Per la CEDU la concezione secondo cui le donne devono percepire senza limiti temporali la pensione di reversibilità, fondata sul concetto del marito “provveditore”, in quanto deve provvedere al mantenimento della moglie e della sua prole, laddove un vedovo la può percepire solo sino alla maggiore età dell’ultimo figlio costituisce una duplice discriminazione fondata su arcaici stereotipi fondati sul ruolo sociale piuttosto che sul sesso discriminano l’uomo rispetto alla donna e parimenti veicolano uno stereotipo sessista che sminuisce il ruolo sociale della donna limitandone la possibilità di avanzamento di carriera, svantaggiandola, poiché si riconosce solo al marito il ruolo di provvedere alla famiglia. Ciò viola l’articolo 14 divieto di discriminazione in combinato con l’articolo 8 Cedu.
È quanto affermato dalla GC Beeler comma Svizzera ricomma 78630/12 dell'11 ottobre che ha confermato in toto la sentenza di primo grado del 20/10/20 nella rassegna del 30/10/20 in calce a Napotik c.Romania ed inserita nei factsheets Gender equality . Il ricorrente, che al momento di introdurre il ricorso aveva 57 anni, lamenta che dal 1997 sino al 2010, quando il figlio minore era divenuto maggiorenne, aveva percepito la pensione di reversibilità laddove alle vedove non era imposto questo limite temporale , ritenendosi discriminato. Infatti aveva organizzato tutta la sua vita familiare su questa allocazione ed aveva una situazione economica, non potendola più percepire, molto delicata anche perché, stante l'età ed il fatto che era fuori dal mercato da 16 anni , era praticamente impossibile rientrare nel mondo del lavoro questa pensione costituiva, perciò, un aspetto chiave attorno cui era organizzata tutta la sua vita familiare. Infatti quando la moglie era morta nel 1994 i figli avevano 4 anni e 21 mesi, sì che aveva potuto contare su questo benefit, che aveva iniziato a ricevere dal 1997, per ritirarsi dal lavoro e consacrarsi ad accudire la propria prole, che è anche lo scopo della pensione di reversibilità. Vani i tentativi di vedersela riconoscere per un periodo più lungo come per le vedove le cause furono respinte per i motivi in epigrafe. Ha perseverato nella sua convinzione che ciò costituisse non solo una discriminazione basata sul sesso , ma anche sul ruolo sociale del padre e della madre. Pensione di reversibilità svizzera e gender gap a sfavore del vedovo . Quando si parla di lavoro e di società si ripete come un mantra che uomo e donna sono uguali, ma nel caso in specie non lo è stato. In primis la CEDU evidenzia come una discriminazione ex articolo 14 si ravvisa anche in assenza di una violazione di un diritto tutelato dalla Cedu, essendo necessaria solo una differenza di trattamento tra categorie assimilabili. Quando si tratta di previdenza sociale e di welfare si deve considerare «un nesso diretto e particolarmente stretto tra la concessione della prestazione sociale e la vita familiare e che tale nesso risultava, in particolare, dalla finalità dell'assegno di cui trattasi, in quanto era direttamente destinato a facilitare o contribuire alla vita familiare» Belli e Arquier-Martinez c. Svizzera dell'11/12/18, Di Trizio c. Svizzera del 2/2/16 e Konstantin Markin c. Russia [GC] del 2012 . In breve la reversibilità permetteva al beneficiario di ritirarsi dal mondo del lavoro per dedicarsi ai bisogni della famiglia e soprattutto della prole senza avere difficoltà economiche. Ergo per la CEDU sotto questo aspetto la vedova ed il vedovo erano categorie assimilabili che avrebbero dovuto avere pari diritto a percepire detto benefit, mentre nella fattispecie c'era una chiara discriminazione basata più che sul sesso sul diverso ruolo che stereotipatamente viene riconosciuto all'uomo ed alla donna l'uomo deve andare a lavorare e mantenere la sua famiglia, la donna è relegata ad essere l' “angelo del focolare” e crescere i figli. Per la CEDU questo è uno stereotipo pericoloso perché da un lato, giustificando la differenza di trattamento su questa pregiudizievole concezione patriarcale della famiglia e della società, non solo incostituzionale ma anche non più attuale, si sminuisce il ruolo sociale della donna limitandole la possibilità di fare carriera ed affermarsi nel mondo del lavoro, conciliando il tutto con la vita familiare, dall'altro si discrimina l'uomo relegandolo solo al ruolo di colui che provvede alla famiglia e quindi degno di una tutela inferiore della donna. Nella fattispecie le Corti interne, veicolando questa concezione, non avevano alcuna ragione per credere che avesse meno difficoltà di una donna a reinserirsi nel mondo del lavoro, stante il fatto che era “vecchio” e da troppo tempo lontano dallo stesso e soprattutto ne avevano sminuito il ruolo nell'occuparsi dei figli sì che la pensione di reversibilità era essenziale per la sussistenza dell'intera famiglia. In breve non avevano rispettato il brocardo, codificato anche dalla costituzione interna, dalla Raccomandazione 85/1985 del Comitato dei Ministri e dai dossier del CEDAW, sull'uguaglianza dell'uomo e della donna. Ergo non c'erano considerazioni molto forti o ragioni particolarmente solide e convincenti che giustificassero questo differenza di trattamento. Per completezza d'informazione si segnala un'analoga pronuncia della CGUE ECLI EU C 2022 789, C-199/21 del 13 ottobre in cui si evidenzia come sia incompatibile col diritto dell'UE e nello specifico con l'articolo 60 §.1, terza frase, Regolamento CE numero 987/2009 la norma nazionale austriaca «che consente il recupero delle prestazioni familiari concesse, in mancanza di una domanda del genitore che le ha diritto in forza di tale legislazione, all'altro genitore, la cui domanda è stata presa in considerazione, conformemente a tale disposizione, dall'istituzione competente e che di fatto sopporta l'onere finanziario del mantenimento del solo figlio». Nella fattispecie un cittadino austriaco, ma di origine polacca, lamenta che nel percepire pensioni da entrambi gli Stati, gli sia stata negata la possibilità di chiedere il rimborso delle spese di mantenimento ivi compresi gli assegni familiari versati all'ex moglie ed alla figlia, residenti in Polonia ove la minore proseguiva gli studi. Per la legge austriaca infatti gli assegni familiari spettano solo al genitore collocatario/affidatario del minore senza che l'altro ne possa richiedere il rimborso.
CEDU, Grande Chambre, sentenza 11 ottobre 2022, Beeler comma Svizzera ricomma 78630/12