A inchiodare l’uomo è anche la collocazione dell’episodio nel periodo successivo alla irreversibile crisi del rapporto con la consorte. Impossibile, poi, secondo i giudici, ridimensionare la gravità della vicenda su questo fronte viene respinta la tesi difensiva mirata a sostenere che l’accusato abbia agito in uno stato di necessità frutto di una pesante situazione debitoria.
Impossibile ritenere non grave la condotta del marito che, in piena crisi coniugale, falsifica la firma della moglie per dare legittimità a ben trentacinque cambiali, ognuna del valore di 100 euro. Ricostruita la vicenda, i giudici di merito ritengono, sia in primo che in secondo grado, sacrosanta la condanna dell'uomo sotto processo. Palese, sempre secondo i giudici di merito, il reato compiuto dall'uomo, cioè « falsità in effetto cambiario », concretizzatasi nell'«avere contraffatto la firma della moglie – dalla quale l'uomo si stava separando –, apponendola su trentacinque effetti cambiari, ciascuno dall'importo di 100 euro». Col ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta l'uomo sostiene che «le cambiali » in questione «sono state emesse nell'ambito di un finanziamento chiesto da entrambi i coniugi concordemente per saldare debiti familiari pregressi» e aggiunge che «solo successivamente la donna ha negato tale circostanza poiché nel frattempo era maturata un'irreversibile crisi coniugale». Peraltro, l'uomo ha tenuto la condotta oggetto di procedimento penale solo perché, spiega il legale, «costretto da una situazione di necessità», avendo, in sostanza, «emesso le cambiali in favore della società che aveva concesso il finanziamento perché si era venuto a trovare in una situazione economica che non gli consentiva di definire la propria posizione debitoria». Impossibile, quindi, secondo il legale, considerare grave e non giustificabile l'azione compiuta dall'uomo apponendo una firma falsa della moglie sulle cambiali. Per i giudici di Cassazione, però, la linea difensiva è assai fragile. Innanzitutto perché, come appurato già in secondo grado, «la tesi secondo cui le firme sarebbero state apposte dall'uomo con il consenso della coniuge costituisce una mera congettura , non dedotta neppure dall'uomo, rimasto assente» nel procedimento, e, comunque, tale tesi è risultata, in ogni caso, «priva di qualsiasi appiglio nelle risultanze istruttorie», annotano i magistrati. Per quanto concerne il riferimento a un presunto « stato di necessità » che avrebbe spinto l'uomo ad agire in modo illecito, i giudici di terzo grado respingono tale visione e sottolineano che in Appello è stata esclusa l'esistenza di elementi utili a certificare «uno stato di necessità» – connesso alla situazione debitoria dell'uomo – alla base della falsa firma apposta sulle cambiali, e, anzi, si è osservato che «la difesa aveva fatto riferimento, in realtà, a un'ipotesi diversa», cioè quella secondo cui «l'uomo aveva agito al solo fine di sfamarsi». Impensabile, infine, ritenere non grave la condotta dell'uomo. A questo proposito viene sottolineato il dettaglio relativo alla « reiterazione della condotta criminosa », che rende «manifesta la non occasionalità» dell'agire dell'uomo.
Presidente Pezzullo – Relatore Cirillo Ritenuto in fatto 1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 22 febbraio 2022 dalla Corte di appello di Firenze, che ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale di Firenze aveva condannato B.A. per il delitto di cui all' articolo 491 c.p. , per avere contraffatto la firma della moglie S.M., dalla quale stava separandosi , apponendola su 35 effetti cambiari dall'importo di Euro 100,00 ciascuno. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello, l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, senza articolarlo in separati motivi e senza indicare lo specifico vizio dedotto. 2.1. Il ricorrente sostiene che le cambiali in questione sarebbero state emesse nell'ambito di un finanziamento che sarebbe stato chiesto da entrambi i coniugi concordemente per saldare debiti familiari pregressi e che solo successivamente la persona offesa avrebbe negato tale circostanza perché nel frattempo era maturata un'irreversibile crisi coniugale. Invoca, poi, la scriminante di cui all' articolo 54 c.p. , sostenendo che avrebbe emesso le cambiali in favore della società che aveva concesso il finanziamento perché si era venuto a trovare in una situazione economica che non gli consentiva di definire la propria posizione debitoria. Il ricorrente, in via subordinata , lamenta la mancata applicazione dell' articolo 131-bis c.p. e dell'istituto del furto lieve per stato di bisogno sostiene che, comunque, andava applicata una pena meno afflittiva e condizionalmente sospesa. 3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di accogliere il ricorso e annullare con rinvio la sentenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Esso, invero, è affetto da intrinseca genericità, essendo basato su deduzioni indeterminate e prive di una puntuale enunciazione delle ragioni di diritto su cui si basano e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell'atto impugnato. Le argomentazioni, in talune parti, sono esposte in maniera confusa e con riferimento ad altra tipologia di reato a un furto commesso all'interno di un supermercato . Tutte le censure, inoltre, sono meramente reiterative di identiche doglianze proposte con i motivi di appello, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto cfr. pagine 4, 5 e 6 della sentenza impugnata , con le quali la parte non si è effettivamente confrontata, rendendo così il ricorso anche privo di specificità estrinseca. La Corte di appello ha evidenziato che la tesi secondo la quale le firme sarebbero state apposte con il consenso della coniuge costituisce una mera congettura della difesa, che non è stata dedotta neppure dall'imputato, rimasto assente tesi, in ogni caso, priva di qualsiasi appiglio nelle risultanze istruttorie. Quanto all'invocata scriminante, la Corte d'appello ha evidenziato l'insussistenza degli elementi dello stato di necessità, ponendo in rilievo anche come la difesa, in realtà, avesse fatto riferimento a un'ipotesi ben diversa da quella in esame, in cui l'imputato aveva agito al solo fine di sfamarsi. Deve essere evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto dal Procuratore generale, la Corte di appello ha motivato adeguatamente anche con riferimento alla particolare tenuità del fatto, escludendola in considerazione della reiterazione della condotta criminosa, che ne rendeva manifesta la non occasionalità, e ponendo in rilievo come le argomentazioni addotte dalla difesa fossero relative a un reato completamente diverso da quello oggetto di giudizio un furto all'interno di un supermercato . Con riferimento al trattamento sanzionatorio, il ricorso prospetta questioni non consentite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l'esercita in aderenza ai principi enunciati negli articolo 132 e 133 c.p. , con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri ad una nuova valutazione della sua congruità, ove la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione Sez. 5, numero 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142 Sez. 3, numero 1182 del 17/10/2007, Rv. 238851 , come nel caso di specie cfr. pagina 6 della sentenza impugnata . Manifestamente infondata è anche la questione relativa alla sospensione condizionale della pena, atteso che la Corte di appello ha rilevato che i precedenti penali dell'imputato erano ostativi al riconoscimento del beneficio. 2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell' articolo 616 c.p.p. , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che deve determinarsi in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.