Ammissione al passivo per i crediti dell’avvocato e natura del credito per rivalsa IVA

Il credito di rivalsa IVA può giovarsi del privilegio speciale di cui all'articolo 2958, comma 2, c.c. solo se sussistano beni, che il creditore ha l'onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo, su cui esercitare la causa di prelazione.

Un avvocato aveva stipulato un contratto d'opera con una società con facoltà di recesso ad nutum. A distanza di un anno ed a seguito della dichiarazione di fallimento della società, l'avvocato rinunciava all'incarico e chiedeva l'ammissione al passivo, in privilegio, per la somma spettante a titolo di acconto, oltre che per le altre spettanze venute a scadenza prima del recesso e le spese generali. Il giudice del fallimento ammetteva al passivo solo parte della cifra ricalcolata in base alla prestazione effettivamente resa richiesta riconoscendo il privilegio ex articolo 2751-bis, numero 2, c.c L'avvocato proponeva opposizioneex articolo 98 l. fall., senza successo. La questione è dunque giunta dinanzi alla Suprema Corte. Con la prima doglianza, il ricorrente sostiene che le somme da versare a titolo di acconto fossero interamente spettanti, a prescindere dall'intervenuto scioglimento anticipato dl contratto ed in aggiunta ai compensi maturati al momento del recesso, in virtù dell'articolo 1373, comma 4, c.c Tale interpretazione della norma risulta però inammissibile. L'articolo citato, facendo salvo il “patto contrario” si riferisce alla parte in cui prevede che il recesso ha effetto solo dalla data del pagamento del corrispettivo eventualmente pattuito per l'anticipato scioglimento del contratto. Il ricorrente vorrebbe invece attribuire alla clausola la natura di clausola penale, senza però formulare alcuna critica alla ratio decidendi sottesa al rigetto. Il secondo motivo di ricorso, anch'esso inammissibile, lamenta la violazione dell'articolo 2758, comma 2, c.c. per la mancata ammissione al passivo in privilegio del credito per rivalsa IVA. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, «il credito di rivalsa IVA può giovarsi del privilegio speciale di cui all'articolo 2958, comma 2, cod. civ. nel caso in cui sussistano beni - che il creditore ha l'onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo, nel senso previsto dall'articolo 93, comma 3, numero 4, l. fall. - su cui esercitare la causa di prelazione». Di conseguenza, ai fini del riconoscimento del privilegio speciale è necessaria la sussistenza del bene oggetto della prelazione nel momento della verifica del credito o almeno della sua individuabilità, in modo da poter accertare la successiva acquisizione all'attivo fallimentare. Laddove, invece, il credito nasca senza un possibile oggetto sul quale far valere il privilegio, esso deve essere considerato alla stregua di chirografo, mancando il possibile valore sul quale collocare la causa di prelazione. Avendo il giudice di merito correttamente applicato tali principi, il ricorso non può che essere rigettato.  

Presidente Cristiano – Relatore Pazzi Rilevato in fatto che 1. L'Avv. S.V. stipulava in data 24 luglio 2012 con omissis s.p.a. un contratto d'opera professionale che prevedeva il versamento di un acconto di Euro 30.000, oltre accessori, entro il 31 luglio 2012 e il pagamento di trenta rate mensili, ciascuna pari a Euro 4.000, oltre accessori, da agosto 2012 a febbraio 2015. Il contratto contemplava la facoltà di recesso ad nutum per ciascuna delle parti, con la precisazione che, in questo caso, sarebbero risultati dovuti al legale, oltre all'acconto ricevuto, solo i compensi già maturati sino a quel momento. 2. L'Avv. S. rinunciava all'incarico nel febbraio 2013 e, a seguito della dichiarazione di fallimento della cliente, chiedeva l'ammissione al passivo, in privilegio, della somma di Euro 30.000, dovutagli a titolo di acconto e mai corrisposta, e dell'importo di Euro 28.000, per le sette rate mensili venute a scadenza prima del recesso, oltre che di Euro 7.250 a titolo di spese generali. Il giudice delegato al fallimento di omissis s.p.a. riteneva che l'acconto fosse dovuto unicamente in relazione al periodo di durata dell'incarico e, rideterminato il credito professionale dividendo il corrispettivo totale previsto in contratto per i giorni di effettivo espletamento dell'attività professionale, ammetteva al passivo della procedura la minor somma di Euro 36.630,66 in privilegio ex articolo 2751 bis c.c., numero 2, oltre I.V.A. e c.p.A. in chirografo da quantificarsi in sede di riparto. 2. L'opposizione L. Fall., ex articolo 98, proposta dall'avv. S. contro il decreto di esecutività dello stato passivo veniva rigettata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il quale osservava che se l'acconto è una parte del corrispettivo pattuito per l'intera prestazione, l'interpretazione del testo contrattuale posta a fondamento del provvedimento di ammissione parziale era pienamente legittima, non tanto perché il contratto prevedesse un compenso giornaliero, ma perché in questo modo era possibile quantificare correttamente le somme dovute a fronte della prestazione effettivamente resa. Diversamente opinando l'acconto in questione sarebbe stato non un'anticipazione sul compenso a maturare, ma una somma comunque dovuta con natura di penale una simile interpretazione, tuttavia, sarebbe stata in contrasto con il disposto dell'articolo 1373 c.c., che prevede la possibilità di porre una penale a carico della parte che ha esercitato il diritto di recesso e non della parte che lo subisce. Osservava, infine, che il credito di rivalsa I.V.A. può giovarsi del privilegio speciale di cui all'articolo 2758 c.c., comma 2, nel caso in cui sussistano beni su cui esercitare la causa di prelazione, ipotesi che non ricorreva nel caso in esame. 3. Per la cassazione del decreto di rigetto dell'opposizione, depositato in data 3 giugno 2015, ha proposto ricorso l'Avv. S.V. prospettando due motivi di doglianza. L'intimato fallimento di omissis s.p.a. non ha svolto difese. Considerato in diritto che 4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 1373 c.c. il tribunale, pur riconoscendo correttamente che il professionista aveva maturato il diritto al compenso per tutte le prestazioni rese sino al recesso dal contratto d'opera professionale, non ha considerato che l'articolo 1373 c.c., comma 4, ammette in ogni caso il patto contrario, dovendosi di conseguenza ritenere che le parti del contratto d'opera professionale, avvalendosi di questa facoltà, avessero stabilito che al legale fossero dovuti i compensi già maturati in aggiunta all'acconto da corrispondere al momento del perfezionamento del negozio. 5. Il motivo è inammissibile. 5.1 Esso, infatti, intende sostenere che le somme da versare a titolo di acconto fossero interamente dovute al professionista, indipendentemente dall'intervenuto scioglimento anticipato del contratto, in aggiunta ai compensi maturati al momento del recesso, in ragione del fatto che una simile pattuizione era consentita dal disposto dell'articolo 1373 c.c., comma 4. Il provvedimento impugnato, tuttavia, ha escluso che la somma di Euro 30.000 fosse dovuta a prescindere dal compimento delle prestazioni professionali che l'avv. S. si era obbligato a rendere, in primo luogo perché la stessa doveva essere corrisposta a titolo di acconto, vale a dire come pagamento anticipato di una parte del corrispettivo globalmente pattuito, in adempimento del dovere di collaborazione gravante sul cliente previsto dall'articolo 2234 c.c Solo in un secondo momento il tribunale ha aggiunto che l'interpretazione sostenuta dall'opponente avrebbe portato a un risultato inverosimile, finendo per configurare la pattuizione come una penale per recesso anticipato prevista a vantaggio di chi esercitava un simile diritto. La critica in esame intende contrastare la ragione aggiuntiva offerta dal collegio dell'opposizione, ma non si preoccupa in alcun modo di contestare la qualificazione del tenore dell'accordo negoziale in termini di acconto compiuta dal collegio di merito. Ne discende la sua inammissibilità, posto che, essendo divenuto ormai definitivo l'accertamento in ordine al fatto che somma in discorso fosse stata versata a titolo di acconto, la tesi sostenuta dall'odierno ricorrente in nessun caso potrebbe produrre l'annullamento del decreto impugnato Cass. 9752/2017 . 5.2 D'altra parte, il ricorrente non solo dimostra di non aver correttamente inteso il significato dell'articolo 1373 c.c., comma 4, che, laddove fa salva la possibilità di un patto contrario , intende riferirsi alla previsione del precedente capoverso secondo cui il recesso ha effetto solo dalla data del pagamento del corrispettivo eventualmente pattuito per l'anticipato scioglimento del contratto , ma intende nella sostanza ribadire il proprio intento di attribuire alla clausola in questione la natura di penale, senza investire di alcuna critica neppure la seconda ratio decidendi sottesa al rigetto, che risiede nel fatto che la penale non può essere posta a carico di chi subisce il recesso. 6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell'articolo 2758 c.c., comma 2, in quanto il credito per rivalsa I.V.A. correlato al credito professionale doveva essere ammesso al passivo in privilegio, diversamente da quanto ritenuto dal collegio dell'opposizione l'eventuale mancanza dei beni oggetto del privilegio richiesto, infatti, era irrilevante nella fase ricognitiva del credito stesso, non incidendo nè sulla causa nè sulla qualificazione della prelazione, ma rilevava unicamente in sede attuativa, cosicché la verifica dell'esistenza del bene oggetto del privilegio era questione che doveva essere demandata alla fase del riparto. 7. Il motivo non è fondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte il credito di rivalsa I.V.A. può giovarsi del privilegio speciale di cui all'articolo 2958 c.c., comma 2, nel caso in cui sussistano beni - che il creditore ha l'onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo, nel senso previsto dalla L. Fall., articolo 93, comma 3, numero 4, - su cui esercitare la causa di prelazione. Ne discende che, ai fini del riconoscimento di tale privilegio speciale è necessaria la sussistenza del bene oggetto della prelazione al momento della verifica del credito o, quanto meno, la sua individuabilità, cosicché non possa escludersi la successiva acquisizione all'attivo fallimentare nel caso in cui, invece, il credito nasca senza un possibile oggetto sul quale far valere il privilegio, esso deve essere considerato alla stregua di chirografo, mancando il possibile valore sul quale collocare la causa di prelazione cfr. Cass. 9616/2016, Cass. 7414/2014, Cass. 8222/2011, Cass. 6149/95 . Il collegio di merito ha fatto corretta applicazione di questo principio dopo aver constatato, all'esito di un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, la mancanza di beni su cui esercitare la prelazione , vale a dire la non individuabilità, al momento stesso del sorgere del credito, di alcun bene o valore sul quale il privilegio potesse trovare collocazione, sicché la mancanza di tali beni nell'attivo al momento della verifica del credito non integrava una situazione contingente, ma una situazione inerente alla stessa natura dell'operazione che costituiva la fonte del credito professionale. 8. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere rigettato. La mancata costituzione in questa sede della procedura intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, ove dovuto.