La sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, anche se errata, non è appellabile

In virtù dell’articolo 593, comma 3, c.p.p., è inappellabile la sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, anche se erroneamente inflitta. Inutile quindi per la difesa lamentare la privazione della possibilità di avvalersi dei due gradi di giudizio di merito.

Il Tribunale di Reggio Calabria dichiarava l'imputato responsabile per aver svolto attività di raccolta funghi epigei in assenza di previa autorizzazione all'interno del Parco Nazionale dell'Aspromonte. La condanna prevedeva l'ammenda di 500 euro, pena sospesa e non oggetto di menzione. La difesa ha proposto ricorso per cassazione lamentando, per quanto d'interesse, l'applicazione della sola pena pecuniaria. La norma violata articolo 13, comma 1, l. numero 394/1991 prevede infatti l'arresto fino a 12 mesi e l'ammenda da 103 a 25882 euro. La condanna alla sola pena pecuniaria è solo in apparenza a favore del ricorrente poiché preclude la possibilità di adire la Corte d'appello e di godere di due gradi di giudizi di merito. Avendo a disposizione il solo rimedio del ricorso di legittimità, il ricorrente incontra infatti i limiti intrinseci relativi all'individuazione dei motivi di impugnazione ammissibili in tale sede. La Corte, pur ritenendo «obiettivamente suggestivo» il motivo, non lo ritiene ammissibile. Sul punto sussiste un contrasto giurisprudenziale secondo cui, da un lato, il limite dell'inappellabilità di cui all'articolo 593, comma 3, c.p.p. non opera in relazione ai reati puniti con la pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda per i quali i giudici abbia erroneamente applicato la sola ammenda v. Cass. penumero sez. III 24 novembre 2017 numero 53430 . Dall'altro lato, è invece stato affermato, con orientamento a cui la Corte aderisce, il principio secondo cui è inappellabile la sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, anche se erroneamente inflitta Cass. penumero sez. IV 1 aprile 2014 numero 15041 . Si tratta di un'interpretazione aderente alla lettera della legge e coerente con il recente intervento legislativo di cui all'articolo 2, comma 1, lett. a, l. numero 11/2018 che ha inserito nella norma in oggetto fra le parole “sono inappellabili” l'espressione “in ogni caso”. In conclusione, la Corte ribadisce l'inappellabilità della sentenza con cui è stata irrogata al ricorrente la sola pena dell'ammenda, sottolineando il vantaggio derivante e la conseguente carenza di interesse ad impugnare. Sottolinea poi la pronuncia che «stante la ritenuta inappellabilità della sentenza, l'eventuale accoglimento del suo ricorso comporterebbe la regressione del giudizio di fronte allo stesso Tribunale che ha emanato la sentenza impugnata, di fronte al quale non si celebrerebbe, pertanto, un giudizio di gravame ma un nuovo giudizio di primo grado il cui esito sarebbe, peraltro, pesantemente condizionato, stante il divieto di reformatio in pejus, dalla esistenza di una precedente decisione, non oggetto di impugnazione da parte della pubblica accusa, che limiterebbe, in caso di ribadita affermazione della penale responsabilità, l'ambito sanzionatorio percorribile dal Tribunale, il quale si vedrebbe costretto ad adottare ex novo una sentenza applicativa della sola pena pecuniaria, innescando in tal modo, in via ipotetica, un vero e proprio circulus inextricabilis, posto che tale seconda sentenza, presentando il medesimo vizio che affettava la precedente, sarebbe, a sua volta suscettibile di annullamento, senza mai che sia possibile celebrare un vero e proprio giudizio di gravame». Il ricorso viene in definitiva rigettato.  

Presidente Ramacci – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Il Tribunale di Reggio Calabria ha, con sentenza emessa in data 21 settembre 2021, dichiarato la penale responsabilità di S.E. in relazione al reato di cui agli articolo 13, comma 1, e della L. numero 394 del 1991 articolo 30, in quanto lo stesso era stato sorpreso, secondo il capo di imputazione, nell'attività di raccolta di funghi epigei in assenza di previa autorizzazione in un terreno ricadente nella Zona A di riserva integrale del Parco Nazionale dell' omissis , all'interno della quale è vietata, laddove non si sia stati espressamente autorizzati, la realizzazione di qualunque intervento, impianto od opera. Per tale ragione il Tribunale di Reggio Calabria ha condannato il S. , concesse allo stesso le circostanze attenuanti generiche, alla pena, sospesa e non aggetto di menzione, di Euro 500,00 di ammenda. Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione la difesa del S. , sviluppando tre motivi di ricorso, l'ultimo dei quali subordinato all'eventuale non accoglimento dei precedenti. Con il primo motivo è censurata la sentenza di merito in quanto in esito al relativo giudizio il Tribunale di Reggio Calabria ha affermato la penale responsabilità dell'imputato, sebbene non vi fossero in atti elementi certi per affermare che i funghi rinvenuti nella autovettura dello stesso fossero stati raccolti dal S. nella Zona A del Parco Nazionale dell' omissis infatti, rileva la ricorrente difesa, al momento in cui è stato effettuato il controllo da parte dei Carabinieri, il S. , non sorpreso nell'atto di raccogliere i funghi in questione, si trovava in un'area adiacente a quella protetta, in particolare in una strada di collegamento con la omissis . Aggiunge il ricorrente che erroneamente il Tribunale ha irrogato a carico del prevenuto la sola pena pecuniaria invero le disposizioni in ipotesi violate individuano come sanzione l'arresto fino a 12 mesi e con l'ammenda da Euro 103 ad Euro 25.822, mentre il Tribunale ha applicato a carico dell'imputato la sola pena pecuniaria tale errore, ha osservato la ricorrente difesa è solo in apparenza a vantaggio del ricorrente, in quanto, per effetto di quanto previsto dall'articolo 593, comma 3, c.p.p., gli preclude la possibilità di adire la Corte di appello e, pertanto, di godere di due gradi di giudizi di merito, potendo impugnare la sentenza di primo grado solo con lo strumento, il cui spettro operativo è limitato ai soli motivi di legittimità, del ricorso per cassazione. Ha, infine, rilevato il ricorrente che la condotta da lui in ipotesi posta in essere, cioè la raccolta dei funghi, non rientra fra quelle che il legislatore ha inteso vietare attraverso la disposizione di cui della L. numero 394 del 1991 articolo 13, comma 1 attività, ha aggiunto il ricorrente, che trova una sua organica disciplina, a livello regionale, nella legge della Regione Calabria numero 30 del 2001, la quale ripete le sue linee guida dalla legge dello Stato numero 352 del 1993 e del D.P.R. numero 376 del 1995, i quali subordinano lo svolgimento dell'attività di raccolta dei funghi al possesso di determinati requisiti, in assenza dei quali la stessa è punita con sanzioni amministrative di carattere pecuniario. Rileva, pertanto, la difesa che l'attività di raccolta di funghi, se svolta in assenza di abilitazione, è pienamente presidiata attraverso le citate sanzioni amministrative e la stessa non può essere inquadrata nella sfera di operatività, definita evanescente, di cui della L. numero 394 del 1991 articolo 13 diversamente considerando sarebbero violati i principi, rilevanti anche a livello costituzionale, in ordine alla necessaria tassatività delle disposizioni penali precettive, con conseguente violazione del principio di legalità tutelato, con riferimento alle norma penali dall'articolo 25, comma 2, Cost. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. Quanto al primo motivo di impugnazione lo stesso è del tutto inammissibile in questa sede di legittimità, avendo natura eminentemente fattuale è infatti contestata la ricostruzione materiale compiuta dal Tribunale reggino della condotta posta in essere dal S. , la quale stata è, a sua volta, operata attraverso l'esame e l'analisi delle puntuali dichiarazioni rese dagli agenti operanti, senza che il ricorrente abbia contestato l'utilizzabilità di tali dichiarazioni ovvero la loro non rispondenza alla realtà, nè, infine, la correttezza dell'apprezzamento del loro significato compiuto da parte del giudice del merito. Il secondo motivo, ancorché obbiettivamente suggestivo, è, tuttavia, infondato. Il ricorrente, infatti, si duole del fatto che, avendo il Tribunale irrogato a suo carico, erroneamente posto che si tratta di un reato punibile con la pena congiunta detentiva e pecuniaria, la sola pena pecuniaria, egli è stato privato, stante il vincolo imposto in materia di impugnazioni penali dall'articolo 593, comma 3, c.p.p. a mente del quale è, fra l'altro, inibita la facoltà di appello in ordine alle sentenze di condanna con le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda , della possibilità di impugnare nel merito la sentenza emessa a suo carico, essendo per lui praticabile la sola via del ricorso per cassazione, con i limiti sotto il profilo della individuazione dei motivi di impugnazione che tale percorso presenta. Non ignora il Collegio che al riguardo è riscontrabile un contrasto giurisprudenziale infatti, secondo un certo orientamento, presente anche all'interno di questa stessa Sezione della Corte di cassazione, il limite della inappellabilità di cui all'articolo 593, comma 3, c.p.p. non opera in relazione ai reati puniti con la pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda per i quali il giudice abbia erroneamente applicato la sola pena dell'ammenda, posto che l'illegittima applicazione della pena non può precludere al condannato l'accesso ad un grado di giudizio Corte di cassazione, Sezione III penale, 24 novembre 2017, numero 53430, ord. nello stesso senso anche Corte di cassazionev5 mari 2013, numero 10252, nonché Corte di cassazione, Sezione IV penale 27 gennaio 2016, numero 3622, ord., nella quale è precisato che l'eventuale ricorso per cassazione va convertito in atto di gravame di fronte alla Corte di appello . Ritiene, tuttavia, questo Collegio di dovere aderire al diverso, opposto, orientamento, ancorché lo stesso appaia più risalente nel tempo, secondo il quale è inappellabile la sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, anche se erroneamente inflitta Corte di cassazione, Sezione IV penale 1 aprile 2014, numero 15041 nello stesso senso Corte di cassazione, Sezione IV penale, 26 aprile 2013, numero 18654 , atteso che lo stesso risulta essere più aderente alla lettera della legge ciò tanto più se si considera che questa è stata di recente oggetto di un intervento di interpolazione il quale ha, ad avviso di questo medesimo Collegio, reso indubbiamente non più praticabile la indicazione giurisprudenziale indirizzata nel senso della appellabilità di una sentenza avente le caratteristiche della presente. Invero, per effetto della entrata in vigore della L. numero 11 del 2018 articolo 2, comma 1, lettera a , nel testo del citato comma 3 dell'articolo 593 c.p.p. è stata inserita fra le parole sono inappellabili l'espressione in ogni caso una tale clausola appare esprimere in termini di assolutezza e tassatività la inevitabilità della inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria, e ciò, si ritiene ora, anche laddove tale condanna sia il frutto di un errore del giudicante, trattandosi di reato punito con la pena congiunta anche detentiva o, deve ritenersi, sebbene l'ipotesi appaia quasi di scuola, con la sola pena detentiva . Ribadita, pertanto, la inappellabilità della sentenza con la quale è stata irrogata la pena a carico del S. , rileva il Collegio che da tale errore lo stesso ne ha tratto solo vantaggio fattore che ne esclude l'interesse ad impugnare sul punto la decisione emessa a suo carico , posto, per un verso, che la pena cui lo stesso è stato assoggettato è comunque meno afflittiva di quale che sarebbe scaturita dalla corretta applicazione normativa è infatti jus receptum che la pena pecuniaria sia in ogni caso più mite di quella detentiva e, per altro verso, che lo stesso non è stato privato della possibilità di impugnare in sede di merito il giudizio formulato a suo carico, atteso che di siffatta possibilità egli, dato il tipo di sanzione disposta, non avrebbe comunque potuto godere. La riprova della correttezza del ragionamento ora esposto si ottiene laddove si osservi che a seguire il ragionamento del prevenuto in ordine alla illegittimità della sentenza impugnata, si giungerebbe non solo a risultati processualmente singolari ma neppure appaganti rispetto alla dichiarata esigenza per l'imputato di giovarsi del doppio grado di giudizio di merito. Deve, invero, rilevarsi che, stante la ritenuta inappellabilità della sentenza, l'eventuale accoglimento del suo ricorso comporterebbe la regressione del giudizio di fronte allo stesso Tribunale che ha emanato la sentenza impugnata, di fronte al quale non si celebrerebbe, pertanto, un giudizio di gravame ma un nuovo giudizio di primo grado il cui esito sarebbe, peraltro, pesantemente condizionato, stante il divieto di reformatio in pejus, dalla esistenza di una precedente decisione, non oggetto di impugnazione da parte della pubblica accusa, che limiterebbe, in caso di ribadita affermazione della penale responsabilità, l'ambito sanzionatorio percorribile dal Tribunale, il quale si vedrebbe costretto ad adottare ex novo una sentenza applicativa della sola pena pecuniaria, innescando in tal modo, in via ipotetica, un vero e proprio circulus inextricabilis, posto che tale seconda sentenza, presentando il medesimo vizio che affettava la precedente, sarebbe, a sua volta suscettibile di annullamento, senza mai che sia possibile celebrare un vero e proprio giudizio di gravame. Cosa diversa, si accenna di sfuggita e per mera completezza, sarebbe avvenuta laddove l'impugnazione avente ad oggetto l'erronea irrogazione della sola pena pecuniaria fosse stata presentata dalla pubblica accusa, atteso che in una tale caso, non operando il limite del divieto della reformatio in pejus, il giudice di primo grado avrebbe potuto ricondurre a giustizia la sanzione irrogata, rendendo virtuoso, trattandosi di decisione questa volta fisiologicamente appellabile dal condannato, l'altrimenti vizioso circolo innescato dall'eventuale accoglimento sul punto della presente impugnazione. Quanto infine al terzo motivo di impugnazione, si tratta di argomentazioni che scontano un vizio di fondo, posto che il loro svolgimento non tiene conto del fatto che i termini di applicazione della legislazione, ragionale e nazionale, in materia di raccolta di funghi richiamati dalla ricorrente difesa sono costituiti dalla astratta liceità di tale condotta in altre parole, è ben vero che nel territorio calabrese la raccolta di funghi è subordinata al possesso dei requisiti soggettivi richiamati, in attuazione della legge statale numero 352 del 1993 e del D.P.R. numero 376 del 1995, dalla legge della Regione Calabria numero 30 del 2001, ma ciò limitatamente agli ambiti territoriali ove, oggettivamente, tale attività sia consentita, cosa che, invece, all'interno dei Parchi naturali secondo le previsioni di cui alla L. numero 394 del 1991 non è, in via di principio, ammessa. Non merita di essere ulteriormente vagliata in altiore loco la questione di legittimità costituzionale adombrata dal ricorrente, posto che i termini utilizzati dal legislatore non appaiono caratterizzati da alcuna vaghezza che possa ingenerare fondate incertezze sul reale contenuto del precetto penale contenuto delle disposizioni la cui violazione è attribuita al ricorrente nel capo di imputazione a lui contestato. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.