Niente licenziamento per il lavoratore che fa uso di droga ma ha intrapreso un percorso di recupero

Inutile il richiamo fatto dall'azienda alla gravità della condotta tenuta dal dipendente. Fondamentale il riferimento alla normativa, che assegna al lavoratore con problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti un diritto alla conservazione del posto, a determinate condizioni, cioè sottoporsi e portare a termine positivamente un percorso terapeutico-riabilitativo, ed in regime di aspettativa non retribuita.

Illegittimo il licenziamento del dipendente che, risultato positivo a un test antidroga , ha chiesto un periodo di aspettativa – non retribuita – per poter sottoporsi a un percorso terapeutico-riabilitativo mirato a liberarlo dalla dipendenza dalle sostanze stupefacenti. A censurare la condotta tenuta dalla società datrice di lavoro sono i giudici d'Appello, i quali «annullano il licenziamento» e obbligano l'azienda a «reintegrare il dipendente nel posto di lavoro» e a versargli «un'indennità risarcitoria – pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto» e la corrispondente «contribuzione». Smentito il Tribunale che aveva dichiarato «risolto il rapporto di lavoro» e aveva accertato «il diritto del lavoratore ad un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata in quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto ed a percepire l'indennità di mancato preavviso». Per i giudici d'Appello, invece, sono fondamentali i dettagli della vicenda per mettere in discussione il licenziamento deciso dall'azienda. In questa ottica viene sottolineato che «con contestazione del luglio del 2015 al lavoratore è stato addebitato di essere risultato positivo, in occasione di visita medica dell'aprile del 2015, nell'ambito degli accertamenti sanitari per assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope», e successivamente «egli è stato dichiarato, dal medico competente, inidoneo permanentemente alla mansione svolta» sino ad allora. Però, prima della contestazione disciplinare, arrivata nel maggio del 2015, «il lavoratore ha chiesto di fruire di periodo di aspettativa » per « accedere ad un programma terapeutico e di riabilitazione », sottolineano i giudici d'Appello, e quindi la società non può ignorare che la normativa prevede «il diritto alla conservazione del posto per i lavoratori di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza e che intendano accedere a programmi di riabilitazione presso servizi pubblici». Chiara la conclusione tratta a chiusura del processo di secondo grado «la positività al test dà inizio a una procedura che determina un giudizio di temporanea inidoneità alle mansioni, risultando illegittimo il recesso del datore di lavoro nelle more delle procedure di verifica». Inutile il ricorso in Cassazione proposto dai legali che rappresentano la società datrice di lavoro. Anche per i giudici di terzo grado, difatti, va rilevata l' illegittimità del licenziamento del lavoratore . Innanzitutto, i magistrati ribadiscono con forza che la normativa prevede che «i lavoratori di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza, i quali intendono accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione, hanno diritto, se assunti a tempo indeterminato, alla conservazione del posto di lavoro per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative è dovuta all' esecuzione del trattamento riabilitativo e, comunque, per un periodo non superiore a tre anni». Ebbene, tornando alla vicenda in esame, si è appurato che «dopo essere risultato positivo alla marijuana al test tossicologico e prima della contestazione disciplinare, il lavoratore ha chiesto di sottoporsi a un programma terapeutico presso una struttura pubblica, programma poi frequentato e concluso con esito positivo ». Allo stesso modo, si è accertato che «il recesso» deciso dall'azienda «è avvenuto nelle more della procedura» prevista per consentire al lavoratore di superare la propria dipendenza dalla droga e quindi esso è da considerare «illegittimo», sottolineano i giudici. In questo quadro si inserisce poi una ulteriore notazione con cui i magistrati ribattono alle obiezioni proposte dalla società datrice di lavoro «non risulta dal testo della norma alcuna distinzione tra le nozioni di assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e quella di tossicodipendenza intesa quale patologia». Irrilevante, poi, il riferimento fatto dal legali dell'azienda alla «rilevanza giuridica della condotta di assunzione di stupefacenti in relazione alla prosecuzione del rapporto di lavoro». Irrilevante, concludono i giudici, perché «la legge assegna al lavoratore con problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti un diritto alla conservazione del posto , a determinate condizioni – cioè sottoporsi e portare a termine positivamente un percorso terapeutico-riabilitativo – ed in regime di aspettativa non retribuita».

Presidente Esposito – Relatore Michelini Rilevato in fatto che 1. la Corte d'Appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha annullato il licenziamento intimato a P.W. in data 11/8/2015 e condannato s.p.a. in a.s.a reintegrarlo nel posto di lavoro, determinando l'indennità risarcitoria nella misura di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori, e dichiarando sussistente il diritto del lavoratore al versamento della contribuzione come per legge 2. il Tribunale di Civitavecchia nella fase sommaria era pervenuto ad analoga decisione, mentre il Tribunale della fase di opposizione aveva fatto applicazione della L. numero 300 del 1970, articolo 18, comma 5, dichiarando il rapporto di lavoro tra le parti risolto con effetto dalla data del licenziamento ed accertando il diritto dell'originario ricorrente ad un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata in 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto ed a percepire l'indennità di mancato preavviso 3. la Corte di Roma, accogliendo il reclamo principale del lavoratore e respingendo il reclamo incidentale della società, ha osservato in particolare che - con contestazione del 7/7/2015 al lavoratore era stato addebitato di essere risultato positivo in occasione di visita medica del 28/4/2015 nell'ambito degli accertamenti sanitari per assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope - il lavoratore era stato dichiarato dal medico competente inidoneo permanentemente alla mansione di Addetto rampa che svolgeva - prima della contestazione disciplinare, il 27/5/2015, il lavoratore aveva chiesto di fruire di periodo di aspettativa ai sensi del D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 124 - la società era vincolata a seguire la procedura prevista dal Provvedimento 18/9/2008 della Conferenza permanente Stato - Regioni in materia di accertamenti sanitari di assenza di tossicodipendenza o di assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope in lavoratori addetti a mansioni che comportano particolari rischi per la sicurezza, l'incolumità e la salute di terzi - il D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 124, prevede il diritto alla conservazione del posto per i lavoratori di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza che intendano accedere a programmi di riabilitazione presso servizi pubblici - dal complesso di tali disposizioni si evince che la positività al test dà inizio a una procedura che determina un giudizio di temporanea inidoneità alle mansioni, risultando illegittimo il recesso del datore di lavoro nelle more delle procedure di verifica 4. avverso tale sentenza la società in a.s. propone ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, cui resiste il lavoratore con controricorso e ricorso incidentale condizionato la società propone controricorso al ricorso incidentale condizionato e memoria. Considerato in diritto che 1. con il primo motivo di ricorso la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 124, con riferimento all' articolo 360 c.p.c. , numero 3 , per avere la sentenza impugnata confuso lo stato di assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope con quello di tossicodipendenza intesa quale patologia solo dalla seconda condizione deriverebbe il diritto alla conservazione del posto previsto dalla norma, e ciò sarebbe confermato da giudizio di inidoneità permanente alla mansione di addetto rampa formulata dal medico competente 2. il motivo non è fondato 3. la norma in questione D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 124 prevede che comma 1 I lavoratori di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza, i quali intendono accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi Data pubblicazione 08/08/2022 sanitari delle unità sanitarie locali o di altre strutture terapeutico-riabilitative e socio-assistenziali, se assunti a tempo indeterminato hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative è dovuta all'esecuzione del trattamento riabilitativo e, comunque, per un periodo non superiore a tre anni 4. come esattamente osservato dalla Corte di merito, il test in ordine alla inidoneità permanente alle mansioni va svolto in esito alla procedura e non nel corso della stessa nel caso in esame, dopo essere risultato positivo alla marijuana al test tossicologico e prima della contestazione disciplinare, il lavoratore aveva chiesto di sottoporsi a programma terapeutico presso le strutture pubbliche poi frequentato e concluso con esito positivo la Corte di merito ha verificato in fatto che il recesso di Alitalia è avvenuto nelle more della procedura, risultando perciò illegittimo per contrarietà agli obblighi di procedura stabiliti dal citato provvedimento della Conferenza Stato-Regioni, in base alla riportata sequenza degli atti 20/5/2015 - sospensione cautelativa dal lavoro 27/5 - richiesta del lavoratore di fruire di aspettativa non retribuita 10/6 - inizio di programma di osservazione stilato dalla ASL competente 1/7 - comunicazione del competente servizio della ASL al medico competente del programma semestrale stabilito per il lavoratore, il tutto anteriormente alla contestazione disciplinare ed al licenziamento non risultano dal testo della norma alcuna distinzione tra le nozioni di assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e quella di tossicodipendenza intesa quale patologia, nè criteri per elaborare tale distinzione come prospettata dalla difesa ricorrente 5. con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell' articolo 2119 c.c. in tema di licenziamento per giusta causa/giustificato motivo soggettivo in ragione della gravità del fatto con riferimento all' articolo 360, numero 3., c.p.c. l'assunzione di sostanze stupefacenti è potenzialmente idonea ad incidere sulla fiducia del datore di lavoro nell'adeguatezza del lavoratore a svolgere le mansioni affidategli e le abitudini del dipendente nella vita privata possono raggiungere una portata tale da riverberare negativamente sulla azienda 6. il motivo non è fondato perché non coglie nel segno della ratio decidendi della sentenza impugnata 7. quanto affermato dalla società circa la rilevanza giuridica della condotta di assunzione di stupefacenti in relazione alla prosecuzione del rapporto di lavoro non è in contestazione ma la legge assegna al lavoratore con problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti un diritto alla conservazione del posto, a determinate condizioni sottoporsi e portare a termine positivamente un percorso terapeutico - riabilitativo ed in regime di aspettativa non retribuita 8. l'irrogazione della sanzione disciplinare espulsiva in pendenza di tale procedura risulta sostanzialmente abrogativa di tale normativa e del sotteso bilanciamento di interessi operato dalla legge in materia 9. con il terzo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. numero 604 del 1966, articolo 3, in tema di inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro con riferimento all' articolo 360 c.p.c. , numero 3 , per inutilizzabilità della prestazione lavorativa correlata alla sfera soggettiva professionale del lavoratore 10. il motivo non è fondato, per le considerazioni svolte con riferimento ai motivi precedenti, ossia perché tale valutazione datoriale deve essere svolta nella fase di rientro, in caso di interruzione o esito negativo del trattamento, e non nel corso dello svolgimento dello stesso 11. con il quarto motivo deduce omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento all' articolo 360 c.p.c. , numero 5 , stante il giudizio di permanente inidoneità alla mansione di Addetto rampa formulata dal medico competente 12. il motivo non è ammissibile, perché estraneo al perimetro del giudizio di legittimità, avendo i giudici di merito accertato, in base alla sequenza temporale degli atti rilevanti, il mancato rispetto della procedura per il controllo dei lavoratori con mansioni a rischio di cui al Provvedimento della Conferenza Stato - Regioni citato, incluso in punto di non congruenza del giudizio di permanente anziché temporanea inidoneità da adottarsi eventualmente a termine della procedura e non nel corso della stessa 13. con il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 24, 52 L. Autunno. in combinato disposto con gli articolo 409, 433 c.p.c. ,, per improcedibilità della domanda di condanna risarcitoria del lavoratore, per effetto dell'ammissione della società cessionaria alla procedura concorsuale di amministrazione straordinaria 14. il motivo è infondato 15. nel riparto di competenza tra il giudice del lavoro e quello del fallimento il discrimine va individuato nelle rispettive speciali prerogative, spettando al primo, quale giudice del rapporto, le controversie riguardanti lo status del lavoratore, in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, volte ad ottenere pronunce di mero accertamento oppure costitutive, come quelle di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro rientrano, viceversa, nella cognizione del giudice del fallimento, al fine di garantire la parità tra i creditori, le controversie relative all'accertamento ed alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro in funzione della partecipazione al concorso e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, ovvero destinate comunque ad incidere nella procedura concorsuale Cass. 30 marzo 2018, numero 7990 Cass. 28 ottobre 2021, numero 30512 salva l'ipotesi dell'accertamento e di esso solo dell'entità dell'indennità risarcitoria da parte del giudice del lavoro, anziché fallimentare, per il riflesso del radicale mutamento del regime selettivo e di commisurazione delle tutele anche sulla ripartizione cognitoria qui in esame Cass. 21 giugno 2018, numero 16443 Cass. 21 febbraio 2019, numero 5188 Cass. 8 febbraio 2021, numero 2964 16. nel caso in esame, la Corte territoriale si è attenuta ai superiori principi di diritto, limitandosi ad una pronuncia di mero accertamento determinazione dell'indennità risarcitoria spettante , senza accedere a quella di condanna richiesta dal lavoratore, nella competenza cognitoria del giudice concorsuale 17. rimane assorbito il ricorso incidentale condizionato relativo a dedotta revoca del licenziamento per fatti concludenti 18. il ricorso deve perciò essere respinto, con regolazione delle spese del grado, liquidate come da dispositivo secondo il regime della soccombenza, e raddoppio del contributo ove dovuto, sussistendo i relativi presupposti processuali. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso, assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio, che liquida in Euro 5.000 per compensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quarter, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.