Nella categoria dei D.P.I. è inclusa qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore ne consegue l’obbligo di parte datoriale di continua fornitura e di mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria dei D.P.I.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la ordinanza numero 10128 depositata il 17 aprile 2023. Il caso La Corte di Appello di Cagliari, riformando la pronuncia di primo grado, rigettava la domanda proposta da un operatore ecologico tesa ad ottenere il « risarcimento dei danni da inadempimento datoriale all'obbligo di lavaggio e manutenzione degli indumenti di lavoro in quanto dispositivi di protezione individuale D.P.I. ». In particolare, nell'avviso della Corte di merito, sul presupposto che gli indumenti in questione non «potessero svolgere una funzione protettiva», detti indumenti risultavano non inquadrabili nella categoria dei D.P.I., trattandosi invero di «indumenti di lavoro ordinari [ ] non specificatamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore» ai sensi dell' articolo 40 d.lgs. numero 626/1994 , poi sostituito dall' articolo 74 d.lgs. numero 81/2008 che ne ricalca interamente il testo . Contro tale pronuncia il lavoratore ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Nella categoria dei D.P.I. sono inclusi anche gli indumenti di lavoro di protezione del lavoratore dai rischi per la salute e la sicurezza In particolare, e per quanto qui interessa esaminare, il ricorrente si doleva della violazione, inter alia , degli articolo 2087 c.c. e 40 d.lgs. numero 626/1994, per avere i Giudici di merito erroneamente ritenuto che «gli indumenti forniti ai lavoratori per lo svolgimento della prestazione non avessero alcuna funzione protettiva e quindi non potessero essere classificati D.P.I.». Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, accoglie il ricorso. La Cassazione, in continuità con l'indirizzo già espresso dalla medesima Corte cfr. Cass. numero 16749/2019 , Cass. numero 17132/2019 , Cass. numero 17354/2019 , statuisce che « la nozione legale di D.P.I. non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma va riferita a qualsiasi attrezzatura , complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore , in conformità con l' articolo 2087 c.c. » ciò, «a prescindere dalla espressa qualificazione in tal senso da parte del documento di valutazione dei rischi, nonché delle fonti contrattuali collettive». con conseguente obbligo datoriale di lavaggio e manutenzione Conseguentemente, il datore di lavoro è tenuto alla « continua fornitura e mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria dei D.P.I. ». In particolare, secondo la giurisprudenza di legittimità, il suddescritto obbligo sussiste a fronte dell'«idoneità, seppur minima, dei D.P.I. di ridurre i rischi legati allo svolgimento dell'attività lavorativa, costituendo specifico obbligo datoriale quello di porre in essere tutte le misure necessarie per garantire la salute e sicurezza dei lavoratori e quindi per prevenire, con specifico riferimento agli operatori ecologici, l'insorgere e la diffusione di infezioni in danno dei medesimi e dei loro familiari, a cui il rischio si estenderebbe in caso di lavaggio degli indumenti da lavoro in ambito domestico».
Presidente Doronzo – Relatore Ponterio Rilevato che 1. con sentenza numero 262 del 28.8.2018, la Corte d'appello di Cagliari, in accoglimento dell'impugnazione proposta da D. spa e in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di A.P. , operatore ecologico addetto alla raccolta, al trasporto e allo smaltimento di rifiuti urbani, di condanna di parte datoriale al risarcimento dei danni da inadempimento all'obbligo di lavaggio e manutenzione dei dispositivi di protezione individuale D.P.I. 2. la Corte territoriale ha ritenuto che la classificazione dell'attività di raccolta di rifiuti come industria insalubre , ai sensi dell' articolo 216, T.U. leggi sanitarie , rilevasse unicamente ai fini della ubicazione delle attività rispetto ai centri abitati e non riguardo alla qualificazione degli indumenti da lavoro come D.P.I. 3. ha escluso che la classificazione di determinate attrezzature come D.P.I. potesse dipendere dalla scelta unilaterale del datore di lavoro attraverso il documento di valutazione dei rischi D.V.R. , avendo invece carattere oggettivo 4. ha giudicato improprio il riferimento della società appellante alle disposizioni del D.Lgs. numero 475 del 1992, articolo 3, 5 e 7, sottolineando come le stesse abbiano contenuto precettivo nei confronti del datore di lavoro ma non consentono di subordinare la individuazione dei D.P.I. ai requisiti di certificazione ivi previsti 5. premesso, quale fatto notorio, che la raccolta dei rifiuti esponga al contatto con germi e virus, in particolare attraverso le mani per contatto con la bocca o per la presenza di ferite oppure per inalazione, ha escluso che gli indumenti in questione potessero svolgere una funzione protettiva ed ha ricondotto la fattispecie esaminata all'ipotesi prevista dal comma 2, lett. a , del citato articolo 40 non sono dispositivi di protezione individuale gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore 6. avverso tale sentenza A.P. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso, la società 7. entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell' articolo 380 bis.1. c.p.c. . Considerato che 8. col primo motivo di ricorso i lavoratori hanno censurato la sentenza, ai sensi dell' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. numero 626 del 1994 e dell'articolo 216, T.U. numero 1265 del 1934, per aver escluso che la D. s.p.a. fosse classificabile come impresa insalubre di prima classe 9. col secondo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione degli articolo 115 e 116 c.p.c. , nonché omesso esame di un punto decisivo della controversia, ai sensi dell' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 5, per avere la Corte d'appello erroneamente escluso il rischio alla salute, certificato dalle relazioni dell'Ausl, cui erano esposti i lavoratori per il contatto con i rifiuti solidi urbani e per il lavaggio nella propria abitazione degli indumenti usati durante l'attività lavorativa i ricorrenti hanno richiamato il verbale ispettivo del 4.8.2005 che aveva evidenziato l'esistenza, nel settore della raccolta e dello stoccaggio dei rifiuti solidi urbani, di un rischio di esposizione degli addetti ad agenti microbiologici, con particolare riferimento al virus dell'epatite B HBV , e con pericolo di contatto, specie per alcune mansioni come quelle dei portasacchi, riguardante varie parti del corpo tra cui mani, braccia, gambe 10. col terzo motivo di ricorso i lavoratori hanno denunciato, ai sensi dell' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. numero 626 del 1994, articolo 2087 c.c., 40 D.Lgs. numero 475 del 1992 , 1, comma 2 D.P.R. numero 547 del 1955, articolo 379 e D.Lgs. numero 626 del 1994, articolo 43 D.Lgs. numero 626 del 1994, articolo 4, e articolo 67, comma 2, lett. A del c.c.numero l. 30.4.2003, per avere la sentenza impugnata affermato che gli indumenti forniti ai lavoratori per lo svolgimento della prestazione non avessero alcuna funzione protettiva e quindi non potessero essere classificati D.P.I. 11. col quarto motivo di ricorso i lavoratori hanno dedotto violazione e falsa applicazione degli articolo 115 e 116 c.p.c. e dell'articolo 2697 c.c., in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 5, per omesso esame di un punto decisivo della controversia e, esattamente, per avere la Corte d'appello erroneamente disatteso che tra gli indumenti forniti dall'azienda al lavoratore fossero ricomprese le scarpe, i guanti e la pettina alta visibilità che nel D.V.R. aziendale erano classificati D.P.I. 12. il secondo e il terzo motivo di ricorso, che si trattano in via prioritaria ed unitariamente per ragioni di ordine logico, sono fondati nei limiti di seguito esposti e in continuità con l'indirizzo espresso da questa Corte, in fattispecie assolutamente identiche cfr. ordinanze numero 16749 del 2019 numero 17132 del 2019 numero 17354 del 2019 , secondo cui In tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, la nozione legale di Dispositivi di Protezione Individuale D.P.I. non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l' articolo 2087 c.c. ne consegue la configurabilità a carico del datore di lavoro di un obbligo di continua fornitura e di mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria dei D.P.I. 13. deve essere, in primo luogo, ricordato che, ai sensi del D.Lgs. numero 626 del 1994, articolo 40, recante attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, 1. Si intende per dispositivo di protezione individuale qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo. 2. Non sono dispositivi di protezione individuale a gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore 14. tale previsione si pone in continuità con quelle di cui al D.P.R. numero 547 del 1955 ai sensi dell'articolo 377, relativo a Mezzi personali di protezione , il datore di lavoro, fermo restando quanto specificatamente previsto in altri articoli del presente decreto, deve mettere a disposizione dei lavoratori mezzi personali di protezione appropriati ai rischi inerenti alle lavorazioni ed operazioni effettuate, qualora manchino o siano insufficienti i mezzi tecnici di protezione. - I detti mezzi personali di protezione devono possedere i necessari requisiti di resistenza e di idoneità nonché essere mantenuti in buono stato di conservazione secondo l'articolo 379 relativo agli Indumenti di protezione , Il datore di lavoro deve, quando si è in presenza di lavorazioni, o di operazioni o di condizioni ambientali che presentano pericoli particolari non previsti dalle disposizioni del Capo 3 del presente Titolo articolo 366 ss. , mettere a disposizione dei lavoratori idonei indumenti di protezione . L'articolo 40 cit. è stato poi sostituito dal D.Lgs. numero 81 del 2008, articolo 74, che ne ricalca interamente il testo 15. il D.Lgs. numero 626 del 1994, all'articolo 4, comma 5 , prevede che il datore di lavoro adotta le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori e, in particolare lett. d fornisce ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione 16. l'interpretazione data dalla Corte di merito al citato articolo 40, volta a far coincidere i D.P.I. con le attrezzature formalmente qualificate come tali in ragione della conformità a specifiche caratteristiche tecniche di realizzazione e commercializzazione, non tiene adeguatamente conto del tenore letterale delle disposizioni richiamate e, soprattutto, della finalità delle stesse, di tutela della salute quale diritto fondamentale Cost., articolo 32 17. l'espressione adoperata dall'articolo 40 cit., che fa riferimento a qualsiasi attrezzatura nonché ad ogni complemento o accessorio destinati al fine di proteggere il lavoratore contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza e la salute durante il lavoro , deve essere intesa nella più ampia latitudine proprio in ragione della finalizzazione a tutela del bene primario della salute e dell'ampiezza della protezione garantita dall'ordinamento attraverso non solo disposizioni che pongono specifici obblighi di prevenzione e protezione a carico del datore di lavoro, ma anche attraverso la norma di chiusura di cui all' articolo 2087 c.c. 18. lo stesso D.Lgs. numero 81 del 2008 seppure non applicabile ratione temporis contiene nell'allegato VIII un Elenco espressamente definito indicativo e non esauriente delle attrezzature di protezione individuale , che costituisce la conferma del contenuto necessariamente aperto della categoria dei mezzi di protezione e quindi della correttezza della sola interpretazione in grado di salvaguardare l'ampiezza dell'obbligo di tutela posto anche dalle disposizioni in esame 19. da tali premesse discende come la previsione del D.Lgs. numero 626 del 1994, articolo 43, commi 3 e 4, secondo cui 3. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori i DPI dispositivi di protezione individuale conformi ai requisiti previsti dall'articolo 42 e dal decreto di cui all'articolo 45, comma 2 4. Il datore di lavoro - a mantiene in efficienza i DPI dispositivi di protezione individuale e ne assicura le condizioni d'igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie , non possa essere letta in senso limitativo del contenuto e del novero dei D.P.I., come ha fatto la Corte d'appello, bensì quale previsione di un ulteriore obbligo di carattere generale, posto a carico del datore di lavoro, di adeguatezza dei D.P.I. e di manutenzione dei medesimi 20. parimenti non rilevante è la circostanza della previsione o meno degli specifici D.P.I. nell'ambito del documento di valutazione dei rischi, atteso che l'obbligo posto dal D.Lgs. numero 626 del 1994, articolo 4, comma 5 di fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, costituisce un precetto al quale il datore di lavoro è tenuto a conformarsi a prescindere dal fatto che il loro utilizzo sia specificamente contemplato nel documento di valutazione dei rischi, confezionato dal medesimo datore di lavoro in tal senso, con riferimento alla omologa previsione di cui al D.Lgs. numero 81 del 2008, articolo 18, lett. d , cfr. Cass. penumero , numero 13096 del 2017 21. la categoria dei D.P.I. deve essere quindi definita in ragione della concreta finalizzazione delle attrezzature, degli indumenti e dei complementi o accessori alla protezione del lavoratore dai rischi per la salute e la sicurezza esistenti nelle lavorazioni svolte, a prescindere dalla espressa qualificazione in tal senso da parte del documento di valutazione dei rischi e dagli obblighi di fornitura e manutenzione contemplati nel contratto collettivo 22. da questo punto di vista appare coerente la distinzione che l'articolo 40 cit. pone tra ciò che integra un D.P.I. e ciò che non è tale in particolare, la lett. a del comma 2 esclude che costituiscano D.P.I. gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore , vale a dire gli indumenti che in nessun modo sono correlati alla finalità di protezione da un rischio per la salute, e che assolvono unicamente alla funzione di uniforme aziendale o di preservare gli abiti civili 23. in tal senso si è espressa la circolare del Ministero del Lavoro numero 34 del 1999 che non costituisce fonte del diritto, ma presupposto chiarificatore della posizione espressa dall'Amministrazione su un determinato oggetto, cfr. Cass. numero 7889 del 2011 numero 23042 del 2012 numero 1577 del 2014 numero 280 del 2016 che ha elencato le diverse funzioni a cui possono assolvere gli indumenti di lavoro, in particolare a elemento distintivo di appartenenza aziendale, ad esempio uniformi o divise b mera preservazione degli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all'espletamento dell'attività lavorativa c protezione da rischi per la salute e la sicurezza la circolare ha specificato che in quest'ultimo caso gli indumenti rientrano nei dispositivi di sicurezza che assolvono alla funzione di protezione dai rischi, ai sensi del Decreto Legislativo 19 settembre 1994 numero 626, articolo 40 . Rientrano, ad esempio, tra i D.P.I . gli indumenti per evitare il contatto con sostanze nocive, tossiche, corrosive o con agenti biologici ecc. 24. questa Corte ha più volte affermato, anche sotto il vigore del D.Lgs. numero 626 del 1994 , come in tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, ed in particolare di fornitura ai lavoratori di indumenti, alla stregua della finalità della disciplina normativa apprestata dal legislatore, per indumenti di lavoro specifici si debbono intendere le divise o gli abiti aventi la funzione di tutelare l'integrità fisica del lavoratore nonché quegli altri indumenti, essenziali in relazione a specifiche e peculiari funzioni, volti ad eliminare o quanto meno a ridurre i rischi ad esse connessi come la tuta ignifuga del vigile del fuoco , oppure a migliorare le condizioni igieniche in cui viene a trovarsi il lavoratore nello svolgimento delle sue incombenze, onde scongiurare il rischio potenziale di contrarre malattie, come appunto deve reputarsi per la divisa dell'operatore ecologico cfr. Cass. numero 11071 del 2008 nello stesso senso Cass. numero 23314 del 2010 25. con particolare riferimento agli operatori ecologici, addetti alla raccolta dei rifiuti, questa Corte ha sempre affermato l'obbligo datoriale di manutenzione e lavaggio degli indumenti da lavoro sul presupposto, fattuale e logico, della qualificazione degli indumenti medesimi come dispositivi di protezione individuale 26. si è in particolare precisato come l'idoneità degli indumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori - a norma del D.P.R. numero 547 del 1955, articolo 379 fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. numero 626 del 1994 e ai sensi dell'articolo 40, articolo 43, commi 3 e 4, di tale decreto, per il periodo successivo - deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l'intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa. Le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della salute quale oggetto di autonomo diritto primario assoluto Cost., articolo 32 , solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nella concreta fattispecie, è quello di prevenire l'insorgenza e il diffondersi d'infezioni. Ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell'obbligo previsto dalle citate disposizioni , cfr. Cass., numero 11139 del 1998 numero 22929 del 2005 numero 14712 del 2006 numero 22049 del 2006 numero 18573 del 2007 numero 11729 del 2009 numero 16495 del 2014 numero 8585 del 2015 27. nella sentenza numero 18674 del 2015, questa Corte, nel confermare la pronuncia di appello che aveva qualificato come D.P.I. gli indumenti usati da una lavoratrice addetta alla pulizia delle carrozze dei treni, attività comportante la raccolta di rifiuti, lo svuotamento di cestini e portacenere e l'inevitabile contatto con sostanze nocive o patogene, come la polvere, la sporcizia, residui organici, ha affermato che per i lavori di pulizia di ambienti, treni, ecc. la semplice tuta di cotone può considerarsi un seppur minimo mezzo o dispositivo di protezione individuale, e non solo strumento identificativo dell'azienda per cui si lavora, e come tale essa deve essere fornita dal datore di lavoro e tenuta in stato idoneo la medesima pronuncia ha ritenuto come l'inclusione degli indumenti tra i D.P.I. in ragione della funzione protettiva svolta dovesse prescindere dalla loro qualificazione o meno in tal senso da parte delle fonti contrattuali collettive e, deve aggiungersi, anche da parte del documento di valutazione dei rischi 28. sulla base del quadro normativo in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, di rilievo costituzionale nonché attuativo delle direttive Europee a partire dalla direttiva quadro 89/391/CE e delle convenzioni internazionali, incentrato sull'obbligo di prevenzione quale insieme di disposizioni o misure adottate o previste in tutte le fasi dell'attività lavorativa per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell'integrità dell'ambiente esterno D.Lgs. numero 626 del 1994, articolo 2, lett. g , la giurisprudenza di legittimità ha collegato l'obbligo di fornitura e manutenzione dei D.P.I. alla idoneità, seppur minima, dei medesimi di ridurre i rischi legati allo svolgimento dell'attività lavorativa, costituendo specifico obbligo datoriale quello di porre in essere tutte le misure necessarie per garantire la salute e sicurezza dei lavoratori e quindi per prevenire, con specifico riferimento agli operatori ecologici, l'insorgere e la diffusione di infezioni in danno dei medesimi e dei loro familiari, a cui il 29. nessun rilievo può attribuirsi alle pronunce di legittimità richiamate nella sentenza impugnata e nel controricorso Cass. numero 5176 e numero 13745 del 2014 , in quanto relative a lavoratori non addetti alla raccolta dei rifiuti, bensì a mansioni di giardiniere neppure paiono significativi i precedenti di questa Corte sentenze Sez. 6, nnumero 13931 - 13936, 13707, 14033 -14035, tutte pronunciate all'udienza del 15.4.2014 in cui è precisato come fosse estraneo al giudizio trattato il thema decidendum della tutela della salute, della conformità degli indumenti forniti alla normativa vigente e, quindi, della violazione dell' articolo 2087 c.c. , dell'articolo 35, punti 1 e 3 b e c , articolo 4 c e D.Lgs. numero 626 del 1994, articolo 40 peraltro, nelle fattispecie decise con le sentenze del 2014 appena richiamate non risulta che l'azienda avesse accettato di farsi carico del lavaggio settimanale degli indumenti da lavoro, come invece avvenuto da parte della società attuale controricorrente, a seguito delle prescrizioni contenute nel verbale ispettivo dell'Asl 30. la sentenza impugnata, pur avendo ritenuto esistente, in quanto notorio, il rischio di contatto con sostanze tossiche, nocive e agenti biologici germi e virus insito nell'attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, ha escluso la qualificazione degli indumenti forniti dalla società come D.P.I., considerando gli stessi come mera divisa aziendale oppure utili a preservare gli abiti civili, e ciò nonostante non risultassero adottati altri strumenti in grado di fronteggiare il rischio pacificamente accertato, cosicché le tute rappresentavano per gli operatori ecologici l'unico schermo di protezione in concreto utilizzabile contro il possibile contatto con sostanze nocive per la salute 31. in tal modo la sentenza impugnata è incorsa nel denunciato vizio di violazione di legge avendo erroneamente interpretato il D.lgs. numero 626 del 1994, articolo 40, comma 1, e la nozione legale di D.P.I. tale disposizione, per l'ampio tenore letterale della previsione e la precipua finalità di tutela di beni fondamentali del lavoratore, deve essere letta, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, nel senso di includere nella categoria dei D.P.I. qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, ai fini dell'adempimento datoriale all'obbligo, posto dal D.lgs. numero 626 del 1994, articolo 4, comma 5 32. l'accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, porta a ritenere assorbiti gli altri motivi 33. la sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, che provvederà ad un riesame della fattispecie attenendosi a tutti i principi sopra enunciati. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, assorbiti gli altri motivi cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.