.A. a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e a corrispondergli l'indennità di legge. In questa sede il lavoratore -affetto da sarcoidosi cardiaca, con una sensibile riduzione della capacità lavorativa accertata dall'I.N.P.S. nella misura del 67% non contestando l'inidoneità alla mansione di autista precedentemente svolta, assume che il datore di lavoro avrebbe potuto adibirlo alle mansioni di agente di movimento addetto alla sala operativa, avendo già partecipato nel 2020 al bando di selezione interna per ricoprire tale mansione ed essendosi utilmente collocato al quarto posto in graduatoria. Il ricorrente sostiene l'equivalenza di tali ultime mansioni a quelle precedentemente ricoperte autista e lamenta invece che le mansioni di addetto alle pulizie appartengano ad altra area professionale e rappresentino un'offesa alla sua dignità professionale, di fatto concretizzando una discriminazione diretta e la violazione dell' articolo 3, comma 3 bis. d.lgs. numero 216/2003 . La parte resistente replica che la mansione di addetto alle pulizie è l'unica alla quale è stato dichiarato idoneo dal medico competente. 2. Si dà per scontato che l'odierna fattispecie debba essere vagliata alla luce della tutela antidiscriminatoria, sul punto rinviando a quanto motivato nell'ordinanza del 26.6.2022 docomma numero 33 di parte ricorrente , in ordine all'estensione, da parte della giurisprudenza europea, di detta tutela alle situazioni di malattia, dovendosi interpretare “la nozione di “handicap” di cui alla Direttiva 2000/78 nel senso di includervi la malattia, qualora per un periodo considerevole costituisca una limitazione alla piena ed effettiva partecipazione del lavoratore alla vita professionale. Il comma 3 bis dell' articolo 3 del D.lgs. 216/2003 inserito dal D.L. 28/6/2013 numero 76 convertito in legge 9/8/2013 numero 99 , all'articolo 9 comma 4 ter , stabilisce che “al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3/3/2009 numero 18 , nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena uguaglianza con gli altri lavoratori”. Per stessa definizione normativa è quindi discriminatoria la condotta del datore di lavoro che non adotti i “ragionevoli accomodamenti”, volti a garantire al lavoratore disabile parità di trattamento rispetto agli altri lavoratori. Anche rispetto alla portata dell' articolo 3 comma 3 bis. d.lgs. numero 216/2003 e della nozione di “ragionevoli accomodamenti” si è già ampiamente detto nel precedente provvedimento del 26.6.2022, con argomentazioni che qui è utile richiamare “Il legislatore nazionale ha quindi deliberatamente scelto di trasporre nell'ordinamento interno la formula delle fonti sovranazionali, in dichiarata attuazione della direttiva numero 78/2000/CE , affidandosi ad una nozione a contenuto variabile, che ha come caratteristica strutturale proprio l'indeterminatezza consapevole dell'impossibilità di una tipizzazione delle condotte prescrivibili, il legislatore ha conferito all'interprete il compito di individuare lo specifico contenuto dell'obbligo, guidato dalle circostanze del caso concreto. Ai fini della delimitazione della nozione di accomodamenti ragionevoli e degli oneri che essi implicano a carico del datore di lavoro, è bene considerare che, come opportunamente precisato dalla recente sentenza della Corte di Cassazione numero 6497/2021 , per accomodamenti devono intendersi adeguamenti, lato sensu, organizzativi che il datore di lavoro deve porre in essere al fine di garantire il principio della parità di trattamento dei disabili e che si caratterizzano per la loro appropriatezza , ovvero per la loro idoneità a consentire alla persona svantaggiata di svolgere l'attività lavorativa e ciò entro il limite, rinvenibile nella definizione della Convenzione ONU del 2006, che tale accomodamento non imponga un onere sproporzionato o eccessivo , come quando richieda un onere finanziario sproporzionato , ma con la precisazione che la soluzione non è sproporzionata allorché l'onere sia compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili. Quanto all'ulteriore requisito della ragionevolezza, i giudici di legittimità hanno chiarito che esso è dotato di autonoma valenza letterale, atteso che se l'unica ragione per esonerare il datore di lavoro dal porre in essere l'adattamento, fosse l'onere sproporzionato , allora non sarebbe stato necessario aggiungere il ragionevole . I giudici di legittimità hanno allora evidenziato che se può sostenersi che ogni costo sproporzionato, inteso nella sua accezione più ampia di eccessivo rispetto alle dimensioni ed alle risorse finanziarie dell'impresa, renda l'accomodamento di per sé irragionevole, non è necessariamente vero il contrario, perché non può escludersi che, anche in presenza di un costo sostenibile, circostanze di fatto rendano la modifica organizzativa priva di ragionevolezza, avuto riguardo, ad esempio, all'interesse di altri lavoratori eventualmente coinvolti. Dalla connotazione della ragionevolezza come espressione dei più ampi doveri di buona fede e correttezza nei rapporti contrattuali, la Corte di Cassazione ha tratto indicazioni metodologiche utili per orientare prima il destinatario della norma ad individuare il comportamento dovuto e poi, eventualmente, il giudice, al fine di misurare l'esattezza dell'adempimento dell'obbligo di accomodamento nella concretezza del caso singolo e ciò ha fatto facendo riferimento a quella ricca giurisprudenza che identifica la buona fede oggettiva o correttezza come criterio di determinazione della prestazione contrattuale, costituendo fonte di integrazione del comportamento dovuto che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, ponendo metodologicamente al centro dell'operazione interpretativa l'esigenza di una valutazione comparata di tutti gli interessi in gioco, al fine di un bilanciato contemperamento. Nel caso degli accomodamenti occorre quindi soppesare gli interessi giuridicamente rilevanti delle parti coinvolte l'interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente con il suo stato fisico e psichico, in una situazione di oggettiva ed incolpevole difficoltà poi l'interesse del datore a garantirsi comunque una prestazione lavorativa utile per l'impresa, tenuto conto che l' articolo 23 Cost. vieta prestazioni assistenziali, anche a carico del datore di lavoro, se non previste per legge Cass. SS.UU. numero 7755/1998 cit. e che la stessa direttiva 2000/78/CE, al suo considerando 17, non prescrive il mantenimento dell'occupazione di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione . Secondo la Corte di Cassazione non può, infine, aprioristicamente escludersi che la modifica organizzativa coinvolga, in maniera diretta o indiretta, altri, lavoratori, sicché in tal caso, fermo il limite non valicabile del pregiudizio a situazioni soggettive che assumano la consistenza di diritti soggettivi altrui, occorrerà valutare comparativamente anche l'interesse di costoro. All'esito di questo complessivo apprezzamento, con la sentenza in commento si è quindi ritenuto ragionevole ogni soluzione organizzativa praticabile, che miri a salvaguardare il posto di lavoro del disabile in un'attività che sia utile per l'azienda e che imponga all'imprenditore, oltre che al personale eventualmente coinvolto, un sacrificio che non ecceda i limiti di una tollerabilità considerata accettabile secondo la comune valutazione sociale . Pur discorrendosi in questa sede non più di licenziamento discriminatorio, ma piuttosto della condotta potenzialmente discriminatoria del datore di lavoro, che adibisca il lavoratore malato/disabile a mansioni non adeguate alla sua professionalità, nulla muta con riferimento alla ripartizione degli oneri probatori, sicché anche sotto questo profilo sono pertinenti le argomentazioni svolte nell'ordinanza del 26 giugno 2022, ove sul punto si è fatto ampio rinvio alla motivazione della sentenza della Corte di Cassazione del 9.3.2021 numero 6497 , la quale ha così statuito “secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, poi, spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di repechage del dipendente licenziato, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili Cass. numero 5592 del 2016 Cass. numero 12101 del 2016 Cass. numero 20436 del 2016 Cass. numero 160 del 2017 Cass. numero 9869 del 2017 Cass. numero 24882 del 2017 Cass. numero 27792 del 2017 . Trattandosi di prova negativa, il datore di lavoro ha sostanzialmente l'onere di fornire la prova di fatti e circostanze esistenti, di tipo indiziario o presuntivo idonei a persuadere il giudice della veridicità di quanto allegato circa l'impossibilità di una collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale ancora Cass. numero 10435/2018 cit. v. pure sull'utilizzo del metodo presuntivo in materia Cass. numero 23789 del 2019 . Usualmente si prova che nella fase concomitante e successiva al recesso, per un congruo periodo, non sono avvenute nuove assunzioni oppure sono state effettuate per mansioni richiedenti una professionalità non posseduta dal prestatore v., ad ex., Cass. numero 22417 del 2009 ma pure Cass. numero 9369 del 1996 Cass. numero 13134 del 2000 Cass. numero 3040 del 2010 . A questi oneri che tradizionalmente gravano sul datore di lavoro, in caso di applicazione del D.lgs. numero 216 del 2003, articolo 3, comma 3 bis, si aggiunge quello distinto relativo all'adempimento dell'obbligo di accomodamento ragionevole, pure esso inteso come condizione di legittimità del recesso. Pertanto, a fronte del lavoratore che deduca e provi di trovarsi in una condizione di limitazione, risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature secondo il diritto dell'Unione Europea, quale fonte dell'obbligo datoriale di ricercare soluzioni ragionevoli che potessero evitare il licenziamento causato dalla disabilità, graverà sul datore di lavoro l'onere di provare di aver adempiuto all'obbligo di accomodamento ovvero che l'inadempimento sia dovuto a causa non imputabile. In tale situazione di riparto non è certo sufficiente per il datore semplicemente allegare e provare che non fossero presenti in azienda posti disponibili in cui ricollocare il lavoratore, come si trattasse di un ordinario repechage, così creando una sovrapposizione con la dimostrazione, comunque richiesta, circa l'impossibilità di adibire il disabile a mansioni equivalenti o inferiori compatibili con il suo stato di salute. Né spetta al lavoratore, o tanto meno al giudice, individuare in giudizio quali potessero essere le possibili modifiche organizzative appropriate e ragionevoli idonee a salvaguardare il posto di lavoro, sovvertendo l'onere probatorio e richiedendo una collaborazione nella individuazione degli accomodamenti possibili non prevista neanche per il repechage ordinario in mansioni inferiori, oramai esteso dal recesso per sopravvenuta inidoneità fisica alle ipotesi di soppressione del posto di lavoro per riorganizzazione aziendale ab imo, Cass. numero 21579 del 2008 conf. Cass. numero 23698 del 2015 Cass. numero 4509 del 2016 Cass. numero 29099 del 2019 Cass. numero 31520 del 2019 . Le stesse ragioni che hanno spinto questa Corte a rimeditare un risalente orientamento che chiedeva al lavoratore che impugnava il licenziamento l'allegazione dell'esistenza di altri posti nei quali egli potesse essere utilmente ricollocato, ragioni quali cfr. Cass. numero 5592/2016 cit. l'inappropriata divaricazione tra oneri di allegazione e prova, l'impossibilità di alterare surrettiziamente l'onere sancito dalla L. numero 604 del 1966 , articolo 5 il principio di riferibilità o vicinanza della prova di fatti attinenti ad una organizzazione aziendale rispetto alla quale il lavoratore è estraneo, militano nel senso che, anche nella specie, vadano applicati i principi generali che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova nell'adempimento delle obbligazioni così come stabiliti da Cass. SS. UU. numero 13533 del 2001 . Al fine di non sconfinare in forme di responsabilità oggettiva, per verificare l'adempimento o meno dell'obbligo legislativamente imposto dal D.lgs. numero 216 del 2003, articolo 3, comma 3 bis, occorre avere presente il contenuto del comportamento dovuto, così come definito nel paragrafo precedente, e che esso si caratterizza non tanto, in negativo, per il divieto di comportamenti che violano la parità di trattamento, quanto piuttosto per il suo profilo di azione, in positivo, volta alla ricerca di misure organizzative ragionevoli idonee a consentire lo svolgimento di un'attività lavorativa, altrimenti preclusa, a persona con disabilità. In tale prospettiva, l'onere gravante sul datore di lavoro potrà essere assolto mediante la deduzione del compimento di atti o operazioni strumentali rispetto all'avveramento dell'accomodamento ragionevole, che assumano il rango di fatti secondari di tipo indiziario o presuntivo, i quali possano indurre nel giudicante il convincimento che il datore abbia compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata che scongiurasse il licenziamento, avuto riguardo a ogni circostanza rilevante nel caso concreto. Ovviamente il datore di lavoro potrà anche dimostrare che eventuali soluzioni alternative, pur possibili, fossero prive di ragionevolezza, magari perché coinvolgenti altri interessi comparativamente preminenti, ovvero fossero sproporzionate o eccessive, a causa dei costi finanziari o di altro tipo ovvero per le dimensioni e le risorse dell'impresa. Del resto, questa Corte ha già avuto occasione di affermare, peraltro a proposito del D.Lgs. numero 81 del 2008, articolo 42 il quale prevede, come già detto, che il lavoratore divenuto inabile alle mansioni specifiche possa essere assegnato anche a mansioni equivalenti o inferiori, che nell'inciso ove possibile si contempera il conflitto tra diritto alla salute ed al lavoro e quello al libero esercizio dell'impresa, ponendo a carico del datore di lavoro l'obbligo di ricercare anche in osservanza dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto le soluzioni che, nell'ambito del piano organizzativo prescelto, risultino le più convenienti ed idonee ad assicurare il rispetto dei diritti del lavoratore e lo grava, inoltre, dell'onere processuale di dimostrare di avere fatto tutto il possibile, nelle condizioni date, per l'attuazione dei detti diritti in termini Cass. numero 13511 del 2016 ”. 3. Così delineati i principi generali, entro i quali si iscrive l'invocata tutela antidiscriminatoria e che accomunano la presente controversia al precedente giudizio di impugnazione del licenziamento, occorre nello specifico considerare gli ulteriori accadimenti che rilevano rispetto all'odierno contenzioso. In particolare omissis S.P.A. documenta ed allega le seguenti circostanze rispetto all'iter seguito all'atto di reintegrare in servizio il omissis all'esito dell'ordine giudiziale di reintegra, la società sottoponeva il sig. omissis a visita dinanzi al medico competente dell'azienda, al fine di verificarne l'idoneità residua e consentire la sua reintegra in servizio il medico competente dott. omissis , con giudizio di idoneità datato 19.07.2022, dichiarava l'idoneità del sig. omissis allo svolgimento della mansione di “addetto alle pulizie con uso tassativo di mascherina FFP2 e di guanti, con il rigoroso rispetto del protocollo anti COVID 19” docomma 34 del ricorso al fine di vagliare pienamente e preliminarmente le possibilità di ricollocamento del omissis , con propria comunicazione del 25.07.2022, omissis S.P.A. chiedeva al medico competente di estendere l'esame di idoneità anche alle mansioni di addetto al parcheggio, addetto alla manutenzione mezzi, e addetto ufficio movimento docomma 35 avverso ricorso , fornendo, all'uopo, le indicazioni essenziali ai fini di un compiuto e pieno esame dell'idoneità del ricorrente allo svolgimento delle mansioni svolte dai propri dipendenti il medico competente riscontrava la richiesta aziendale confermando il proprio giudizio di idoneità del sig. omissis alla mansione di “addetto alle pulizie” docomma numero 36 del ricorso al fine di fugare ogni dubbio in ordine all'oggetto ed al merito delle valutazioni medico-cliniche svolte dal medico competente nell'ambito della formulazione dei certificati di idoneità alle mansioni del 19 e del 25.7.2022, omissis , a seguito della notifica dell'odierno ricorso, chiedeva al dott. omissis di produrre, un documento esplicativo, che veniva reso con la relazione datata 9.1.2023, del seguente tenore “ho certificato l'idoneità del lavoratore omissis , in forza alla ditta Linee Lecco, alla mansione di Addetto alle pulizie, pur con l'obbligo di utilizzo di mascherina FFP2 e guanti protettivi e rispetto assoluto delle procedure anti COVID19, in quanto era ed è l'unica mansione, allora e adesso, a cui possa accedere in sicurezza. Non ho, al momento, alcuna novità sulla situazione clinica del Sig. omissis , pertanto mi trovo a rinnovare quanto indicato nella precedente comunicazione del 23.04.2021 e del 22.07.2022, ovvero che il Lavoratore non può guidare automezzi per il trasporto pubblico per decisioni dell'organo di sorveglianza e Giudicante l'idoneità degli autisti per il trasporto pubblico. Non è indicata l'idoneità di parcheggiatore perché lo esporrebbe al caldo e/od freddo eccessivo e dovrebbe inoltre movimentare le cassette contenenti monete, con cui sono state pagate le soste, molto pesanti. Non è indicata l'idoneità in officina per l'esposizione a sostanze irritanti le vie respiratorie. Per quanto riguarda la funzione di agente di movimento – addetto alla sala operativa non mancano le occasioni di stress psico-emotivo, soprattutto con il pubblico ed inoltre non mancano le possibilità che venga impiegato per emergenze alla guida di automezzi” docomma 30 di parte resistente . 4. Anzitutto si ritiene che la mancata impugnazione da parte del omissis del giudizio espresso dal medico competente non osti all'odierna censura di tale giudizio. Merita anzitutto osservare che il giudizio del medico competente, previsto tra gli obblighi di sorveglianza sanitaria posti a carico del datore di lavoro, è un giudizio di idoneità alla mansione specifica, come previsto dall' articolo 4, comma secondo, d.lgs. numero 81/2008 . Il sesto comma della stessa norma prevede che “il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche di cui al comma 2, esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica a idoneità b idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni c inidoneità temporanea d inidoneità permanente”. Il comma 9 del citato articolo 41 prevede che “avverso i giudizi del medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all'organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso”. Il fatto che nel caso di specie il lavoratore non abbia promosso il predetto ricorso, non può ostare alla proposizione dell'odierna azione giudiziaria. Vero è che la società convenuta assume di essersi conformata al giudizio del medico competente, ma ciò non è sufficiente al datore di lavoro per fornire la prova di avere assolto all'onere dei ragionevoli accomodamenti. Il medico competente si è infatti limitato inizialmente a valutare l'idoneità alla mansione di addetto alle pulizie. Non è dato sapere se tale mansione fosse stata indicata dal datore di lavoro come quella cui il omissis sarebbe stato adibito dopo l'ordine di reintegra. Ove così non fosse, pare quantomeno singolare che il giudizio medico si sia indirizzato solo ed esclusivamente a valutare tale mansione. Il dubbio che il giudizio non fosse esaustivo è del resto insorto alla stessa società, che ammette di avere chiesto al medico, con comunicazione del 25.7.2022, “al fine di vagliare pienamente e preliminarmente le possibilità di ricollocamento del omissis , … di estendere l'esame di idoneità anche alle mansioni di addetto al parcheggio, addetto alla manutenzione mezzi e addetto ufficio movimento, fornendo, all'uopo, le indicazioni essenziali ai fini di un compiuto e pieno esame dell'idoneità del ricorrente allo svolgimento delle mansioni svolte dai propri dipendenti” Emerge in definitiva come la successiva conferma da parte del medico dell'idoneità del alle sole mansioni di addetto alle pulizie sia strettamente consequenziale alla descrizione che lo stesso datore di lavoro gli ha fornito -con la citata comunicazione del 25.7.2022 in ordine al contenuto delle potenziali mansioni alternative. Occorre allora considerare come tale descrizione sia stata fatta in maniera del tutto sommaria, fornendo le seguenti schematiche indicazioni “Addetti al parcheggio movimentazione manuale dei carichi, interazioni con utenti per disservizi e verbali, compiti di Ausiliari del traffico, gestione degli impianti Addetti alla manutenzione dei mezzi Addetti pulizia Ufficio movimento interazione con pubblico e conducenti attualmente gli “operatori di esercizio” addetti alla sala operativa sono tutti in possesso di patente D per movimentazione e guida degli autobus”. Ma soprattutto occorre considerare che il vaglio dei “ragionevoli accomodamenti” va fatto proprio rispetto alla prospettazione, da parte di omissis , delle mansioni cui il omissis potrebbe essere assegnato. 5. Come premesso, l'obbligo dei datori di lavoro pubblici e privati di adottare accomodamenti ragionevoli per garantire parità di trattamento alle persone con disabilità implica che essi adottino adeguamenti, lato sensu, organizzativi entro il limite di un onere finanziario proporzionato e non eccessivo. Il carattere o meno sproporzionato dell'onere finanziario del ragionevole accomodamento andrà valutato in rapporto alle dimensioni ed alle risorse finanziarie dell'impresa, mentre la ragionevolezza implicherà che la modifica organizzativa non pregiudichi significativamente l'interesse di altri lavoratori eventualmente coinvolti, il tutto in un'ottica di rispetto dei principi di buona fede e correttezza nei rapporti contrattuali e di un adeguato bilanciamento dell'interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente con il suo stato fisico e psichico, in una situazione di oggettiva ed incolpevole difficoltà e dell'interesse del datore di lavoro a garantirsi comunque una prestazione lavorativa utile per l'impresa. Sussiste insomma un obbligo del datore di lavoro di assegnare il lavoratore, in condizioni di handicap, a mansioni diverse, equivalenti o, se ciò è impossibile, a mansioni inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall'imprenditore, anche in presenza di un costo, purché sia sostenibile e ragionevole, avuto riguardo, anche all'interesse di altri lavoratori eventualmente coinvolti. Non è quindi sufficiente, per il datore di lavoro, allegare le difficoltà che possono sorgere nell'operare nel senso richiesto, ma occorre dimostrare che le difficoltà lamentate siano tali da determinare costi insostenibili o irragionevoli, o una destabilizzazione dell'assetto organizzativo dell'azienda, o che si tratti di andare ad incidere sull'interesse degli altri lavoratori Cass. numero 27243/2018 . 5.1. Alla luce di tali principi si ritiene che la società omissis non abbia dato prova di avere compiuto uno sforzo adeguato, nel senso di proporre al omissis una mansione alternativa, adatta alla sua professionalità e diversa dalla mansione di autista, cui è diventato inidoneo. Non è revocabile in dubbio che le mansioni di addetto alle pulizie siano del tutto estranee alla professionalità del lavoratore, che ha sempre svolto le mansioni di autista e che ha anche superato la selezione interna per la posizione di addetto alla sala operativa. Rispetto alla richiesta del ricorrente di essere adibito a mansioni di addetto alla sala operativa, la società convenuta ha replicato che gli agenti di movimento assegnati alla centrale operativa, nell'ambito di un processo di riorganizzazione dell'attività aziendale, dal 2017 sono stati coinvolti direttamente nell'espletamento dei turni di guida e per tale ragione l'attività di guida è stata integrata all'interno del loro mansionario, perciò dirimente sarebbe l'inidoneità del omissis alle mansioni di autista. Analoga posizione dell'azienda si è espressa nelle indicazioni fornite al medico competente rispetto a tale posizione lavorativa, che gli è stata descritta dalla società come “Ufficio movimento interazione con pubblico e conducenti attualmente gli “operatori di esercizio” addetti alla sala operativa sono tutti in possesso di patente D per movimentazione e guida degli autobus”, così necessariamente condizionando il suo giudizio. La difesa di parte resistente, per suffragare l'asserita impossibilità di adibire alla sala operativa, ha rilevato che essa “raramente vede impiegate più unità contemporaneamente, solo nelle fasce orarie di punta allorché entrambi gli addetti possono essere chiamati a fare le corse”. Ha altresì allegato che “il mansionario in atti, inoltre, prevede che gli agenti di movimento effettuino il parcheggio serale delle vetture prima di chiudere la sede. A tutte le summenzionate attività, per le quali risulta necessaria l'idoneità alla guida, bisogna aggiungere la vigilanza sul rispetto delle disposizioni aziendali da parte del personale viaggiante, la verifica dei percorsi e dei tempi di percorrenza delle vetture in circolazione, la redazione tempestiva di report, l'attività di centralino con l'utenza per le segnalazioni di doglianze e di irregolarità del servizio. I turni di lavoro presso la sala operativa espongono il lavoratore a costanti sollecitazioni ed un elevato stress psico-fisico, del tutto incompatibile con le gravi patologie cardiovascolari sofferte dal omissis ”. Il mero riferimento ai turni attualmente vigenti, tuttavia, non esclude che -proprio sulla base di una differente turnistica il omissis possa essere addetto in via esclusiva alla sala operativa ed esentato da attività di guida. Né la parte resistente ha compiutamente argomentato sull'impossibilità di organizzare turni diversi o, in alternativa, sull'eccesiva onerosità finanziaria di tale soluzione. Quanto alle altre ragioni, per cui -a detta della resistente i turni di lavoro presso la sala operativa esporrebbero il lavoratore a “costanti sollecitazioni ed un elevato stress psico-fisico”, si tratta testualmente di attività implicanti “la vigilanza sul rispetto delle disposizioni aziendali da parte del personale viaggiante, la verifica dei percorsi e dei tempi di percorrenza delle vetture in circolazione, la redazione tempestiva di report, l'attività di centralino con l'utenza per le segnalazioni di doglianze e di irregolarità del servizio”, rispetto alle quali non si può ritenere espresso dal medico competente un vero e proprio giudizio di inidoneità. Infatti, rispetto mansione di addetto alla sala operativa, il medico competente, ribadita l'inidoneità del lavoratore alla guida, si è limitato a scrivere nella relazione esplicativa quanto segue “Per quanto riguarda la funzione di agente di movimento – addetto alla sala operativa non mancano le occasioni di stress psico-emotivo, soprattutto con il pubblico ed inoltre non mancano le possibilità che venga impiegato per emergenze alla guida “di automezzi”, il che pare, non tanto un giudizio di inidoneità alla mansione, ma piuttosto un mero rilievo sull'opportunità che il lavoratore non si trovi coinvolto in accadimenti particolari. Peraltro le situazioni di particolare stress psicofisico, determinato dalle interazioni con il pubblico, che la parte resistente si è limitata ad allegare in maniera generica, senza alcuna contestualizzazione “attività di costante interazione con il pubblico e con il personale aziendale, tali da generare uno stato di costante e prolungata e continua sollecitazione e, più in generale, esporre i lavoratori a stress lavoro-correlato, carichi di lavoro e – nelle ipotesi peggiori – rischi di aggressione” punto 68 della narrativa , non si prestano né ad essere provate in via testimoniale, né a denotare l'effettiva rischiosità della mansione. In definitiva, l'avere adibito il lavoratore a mansioni di pulizia rappresenta una condotta discriminatoria di omissis , che non ha dimostrato di avere adottato ragionevoli accomodamenti per adibire il lavoratore a mansioni confacenti alla sua professionalità. L'accoglimento del ricorso peraltro non può andare oltre all'accertamento della condotta discriminatoria ed all'ordine di sua cessazione, al quale il datore di lavoro è tenuto a dare esecuzione con condotte volte ad adottare i ragionevoli accomodamenti previsti dalla legge, per adibire il lavoratore a mansioni che siano idonee al suo stato di disabilità, anche in rapporto alla sua professionalità. 6. Va invece rigettata la domanda di risarcimento del danno, non avendo la parte ricorrente allegato alcunché in ordine alla sua esistenza e consistenza. Vale infatti il principio per cui, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell'esistenza di un pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex articolo 2697 c.comma del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale Cass. nnumero 29047/2017 , 19785/2010 . Tenuto conto del rigetto della domanda risarcitoria, si ritiene sussistano le ragioni per la compensazione delle spese di lite nella misura di un terzo, mentre i restanti due terzi sono liquidati in favore del ricorrente, come da dispositivo, tenuto conto della natura del procedimento e dell'attività difensiva svolta. P.Q.M. Il Tribunale, ordina a omissis S.P.A. di cessare la condotta discriminatoria, adottando i ragionevoli accomodamenti previsti dalla legge, volti ad adibire il lavoratore a mansioni che siano idonee al suo stato di disabilità ed alla sua professionalità rigetta la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale condanna omissis S.P.A. a rifondere a omissis i due terzi delle spese del giudizio, che liquida in detta quota in € 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso delle spese forfettarie pari al 15% dei compensi professionali, iva e cpa, come per legge, con compensazione tra le parti della restante quota di un terzo.