La disposizione di cui all’articolo 9, comma 2, l. numero 898/1970, deve essere interpretata nel senso che per titolarità dell’assegno ai sensi dell’articolo 5 deve intendersi l’avvenuto riconoscimento del contributo medesimo da parte del tribunale ai sensi della predetta norma. Di conseguenza, solo il procedimento di revisione, e non meri accordi o intese tra le parti non sottoposte al vaglio giurisdizionale, può determinare l’eventuale perdita della titolarità dell’assegno divorzile da parte del coniuge divorziato e, quindi, la mancanza del relativo requisito per poter aspirare alla pensione di reversibilità.
Questo il principio di diritto che si trae dalla presente pronuncia con cui la Prima Sezione civile ha cassato con rinvio la sentenza impugnata. Il caso. Nell'ambito di un giudizio avente ad oggetto l'accertamento della quota di pensione di reversibilità, il Tribunale aveva ripartito detta pensione attribuendola per il 50% ciascuna alle due coniugi, divorziata e superstite, ritenendo di non dovere tener conto degli accordi che erano intervenuti tra gli ex coniugi, successivamente al divorzio, per la riduzione dell'assegno divorzile e per la cessazione dell'obbligo, dal momento che non erano stati ratificati in sede giudiziale. In secondo grado, però, tale decisione veniva riformata in quanto a detta della Corte di appello per effetto degli accordi liberamente perfezionati tra gli ex coniugi dopo il divorzio, incontestati in punto di fatto e da entrambi rispettati, era venuto meno l'obbligo della corresponsione dell'assegno divorzile riconosciuto alla ex moglie con la sentenza di divorzio. Secondo i giudici, poi, a sostegno di ciò poggiava anche il fatto che la medesima, sempre in sede di accordo, aveva riconosciuto di non aver più necessità del sostegno fornitole sino ad allora dall'ex coniuge ed esplicitato di non rinunciare al solo proprio diritto alla corresponsione della quota di trattamento di fine rapporto. Da qui, quindi, il ricorso per cassazione promosso dalla coniuge divorziata. Il diritto alla pensione di reversibilità. Riguardo a tale aspetto, la Cassazione ricorda che secondo quanto previsto dall'articolo 9, comma 2, l. numero 898/1970, il diritto alla pensione di reversibilità scaturisce, insieme con altri presupposti, dalla titolarità del diritto all'assegno di divorzio, riconosciuto dal tribunale, il quale, a sua volta, è giustificato da ragioni assistenziali e compensativo perequative, che coniugano, nei rapporti orizzontali, la solidarietà con l'esigenza di riequilibrare gli effetti delle scelte condivise nello svolgimento della vita matrimoniale. Pertanto, alla luce di tale presupposto, anche il diritto alla quota della pensione di reversibilità, svolgendo, in sostanza, funzioni che attengono alla solidarietà e all'effettività del principio di eguaglianza e producendo effetti che si riverberano anche nei confronti dei terzi, non può essere escluso per il solo fatto che l'assegno divorzile non sia stato corrisposto per un periodo più o meno lungo senza alcuna reazione, giudiziale o stragiudiziale, dell'avente diritto. Una tale inerzia, infatti, non comporta “ipso facto” la rinuncia al menzionato assegno, laddove manchi una verifica giudiziale in merito all'effettività della stessa e alle correlate eventuali mutazioni dei presupposti per la sua percezione. Gli accordi tra gli ex coniugi successivi al divorzio. Per quanto riguarda, invece, gli accordi in questione, la Suprema Corte ricorda che gli stessi trovano il loro fondamento nella norma di cui all'articolo 1322 c.c., sono validi ed efficaci nei limiti in cui non interferiscano con quanto già omologato o disposto in sede di divorzio cioè purché ne specifichino soltanto il contenuto con disposizioni all'evidenza maggiormente rispondenti agli interessi dei tutelati. Nel caso in esame, però, a detta della Cassazione gli accordi intervenuti tra gli ex coniugi non erano specificativi del contenuto delle disposizioni già regolate dal tribunale, ma erano volti ad annullare l'assegno divorzile, già disposto in sede giudiziale di scioglimento del vincolo matrimoniale ovvero dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio, senza però che tale annullamento fosse stato deliberato all'esito del giudizio di revisione delle condizioni di divorzio previsto all'articolo 9, comma 1, l. numero 898/1970. Pertanto, solo l'accertamento giudiziale della titolarità o meno in capo all'ex coniuge dell'assegno divorzile si pone quale requisito imprescindibile per la liquidazione dell'assegno pensionistico di reversibilità, non essendo a ciò sufficienti meri accordi ovvero intese tra le parti non sottoposte al vaglio giurisdizionale.
Presidente Valitutti – Relatore Amatore Rilevato che 1. Il Tribunale di Roma, con la sentenza numero 104/2017, pubblicata il 12.9.2017, definendo il giudizio introdotto il 21.9.2015 da M.S. per l'accertamento della quota di pensione di reversibilità a lei spettante quale coniuge divorziata di Ma.Ri., deceduto il omissis , aveva ripartito detta pensione attribuendola per il 50% ciascuna alle due coniugi divorziata e superstite , condannando l'INPS, ente erogatore del trattamento pensionistico, a corrispondere le rispettive quote con decorrenza dal mese successivo al decesso del Ma., detratti gli eventuali importi già corrisposti e respinte le ulteriori domande formulate dall'Inps. 2. Proposto appello da parte di T.E. avverso la predetta sentenza del Tribunale di Roma, la Corte di appello di Roma, con la sentenza numero 1981/2020 del 20.4.2020, qui nuovo impugnata, ha accolto il gravame, rigettando pertanto la domanda proposta da M.S La corte del merito - dopo aver disatteso l'eccezione di inammissibilità dell'impugnazione per genericità e le istanze istruttorie reiterate in appello ha ritenuto, per quanto qui ancora di interesse, che risultavano circostanze accertate e non contestate quelle secondo cui, da un lato, i rispettivi matrimoni della M. e della T. con il defunto Ma.Ri. avevano avuto durata il primo dal omissis ed il secondo dal omissis e, dall'altro, che alla M. era stato attribuito un assegno divorzile dell'importo di Lire 1.200.000 con la sentenza di divorzio e che quest'ultima non si era risposata ha evidenziato - come ulteriore circostanza fattuale non controversa - che, successivamente al divorzio, erano intervenuti ulteriori accordi tra gli ex coniugi M. - Ma., dapprima, nel Omissis , per la riduzione dell'assegno divorzile da Lire 1.200.000 a 700.000 e, poi, per la cessazione dell'obbligo nel omissis ha ricordato che il Tribunale non aveva ritenuto di dover tenere conto degli accordi tra gli ex coniugi incontestati in punto di fatto e, in particolare, di non poter riconoscere agli stessi la volontà della M. di rinunciare definitivamente all'assegno divorzile ed ai diritti conseguenti quale il diritto a percepire una quota della pensione di reversibilità poiché non ratificati in sede giudiziale ha invece evidenziato che la giurisprudenza di legittimità ha, nel tempo, sempre più riconosciuto autonomia negoziale e logica contrattuale alle pattuizioni tra coniugi ove non contrastanti con esigenze di protezione di soggetti minori ovvero più deboli ha evidenziato che anche la giurisprudenza resa dalle Sezioni Unite di questa Corte sent. numero 22434/2018 era giunta ad affermare, in omaggio all'affermata funzione solidaristica dell'assegno divorzile e del trattamento di reversibilità, che, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti era stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la titolarità dell'assegno di cui alla L. numero 898 del 1970, articolo 5, doveva intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno periodico divorzile al momento della morte dell'ex coniuge e non già come titolarità astratta del diritto all'assegno già definitivamente soddisfatto con la corresponsione in una unica soluzione ha evidenziato, seguendo il ragionamento delle Sez. Unumero da ultimo citate, che il diritto alla pensione di reversibilità non deriva dalla semplice qualità di ex coniuge ma da uno dei suoi necessari requisiti nella titolarità attuale dell'assegno, la cui attribuzione si fonda sulla esigenza di assicurare allo stesso ex coniuge mezzi adeguati, dovendosi altresì ritenere che il presupposto per l'attribuzione della pensione è il venir meno di un sostegno economico assicurato in vita dal coniuge ovvero ex coniuge scomparso e la sua finalità è quella di sopperire a tale perdita economica all'esito di una valutazione effettuata dal giudice in concreto sulla base di vari elementi tra cui, in primo luogo, l'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell'ex coniuge ha osservato che per effetto degli accordi liberamente assunti tra gli ex coniugi Ma. - M., successivamente al divorzio e da entrambi rispettati, era venuto meno l'obbligo della corresponsione dell'assegno divorzile giudizialmente riconosciuto alla M. con la sentenza di divorzio, avendo peraltro la medesima M. riconosciuto, in sede di accordo, di non aver più necessità del sostegno fornitole sino allora dall'ex coniuge ed esplicitato di non rinunciare alla persistenza del proprio diritto alla corresponsione della sola quota di trattamento di fine rapporto ha evidenziato che, al momento del decesso del Ma., avvenuto nel Omissis , questi non corrispondeva più l'assegno divorzile alla M. da oltre dieci anni, dovendosi dunque ritenere che al momento del decesso del Ma. non sussisteva una situazione di contribuzione periodica ed attuale in favore dell'ex coniuge che dovesse essere continuata con l'attribuzione della quota di pensione di reversibilità ha concluso dunque nel senso che, in difetto del requisito della titolarità dell'assegno, la domanda di attribuzione della pensione di reversibilità proposta dalla M. dovesse essere respinta, con la conseguente riforma della sentenza di primo grado. 2. La sentenza, pubblicata il 20.4.2020, è stata impugnata da M.S. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui T.E. e ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE hanno resistito con controricorso. M.S. e T.E. hanno depositato memoria. Considerato che 1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, violazione della L. numero 898 del 1970, articolo 5 e 9. Ricorda la ricorrente che in base alla L. numero 898 del 1970, articolo 9, comma 2, in caso di morte dell'ex coniuge, il coniuge divorziato può vantare il diritto alla pensione di reversibilità qualora non abbia contratto nuove nozze, il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di scioglimento del matrimonio e sia titolare dell'assegno divorzile, dovendosi ritenere per titolarità l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del Tribunale, ai sensi della L. numero 263 del 2005. Osserva ancora la ricorrente che sarebbe errata la giustificazione addotta dalla Corte di appello in ordine al mancato riconoscimento del diritto di reversibilità, tenendo conto di fatti concludenti, viziati e, pertanto, nulli, che avevano portato il giudicante a ritenere sussistente la mancanza di titolarità dell'assegno come condizione ostativa al riconoscimento della pensione di reversibilità in quota parte. Si evidenzia, sul punto qui da ultimo in discussione, che con riferimento all'espressione normativa . che sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5 . , il legislatore ha fornito un'interpretazione autentica. Osserva ancora la ricorrente che, unitamente al possesso degli altri requisiti, al fine di poter aspirare alla pensione di reversibilità ovvero ad una quota di essa, occorre che il coniuge divorziato sia titolare di un assegno divorzile giudizialmente stabilito, senza che assumano rilievo le concrete successive vicende ad esso relative, prevedendo in realtà la L. numero 898 del 1970, uno specifico procedimento giurisdizionale quale unico mezzo idoneo a determinare l'eventuale perdita della titolarità dell'assegno da parte del coniuge divorziato e dunque la mancanza del relativo requisito per poter aspirare alla pensione di reversibilità. Ciò sarebbe stato affermato - aggiunge la ricorrente - anche dalla Corte Cost. sent. numero 87/1995 laddove si era precisato che . in tale fattispecie l'elemento della titolarità dell'assegno giudizialmente riconosciuta non è surrogabile da una convenzione privata, perché solo il giudice, non l'autonomia privata, ha il potere di accertare i presupposti, attinenti alle condizioni economiche dei coniugi e alle ragioni della decisione di scioglimento del matrimonio, che giustificano, nei rapporti con l'INPS, la prosecuzione, nella forma della pensione di reversibilità, della funzione di sostentamento del coniuge superstite prima indirettamente adempiuta dalla pensione di cui era titolare il coniuge defunto . . Errando - evidenzia ancora la ricorrente - la Corte di appello avrebbe invece individuato in una mera scrittura privata, nello specifico costituita dallo scambio di due missive viziate e pertanto nulle , la perdita del diritto di reversibilità. 2. Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, la violazione del diritto alla pensione di reversibilità ai sensi della L. numero 898 del 1970, alla luce di una scrittura privata viziata . Osserva la ricorrente che, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, l'assegno divorzile ha una natura di diritto indisponibile , insuscettibile di rinuncia, dovendosi anche ritenere nulla la transazione avente ad oggetto il diritto all'assegno divorzile. Pur ribadendo - aggiunge la ricorrente - che, nel caso di specie, successivamente al divorzio, non era comunque intervenuto alcun accordo tra le parti, l'interpretazione della Corte di appello finirebbe per attribuire rilievo giuridico a due missive nelle quali l'iniziativa a non corrispondere più l'assegno proveniva dal de cuius Ma.Ri. che ella ricorrente aveva accettato, anche se in dissenso con la proposta, inconsapevole peraltro degli effetti conseguenti sulla sua situazione clinica ed economica assai precaria. Osserva ancora la ricorrente che era stato positivamente dimostrato che, a decorrere dal 1993/1995, le era stata riconosciuta una condizione di invalidità con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 74% al 99% , in seguito anche alla riscontrata sindrome psicotica bipolare di II grado medio-grave, condizione patologica sempre sussistente e mai revocata. A ciò andrebbe aggiunto, sempre a fondamento dell'illegittimità della scrittura privata, che le somme conseguite a titolo di alimenti, ossia necessarie a provvedere ai bisogni primari di vita, rientrano tra i diritti indisponibili e, in quanto tali, non sono soggetti a rinuncia mediante un semplice accordo tra le parti. 3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, per omesso esame di fatto decisivo, sul rilievo che la Corte di appello avrebbe omesso di considerare i fatti esposti a sostegno della sua precaria condizione clinica ed economica che evidenziavano una condizione di mancanza di autosufficienza. 4. Il quarto mezzo denuncia, sempre in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, il vizio di falsa applicazione al caso di specie della sentenza a Sezioni Unite numero 22434 del 2018 , sul rilievo che la Corte di appello avrebbe mal interpretato il principio dell'attualità dell'assegno come requisito di titolarità dell'assegno, trattando l'odierna vicenda ancora sub iudice una questione simile ma non analoga a quella trattata dalle Sezioni Unite. 5. Il primo motivo è fondato ed il suo accoglimento determina l'assorbimento delle ulteriori doglianze prospettate nei restanti motivi. 5.1 La L. numero 898 del 1970, articolo 9, comma 2, prevede che Viri caso di morte dell'ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza . La L. numero 263 del 2005, articolo 5, reca, poi, un'interpretazione autentica dell'indicato articolo 9, comma 2, specificando che tale disposizione debba interpretarsi nel senso che per titolarità dell'assegno ai sensi dell'articolo 5, deve intendersi l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi della citata L. numero 898 del 1970, predetto articolo 5 . Pertanto, secondo della L. numero 898 del 1970, articolo 9, comma 2 come modificato dalla L. 6 marzo 1987, numero 74, articolo 13, recante Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio , il diritto alla pensione di reversibilità scaturisce, insieme con altri presupposti, dalla titolarità del diritto all'assegno di divorzio. Quest'ultimo, a sua volta, è giustificato da ragioni assistenziali e compensativo-perequative, che coniugano, nei rapporti orizzontali, la solidarietà con l'esigenza di riequilibrare gli effetti delle scelte condivise nello svolgimento della vita coniugale. In virtù di tale presupposto, anche il diritto alla pensione di reversibilità rispecchia, sul piano assiologico, una funzione solidaristica Corte Cost. sentenze numero 419 del 1999, numero 286 del 1987 e numero 7 del 1980 , che sottende, al contempo, istanze perequativo-compensative. Dunque, i diritti alla pensione di reversibilità ed anche ad una quota di indennità di fine rapporto svolgono, in sostanza, funzioni che, nei rapporti orizzontali tra ex coniugi, riflettono istanze di rilievo costituzionale, che attengono alla solidarietà e all'effettività del principio di eguaglianza. Tali diritti, pur traendo giustificazione e origine dai rapporti fra gli ex coniugi, producono effetti che si riverberano anche nei confronti di terzi. Proprio al fine, dunque, di evitare che, nell'ambito di processi relativi a pretese previdenziali, coinvolgenti gli enti obbligati a tali prestazioni, possano porsi, tramite accertamenti incidenter tantum, questioni inerenti alla spettanza in astratto del diritto all'assegno di divorzio, della L. numero 263 del 2005, articolo 5, disposizione di interpretazione autentica, ha previsto che per titolarità dell'assegno . deve intendersi l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi della . L. numero 898 del 1970, articolo 5 . 5.2 Ciò posto, la ricostruzione dell'istituto qui in esame operata dalla Corte territoriale non può essere condiviso. E' stato infatti di recente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che, in tema di divorzio, il diritto alla quota della pensione di reversibilità previsto dalla L. numero 898 del 1970, articolo 9, spetta all'ex coniuge titolare dell'assegno divorzile e non può essere escluso per il solo fatto che tale assegno non sia stato corrisposto per un periodo più o meno lungo senza alcuna reazione, giudiziale o stragiudiziale, dell'avente diritto, poiché tale inerzia non comporta ipso facto la rinuncia al menzionato assegno, in assenza della necessaria verifica giudiziale in ordine all'effettività della stessa e alle correlate modificazioni dei presupposti per la sua percezione cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza numero 27875 del 12/10/2021 . Ne consegue che, con riferimento al caso di specie, non è certo lo scambio di missive - che concreterebbero, secondo la diversa ricostruzione della Corte di appello, una rinuncia alla corresponsione dell'assegno divorzile - ad essere condizione sufficiente per ritenere che l'odierna ricorrente non sia più titolare dell'assegno di divorzio, e neanche a tal fine rileva il lungo tempo trascorso senza la corresponsione dell'assegno stesso, essendo necessaria - come per tutte le manifestazione di volontà in ambito familiare come tra breve si puntualizzerà - una verifica giudiziale in ordine all'effettività della stessa rinuncia e alle eventuali correlate modificazioni dei presupposti per la percezione dell'assegno. 5.3 E' pur vero che, come argomentato dalla Corte di appello, le Sezioni Unite di questa Corte, richiamate anche dai giudici di secondo grado, hanno affermato che, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la titolarità dell'assegno di cui alla L. numero 898 del 1970, articolo 5, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno periodico divorzile al momento della morte dell'ex coniuge e non già come titolarità astratta del diritto all'assegno divorzile già definitivamente soddisfatto con la corresponsione in unica soluzione. In quest'ultimo caso, infatti, difetterebbe il requisito funzionale del trattamento di reversibilità, che è dato dal medesimo presupposto solidaristico dell'assegno periodico di divorzio, finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge, mentre nel caso in cui sia stato corrisposto l'assegno una tantum non esisterebbe una situazione di contribuzione economica che viene a mancare Cass., Sez. U., 24 settembre 2018, numero 22434 . Tuttavia, l'arresto giurisprudenziale da ultimo citato non può certo venire in soccorso per la soluzione della questio iuris oggi all'esame di questo Collegio, come invece ritenuto dai giudici del gravame nel provvedimento qui impugnato. Ed invero, secondo tale decisione - ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio la titolarità dell'assegno di cui alla L. numero 898 del 1970, articolo 5, deve intendersi - per quanto anche già sopra ricordato - come titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno periodico divorzile al momento della morte dell'ex coniuge e non già come titolarità astratta del diritto all'assegno divorzile già definitivamente soddisfatto con la corresponsione in unica soluzione. In quest'ultimo caso, infatti, difetterebbe - secondo le Sez. Unumero cit. supra - il requisito funzionale del trattamento di reversibilità, che è dato dal medesimo presupposto solidaristico dell'assegno periodico di divorzio, finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge, mentre nel caso in cui sia stato corrisposto l'assegno una tantum non esisterebbe una situazione di contribuzione economica che verrebbe a mancare. Ma deve essere chiarito che la titolarità attuale, che fa sì che l'assegno sia ancora fruibile si ha, invero, proprio quanto non vi è un provvedimento giurisdizionale che accerti - come dianzi detto - l'effettiva e definitiva rinuncia a tale emolumento. Situazione che non ricorre proprio quando l'assegno viene corrisposto in un'unica soluzione, perché in tal caso difetterebbe la titolarità attuale e concreta. 5.4 Ciò detto e venendo alla questione dell'asserito accordo intervenuto tra M. e Ma., deve ricordarsi che questa Corte ha affermato che se è vero che gli accordi tra i coniugi trovano legittimo fondamento nel disposto dell'articolo 1322 c.c., è altrettanto vero che gli stessi sono validi ed efficaci nei limiti in cui non interferiscano con quello già omologato o con quanto disposto in sede di divorzio, ma ne specifichino soltanto il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti, all'evidenza, con gli interessi tutelati cfr., Cass., 24 febbraio 2021, numero 5065 . 5.5 Sul punto qui da ultimo in esame una giurisprudenza risalente espressa da questa Corte ma ancora condivisibile aveva precisato che in tema di divorzio e con riguardo al trattamento economico del coniuge divorziato in caso di morte dell'ex coniuge, nel caso in cui il divorzio sia stato pronunciato e l'assegno di divorzio giudizialmente stabilito durante la vigenza della disciplina anteriore alla L. 6 marzo 1987, numero 74, e tuttavia il decesso del coniuge sia avvenuto dopo l'entrata in vigore della legge citata, la disciplina applicabile è quella dettata dall'articolo 13, di quest'ultima il quale ha, da ultimo, sostituito, introducendo un regime radicalmente innovativo, della L. 1 dicembre 1970, numero 898, articolo 9 , con la conseguenza che, unitamente al possesso degli altri requisiti, è sufficiente, al fine di poter aspirare alla pensione di reversibilità, o ad una quota di essa, che il coniuge divorziato sia titolare di assegno divorzile giudizialmente stabilito, senza che assumano rilievo la natura e l'entità dell'assegno stesso, né le concrete successive vicende ad esso relative prevedendo il citato articolo 13, uno specifico procedimento giurisdizionale quale unico mezzo idoneo a determinare l'eventuale perdita della titolarità dell'assegno divorzile da parte del coniuge divorziato e, quindi, la mancanza del relativo requisito per poter aspirare alla pensione di reversibilità così, Cass. Sez. 1, Sentenza numero 15148 del 10/10/2003 . In tale prospettiva, occorre ricordare che la legge - della L. numero 898 del 1970, articolo 9, comma 1 come sost. dalla L. numero 74 del 1987, articolo 13 - prevede uno specifico procedimento giurisdizionale anche per la revisione delle disposizioni relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articolo 5 e 6 procedimento che costituisce l'unico mezzo idoneo a determinare l'eventuale perdita della titolarità dell'assegno divorzile da parte del coniuge divorziato e, quindi, la mancanza del relativo requisito per poter aspirare alla pensione di reversibilità così, sempre Cass. numero 15148/2003 . 5.6 Era stato anche affermato dalla giurisprudenza di questa Corte - prima dell'intervento di interpretazione autentica della L. numero 898 del 1970, menzionato articolo 9, da parte della L. numero 263 del 2005, articolo 5, e sempre nella scia interpretativa da ultimo ricordata - che, ai fini del diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità, il requisito, previsto dalla L. numero 898 del 1970, articolo 9 nel testo di cui alla L. numero 74 del 1987 , della titolarità dell'assegno disciplinato dall'articolo 5, presuppone il riconoscimento giudiziale del cosiddetto assegno divorzile, a seguito di proposizione delle relativa domanda, mentre non è sufficiente il godimento di erogazioni corrisposte di fatto o anche sulla base di convenzioni tra le parti Cass. Sez. L, Sentenza numero 15242 del 27/11/2000 v. anche Cass. numero 412-1996 numero 14111-1999 Cass. 457-2000 . 5.7 Non sfuggono a questo Collegio le aperture, nella giurisprudenza di legittimità, all'intervento dell'autonomia privata e della negozialità in materia di famiglia, ma tali aperture devono essere necessariamente contestualizzate. Così Cass., Sez. 3, numero 24621 del 03/12/2015 ha affermato che L'accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto al giudice per l'omologazione . 5.7.1 Com'e' noto, nell'accordo tra le parti, in sede di separazione e di divorzio, si ravvisa un contenuto necessario attinente all'affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all'assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorzile per il coniuge economicamente più debole ed uno eventuale la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi stessi . Tradizionalmente gli accordi negoziali in materia familiare erano ritenuti del tutto estranei alla materia e alla logica contrattuale, affermandosi che si perseguiva un interesse della famiglia trascendente quello delle parti, e l'elemento patrimoniale, ancorché presente, era strettamente collegato e subordinato a quello personale. Oggi, escludendosi in genere che l'interesse della famiglia sia superiore e trascendente rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti, si ammette sempre più frequentemente un'ampia autonomia negoziale, e la logica contrattuale, seppur con qualche cautela, là dove essa non contrasti con l'esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più deboli, si afferma con maggior convinzione così, sempre Cass., numero 24621-2015, cit. supra . 5.7.2 La giurisprudenza di questa Corte è così rimasta, per lungo tempo, tradizionalmente orientata a ritenere gli accordi assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, in vista del futuro divorzio, nulli per illiceità della causa, perché in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio tra le altre Cass. numero 6857/1992 . Giurisprudenza più recente ha sostenuto che tali accordi non sarebbero di per sé contrari all'ordine pubblico. Come si è detto, l'accordo delle parti in sede di separazione o di divorzio e magari quale oggetto di precisazioni comuni in un procedimento originariamente contenzioso ha natura sicuramente negoziale, e talora dà vita ad un vero e proprio contratto Cass. numero 18066/2014 Cass. numero 19304/2013 Cass. numero 23713/2012 . Ma, anche se esso non si configurasse come contratto, all'accordo stesso sarebbero sicuramente applicabili alcuni principi generali dell'ordinamento come quelli attinenti alla nullità dell'atto o alla capacità delle parti, ma pure alcuni più specifici ad es. relativi ai vizi di volontà . 5.7.3 Tutto ciò premesso, rileva tuttavia il Collegio che - come correttamente precisato, di recente, da questa stessa Prima Sezione ord. numero 5065 del 24/02/2021, cit. supra, in tema di patti stipulati tra i coniugi per la disciplina della modalità di corresponsione dell'assegno di mantenimento di cui ha confermato la validità , gli accordi tra i coniugi trovano sì legittimo fondamento nel disposto dell'articolo 1322 c.c., tuttavia gli stessi sono validi ed efficaci nei limiti in cui non interferiscano con quello già omologato o con quanto disposto in sede di divorzio, ma ne specifichino soltanto il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti, all'evidenza, con gli interessi tutelati. 5.8 Orbene, nel caso in esame non siamo invero in presenza di accordi integrativi ovvero meramente specificativi del contenuto delle disposizioni già regolate in sede di omologazione ovvero nella sede della decisione degli effetti del divorzio, ma, diversamente, si è in presenza di un presunto accordo negoziale volto ad annullare l'assegno divorzile, già disposto nella sede giudiziale dello scioglimento del vincolo matrimoniale ovvero della dichiarata cessazione degli effetti civili del matrimonio, senza che tale annullamento sia stato deliberato nella competente sede di revisione delle condizioni di divorzio seguendo la speciale procedura prevista dalla L. numero 898 del 1970, articolo 9, comma 1. Ritiene il Collegio che se, come chiarito dal legislatore nella L. numero 263 del 2005, articolo 5 - recante un'interpretazione autentica dell'indicato articolo 9, comma 2 - deve, ora, ritenersi che tale disposizione debba essere interpretata nel senso che per titolarità dell'assegno ai sensi dell'articolo 5, deve intendersi l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi della citata L. numero 898 del 1970, predetto articolo 5 allora, per converso, non può che concludersi, sull'opposto fronte della revoca ovvero della rinuncia alla titolarità dell'assegno, che occorra sempre un intervento giudiziale per operare una modifica di tale titolarità, e ciò anche al solo fine di recepire eventuali accordi intervenuti tra gli ex coniugi in tal senso. Tale intervento giudiziale si giustifica proprio in ragione degli ulteriori effetti giuridici che si producono nelle rispettive sfere patrimoniali delle parti e dei terzi istituti e casse previdenziali , in caso di eventuale decesso del titolare dell'assegno pensionistico già coniugato con il titolare dell'assegno divorzile. In realtà, è proprio l'intreccio di questi interessi patrimoniali eterogenei riconducibili al titolare dell'assegno pensionistico, al titolare dell'assegno divorzile, agli istituti ovvero alle casse previdenziali e, da ultimo, anche all'eventuale altro coniuge superstite che consiglia il necessario accertamento giudiziale della titolarità o meno in capo all'ex coniuge dell'assegno divorzile, quale requisito imprescindibile per la liquidazione dell'assegno pensionistico di reversibilità, nei termini già sopra chiariti, senza che siano a ciò sufficienti meri accordi ovvero intese tra le parti non sottoposte al vaglio giurisdizionale. Ne consegue l'accoglimento del primo motivo e la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale che dovrà decidere la causa secondo i principi sopra affermati. P.Q.M. accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.