Incontestabile la condanna per detenzione di sostanze stupefacenti a fine di spaccio. Legittima la confisca del denaro rinvenuto in possesso dell’uomo e non giustificabile con le sue disponibilità economiche. Legittimo, infine, anche il sequestro del telefono cellulare, utilizzato come mezzo per presentare la merce in vendita.
Legittimo il sequestro dello smartphone utilizzato dallo spacciatore per presentare, tramite foto, ai potenziali clienti le droghe in vendita. Concordi il giudice per le indagini preliminari del Tribunale e i giudici della Corte d’Appello l’uomo sotto processo, beccato ad avere a disposizione numerosa e varia sostanza stupefacente, va ritenuto colpevole di « detenzione di droga a fine di spaccio ». A margine i giudici sanciscono anche la confisca del denaro rinvenuto in possesso dell’uomo e degli smartphone da lui posseduti. E proprio su questi ultimi due elementi è centrato il ricorso proposto in Cassazione dal difensore dell’uomo. Secondo il legale è palesemente erronea la confisca del denaro e dei telefoni cellulari posseduti dal suo cliente. Ciò perché, con riferimento alla pecunia, non si è tenuto conto, secondo il legale, «dell’attività lavorativa svolta dall’uomo» e tale da giustificare il possesso di denaro contante , e, allo stesso tempo, si è ignorato il fatto che all’uomo è stata contestata «una condotta di detenzione di sostanza, non di cessione». Per quanto concerne poi i telefoni cellulari, il legale sostiene sia palese «l’assenza di un effettivo rapporto di strumentalità con il reato» contestato al suo cliente. Per i Giudici della Cassazione, però, le obiezioni difensive sono assai fragili. In prima battuta viene confermata la confisca del denaro rinvenuto in possesso dell’uomo, che, viene precisato, è finito sotto accusa anche per il delitto di «detenzione di stupefacente a fine di spaccio». Per spazzare via ogni dubbio, comunque, i Giudici sottolineano che «l’uomo, inseguito dalla polizia giudiziaria dopo esser stato individuato in strada, era stato trovato in possesso della somma di 1.090 euro, oltre che di numerosa e varia sostanza stupefacente» e, poi, «in sede di convalida dell’arresto , aveva offerto una giustificazione – somma di denaro prelevata dal conto Postepay per pagare un operaio – rimasta priva di qualunque prova». In aggiunta i Giudici sottolineano poi che «le buste paga prodotte dall’uomo indicavano importi troppo modesti per esser compatibili con il risparmio della somma» oggetto di sequestro. Tutto ciò consente di ritenere «verosimile la derivazione illecita del denaro , quale profitto dello spaccio di droga cui la detenzione era destinata». Sacrosanto, poi, anche il sequestro dei telefoni cellulari utilizzati dall’uomo. Ciò perché è chiaro, secondo i Giudici, «il nesso di strumentalità tra gli smartphone ed il reato di detenzione di stupefacenti a fine di spaccio». Su questo fronte viene condivisa la linea tracciata in Appello «la galleria fotografica rinvenuta negli smartphone, che ritraeva numerose immagini di sostanze del tipo di quelle sequestrate, cioè cocaina, hashish e marijuana, anche in fase di pesatura, è da ritenere evidentemente ritenuta propedeutica alla condotta illecita, al fine di pubblicizzare» nel rapporto coi potenziali clienti «le sostanze detenute a fine di cessione».
Presidente Marini – Relatore Mengoni Motivi della decisione La Corte, letto il ricorso presentato nell'interesse di M.D. avverso l'ordinanza della Corte di appello di Brescia che dichiarava inammissibile la sua richiesta di restituzione nel termine per impugnare la sentenza del Tribunale di Brescia del 6 ottobre 2010 che lo condannava per reati in materia di stupefacenti letta la requisitoria del procuratore generale presso questa Corte che chiede dichiararsi la inammissibilità del ricorso Osserva La richiesta di restituzione nel termine è stata presentata il 28 giugno 2019. Nell'atto il difensore di M.D. riferiva che il 29 maggio 2019 un parente del richiedente si era recato presso il suo studio riferendo che M.D. era stato informato dell'esistenza di una sentenza di condanna a suo carico in Italia . Il medesimo difensore il 5 giugno 2019 effettuava un controllo presso il casellario giudiziale accertando che effettivamente vi era stato un processo in contumacia, definito con la sentenza sopra indicata. La disciplina applicabile, considerata la data della decisione da impugnare 6 ottobre 2010 , è l' articolo 175 c.p.p. nel testo previgente Se è stata pronunciata sentenza contumaciale l'imputato è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione. A tale fine l'autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica. La richiesta è presentata, a pena di decadenza, nel termine di trenta giorni da quello in cui l'imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento . Questa Corte, sulla scorta dell'inequivoco dato letterale della disposizione, ha affermato Sez. U, Sentenza numero 28912 del 28/02/2019, Innaro, Rv. 275716 01 che la nuova disciplina della restituzione in termini, pertanto, introduceva il diritto incondizionato alla restituzione nel termine per impugnare la sentenza resa in contumacia la possibilità di negarlo solo in caso di prova positiva della conoscenza effettiva del procedimento o del provvedimento e, quindi, che In tema di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, grava sul richiedente l'onere di allegare il momento di effettiva conoscenza della sentenza, mentre spetta al giudice accertare - oltre che l'eventuale effettiva conoscenza del procedimento da parte del condannato e la sua volontaria rinuncia a comparire - l'eventuale diverso momento in cui è intervenuta detta conoscenza, rispetto al quale valutare la tempestività della richiesta. In motivazione, la Corte ha precisato che una diversa interpretazione dell'articolo 175 c.p.p., sostituendo all'onere di allegazione a carico del contumace un onere probatorio del momento di intervenuta effettiva conoscenza del procedimento, finirebbe per condizionare negativamente l'effettività della tutela accordata al soggetto che non ha avuto conoscenza del processo . Sez. 6, Sentenza numero 18084 del 21/03/2018, Rv. 272922 - 01 . Applicando queste regole nel caso in esame, si rileva che il ricorrente ha assolto appieno all'onere difensivo di allegazione lo stesso, tramite il difensore, si è attivato a fronte di una generica informazione ed ha acquisito una compiuta conoscenza della sentenza di condanna in data 5 giugno 2019, a seguito di accesso al casellario giudiziale. A fronte di questa allegazione, spettava alla Corte di appello dimostrare alternativamente la effettiva conoscenza del provvedimento ovvero la effettiva conoscenza del procedimento che, secondo la citata decisione delle SS.UU, significa conoscere il contenuto dell'accusa . La Corte di appello, invece, in violazione della disciplina anzidetta, ha invertito l'onere della prova negando la restituzione nel termine per non avere la difesa seriamente allegato il momento di effettiva conoscenza e ritenendo comunque che tale momento sia antecedente al 29 maggio. Peraltro, anche a valorizzare il dato comunicato dalla parte che aveva avuto notizia di una condanna a proprio carico, sarebbe stato necessario dimostrare che si trattava della conoscenza effettiva quanto meno delle specifiche accuse e non del generico dato di esistenza di una sentenza di condanna a suo carico in Italia . In conclusione, la decisione della Corte di appello viola la norma citata e, poiché non risultano ragioni da opporre al diritto del contumace alla restituzione nel termine, tale provvedimento deve essere adottato in questa sede. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e restituisce M.D. nel termine per impugnare la sentenza del Tribunale di Brescia del 6 ottobre 2010.