Provvedimento di radiazione dall’Albo dei commercialisti annullato: persiste l’esercizio abusivo della professione

La Corte d’appello di Palermo condannava un imputato per il reato di esercizio abusivo della professione di commercialista, nonostante fosse stato sospeso in via cautelare dall’ordine di appartenenza, per aver patrocinato diversi ricorsi presso la CTP attestando falsamente di rivestire la qualità di dottore commercialista.

L'accusato ha sostenuto, in Cassazione, l'errore da parte della Corte d'appello per aver ritenuto che l'intervenuto annullamento del provvedimento di radiazione dall'Albo dei commercialisti non fosse idoneo a far venire meno ex tunc il divieto di esercizio della professione, travolgendo gli effetti del provvedimento cautelare adottato nelle more e quindi la rilevanza penale della condotta tenuta durante il periodo di sospensione. La doglianza è risultata infondata. Infatti, l'annullamento del provvedimento di radiazione produce certamente effetti ex tunc, dovendosi considerare l'atto annullato tamquam non esset. La Corte precisa che ciò riguarda, per l'appunto, il provvedimento di annullamento e non quello di sospensione adottato ai fini cautelari, «dotato di piena autonomia rispetto al primo, del quale l'esito positivo all'interessato del giudizio di cognizione disciplinare fa cessare l'efficacia, qualora lo stesso sia ancora in vigore, ma non può eliderne gli effetti già prodotti ed esauriti, tanto più nel caso in cui», come avvenuto nel caso di specie, «la decisione che ha travolto il provvedimento di radiazione si fonda su vizi procedurale e di motivazione dello stesso». Inoltre, viene sottolineato che la questione della disapplicazione dell'atto amministrativo è totalmente inedita, «non essendo stata sottoposta al giudice d'appello con il gravame di merito». Ne consegue che «il giudice penale deve verificare previamente la legalità sostanziale e formale del provvedimento che si assume violato, sotto i tre profili tradizionali della violazione di legge, dell'eccesso di potere e dell'incompetenza» che non ricorrono nel ricorso in oggetto.

Presidente Zaza – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Palermo ha confermato la condanna di C.D. per i reati di esercizio abusivo di una professione e falsa attestazione o dichiarazione a pubblico ufficiale sulle proprie qualità personali, per avere l'imputato esercitato la professione di commercialista nonostante fosse stato sospeso in via cautelare dall'ordine di appartenenza dall'esercizio della suddetta professione, nonché per aver patrocinato diversi ricorsi presso la Commissione tributaria di Palermo attestando falsamente di rivestire la qualità di dottore commercialista. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato a mezzo dei propri difensori articolando tre motivi di ricorso. 2.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge consistita nell'inosservanza e nella erronea applicazione delle norme che disciplinano gli effetti giuridici dei provvedimenti amministrativi. In sintesi, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che l'intervenuto annullamento del provvedimento di radiazione dell'imputato dall'Albo dei commercialisti non sia provvedimento idoneo a far venir meno ex tunc il divieto di esercizio della professione travolgendo gli effetti di quello cautelare adottato nelle more e quindi la rilevanza penale della condotta tenuta dall'imputato durante il periodo di sospensione. Il ricorrente si duole altresì della illogicità della motivazione della sentenza impugnata, per aver la Corte ritenuto che l'annullamento disposto dal competente organo di disciplina riguardasse solo il provvedimento di radiazione, e non anche il precedente provvedimento di sospensione cautelare, riferito ai medesimi fatti. 2.2 Con il secondo motivo vengono denunciati analoghi vizi sotto il profilo del travisamento di prove documentali ritenute essenziali ai fini del decidere. Nello specifico, l'imputato deduce che i giudici del merito avrebbero del tutto ignorato la circostanza, documentalmente provata, che durante il periodo di sospensione dall'esercizio della professione di commercialista, avrebbe svolto le attività di patrocinio dinanzi agli organi della giustizia tributaria nella sua qualità di revisore dei conti, come risulterebbe dalla carta intestata utilizzata per la redazione e il deposito dei ricorsi, nonché dalle relative firme ivi apposte dall'imputato. E ciò nonostante sulla stessa carta intestata comparisse anche l'indicazione del numero di iscrizione all'Albo dei Dottori Commercialisti. A detta del ricorrente, il travisamento delle suddette evidenze documentali in cui sarebbe incorsa la Corte vizierebbe la sentenza impugnata con riferimento a entrambi i capi di imputazione contestati. Con riferimento al reato di cui all'articolo 348 c.p., il ricorrente sostiene che la presunta farraginosità della normativa in materia di patrocinio nei giudizi tributari avrebbe indotto l'imputato in errore in ordine alla possibilità di svolgere il mandato difensivo nei giudizi di opposizione a cartelle esattoriali. Con riferimento al reato di cui all'articolo 495 c.p., il ricorrente sostiene di aver speso davanti al giudice tributario, con il deposito dei ricorsi, la specifica qualifica di revisore contabile, e di non aver mai presenziato alle udienze dichiarando la qualifica di commercialista. 2.3. Con ultimo motivo viene dedotta la violazione dell'articolo 2 c.p. per avere i Giudici di merito applicato la pena accessoria prevista per la fattispecie di cui all'articolo 348 c.p. come novellato dall'articolo 12 della L. numero 3/2018 - nonostante gli addebiti penali si riferissero a fatti commessi nel mese di aprile 2017. 3. Il 5 gennaio 2023 i difensori dell'imputato hanno depositato motivi nuovi ribadendo con ulteriori argomentazioni le doglianze articolate con il ricorso principale e rilevando come dal successivo annullamento del provvedimento di radiazione consegua l'illegittimità di quello di sospensione dall'esercizio della professione e, dunque, in analogia con quanto stabilito dalla giurisprudenza in riferimento all'articolo 650 c.p., dovrebbe escludersi la rilevanza ai fini di cui all'articolo 348 c.p. della condotta dell'imputato che lo abbia disatteso. Non di meno, per quanto riguarda la contestazione ex articolo 495 c.p., osserva come il provvedimento cautelare abbia comportato la sospensione dall'esercizio della professione e non già dall'iscrizione dall'Albo dei commercialisti, rimanendo dunque irrilevante che i ricorsi presentati dal C. in sede tributaria siano stati presentati su carta intestata che dava atto di tale iscrizione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato negli esclusivi limiti di seguito esposti. 2. Il primo motivo di ricorso è invero infondato. Il ricorrente sostiene che l'annullamento del provvedimento di radiazione dall'albo dei dottori commercialisti avrebbe automaticamente travolto anche quello autonomo di sospensione dall'esercizio della professione precedentemente adottato in via cautelare e la cui violazione integra pacificamente, per costante insegnamento di questa Corte, il reato contestato sotto il titolo di cui all'articolo 348 c.p., ancorché lo stesso non comporti la cancellazione dal menzionato albo Sez. 6, Sentenza numero 20439 del 15/02/2007, Pellecchia, Rv. 236419 . Si tratta di tesi che non può essere condivisa. L'annullamento del provvedimento di radiazione produce certamente effetti ex tunc, dovendosi considerare l'atto annullato tamquam non esset. Ma per l'appunto ciò riguarda il provvedimento di annullamento e non quello di sospensione adottato a fini cautelari, dotato di piena autonomia rispetto al primo, del quale l'esito positivo all'interessato del giudizio di cognizione disciplinare fa cessare l'efficacia, qualora lo stesso sia ancora in vigore, ma non può eliderne gli effetti già prodotti ed esauriti, tanto più nel caso in cui, come avvenuto nella specie, la decisione che ha travolto il provvedimento di radiazione si fonda su vizi procedurali e di motivazione dello stesso. Inconferente è poi il richiamo operato nei motivi nuovi alla giurisprudenza formatasi con riguardo all'articolo 650 c.p. A parte che quella della disapplicazione dell'atto amministrativo è questione totalmente inedita, non essendo stata sottoposta al giudice dell'appello con il gravame di merito, deve osservarsi che il menzionato orientamento giurisprudenziale impone al giudice penale di verificare previamente la legalità sostanziale e formale del provvedimento che si assume violato, sotto i tre profili tradizionali della violazione di legge, dell'eccesso di potere e della incompetenza ex multis Sez. 1, Sentenza numero 54841 del 17/01/2018, Sciara, Rv. 274555 , che pacificamente non ricorrono nel caso di specie, posto che ancora una volta l'asserita illegittimità del provvedimento di sospensione viene prospettata come derivazione di quello autonomo e successivo di radiazione. 2. Parimenti infondato si palesa il secondo motivo di ricorso. Non merita accoglimento la tesi dell'imputato per cui la Corte territoriale avrebbe travisato prove documentali inerenti la qualità nella quale il C. svolgeva la contestata attività di patrocinio. Infatti, non è idonea ad escludere la rilevanza penale della condotta la circostanza che l'imputato, durante il periodo di sospensione dall'albo dei commercialisti, spendesse all'esterno - oltre alla propria qualifica di commercialista, dalla quale momentaneamente era stato sospeso - anche quella di revisore contabile. Tale qualifica, infatti, non lo legittimava di per sé al patrocinio dinanzi agli organi della giustizia tributaria atteso che, ai sensi dell'articolo 12 del D.Lgs. numero 546 del 31 dicembre 1992 fra i soggetti abilitati all'assistenza tecnica in tale sede non sono ricompresi i revisori contabili in quanto tali, ma solo se in possesso degli altri titoli considerati dalla disposizione citata. Inconferente è invece l'evocazione da parte del ricorrente dell'articolo 63 del D.P.R. numero 600 del 1973, nella parte in cui rinvia al testo dell'articolo 4 comma 1 D.Lgs. numero 545 del 1992 vigente all'epoca dei fatti. Infatti, l'articolo 12 comma 3 lett. d D.Lgs. numero 546 del 1992 rinvia al comma 3 del citato articolo 63, il quale abilita al patrocinio dinanzi agli organi della giustizia tributaria, qualora ricorrano determinate condizioni stabilite dalla norma, i dipendenti del Ministero dell'economia e delle finanze e gli ufficiali e gli ispettori della Guardia di Finanza, se cessati dal servizio. Il riferimento ai revisori dei conti, attraverso il menzionato rinvio al D.Lgs. numero 545 del 1992, è invece contenuto nel comma 2 dello stesso articolo 63 - non richiamato dal D.Lgs. numero 546 del 1992 - e riguarda esclusivamente l'individuazione dei soggetti cui viene conferito il potere di autenticazione della sottoscrizione della firma del contribuente in calce alla procura speciale per la presentazione del ricorso tributario. Ne discende che il revisore dei conti è abilitato a patrocinare dinanzi alla giustizia tributaria non in quanto tale, ma solo se rientra in una delle categorie elencate dall'articolo 12 del decreto da ultimo citato ed in tal caso è però titolare - questa volta sì in quanto revisore dei conti iscritto all'albo - del potere di autenticazione della firma del ricorrente. Se ne conclude che, come sostenuto dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, il C. al momento dei fatti, non era - ed era pienamente consapevole di non essere - in possesso dei requisiti prescritti dalla legge per patrocinare dinanzi al giudice tributario, non solo perché sospeso dall'albo dei commercialisti, ma anche in quanto privo di qualsiasi altro titolo alternativo di abilitazione all'assistenza tecnica presso la giurisdizione tributaria. 3. Deve essere invece accolto il terzo motivo di ricorso. I giudici di merito, infatti, hanno illegittimamente applicato al ricorrente la pena accessoria di cui all'articolo 348, comma 2, c.p., così come introdotta dall'articolo 12, comma 1, L. 11 gennaio 2018, numero 3, nonostante la commissione del fatto fosse precedente alla citata modifica legislativa, in quanto risalente al mese di aprile del 2017. Deve pertanto ritenersi che la Corte territoriale abbia illegittimamente applicato retroattivamente all'imputato la pena accessoria prevista dal testo vigente della novella succitata. 4. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio in parte qua e la pena accessoria menzionata eliminata, mentre nel resto il ricorso deve essere rigettato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena accessoria di cui all'articolo 348 c.p., che elimina. Rigetta il ricorso nel resto.