Irrilevante la mancanza di alcuni dettagli nella ricostruzione della vicenda, ossia il mancato accertamento circa le modalità dell’assunzione fatale e il mancato accertamento della durata dell’esposizione alla cocaina. A inchiodare i due genitori è l’avere introdotto la cocaina nell’ambiente domestico e il non avere impedito che la figlioletta entrasse in contatto con la sostanza stupefacente.
Logico ritenere colpevoli di omicidio colposo i genitori se la morte della figlia – di appena otto mesi – è stata provocata dall’ingestione di cocaina. Decisivo il riferimento all’obbligo di protezione gravante su madre e padre in relazione a tutte le possibili forme di aggressione alla incolumità psico-fisica di una bambina, con neanche un anno di vita, del tutto incapace di tutelarsi autonomamente. E in questa ottica i Giudici ritengono l’introduzione della cocaina nell’ambiente domestico come indice di palese gravissima negligenza dei due genitori, soprattutto perché è palese che essi avrebbero evitato la morte della figlioletta se avessero impedito che quest’ultima entrasse in contatto con la sostanza stupefacente. Ricostruita la triste vicenda, risalente all’estate del 2015, i giudici di merito ritengono palese, sia in primo che in secondo grado, la colpevolezza dell’uomo e della donna sotto processo, ritenuti responsabili di omicidio colposo perché «quali genitori di una bambina di otto mesi, non hanno, per colpa consistita in imprudenza, imperizia e negligenza, impedito che la bambina assumesse accidentalmente e comunque venisse in contatto, in modo accidentale, con alimenti, indumenti od oggetti presenti nella casa e contaminati, tali da determinare l’ingestione, da parte della bambina, di un quantitativo di sostanza stupefacente – cocaina –, provocandone la morte da overdose ». A portare il caso in Cassazione è solo il padre della bambina. Egli prova a mettere in discussione la responsabilità penale attribuita a lui e alla compagna e in questa ottica sottolinea che non è stata possibile «la ricostruzione del fatto» e, quindi, la condanna emessa in appello è stata basata solo sulla «mera posizione di garanzia» rivestita da lui e dalla compagna come genitori. Sempre ragionando in questa ottica, poi, l’uomo sottolinea «la mancata acquisizione della prova certa in ordine alle modalità con cui è avvenuta l’assunzione della droga e alla durata dell’esposizione dell’organismo della bambina alla sostanza stupefacente», e aggiunge poi che, invece, i giudici di secondo grado «hanno ritenuto violata la regola cautelare di impedire che in casa fosse introdotta cocaina, senza però aver accertato quali fossero state le modalità di assunzione ». Secondo l’uomo «manca la prova della causalità della colpa» attribuita a lui e alla compagna. Ma questa obiezione non convince affatto i Giudici di Cassazione, i quali confermano la condanna dell’uomo per la morte della figlioletta di appena otto mesi. Prima di prendere posizione, comunque, i magistrati richiamano i passaggi principali della triste vicenda. In particolare, viene sottolineato che «una mattina i genitori della bambina avevano chiamato il 118 in quanto la madre, prima della seconda poppata, intorno alle 6, si era accorta che la figlia non rispondeva. Il medico che era intervenuto aveva constatato il decesso della bambina nel corso del trasporto in ambulanza», poi «alle 10 era iniziata la perquisizione della casa» ma «era stato trovato tutto in ordine». Successivamente si è appurato che «l’ultima poppata era avvenuta intorno alle 3» e i periti hanno accertato «un discreto quantitativo di cocaina nel sangue, nel fegato, nella bile e nelle urine della bambina». Tuttavia, all’epoca «non era possibile stabilire se l’assunzione fosse prolungata nel tempo ma era certo che vi fosse stata un’assunzione, poche ore prima del prelievo, mentre i residui della bile erano da ritenersi derivanti da assunzioni datate nel tempo». In conclusione, ci si trova di fronte a «dati compatibili con un’assunzione cronica di cocaina». Anche perché «la morte è stata causata da un’ intossicazione acuta da cocaina e la consulenza tecnica chimico-tossicologica ha rivelato positività associata ad abitualità d’uso» e inoltre «il perito medico-legale ha accertato che l’ultimo pasto con il biberon era stato digerito mentre l’assunzione della sostanza doveva essere avvenuta sicuramente in un momento successivo in quantità massiva e mortale». Proprio «sulla base dei dati scientifici a disposizione e considerando che dall’intervento dell’ambulanza, alle 7 circa, all’inizio della perquisizione, alle 10 circa, erano trascorse tre ore, i giudici di merito hanno fondato il giudizio di responsabilità dei due genitori sul dato certo costituito dalla causa del decesso, ritenendo contestualmente irrilevante il mancato rinvenimento di droga in casa, così come irrilevanti le modalità per mezzo delle quali la bambina era entrata in contatto con la cocaina, attribuendo altresì rilievo dirimente all’assenza di elementi esterni che avrebbero impedito un intervento tempestivo dei genitori, al rapporto di protezione esistente tra genitori e bambina, all’età della minore e alla totale assenza di autonomia di una bambina di otto mesi». Sulla stessa linea si attestano anche i Giudici di Cassazione, i quali ritengono inequivocabili «i dati costituiti dalla presenza di cocaina nel corpo della neonata nonché dal collegamento causale tra la morte e l’intossicazione acuta da cocaina ». Decisiva, in questo quadro, la banale ma logica considerazione che «la vittima era una infante di otto mesi affidata all’esclusivo controllo, alla vigilanza e alla sorveglianza dei genitori al momento del fatto, in totale assenza di elementi che dimostrassero la presenza in casa, quella notte o nei giorni precedenti, di terzi estranei al nucleo familiare che avessero interagito con la bambina o con gli ambienti domestici». Importante anche la sottolineatura della « ampiezza dell’obbligo di protezione gravante sui genitori in relazione a tutte le possibili forme di aggressione alla incolumità psico-fisica della bambina, del tutto incapace di tutelarsi autonomamente». Logico, quindi, «ritenere violata la basilare regola cautelare di impedire che la cocaina entrasse in contatto con l’infante, trattandosi di situazione pericolosa e foriera di pregiudizi per la salute della bambina». Su questo fronte i giudici aggiungono poi che «il totale condizionamento che le scelte dei genitori determinano su un infante di otto mesi è stato ritenuto indicativo» legittimamente «del collegamento causale tra la violazione di detta regola cautelare e il rischio concretizzatosi, a fronte di una situazione subita passivamente dalla bambina e vissuta nel circoscritto ambito domestico, soggetto al completo dominio e controllo dei genitori». Infine, «l’introduzione della cocaina nell’ambiente domestico» va considerata «indice di gravissima negligenza dei genitori a fronte di un evento prevedibile causalmente correlato a tale negligenza». A questo proposito, i Giudici sono netti non vi sarebbe stata alcuna tragedia «se i genitori avessero impedito che la bambina entrasse in contatto con la cocaina». Per quanto concerne, poi, «la concreta difficoltà di descrivere il meccanismo causale che ha condotto alla morte della bambina», i Giudici sottolineano che «è sufficiente che in base a leggi scientifiche, universali o statistiche si possa affermare che la morte della bambina non si sarebbe, con alto grado di probabilità logica o credibilità razionale, verificata se i genitori avesse tenuto il comportamento doveroso». E ragionando sempre in questa ottica «il mancato accertamento circa le modalità dell’assunzione fatale di cocaina è stato correttamente ritenuto irrilevante in quanto, in ragione della tenerissima età della bambina, tanto la somministrazione del cibo quanto la collocazione della bambina in ambienti della casa nei quali ella sarebbe entrata in contatto con oggetti contaminati dalla cocaina, dipendevano in ogni caso esclusivamente dall’intervento dei genitori» e irrilevante, concludono i Giudici, è anche «l’accertamento della durata dell’esposizione alla cocaina».
Presidente Piccialli – Relatore Serrao Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale il 20 luglio 2020 il Tribunale di Napoli aveva dichiarato P.F. e G.S., quest'ultima non ricorrente, responsabili del reato di cui all' articolo 589 c.p. perché quali esercenti la responsabilità genitoriale su P.A., nata il Omissis , per colpa consistita in imprudenza, imperizia e negligenza, non avevano impedito che la bambina assumesse accidentalmente e comunque venisse in contatto in modo accidentale con alimenti, indumenti od oggetti presenti nell'abitazione contaminati, tali da determinare l'ingestione da parte della piccola di un quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina, provocandone la morte da overdose nelle prime ore del Omissis . 2. P.F. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza per i seguenti motivi - mancanza di motivazione, illogicità manifesta, mancata correlazione tra accusa e sentenza e violazione di legge sul presupposto che la prova testimoniale non sia stata in grado di contribuire alla ricostruzione del fatto, così fondandosi l'affermazione di responsabilità penale dei genitori sulla mera posizione di garanzia dagli stessi rivestita. In particolare, nel ricorso si sostiene che nella decisione siano stati addebitati fatti commissivi, ossia l'aver introdotto stupefacente nell'abitazione prima ancora del non averne scongiurato il contatto con la bambina, con sostanziale mutamento del fatto indicato nell'imputazione - manifesta illogicità della sentenza in punto di accertamento della condotta colposa e della sua addebitabilità all'imputato, manifesta illogicità in ordine alla decifrazione dell'elemento soggettivo, ricavato dall'indiscutibile antecedente logico e dalla posizione di garanzia rivestita. Il ricorrente si duole del fatto che sia stata ritenuta irrilevante la mancata acquisizione della prova certa in ordine alle modalità con cui è avvenuta l'assunzione della droga e alla durata dell'esposizione dell'organismo alla sostanza. La Corte territoriale ha ritenuto violata la regola cautelare di impedire che in casa fosse introdotta cocaina senza aver accertato quali fossero state le modalità di assunzione, addebitando all'imputato una condotta alternativa tra l'aver introdotto o consentito l'introduzione della sostanza in termini diffusi e generici, senza alcun riferimento a prove distinte dal dato inoppugnabile del rinvenimento di essa nel corpo della vittima. Difetta la prova della causalità della colpa, così da far emergere un salto logico non consentito con riferimento al singolo agente-imputato - omessa motivazione in ordine alle denegate attenuanti generiche. Considerato in diritto 1. Le sentenze conformi pronunciate nei due gradi di merito hanno accertato quanto segue la mattina del Omissis i genitori della minore avevano chiamato il Servizio 118 in quanto la madre, prima della seconda poppata, intorno alle sei, si era accorta che la bambina non rispondeva il medico intervenuto ne aveva constatato il decesso nel corso del trasporto in ambulanza la perquisizione dell'abitazione era iniziata alle 10 del mattino ed era stato trovato tutto in ordine l'ultima poppata era avvenuta intorno alle tre e i periti avevano accertato un discreto quantitativo di cocaina nel sangue, nel fegato, nella bile e nelle urine della piccola non era possibile stabilire se l'assunzione fosse prolungata nel tempo ma era certo che vi fosse stata un'assunzione poche ore prima del prelievo, mentre i residui della bile erano da ritenersi derivanti da assunzioni datate nel tempo dati, dunque, compatibili con un'assunzione cronica di cocaina la morte era stata causata da un'intossicazione acuta da cocaina e la consulenza tecnica chimico-tossicologica aveva rivelato positività associata ad abitualità d'uso il perito medico-legale aveva accertato che l'ultimo pasto con il biberon era stato digerito mentre l'assunzione della sostanza doveva essere avvenuta sicuramente in un momento successivo in quantità massiva e mortale nella relazione, a firma congiunta dei periti nominati dal Tribunale, si era affermato che non fosse possibile stabilire il discrimine tra decesso avvenuto a seguito di una prima esposizione alla sostanza o a seguito di esposizione abituale. 2. I giudici di merito, sulla base dei dati scientifici a disposizione e considerando che dall'intervento dell'ambulanza, alle ore 7 00 circa, all'inizio della perquisizione, alle ore 10 00 circa, erano trascorse tre ore durante le quali un testimone aveva riferito esservi in casa una decina di persone, hanno fondato il giudizio di responsabilità sul dato certo costituito dalla causa del decesso, ritenendo contestualmente irrilevante il mancato rinvenimento di droga in casa così come irrilevanti le modalità per mezzo delle quali la bambina era entrata in contatto con la cocaina, attribuendo altresì rilievo dirimente all'assenza di elementi esterni che avrebbero impedito un intervento tempestivo dei genitori, al rapporto di protezione esistente tra genitori e bambina, all'età della minore e alla totale assenza di autonomia di una bambina di otto mesi. 3. Le censure che vengono proposte nel ricorso rappresentano la riproduzione di analoghi motivi di appello ai quali, rilevando peraltro trattarsi di argomentazioni difensive già esaminate e sviluppate nella sentenza di primo grado, la Corte ha comunque fornito risposta non manifestamente illogica né contraddittoria, in quanto tale non censurabile in questa sede. I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità in quanto si confrontano solo apparentemente con la pronuncia impugnata. 4. In particolare, con riguardo alla condotta attribuita all'imputato, la Corte ha sottolineato l'acquisizione dei dati, certi e non contestati, costituiti dalla presenza di cocaina nel corpo della neonata, nonché dal collegamento causale tra la morte e l'intossicazione acuta da cocaina. Ha, quindi, considerato che la vittima era una infante di otto mesi affidata all'esclusivo controllo, vigilanza e sorveglianza dei genitori al momento del fatto, in totale assenza di elementi che dimostrassero la presenza in casa, quella notte o nei giorni precedenti, di terzi estranei al nucleo familiare che avessero interagito con la bambina o con gli ambienti domestici, attribuendo a tali dati di fatto la valenza di elementi circostanziali ineludibili nel giudizio circa l'ampiezza dell'obbligo di protezione gravante sui genitori in relazione a tutte le possibili forme di aggressione alla incolumità psico-fisica della bambina, del tutto incapace di tutelarsi autonomamente. I giudici di merito hanno, conseguentemente, ritenuto violata la basilare regola cautelare di impedire che la cocaina entrasse in contatto con l'infante, trattandosi di situazione pericolosa e foriera di pregiudizi per la salute della stessa. 4.1. Il totale condizionamento che le scelte dei genitori determinano su un infante di otto mesi è stato ritenuto indicativo del collegamento causale tra la violazione di detta regola cautelare e il rischio concretizzatosi, a fronte di una situazione subita passivamente dalla bambina e vissuta nel circoscritto ambito domestico, soggetto al completo dominio e controllo dei garanti. L'introduzione della cocaina nell'ambiente domestico è stata considerata, con motivazione esente da vizi, indice di gravissima negligenza dei genitori, titolari di una posizione di garanzia dettata dall' articolo 147 c.c. , a fronte di un evento prevedibile causalmente correlato a tale negligenza laddove, se i genitori avessero impedito che la minore entrasse in contatto con la cocaina, l'evento non si sarebbe verificato. 4.2. Con riguardo alla concreta difficoltà, nel caso in esame, di descrivere il meccanismo causale che ha condotto alla morte della bambina nella sua interezza, i giudici di merito hanno correttamente richiamato il principio secondo il quale non è determinante che il giudice venga a conoscenza di tutti i passaggi causali essendo sufficiente che in base a leggi scientifiche, universali o statistiche si possa affermare che l'evento, con alto grado di probabilità logica o credibilità razionale, non si sarebbe verificato ove l'agente avesse tenuto il comportamento doveroso. 4.3. Il mancato accertamento circa le modalità dell'assunzione è stato correttamente ritenuto irrilevante in quanto, in ragione della tenerissima età della minore, tanto la somministrazione del cibo quanto la collocazione della stessa in ambienti della casa nei quali la stessa sarebbe entrata in contatto con oggetti contaminati, dipendevano in ogni caso esclusivamente dall'intervento dei genitori. Il vincolo giuridico tra genitori e figlia e il rapporto esclusivo tra gli stessi sussistente ha reso altresì irrilevante, secondo quanto logicamente argomentato nella sentenza, l'accertamento della durata dell'esposizione alla cocaina. 5. Altrettanto adeguatamente motivato, secondo quanto emerge chiaramente dalla lettura di pag. 17 della sentenza, è il diniego delle circostanze attenuanti generiche, onde anche sotto tale profilo il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità per omesso confronto con il contenuto del provvedimento impugnato. 6. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale numero 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell' articolo 616 c.p.p. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.