Il compenso spettante all’avvocato, tra libertà di revoca del mandato e validità del patto di quota lite

La Cassazione ricorda che, in virtù della disciplina particolare che regola l’attività dell’avvocato, egli ha la possibilità di recedere dal mandato liberamente, a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa. In tal caso, il giudice di merito, a fronte della richiesta di pagamento del compenso, deve valutare la validità del c.d. patto di quota lite e, in caso di esito negativo di tale verifica, applicherà le tariffe professionali.

Il Giudice di Pace di Trieste, in accoglimento della domanda di un avvocato, condannava il convenuto al pagamento della somma di circa 1600 euro a titolo di compenso professionale spettante al legale, quantificandolo nella misura del 10% dell'importo conseguito in sentenza come stabilito convenzionalmente delle parti. Il convenuto si era opposto alla richiesta di pagamento dell'intero compenso perché l'avvocato aveva rinunciato al mandato prima della conclusione del procedimento. La richiesta è stata accolta dalla Corte d'Appello che riduceva il compenso proporzionalmente all'attività svolta. La questione è giunta dinanzi alla Cassazione. Il ricorrente invoca l'applicazione delle norme di carattere generale in tema di responsabilità del debitore e recesso per giusta causa, ma così facendo perde di vista la corretta disciplina applicabile all'attività dell'avvocato che è quella particolare, in deroga alle disposizioni generali. Ricorda infatti il Collegio che «il contratto di patrocinio - con cui il professionista assume l'incarico di rappresentare la parte in giudizio – non è interamente riconducibile allo schema delineato dal codice civile, negli articoli dal 2229 a 2238, per il contratto d'opera intellettuale, proprio in quanto trova la sua disciplina speciale negli articoli da 82 a 87c.p.c. e dalle norme speciali in materia di professione di avvocato e dei suoi compensi». Da tale contesto normativo, discende la possibilità per l'avvocato di recedere dal mandato liberamente, senza che sia necessaria la sussistenza di una giusta causa. Allo stesso modo, è ugualmente e chiaramente assicurato all'assistito il diritto alla revoca del mandato al suo difensore, senza alcun limite, soltanto per essere venuto meno il rapporto fiduciario. Unico vincolo per il recesso dell'avvocato è dettato dall'articolo 85 c.p.c. quanto alle modalità di esercizio dello stesso il difensore, nell'esercitare il suo diritto alla libera rinuncia al mandato, deve infatti assicurare ogni attività implicata dalla rappresentanza in giudizio fino alla sua sostituzione la violazione di questo dovere è sanzionato disciplinarmente articolo 32 del Codice disciplinare e può essere fonte di risarcimento dei danni. In merito alla quantificazione del compenso spettante all'avvocato e posto che le parti avevano inizialmente concordato un compenso percentuale in ragione di quanto ricavato dall'assistito a differenza di quanto avviene con il sistema di tariffazione per fasi , la Corte territoriale avrebbe dovuto interpretare l'accordo, stabilendo innanzitutto se le parti abbiano inteso convenire soltanto la misura dell'importo da liquidare, rapportandola al risultato finale della lite comunque conseguito o, invece, abbiano convenuto di condizionare l'operatività del patto al verificarsi di taluni determinati eventi nella specie, la sentenza sulla quantificazione del credito riconosciuto , escludendola nell'ipotesi dell'anticipata rinuncia al mandato. Inoltre, «questa operazione ermeneutica consentirà altresì di scrutinare la proporzione e la ragionevolezza della remunerazione convenuta rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell'assunzione del rischio » cfr. Cass. Sez. Unite numero 25012/2014 Cass. Sez. Unite,  numero 6002/2021 . Infine, in caso di giudizio negativo sulla validità o operatività dell'accordo, la liquidazione del compenso deve invece avvenire in applicazione delle tariffe professionali posto che, ai sensi dell'articolo 1419, comma 2, c.c., la nullità del patto di quota lite comunque non pregiudica la validità dell'intero contratto di patrocinio cfr. Cass. civ., sez. II, numero 20069/2018 .

Presidente Manna – Relatore Papa Fatti di causa 1. Con sentenza numero 240-2015, il Giudice di pace di Trieste, in accoglimento della domanda dell'avv. P.F. , condannò C.A. al pagamento della somma di Euro 1.642,66, comprensiva di IVA e CPA, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, a titolo di compenso professionale, quantificandolo nella misura del 10% sull'importo conseguito in sentenza, come stabilito convenzionalmente tra le parti. L'avv. P. aveva prestato attività di procuratore di C. nella causa di lavoro instaurata dinnanzi al Tribunale del lavoro di Trieste, conclusosi con l'accoglimento della domanda aveva, tuttavia, rinunciato al suo mandato prima della pronuncia della sentenza, per essere venuto meno il rapporto di fiducia con il suo assistito che aveva criticato il contenuto delle comparse conclusionali da lui redatte aveva poi comunque svolto per lui attività di procuratore in un'udienza successiva alla comunicazione del recesso. Per quel che qui rileva, C. eccepì che non fosse dovuto l'intero compenso nella misura percentuale pattuita perché il difensore non aveva portato a compimento il suo mandato e rappresentò comunque di aver pagato l'attività di udienza successiva alla rinuncia, svolta dal difensore. Il Giudice di pace, dopo aver motivato sulla sussistenza di una giusta causa di recesso per mancata contestazione dei fatti prospettati dall'attore, ritenne invece comunque dovuto l'intero compenso forfetario del 10% dell'ammontare riconosciuto dal Giudice del lavoro. Adita da C. , con sentenza numero 189 del 2017, la Corte d'appello di Trieste, in accoglimento parziale dell'impugnazione, ridusse il compenso proporzionalmente all'attività svolta e, compensato quanto corrisposto per l'unica udienza successiva alla rinuncia, condannò C. al pagamento di E. 757,89 oltre accessori e alla metà delle spese del doppio grado. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione C. per 4 motivi, a cui l'avv. P. ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1.Preliminarmente è necessario puntualizzare che correttamente la Corte territoriale ha ritenuto ammissibile l'appello, nonostante la controversia fosse iniziata nella vigenza del decreto legislativo 01/09/2011 numero 150, articolo 14. Secondo principio consolidato, infatti, anche in seguito all'entrata in vigore del D.Lgs. numero 150 del 2011, articolo 14, al fine di stabilire il regime di impugnazione del provvedimento con cui si liquidano gli onorari e le altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, assume rilevanza la forma adottata dal giudice in base alla qualificazione che egli abbia dato, implicitamente o esplicitamente, all'azione esercitata in giudizio Cassazione civile, sez. II 12/02/2021 numero 3687, con citazioni in applicazione del principio di apparenza e affidabilità e del principio di ultrattività del rito che ne è specificazione, per cui il mutamento del rito con cui il processo è erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice. 2. Con il primo motivo C. ha prospettato la violazione dell'articolo 116 c.p.c. in relazione all'articolo 360 comma I numero 3 e la violazione degli articolo 1218,2119,2697,2237 c.c. in relazione all'articolo 360 comma I numero 3 c.p.c. perché la Corte non avrebbe correttamente valutato la sua contestazione dei fatti considerati quali giusta causa di recesso. Con il secondo motivo, ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1727 c.c. in relazione all'articolo 360 comma I numero 3 e la violazione e falsa applicazione degli articolo 1362 c.c. e 85 c.p.c. in relazione all'articolo 360 comma I numero 3 perché non avrebbe considerato che era stato stipulato un contratto a termine e che pertanto lo svolgimento di un'udienza successiva alla rinuncia significava che era insorto un nuovo rapporto obbligatorio, incompatibile con l'interruzione del nesso fiduciario. Con il terzo motivo, ha sostenuto la violazione dell'articolo 115 c.p.c. in relazione all'articolo 360 comma I numero 4 la Corte avrebbe immotivatamente rigettato il motivo d'appello concernente l'inidoneità del fatto rappresentato dall'avvocato a costituire giusta causa di recesso , anche perché l'avvocato P. comunque non aveva mai rappresentato che il disappunto asseritamente manifestato fosse privo di fondamento . Con il quarto motivo, ha sostenuto la violazione e falsa applicazione degli articolo 2237 e 2219 c.c. in relazione all'articolo 360 comma I numero 3 c.p.c. perché la Corte, assorbendo i motivi di appello concernenti l'inadempimento dell'avv. P. per il recesso ingiustificato dal mandato, non ha considerato il suo danno conseguente all'aver dovuto avvalersi di un nuovo difensore. Con il quinto motivo, infine, C. ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'articolo 12 delle disp. genumero e degli articolo 2233,2237 e 2225 c.c. in relazione all'articolo 360 comma I numero 3 c.p.c., per avere la Corte erroneamente riconosciuto il compenso stabilito con il patto di quota lite nonostante la prestazione dedotta in contratto fosse indivisibile e l'obbligazione non fosse stata portata a termine. 3. I primi quattro motivi possono essere trattati congiuntamente per continuità argomentativa e sono tutti infondati in quanto invocano l'applicazione alla fattispecie di un complesso di norme invece non operanti l'attività dell'avvocato, infatti, è regolamentata da una disciplina particolare, in deroga alle previsioni di carattere generale in tema di responsabilità del debitore e recesso per giusta causa. Tutte le prime quattro censure si fondano, perciò, su un presupposto erroneo in diritto perché nel rapporto in esame il diritto al compenso non è comunque mai escluso per mancanza di una giusta causa di recesso del professionista. Non considera, dunque, il ricorrente, che il contratto di patrocinio - con cui il professionista assume l'incarico di rappresentare la parte in giudizio - non è interamente riconducibile allo schema delineato dal codice civile, negli articoli dal 2229 a 2238, per il contratto d'opera intellettuale, proprio in quanto trova la sua disciplina speciale negli articoli da 82 a 87 del codice di procedura civile e dalle norme speciali in materia di professione di avvocato e dei suoi compensi. In particolare, l'articolo 85 c.p.c. prevede esplicitamente che la procura può essere sempre revocata e il difensore può sempre rinunciarvi , seppure preveda anche che la revoca e la rinuncia non abbiano effetto nei confronti dell'altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore dalla formulazione della norma risulta allora evidente che, in deroga agli articolo 2119 e 2237 c.c. come invocati dal ricorrente, il recesso dell'avvocato dal mandato è sempre liberamente esercitabile senza necessità della ricorrenza di una giusta causa, seppure, per scongiurare le conseguenze pregiudizievoli all'assistito per la perdita della difesa tecnica e alla controparte per la mancanza di un titolare di ius postulandi, l'attività mandata della rappresentanza in giudizio prosegua ad ogni effetto fino alla nomina di nuovo difensore. In corrispondenza, è ugualmente e chiaramente assicurato all'assistito il diritto alla revoca del mandato al suo difensore, senza alcun limite, soltanto per essere venuto meno il rapporto fiduciario. Per quel che qui rileva, nello stesso senso della norma del codice di procedura, la L. 13 giugno 1942 numero 794, articolo 7, come tenuto in vigore dal D.Lgs. numero 1 dicembre 2009, numero 179, articolo 1, comma 1, prevede che per le cause iniziate ma non compiute ovvero nel caso di revoca della procura o di rinunzia alla stessa il cliente deve all'avvocato gli onorari corrispondenti all'opera prestata senza alcun riferimento alla necessità della giusta causa con ciò, evidentemente, è al contempo assicurato all'avvocato il diritto di recesso e il conseguente diritto al compenso senza necessità di stabilire causa e imputabilità dell'interruzione del rapporto professionale cfr. Sez. 2, Sentenza numero 13329 del 2000 . Unico limite resta dunque posto dalla peculiare disciplina speciale come dettata dall'articolo 85 c.p.c. non all'esercizio del recesso in sé, ma alle modalità di questo esercizio come detto, il difensore, nell'esercitare il suo diritto alla libera rinuncia al mandato, deve infatti assicurare ogni attività implicata dalla rappresentanza in giudizio fino alla sua sostituzione la violazione di questo dovere è sanzionato disciplinarmente articolo 32 del Codice disciplinare e può essere fonte di risarcimento dei danni. Su quest'ultimo punto, in particolare riferimento al quarto motivo, deve ancora precisarsi che i danni risarcibili non possono essere identificati, attesa la libertà di recesso, nelle immediate conseguenze della rinuncia al mandato, cioè, per l'assistito, nella necessità di procurarsi un nuovo difensore, ma soltanto, come detto, nelle conseguenze dell'esercizio del diritto di rinuncia da parte del difensore in violazione delle modalità e delle cautele prescrittegli. 3.1. Fondato è, invece, il quinto motivo. L'appellante aveva censurato la sentenza di primo grado perché il primo giudice non aveva considerato che il riconoscimento dell'intero compenso pattuito avrebbe richiesto la prestazione dell'attività difensiva fino alla sentenza definitiva. La Corte d'appello, pur dando atto che, secondo l'accordo intervenuto, C. si era impegnato a corrispondere all'avv. P. un compenso commisurato a percentuale sulla somma riconosciuta all'esito del giudizio dal Giudice del lavoro, al netto delle ritenute previdenziali e fiscali così in sentenza , ha tuttavia ritenuto irrilevante che lo stesso avvocato abbia prestato la sua difesa soltanto fino alla pronuncia sull'an della pretesa e non fino alla determinazione del quantum ha quindi ritenuto di poter determinare il compenso nella misura del 50% della percentuale della somma riconosciuta dal Giudice del lavoro come convenuta, affermando che non possa dubitarsi che la pronuncia definitiva sia correlata, sul piano causale, anche all'attività svolta dall'avv. P. . Ha motivato, quindi, la possibilità di riduzione richiamando la giurisprudenza di questa Corte in materia di prestazioni professionali. Per le considerazioni già svolte, tuttavia, la statuizione della Corte territoriale non è condivisibile in quanto fondata sulla equivalenza tra contratto di prestazione professionale e contratto di patrocinio che, invece, deve essere esclusa. Il compenso a percentuale o sul risultato implica che il compenso dell'avvocato per il suo lavoro sia stato concordato in ragione di quanto ricavato dall'assistito oppure in relazione ad un risultato conseguito, a differenza di quanto avviene con il sistema di tariffazione per fasi. La Corte, allora, avrebbe dovuto - e dovrà - interpretare l'accordo, stabilendo innanzitutto se le parti abbiano inteso convenire soltanto la misura dell'importo da liquidare, rapportandola al risultato finale della lite comunque conseguito o, invece, abbiano convenuto di condizionare l'operatività del patto al verificarsi di taluni determinati eventi nella specie, la sentenza sulla quantificazione del credito riconosciuto , escludendola nell'ipotesi dell'anticipata rinuncia al mandato. Questa operazione ermeneutica consentirà altresì di scrutinare la proporzione e la ragionevolezza della remunerazione convenuta rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell'assunzione del rischio cfr.Cass. Sez. Unite, 25/11/2014, numero 25012 Cass. Sez. Unite, 04/03/2021, numero 6002 . In ipotesi di giudizio negativo sulla validità dell'accordo o sulla sua operatività, la liquidazione del compenso dovrà avvenire in applicazione delle tariffe professionali, perché, ai sensi dell'articolo 1419, comma 2, c.c., la nullità del patto di quota lite comunque non pregiudica la validità dell'intero contratto di patrocinio cfr.Cassazione civile, sez. II, 30/07/2018, numero 20069 l'attività professionale svolta deve infatti essere comunque remunerata, come stabilito dal principio sancito nella l. 794-42, articolo 7 già richiamato. 4. Il ricorso è perciò accolto limitatamente al quinto motivo in relazione al quale soltanto l'impugnata sentenza è cassata, con rinvio alla Corte d'appello di Trieste in diversa composizione, anche per le spese di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati i restanti cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di Trieste in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.