Risoluzione alternativa delle controversie: i metodi alternativi sono un’esigenza?

I nuovi metodi di risoluzione alternativa delle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e di natanti. Questo l’argomento principale dell’approfondimento, a firma degli avvocati Giuseppe Chiaia Noya e Adriano Garofalo. L’approfondimento si divide in 7 punti chiave. Osservata speciale, la giustizia civile italiana, che sta vivendo un momento di difficoltà dovuto non tanto a problemi di adeguatezza delle norme processuali, quanto alla mancanza di strutture e mezzi che consentano lo smaltimento del contenzioso. Alternative Dispute Resolution”. Ormai è palese che il sistema giudiziario non è in grado di affrontare il carico processuale, per questo il Legislatore sta cercando di affidarsi a metodi alternativi di risoluzione delle controversie Alternative Dispute Resolution” ADR . Lo Speciale, come già accennato, è diviso in 7 punti 1 L’esigenza dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie. 2 La risoluzione alternativa delle controversie nella riforma del 2014. 3 Il trasferimento in sede arbitrale delle controversie pendenti - cenni. 4 La convenzione di negoziazione assistita – nascita di un nuovo istituto. 5 La convenzione di negoziazione assistita facoltativa. 6 La convenzione di negoziazione assistita obbligatoria. 7 L’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita.

Disciplina ben più dettagliata anche perché producente importanti effetti di natura sostanziale e processuale è stata invece dettata per l’ipotesi in cui alla procedura di negoziazione – obbligatoria o facoltativa – sia seguito un accordo. L’ eventuale accordo raggiunto ha natura contrattuale. La procedura di negoziazione, naturalmente, può concludersi anche con la definizione della controversia che, indiscutibilmente, avrà natura contrattuale. Trattandosi di un contratto, che dovrà essere sottoscritto dalle parti e dai loro avvocati, l’accordo conclusivo sarà sicuramente soggetto a qualsiasi rimedio previsto dalla legge in caso di invalidità azione di annullamento o di nullità, ecc. , di inadempimento azione di risoluzione , ecc., con la precisazione che detti rimedi non potranno essere azionati dall’avvocato che abbia partecipato all’accordo, salvo la commissione di un illecito deontologico, come previsto dall’art. 5, comma 4, d.l. n. 132/2014 [1] . L’art. 5, d.l. n. 132/2014 prescrive solo alcuni requisiti di forma, ma non detta il contenuto minimo” dell’accordo. Sotto il primo profilo, oltre alla firma degli avvocati e delle parti, è essenziale che l’atto individui la convenzione in forza della quale si è proceduto alla negoziazione, le parti, l’oggetto del contendere, le pattuizioni e la data e luogo della delibazione. Gli avvocati, inoltre, dovranno certificare l’autografia della firma delle parti assistite ed attestare la conformità dell’accordo alle norme imperative e di ordine pubblico. Da un punto di vista contenutistico è certo che il contratto debba presentare tutti gli elementi essenziali previsti dalla legge per lo specifico accordo, nonché prevedere correttamente le singole pattuizioni ed il diritto del quale si dispone. La previsione per cui gli avvocati debbano certificare la conformità dell’accordo alle norme imperative e di ordine pubblico, nel ribadire la novità legislativa già introdotta per la mediazione [2] , si pone come disposizione strumentale alla scelta del legislatore di dotare di particolare forza l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione. Il riferimento, in primo luogo, è alla previsione dell’art. 5, comma 1, per cui l'accordo costituisce titolo esecutivo idoneo anche per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Si tratta di un titolo esecutivo contenuto in un accordo privato, raggiunto senza assistenza qualificata [3] , non trasfuso in atto pubblico, né autenticato da un notaio, né recepito in un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria. Lo stesso, quindi, potrà considerarsi annoverato nella categoria aperta” dei titoli esecutivi indicati nell’art. 474, comma 2, n. 2 c.p.c. [4] . Basta la trascrizione Così come accade per altri titoli diversi dai provvedimenti giurisdizionali [5] e dagli atti ricevuti da pubblico ufficiale, gli accordi raggiunti a seguito di negoziazione assistita da avvocati non necessitano di spedizione in forma esecutiva ex art. 475 c.p.c. e, ai fini dell’esecuzione, devono solo essere integralmente trascritti, ai sensi dell’art. 480, comma 2, c.p.c., nell’atto di precetto [6] . Mancando qualsivoglia specificazione sulla forza esecutiva, è da ritenere che l’accordo in parola valga come titolo non solo per l’espropriazione forzata, ma anche per l’esecuzione per consegna e rilascio e per l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, al pari di quanto previsto per la mediazione in quel caso però in maniera espressa dall’art. 12 d.lgs. n. 28/2010. E in caso di ipoteca giudiziale? Detto titolo esecutivo, inoltre, è idoneo all’iscrizione di ipoteca giudiziale. Desta qualche perplessità il fatto che il legislatore non abbia richiesto l’autentica delle firme ad opera di un pubblico Ufficiale, al pari di quanto invece previsto per la trascrizione. Infatti, il comma 3 dell’art. 5 prescrive che ove l’accordo riguardi un atto soggetto a trascrizione, per procedere alla trascrizione la sottoscrizione dell’atto conciliativo debba essere autenticata da un Pubblico Ufficiale. Quest’ultima disposizione, pur ponendosi in contrasto con la impostazione privatistica assunta dal legislatore con riferimento sia all’accordo che agli effetti, costituisce una scelta per certi tratti condivisibile, vista la rilevanza degli interessi in contesa e l’esigenza di certezza pretesa nella gestione degli Uffici di pubblicità immobiliare. Più coerente con il sistema sarebbe stata la previsione per cui, in deroga con la disciplina generale, per detti atti l’autenticazione potesse provenire dagli avvocati. Non convince come innanzi accennato che per l’iscrizione di ipoteca non sia stata prescritta analoga formalità, tenuto conto che la natura e funzione costitutiva dell’ipoteca è addirittura ben più pregnante, sia nei rapporti con i terzi, sia tra le stesse parti, rispetto alla natura dichiarativa della trascrizione. A parere di chi scrive, pur mancando una disposizione espressa in tal senso, per l’iscrizione ipotecaria sarà comunque necessaria l’autenticazione da parte di un Pubblico Ufficiale. Ciò per la dirimente osservazione che l’art. 5, comma 1, prevede esclusivamente che l’accordo sia titolo per l’iscrizione ipotecaria e ciò, al pari di qualsiasi altra scrittura privata. La norma, però, nulla dice delle formalità necessarie per l’iscrizione. Come emerge dalla lettura dell’art. 2835 c.c., le scritture private tra cui anche l’accordo adottato a seguito di negoziazione assistita sono anch’esse titolo per l’iscrizione ipotecaria, ma perché possano assolvere a tale funzione, le relative sottoscrizioni devono essere debitamente autenticate [7] . Poiché nel d.l. n. 132/14 non vi è espressa deroga all’art. 2835 c.c. non c’è ragione per cui gli accordi in parola debbano seguire, in sede di iscrizione ipotecaria, un diverso regime dalle altre scritture private. A conferma dell’estrema rilevanza assegnata alla certificazione dell’avvocato sia delle firme sia della rispondenza dell’accordo a norme imperative e di ordine pubblico il legislatore ha ritenuto di prevedere una sorta di obbligo di raccolta analogo a quello previsto dalla legge per i provvedimenti giurisdizionali o per gli atti dei notai degli accordi conclusi a seguito di negoziazione assistita dagli avvocati, imponendo agli stessi, in esito a tali atti conciliativi, di trasmetterne copia al Consiglio dell'ordine circondariale del luogo ove l'accordo è stato raggiunto, ovvero al Consiglio dell'ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati. Considerato che la funzione dell’Ordine è quella di trasmettere gli atti al Consiglio Nazionale Forense al fine di monitorare le procedure di negoziazione, sarebbe stato più opportuno prevedere che nell’accordo gli avvocati fossero tenuti a indicare il Consiglio dell’ordine presso il quale depositare congiuntamente l’accordo. E’ evidente, infatti, che così come formulata, la norma impone a ciascun avvocato di scegliere se inviare l’accordo al proprio ordine professionale territoriale oppure a quello ove differente del luogo in cui sia stato siglato l’accordo. In quest’ultimo caso si potrebbero avere invii dello stesso accordo ad ordini diversi ad opera dei difensori delle parti, il che potrebbe interferire con la correttezza statistica dei dati inviati al C.N.F. L’art. 44 del nuovo codice deontologico forense, sicuramente applicabile alla fattispecie, completa la norma in bianco” contenuta nell’art. 5, comma 4 del d.l. n. 132, confermando l’illiceità deontologica del comportamento, e stabilendo la sanzione irrogabile in cado di violazione del divieto la censura . L’art. 12, comma 1, secondo periodo del D.lgs. n. 28/10 prevede analogamente che Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico ”. Si pensi agli accordi in materia di lavoro ex art. 410 cpc. Che annovera tra i titoli esecutivi omissis 1 le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva ”. Il riferimento, ad esempio, è a quanto previsto per la cambiale dall’art. 63 del r.d. 14 dicembre 1933 n. 1669, e per l’assegno bancario dall’art. 55 del r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736. Difatti, l’espressa previsione da parte dell’art. 5, dell’obbligo di trascrivere il titolo nell’atto di precetto è resa necessaria dalla norma processuale di cui al citato art. 480, comma 2, cpc in forza del quale il precetto deve contenere a pena di nullità, tra l’altro, la trascrizione integrale del titolo stesso, quando è richiesta dalla legge” e l'ufficiale giudiziario, prima della relazione di notificazione, deve certificare di avere riscontrato che la trascrizione corrisponde esattamente al titolo originale ”. L’art. 2835, comma 1, c.c. prevede che Se il titolo per l'iscrizione risulta da scrittura privata, la sottoscrizione di chi ha concesso l'ipoteca deve essere autenticata o accertata giudizialmente ”.

Da molti anni, ormai, la giustizia civile italiana vive un momento di imbarazzante difficoltà dovuto non tanto a problemi di adeguatezza delle norme processuali, quanto alla mancanza di strutture e mezzi che consentano lo smaltimento del contenzioso. Sorvolando sulle cause che hanno dato luogo, nel tempo, ad una sovraesposizione giudiziaria di molti settori dell’economia produttivo, assicurativo, professionale, ecc. è certo che il sistema giudiziario non è in grado di affrontare il carico processuale. Conseguentemente, la giustizia italiana, oltre che per costi significativi in costante aumento , ha finito per caratterizzarsi per i tempi di attesa delle decisioni assolutamente non adeguati, se non tanto lunghi da invadere ripetutamente il campo della denegata giustizia” con le note conseguenze sanzionatorie per violazione del principio del giusto processo” ed applicazione delle sanzioni di cui alla legge n. 89/2001 – c.d. Legge Pinto” . Metodi alternativi di risoluzione delle controversie. Per tali ragioni, il legislatore, negli ultimi anni, ha avvertito la necessità di strizzare l’occhio” a metodi alternativi di risoluzione delle controversie, detti comunemente ADR dall'acronimo inglese di Alternative Dispute Resolution ” già applicati nei paesi anglosassoni e, comunque, nei sistemi di common law a partire dagli inizi del ‘900. Si tratta di tecniche procedimentali volte a risolvere le controversie sia in ottica giustiziale e, cioè, mediante l’affidamento della decisione sul contenzioso a soggetti terzi privati [1] , sia in un’ottica negoziale e quindi mediante il ricorso o a soggetti terzi che facilitino la composizione della controversia, o a modelli procedimentali che prevedano con idonei incentivi l’iniziativa delle parti alla composizione bonaria [2] Adr, terza species? A parere di chi scrive, ed in dissenso con quanto comunemente ritenuto, nel genus degli ADR, oltre a quelli aggiudicativi” e non aggiudicativi” esiste una terza species costituita da quegli strumenti puramente deflattivi” diretti cioè ad una risoluzione delle controversie mediante l’eliminazione dell’oggetto del contendere. Il riferimento, per esempio, è a quelle norme statuali che prevedano espressamente l’obbligo di comunicazione della volontà di dar corso ad un giudizio, al fine di porre la P.A. nella condizione di rivalutare, in sede di autotutela, le proprie determinazioni [3] . Proprio la finalità eminentemente deflattiva consente di affermare che, in linea generale, il ricorso ad un istituto di risoluzione alternativa delle controversie, non impedisca, sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto quello processuale, di ricorrere, durante o al termine di un procedimento di ADR e salvi gli effetti di una decisione o definizione raggiunta ad un’altra formula di composizione delle controversie [4] . Sulla base di tale principio sono quindi da ritenersi valide anche convenzioni di negoziazione, quali quelle previste nell’ordinamento italiano con il d.l. n. 132/14, che stabiliscano, con clausole definite di multi step ” che, in caso di mancata definizione conciliativa, le parti possano rimettere la decisione ad un collegio arbitrale o ad altra forma di ADR [5] . C.d. ADR aggiudicativi nei quali il soggetto scelto come al di sopra delle parti, decide sulla composizione della controversia con una pronuncia vincolante come nel caso dell’arbitrato o non vincolante come nell’arbitraggio, in cui il terzo non decide la controversia ma fornisce un elemento valutativo essenziale per la conclusione di un negozio transattivo in itinere . In quest’ultima categoria, ma quale istituto autonomo rispetto all’arbitrato irrituale, va ricompresa la perizia contrattuale” come rilevato in Corte app. Genova, 16 maggio 1998, in dir. e pr. società , 1999, 6, 69 e Cass. civ., sez. III, 21 maggio 1999, n. 4954, in Giust. civ. Mass. 1999, 1128. C.d. ADR non aggiudicativi” o negoziali”, tra cui figurano la Mediazione, la Conciliazione, la Dispute Review Board collegio consultivo tecnico o il Mini-trial mini-processo . Si pensi all'istituto dell'informativa in ordine all'intento di proporre ricorso giurisdizionale, di cui all'art. 243 bis, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163 secondo cui coloro i quali intendano proporre un ricorso giurisdizionale sono tenuti, pena le conseguenze di cui al comma 5, a darne informazione alla stazione appaltante, la quale decide se intervenire in autotutela entro il termine di quindici giorni la cui evidente ratio risiede, in un'ottica di risoluzione alternativa delle controversie, nell'esigenza di deflazionare il contenzioso, come dimostrato anche dalla collocazione nel Codice della relativa norma, posta immediatamente dopo gli istituti della transazione, dell'accordo bonario e dell'arbitrato in tal senso si veda T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 13 febbraio 2013, n. 124, in Foro amm. TAR 2013, 2, 724 In questi casi M. Rubino Sammartano, Il diritto dell’arbitrato”, Padova, 2006, p. 30 parla di sequence di formule di ADR. Si veda, al riguardo Tribunale Busto Arsizio, 27 ottobre 2003, in Riv. arbitrato 2003, 477.

Il vero obiettivo del Governo, in sede di introduzione dei nuovi rimedi di degiurisdizionalizzazione, è chiaramente l’introduzione della Convenzione di negoziazione assistita c.d. obbligatoria”, prevista - per materie strategiche” nell’ottica dell’alleggerimento dei carichi giudiziari – quale condizione di procedibilità per l’esercizio in giudizio della domanda. Se, infatti, è prevedibile che la negoziazione facoltativa non avrà nessun risultato concreto nell’ottica dell’aumento del numero di definizioni transattive delle controversie, l’aver invece imposto l’obbligo delle parti di interfacciarsi ufficialmente, ponendo in essere tutti gli elementi per il raggiungimento di un accordo, potrà almeno questo sembra essere l’intento della normativa comportare una deflazione delle cause civili. Negoziazione assistita obbligatoria prima del giudizio. Indice di questo intento è l’imposizione, ad opera dell’art. 3, dell’obbligo di dar corso alla negoziazione assistita prima di dar luogo ad un giudizio, per tutte le controversie in materia da risarcimento del danno da circolazione di veicoli e di natanti, nonché per le domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme comprese tra € 1.100,00 ed € 50.000,00 [1] . Con la legge di stabilità dell’anno 2015 [2] il legislatore ha introdotto una nuova ipotesi di negoziazione assistita obbligatoria prevedendo, all’art. 1, comma 249, che costituisce condizione dell'esercizio in giudizio di un'azione relativa a una controversia in materia di contratto di trasporto o di subtrasporto l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita da uno o più avvocati di cui al capo II del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162 . Eccezioni La negoziazione assistita non va promossa però quando i diritti controversi rientranti nelle materie indicate dal primo comma dell’art. 3, siano azionati in alcuni procedimenti di natura sommaria, quali quelli di ingiunzione compreso, però, il successivo giudizio di opposizione a D.I. , procedimento di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite ex art. 696- bis c.p.comma [3] , nei procedimenti di opposizione relativi all’esecuzione forzata, nei procedimenti in camera di consiglio, nonché nei casi di azione civile proposta in sede penale. Sono inoltre escluse dall’obbligatorietà della negoziazione assistita tutte le controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori, nonché tutte le controversie per cui è già previsto il tentativo obbligatorio di mediazione [4] , come dimostrato dal fatto che l’art. 3, comma 5, nel mantenere ferme le disposizioni in materia di mediazione, prevede espressamente che il termine di procedibilità della domanda decorre contestualmente a quello previsto per dette mediazioni obbligatorie. In pratica, nelle controversie riguardanti contratti conclusi tra professionisti e consumatori in materia assicurativa e bancaria, in cui il privato consumatore è tradizionalmente soggetto alla posizione di supremazia” e chiede la tutela di valori spesso soggettivamente rilevanti per una economia familiare, lo stesso è tenuto, a differenza di altri casi meno rilevanti dal punto di vista economico [5] , a far ricorso alla dispendiosa mediazione obbligatoria, piuttosto che essere addirittura dispensato da ogni forma di mediazione e negoziazione. Francamente la normativa in esame appare inspiegabile sotto questo profilo. Chi intenda proporre uno di questi giudizi, dovrà inviare preventivamente all’altra parte, a mezzo del proprio legale, che ai sensi del comma 2 dell’art. 4 ne certificherà la firma, un invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita avente i caratteri di cui all’art. 2. In assenza di diverse disposizioni legislative, è da ritenere con tranquillizzante certezza che l’invito possa essere inviato per raccomandata o, ricorrendone le condizioni, a mezzo PEC. L’invito interrompe la prescrizione e impedisce ogni forma di decadenza solo una volta . L’invito, oltre a produrre l’effetto processuale connesso alle esigenze di procedibilità della domanda, assume rilevanza anche sotto il profilo più squisitamente sostanziale, costituendo atto idoneo ad interrompere, peraltro permanentemente [6] , la prescrizione estintiva cui sia soggetto il diritto controverso. La comunicazione dell’invito, inoltre, ai sensi dell’art. 8 del decreto legge, costituisce atto con il quale la parte può impedire il verificarsi di una decadenza che sia eventualmente connessa anche con l’introduzione del giudizio. Tuttavia, al fine di evitare che detto strumento sia utilizzato impropriamente, il legislatore ha ritenuto che la decadenza possa essere impedita con tale comunicazione solo una volta, imponendo così al richiedente di coltivare con diligenza la tutela delle sue ragioni. In caso di rifiuto o di mancata risposta nel termine di 30 giorni all’invito a sottoscrivere un accordo di negoziazione assistita, il termine di decadenza eventualmente previsto dalla legge o dall’autonomia privata inizierà a decorrere. L’art. 3, a questo punto, diventa farraginoso e, in alcuni tratti, confonde tra convenzione e procedimento di negoziazione. Si pensi che dopo aver fatto riferimento all’invito a concludere la convenzione” di negoziazione, all’art. 3, comma 1, terzo periodo, si legge che l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda . Se fino a quel punto della norma di era parlato di invito a concludere la convenzione come procedibilità, da quel punto in poi si è fatto riferimento al procedimento conseguente alla conclusione dell’accordo. Sempre contraddittorio, in quest’ottica, è il comma 2, nella parte in cui prevede che quando condizione di procedibilità sia il procedimento” e non, più correttamente, l’invito a concludere la convenzione di negoziazione assistita, detta condizione si considera avverata in caso di mancata adesione o di rifiuto all’invito l’unico invito previsto dalla norma è quello a concludere la convenzione . Al di là della discutibile tecnica legislativa e delle evidenti contraddizioni, è quindi da ritenere che la norma preveda 2 condizioni di procedibilità, tra loro alternative o complementari, a seconda delle decisioni assunte dalle parti a una prima condizione è costituita dall’invio dell’invito a concludere la convenzione di negoziazione quando la parte cui l’invito sia diretto si rifiuti di concludere l’accordo, oppure non risponda entro il termine di giorni 30, la condizione si intende avverata senza necessità di successive fasi b ove invece le parti concludano la convenzione di negoziazione assistita, è prevista la ricorrenza di un’ulteriore condizione di procedibilità costituita dall’esperimento positivo o negativo del procedimento, ovvero dalla decorrenza infruttuosa del termine massimo legale [7] di 3 mesi previsto dall’art. 2, comma 2, lett. a della legge. In pratica, ove le parti si mostrino più diligenti nel tentare una conciliazione o anche solo nel concludere una convenzione di negoziazione assistita, l’effetto sarà quello di subire una paralisi processuale” ben più lunga di chi, disinteressandosi dell’istituto, non abbia neanche cercato concretamente di raggiungere un accordo. L’eventuale sussistenza di una situazione di improcedibilità della domanda, deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, oppure deve essere rilevata dal Giudice, non oltre la prima udienza del giudizio. Ove poi, la procedura, in tale occasione, dovesse risultare in corso, ma dovesse altresì essere pendente il termine massimo previsto per legge o pattiziamente, il Giudice non potrà dichiarare l’improcedibilità del giudizio ma si dovrà limitare a rinviare le parti ad una nuova udienza successiva alla predetta scadenza, onde verificare le condizioni per dichiarare la cessazione della materia del contendere o per proseguire il giudizio. Invito scritto L’invito, comunque, onde essere idoneo a costituire valida condizione di procedibilità, deve essere redatto per iscritto e contenere l’indicazione dell’oggetto della controversia. Lo spirito della norma, che è quello di favorire la definizione anticipata delle controversie, impone che, a differenza di quanto si è potuto sperimentare nella pratica della mediazione, l’oggetto debba essere il più possibile chiaro e dettagliato e debba coincidere con l’oggetto del giudizio di merito. Del resto l’invito alla conclusione della convenzione di negoziazione assistita dovrà essere allegato agli atti di giudizio e, quindi, potrà essere verificato dal Giudice sia ai fini dell’applicazione dell’art. 96 c.p.c., sia per eventuali declaratoria di improcedibilità anche parziale della domanda. Sotto quest’ultimo profilo va ricordato, infatti, che l’invito alla conclusione dell’accordo di negoziazione dovrà contenere, ex art. 4, l'avvertimento che la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, comma 1, c.p.c. . Onde rispettare la prescrizione, sarà senz’altro sufficiente riprodurre la formula legislativa innanzi trascritta. In detto invito l’istante potrà già indicare gli elementi essenziali della convenzione, tra cui, oltre all’oggetto della controversia, anche i termini per l’avvio e la conclusione, il luogo delle riunioni o le modalità di contrattazione. In tal modo la semplice accettazione, sempre per iscritto e con autografia sottoscritta da avvocato la cui partecipazione, si ricorda, è sempre obbligatoria, anche in questa fase , potrà consentire la conclusione dell’accordo di negoziazione ed essere prodromica all’inizio della procedura di negoziazione. Conclusivamente sul punto, si può riassumere che il contenuto minimo dell’invito è dato da a l’oggetto della controversia definito nei modi innanzi illustrati b l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli art. 96 e 642, comma 1, c.p.c. c la sottoscrizione e la certificazione dell’autografia della firma ad opera dell’avvocato che formula l’invito. In assenza di una normativa procedimentale, le parti, come detto, possono determinarsi in qualsiasi modo, purché la loro attività di negoziazione sia improntata ad una cooperazione in buona fede e con lealtà, come imposto dall’art. 2. Va stigmatizzato che l’art. 3, comma 4, prevede che l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita c.d. obbligatoria non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale. Rifacendosi a quanto già previsto in materia di mediazione [8] , il legislatore esclude dall’obbligo di invito ex art. 3, comma 1, sia i procedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.comma [9] , sia i procedimenti cautelari anticipatori e conservativi. La previsione per cui la trascrizione è possibile anche prima dell’esperimento del procedimento da un lato si presenta opportuna e, dall’altro, vanifica l’intento deflattivo della disciplina in commento. Nel rilevare, ancora una volta, che il legislatore ha fatto confusione tra convenzione” e procedimento” di negoziazione assistita [10] , va infatti osservato che la trascrizione di una domanda, per la sua funzione mirante a tutelare con immediatezza la posizione del richiedente, non poteva essere sottoposta a condizioni di procedibilità, potendo sempre il convenuto, nel tempo occorrente per la procedibilità della domanda, compiere atti dispersivi del patrimonio. D’altro canto, ammettere che possa essere trascritta una domanda, significa consentire la proposizione della stessa prima dell’invito alla conclusione di una convenzione di negoziazione assistita da iniziare, quindi, successivamente , il che vanifica, come detto, l’ottenimento dell’effetto di ridurre il contenzioso in sede giurisdizionale. Mancato accordo delle parti. Passando alla fase conclusiva del procedimento di negoziazione, il legislatore ha previsto che l’eventuale mancato accordo delle parti, dovendo essere formalizzato quale condizione di procedibilità della domanda, va inserito in una dichiarazione che dovrà essere certificata dagli avvocati. Non è necessario che la dichiarazione di mancato accordo sia inserita in un verbale unico, potendo benissimo provenire da dichiarazioni unilaterali delle due parti che abbiano partecipato alla procedura. La previsione dell’art. 9 della legge, per cui i difensori devono comportarsi con lealtà, fa venir meno il pericolo che uno dei difensori, al fine di trarre benefici processuali, possa rifiutarsi di certificare il mancato accordo. Al mancato accordo non è ricollegata nessuna conseguenza sul piano sanzionatorio” nell’ambito del processo civile. Ciò ben si coordina con la finalità della normativa che è quella di favorire l’incontro delle parti a fini conciliativi e non di imporre una definizione. Infatti, la valutazione del giudice ai fini della regolamentazione delle spese processuali ed agli effetti degli artt. 96 e 642 c.p.c., è stata prevista solo per l’ipotesi in cui la parte che abbia ricevuto l’invito non abbia risposto o abbia rifiutato di concludere una convenzione di negoziazione assistita. In questi casi, il Giudice potrebbe o liquidare le spese applicando valori più alti rispetto a quelli riferibili alla fattispecie, oppure, in caso di decisione favorevole a chi non abbia accolto o abbia rifiutato l’invito, disporne la compensazione. Inoltre, il riferimento all’art. 96 c.p.comma comporta che, oltre alle spese processuali, il Giudice possa condannare chi abbia rifiutato esplicitamente o implicitamente l’invito, ad un risarcimento del danno che, in questo caso, potendo essere connesso allo stress subito per un giudizio altrimenti evitabile danno di natura non patrimoniale ben può essere rimesso alla sua valutazione equitativa, sia pure in base ad una prospettazione che dovrà sempre essere operata dalla parte istante [11] . Ciò per la evidente ragione che il potere giudiziale di liquidazione equitativa non trasforma il risarcimento per lite temeraria in una pena pecuniaria, né in un danno punitivo disancorato da esigenze probatorie, restando sempre connotato dalla natura riparatoria di un pregiudizio effettivamente sofferto. Oscuro, poi, è il riferimento all’art. 642 c.p.comma e, quindi, la prospettazione per cui il rifiuto o la mancata risposta all’invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita possa essere valutato ai fini della concessione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo. Ritenuto che l’art. 4, comma 1, faccia riferimento all’invito di cui all’art. 3 negoziazione c.d. obbligatoria , non si comprende la ragione di tale precisazione, considerando che detta forma di negoziazione e, quindi, l’obbligo di invito a pena di improcedibilità della domanda è espressamente esclusa, dallo stesso art. 3, comma 3, per i decreti ingiuntivi e per i relativi giudizi di opposizione. Proprio nell’ottica delle conseguenze negative innanzi richiamate, le Compagnie di assicurazione, principali destinatarie del provvedimento normativo, dovranno opportunamente dotarsi di un modulo di risposta nel quale dichiarino che nulla osta alla conclusione di un accordo di negoziazione assistita ferme restando le contestazioni nel merito della pretesa attorea , nominando l’avvocato e conferendogli i poteri per la sottoscrizione di tale accordo alle condizioni contenute nello stesso modello, delle quali faranno espressa menzione. In tal modo potranno evitare gli effetti negativi di cui all’art. 4 del d.l. n. 132, porre il legale nella condizione di agire rapidamente e snellire le formalità imposte dalla legge non subendo conseguenti disservizi di tipo organizzativo interno . Infatti, se l’art. 3, comma 1, prescrive l’improcedibilità per le cause relative al pagamento di somme sino a € 50.000,00, il successivo comma 7 prevede che la condizione di procedibilità non operi quando la parte possa costituirsi personalmente in giudizio e, cioè, ai sensi dell’art. 82 cpc, nelle cause il cui valore non eccede € 1.100,00. Legge 23 dicembre 2014 n. 190. Oscura è la ragione per cui il legislatore abbia escluso dalla negoziazione obbligatoria” solo i procedimenti ex art. 696-bis cpc e non anche quelli di istruzione preventiva ex art. 696 cpcomma La ragione non può certo risiedere nella strumentalità dei primi ad una definizione della controversia, posto che le altre esclusioni previste dalla stessa norma non riguardano ipotesi di procedimenti aventi analoghe finalità conciliative. A parere di chi scrive, comunque, l’A.T.P. non è soggetto a negoziazione obbligatoria in ragione della sua intrinseca natura di mezzo processuale tipico del regime probatorio che è preordinato, attesa la sua valenza conservativa, all'anticipazione del momento di acquisizione della prova e, quindi, è intimamente connesso e strumentale al successivo giudizio di merito nel quale, in via ordinaria avrebbe dovuto trovare espletamento la prova stessa in tal senso T.A.R. Veneto Venezia, sez. II, 14 dicembre 2011, n. 1830, in Foro amm. TAR 2011, 12, 3876 Cass. civ., sez. II, 19 agosto 2005, n. 17058, in Giust. civ. Mass. 2005, 9 . Trattandosi di procedimento caratterizzato dalla provvisorietà e strumentalità, come risulta dall'art. 698 cpc, non si verte in materia contenziosa e l’eventuale procedimento di negoziazione obbligatoria dovrà essere proposto prima della proposizione del relativo giudizio di merito. L’art. 5, comma 1-bis, del D.lgs. 04/03/2010 n. 28, inserito dall'art. 84, comma 1, lettera b , del d.l. n. 69/2013, conv. in l. n. 98/13, prevede l’obbligatorietà della mediazione in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Si pensi alle controversie riguardanti erogazione di energia elettrica, contratti di telefonia, eccomma Infatti, l’art. 8 del d.l. n. 132 prevede che l'invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero la sottoscrizione della convenzione producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale ”. Ciò comporta che, ai sensi dell’art. 2943, commi 1 e 2, c.comma e dell’art. 2945 c.c., la prescrizione non riprenderà il suo corso sino al termine del procedimento in questione. Ovvero del minor termine massimo di durata della procedura, previsto dall’accordo di negoziazione. Il riferimento è all’art. 5 del D.lgs. n. 28/2010. La generica indicazione provvedimenti urgenti” è riferita a detta categoria, in quanto per le procedure tipiche previste dall’ordinamento, quando ha voluto escluderle si pensi alla procedura ex art. 696-bis cpc l’ha fatto espressamente. E’ da ritenere che con l’espressione esperimento del procedimento di negoziazione” abbia voluto intendere esperimento dell’invito a stipulare una convenzione assistita”, poiché diversamente potrebbe ritenersi che l’invito sia sempre condizione di procedibilità e che non lo sia il successivo esperimento, in caso di adesione, della procedura di negoziazione. Il che, francamente apparirebbe, illogico. Secondo Cass. civ., sez. lav., 15 aprile 2013, n. 9080, in Giust. civ. mass., 2013, rv 626145 In tema di responsabilità aggravata per lite temeraria, che ha natura extracontrattuale, la domanda di cui all'art. 96, primo comma, cod. procomma civ. richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell' an e sia del quantum debeatur ,o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa ” nello stesso senso si veda anche Tribunale Bari, sez. III, 10 settembre 2012, n. 2807, in Giurisprudenzabarese.it 2013 Cass. civ., sez. un., 20 aprile 2004, n. 7583, in Giust. civ. Mass. 2004, 4 .

Benché non sia oggetto specifico della presente trattazione, è opportuno evidenziare – senza pretesa di completezza - i tratti salienti della disciplina, contenuta nell’art. 1 d.l. n. 132/2014, della trasferibilità in sede arbitrale dei giudizi già pendenti innanzi all’A.G.O La norma prevede la possibilità che nei giudizi innanzi ai tribunali, ovvero in quelli in grado di appello, le parti possano richiedere congiuntamente lo spostamento del la controversia innanzi ad un Collegio arbitrale, a condizione che la controversia abbia ad oggetto diritti disponibili e non riguardi la materia del lavoro, previdenza ed assistenza sociale. Per il vero la norma, facendo chiaro riferimento ad un arbitrato rituale, fa sorgere non pochi dubbi di costituzionalità nella parte relativa alla devoluzione al Collegio arbitrale di una causa in grado di appello. Infatti, poiché la decisione degli arbitri ha natura giurisdizionale [1] , il lodo, secondo il sistema delineato dall’art. 1 d.l. n. 132/14, non avrebbe funzione di eliminazione negoziale degli effetti della sentenza di primo grado, invece possibile in caso di arbitrato irrituale [2] . Le parti possono sempre decidere di rinunziare agli effetti di una sentenza emessa dall’A.G.O., ma gli stessi non possono essere caducati da forme di giustizia decisoria non dotata di tali poteri. Nell’attuale ordinamento, ed in ragione del principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., non appare possibile che gli arbitri possano riformare la decisione del giudice ordinario di primo grado. Ma vi è un altro aspetto che lascia perplessi e che appare doveroso segnalare al fine di porre il lettore nella condizione di verificare l’opportunità di ricorrere ad un simile rimedio. Il riferimento è all’ultima parte del comma IV dell’art. 1, secondo cui Quando, a norma dell'articolo 830 del codice di procedura civile, è stata dichiarata la nullità del lodo pronunciato entro il termine di centoventi giorni di cui al primo periodo o, in ogni caso, entro la scadenza di quello per la riassunzione, il processo deve essere riassunto entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di nullità . La norma sembra completamente slegata sia dal sistema processuale, sia dai fondamenti stessi del processo civile italiano. Il riferimento all’art. 830 c.p.c., infatti, tiene conto solo del primo comma, e non anche dei successivi. E’ vero, infatti, che l’impugnazione del lodo per nullità dinanzi la Corte d’Appello ai sensi degli artt. 828 ed 829 c.p.c., può condurre alla declaratoria di nullità della decisione degli arbitri, ma è anche vero che l’art. 830, comma 2, c.p.c., prevede espressamente il caso in cui dopo la declaratoria di nullità la Corte d’Appello debba decidere la controversia nel merito [3] . C’è da chiedersi se, in questo caso, il processo vada riassunto secondo le regole dell’art. 1 d.l. n. 132, ovvero debba proseguire, in sede rescissoria con la decisione nel merito secondo le regole dettate dall’art. 830 c.p.c In entrambi i casi le conseguenze sarebbero aberranti. Ammettendo che il processo debba essere riassunto sempre e comunque anche in caso di nullità del lodo che consentano comunque la decisione del merito l’art. 830, comma 2, c.p.c. risulterebbe non applicabile per gli arbitrati previsti dall’art. 1 d.l. n. 132/2014, senza nessuna plausibile ragione giustificabile la diversità di trattamento rispetto ad ogni altro arbitrato. Del resto, la stessa norma del 2014 prevede espressamente l’applicazione delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile senza nessuna eccezione o riserva di compatibilità con la disciplina del trasferimento. Né la norma si cura minimamente di regolare tale importante ipotesi in cui, in esito alla fase rescindente con declaratoria di nullità il Giudice abbia l’obbligo di passare alla fase rescissoria con la decisione di merito. Ove, invece, si ritenesse applicabile l’art. 830, comma 2, c.p.c., la parte non sarebbe onerata di riassumere il processo che era stato trasferito in sede arbitrale dal grado di appello , in quanto la declaratoria di nullità non chiuderebbe il processo innanzi alla Corte d’appello e sfocerebbe, comunque, in una decisione. In questa ipotesi, però, si avrebbe la creazione di un modello a quattro gradi di giudizio, in quanto, dopo un primo grado ed un secondo grado trasferito in sede arbitrale, vi sarebbe un ulteriore esame, prima rescindente e, poi, nuovamente di merito, in fase rescissoria, da parte della Corte d’Appello. Dovendosi applicare anche l’art. 360 c.p.c., che consente implicitamente l’impugnabilità per Cassazione della sentenza che decida sulla impugnazione di lodo arbitrale, si avrebbe un ulteriore grado di giudizio. E’ noto che il processo di impugnazione di lodo sia considerato strutturato come giudizio di unico grado davanti alla Corte d'appello, salvo il successivo ricorso per cassazione, e non già come giudizio di appello [4] , ma è altrettanto inconfutabile che nella ipotesi prevista dall’art. 1 d.l. n. 132/14,un primo grado vi sia già stato e la compromissione in arbitri sia stata consentita proprio quale alternativa al secondo grado di giudizio. L’impugnazione del lodo, quindi, si risolverebbe, secondo le regole processuali richiamate espressamente nella novella del 2014, in un unico grado di giudizio che decide su un lodo sostitutivo di un secondo grado di giudizio. Anche in questo caso è evidente l’inconciliabilità della norma con il sistema processuale italiano. I costi di un procedimento arbitrale sono superiori rispetto a quelli della giustizia ordinaria. Sino al momento in cui il legislatore non chiarirà questi aspetti, sarebbe quindi preferibile non accettare di trasferire in sede arbitrale giudizi pendenti in grado di appello, poiché in questi casi, alla luce delle possibili eccezioni sopra illustrate generate dall’incertezza legislativa , potrebbero crearsi ulteriori contenziosi. In linea generale, peraltro, i costi di un procedimento arbitrale - superiori rispetto a quelli della giustizia ordinaria - non sembrano essere giustificabili dalla prospettiva di risparmio dei tempi processuali, a maggior ragione quando un giudizio sia già in corso o, addirittura, in secondo grado. Cfr. Cass. civ., sez. I, 18 giugno 2014, n. 13898, in Giust. Civ. Mass., 2014, rv 631409. Cass. civ., sez. I, 24 marzo 2014, n. 6830, in Giust. Civ. Mass. 2014, rv 630133, precisa che l'arbitrato irrituale è uno strumento di risoluzione delle controversie imperniato sull'affidamento a terzi del compito di ricercare una composizione amichevole riconducibile alla volontà delle parti e, pertanto, ha natura negoziale. Ciò accade nell’ipotesi, ivi prevista, in cui . il lodo è annullato per i motivi di cui all'articolo 829, commi primo, numeri 5 , 6 , 7 , 8 , 9 , 11 o 12 , terzo, quarto o quinto .”. Cass. civ., sez. I, 27 aprile 2011, n. 9394, in Giust. civ. 2013, 5-6, 1207.

Convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati. Il legislatore del 2014, tuttavia, si è segnalato, in chiave degiurisdizionalista, soprattutto per l’introduzione ad opera degli artt. 2 e ss., dell’istituto della convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati , espressione di quel diritto collaborativo che, sorto negli Stati Uniti d’America già negli anni ‘80 [1] , aveva trovato in Europa, e segnatamente in Francia, una evoluzione di tipo normativo, mediante la previsione di un sistema di regole procedimentali per la Procédure participative assistée par avocat ” [2] , alla quale l’istituto italiano si ispira. Il nostro ordinamento, imperniato sul principio dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1321 c.c., prevede una serie di norme che regolano la possibilità di definizione delle controversie, prima tra tutte la disciplina codicistica in materia di transazione artt. 1965 e ss. c.c. . Con gli artt. 2 e ss., d.l. n. 132/2014, come modificati dalla legge di conversione n. 162/14, la questione è stata affrontata sotto un differente profilo. Alle parti è stata data l’opportunità che per alcune materie è stata trasformata in obbligo di darsi una regolamentazione pattizia volta alla soluzione del conflitto. In pratica, per la prima volta non si prevede una regolamentazione per la soluzione della controversia [3] , bensì una serie di regole volte a portare le parti a scegliere di non ricorrere all’Autorità Giudiziaria ed a concludere un contratto finalizzato a raggiungere una successiva composizione bonaria della controversia. L’iniziativa, ad opera dell’avvocato del Minnesota, Stuart Web, pur avendo ottenuto una notevole diffusione operativa, è rimasta comunque priva di una regolamentazione a livello normativo. L’istituto è stato introdotto dall’art. 37 della legge 22 dicembre 2010 n. 1609, entrata in vigore il 23 gennaio 2012 a seguito dell’emanazione del decreto attuativo n. 66 del 20 gennaio 2012. La legge contiene pochissime norme procedurali, lasciando la regolamentazione della procedura all’autonomia negoziale.

In linea generale, all’evidente fine di non sovrapporre la disciplina a quella della mediazione obbligatoria, l’art. 2, d.l. 132/14 ha previsto solo la facoltà, e non l’obbligo, per le parti di dotarsi di uno strumento contrattuale, denominato convenzione di negoziazione , con il quale le stesse si impegnano a cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia con l’assistenza di avvocati. Già nei primi due commi 1 e 1- bis la norma si segnala per delle previsioni non attuabili o addirittura pleonastiche. Cooperare in buona fede e con lealtà. Si pensi, in primo luogo, alla previsione che l’impegno che debbano assumere le parti sia quello di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia . Se l’intenzione del legislatore è certamente pregevole ed in linea con i principi in materia contrattuale, va però evidenziato che la stessa legge, all’art. 9, comma 2, dopo aver ribadito l’obbligo delle parti e degli avvocati di comportarsi con lealtà, ha previsto che le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto , aggiungendo, al comma 3, che i difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite . In tal modo, l’eventuale violazione dell’obbligo di lealtà e buona fede, se è sanzionabile disciplinarmente nei confronti dell’avvocato in quanto dal coordinamento del comma 2 e del comma 3 si può affermare che il divieto di deposizione riguardi i giudizi aventi ad oggetto la controversia, e non anche i procedimenti disciplinari non è minimamente verificabile rispetto alle parti che, quindi, dopo aver sottoscritto un accordo di negoziazione, ben potrebbero disinteressarsi ed assumere comportamenti dilatori senza il pericolo di subire sanzioni nel giudizio di merito. Violazione dell’obbligo di lealtà e buona fede per le parti non c’è pericolo di subire sanzioni. Ciò, naturalmente, assume estrema rilevanza proprio nella negoziazione assistita obbligatoria, in cui l’impossibilità di sanzionare la violazione dei doveri di correttezza e buona fede della parte, potrebbe finire con il trasformare l’istituto in un semplice step ” obbligatorio, privo di reale funzione deflattiva del contenzioso [1] , e foriero solo di maggiori costi di assistenza tecnica per le parti. In simili ipotesi, poiché il comportamento dell’avvocato è sempre verificabile, e lo stesso risponde disciplinarmente del rispetto di tali canoni fondamentali, l’intera procedura volta a stipulare una convenzione di negoziazione e, naturalmente, anche la procedura di negoziazione risulterebbe garantita per legge dagli avvocati i quali potrebbero essere ritenuti responsabili di tollerare comportamenti scorretti dei clienti. E’ evidente che tale situazione dovrà essere considerata seriamente dai professionisti, i quali dovranno mantenere dei rapporti con la clientela ispirati al massimo rigore discostandosi, con la rinunzia al mandato, da comportamenti degli assistiti contrari alla lealtà e buona fede, benché questi ultimi non siano denunziabili innanzi al giudice del merito. Va comunque segnalato che la previsione, contenuta nell’art. 9, comma 4, secondo cui ai chi partecipi al procedimento si applicano le disposizioni di cui all’art. 200 c.p.p. e le garanzie già previste per il solo difensore dall’art. 103 c.p.p., conferma la creazione di un ambiente” di discussione e di valutazione delle opportunità transattive estremamente comodo per le parti, essendo alle stesse garantito il diritto al segreto su quanto dichiarato ed occorso durante la negoziazione. Quanto alla previsione che la negoziazione sia assistita dagli avvocati, la norma, oltre a prevedere l’obbligo più che opportuno per le P.A. di affidare la convenzione di negoziazione all’avvocatura interna [2] , opera una precisazione evitabile, e cioè che l’assistenza debba provenire da avvocati iscritti all'albo anche ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96”, laddove è indubitabile l’obbligo di parità di trattamento tra avvocati italiani ed avvocati cittadini di altri stati membri della Comunità europea. L’art. 2, al comma 2, definisce i caratteri minimi che deve contenere la convenzione lasciando all’autonomia delle parti, come innanzi accennato, ogni ulteriore pattuizione. Il legislatore ha imposto che la convenzione debba necessariamente precisare a il termine che le parti hanno stabilito per l'espletamento della procedura, che non potrà mai essere inferiore a un mese e superiore a 3 mesi, sia pure con la possibilità di proroga per ulteriori 30 giorni su accordo tra le parti b l'oggetto della controversia, precisando che questo possa riguardare solo diritti disponibili, non rientranti nella materia di lavoro. Trattandosi di contenuti minimi posti in deroga alla autonomia negoziale, è da ritenere che gli stessi siano stati previsti quali elementi costitutivi della fattispecie, la cui carenza, incidendo sull’oggetto e sulla causa stessa del contratto, non potrà che condurre alla declaratoria di nullità del negozio o della clausola ivi posta in contrasto. Termine minimo e massimo. In particolare, con riferimento al termine, va rilevato che il comma 2, lett. a dell’art. 2, indicando la durata minima e massima da indicare in convenzione dell’intera procedura, ha natura vincolante ed imperativa, non derogabile dalla volontà negoziale delle parti. Ciò comporta che la mancanza di clausola, ovvero in caso di clausola prevedente una durata inferiore a quella minima o superiore a quella massima, la convenzione di negoziazione sarà affetta da nullità parziale che non inciderà sull’intera convenzione, per effetto della eterointegrazione del contratto, ai sensi del comma 2 dell'art. 1419 c.c., mediante l’applicazione del termine minimo o massimo che risulti violato previsto dalla legge. Quanto alle materie, invece, non essendo possibile nessun rinvio esterno, la previsione delle materie sottratte alla disponibilità delle parti [3] , oppure di quelle riguardanti il rapporto di lavoro [4] , comporterà sempre la declaratoria di nullità dell’intero contratto. Definiti i contenuti minimi della convenzione di negoziazione, il legislatore ha dettato altre regole relative agli aspetti puramente formali, prevedendo che la convenzione debba essere redatta, a pena di nullità, in forma scritta e conclusa con l’assistenza di uno o più avvocati. Non sembra che esistano motivi ostativi al fatto che la convenzione possa essere conclusa con lo scambio di proposta ed accettazione tecnica commerciale , e non necessariamente in un unico documento. L’unica eccezione potrà essere costituita dalle convenzioni sottoscritte con le Pubbliche Amministrazioni. In questi casi, infatti, l’art. 17, R.d. n. 2440/1923 prevede che i contratti con la P.A. debbano essere contenuti in un unico documento sottoscritto dalle parti e che la conclusione per mezzo di corrispondenza, secondo l'uso del commercio, è consentita solo in caso di rapporti con ditte commerciali”. In questi casi, quando sia consentita la conclusione di contratti commerciali [5] con lo scambio di corrispondenza, parimenti ammissibile sarà la conclusione, con lo stesso mezzo, della convenzione di negoziazione, ove non inserita nel contratto principale. Assistenza obbligatoria di uno o più avvocati. La previsione dell’obbligo che la convenzione sia conclusa con l’assistenza di uno o più avvocati, costituisce senz’altro la caratterizzazione primaria della procedura di negoziazione assistita. Tale obbligo, peraltro, fa sì da impedire che una convenzione di negoziazione possa essere inserita nelle condizioni generali” e, comunque, in moduli e formulari predisposti unilateralmente da uno dei contraenti per la regolamentazione uniforme dei rapporti contrattuali, e sottoposti all’accettazione dell’altra. La mancanza di una disciplina rispetto a tale categoria di contratti fonte di rilevantissimo contenzioso può considerarsi una occasione persa di facilitare il ricorso alla convenzione di negoziazione, in quanto già regolamentato e, quindi, immediatamente accessibile alle parti in caso di controversia, senza dover far ricorso ad una preventiva attività di negoziazione, a maggior ragione perché non obbligatoria. L’autografia delle firme delle parti è certificata dall’avvocato o dagli avvocati , sotto la propria responsabilità. Analogamente a quanto previsto in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali [6] , anche nella procedura in esame è previsto l’obbligo dell’avvocato di informare il cliente all'atto del conferimento dell'incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita . In questo caso però, la norma, a differenza della posizione ben più precisa assunta nel d.lgs. n. 28/2010 in materia di mediazione, non prevede nessuna conseguenza in termini di annullabilità del contratto, laddove invece in materia deontologica, è prevista una sanzione disciplinare sia pure non grave per l’ipotesi di omessa informativa [7] . Si può ritenere che la violazione di tale dovere di informativa possa essere valutato dal Giudice, quale elemento contrario all’avvocato, nelle controversie eventualmente insorte con il cliente per la determinazione dell’onorario relativo alla controversia per la quale non sia stato avvisato dell’opportunità di concludere un contratto di negoziazione assistita. Stabilite le predette disposizioni in ordine alla convenzione di negoziazione, il legislatore si è poi astenuto dal dettare le regole che dovranno essere rispettate dalle parti nel procedimento di negoziazione, lasciando le stesse alla libera determinazione dei contraenti e provvedendo a regolamentare, sostanzialmente, la forma e le caratteristiche dell’atto conclusivo della procedura. Al pari di quanto avvenuto nelle cause di lavoro, ad opera dell’art. 410 cpc, nella formulazione introdotta dall’art. 36 del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, in cui o le parti giungevano innanzi alla Commissione con un accordo già predisposto, oppure si limitavano ad attendere la scadenza del termine per la procedibilità della domanda. L’istituto, che ha finito con il gravare le Direzioni Provinciali del lavoro senza produrre a livello statistico un concreto e tangibile effetto di riduzione del contenzioso, è stato modificato con il ritorno alla previsione di un tentativo di conciliazione meramente facoltativo ad opera dell’art. 31 della legge 4 novembre 2010 n. 183. L’art. 2, comma 1-bis, prevede l’obbligo per le Pubbliche amministrazioni di affidare la convenzione di negoziazione alla propria avvocatura”. Ritengo che l’espressione della norma sia infelice in quanto, così costruita, obbliga le P.A. a far predisporre la convenzione dai loro avvocati ove presenti ma non impone nella stessa maniera di far partecipare detti avvocati alla procedura, potendo così, in sede procedimentale, affidarsi anche a professionisti scelti dal libero foro. La previsione, del resto, si inserisce armonicamente nel sistema, in quanto pienamente compatibile e complementare con quanto previsto in materia di capacità di transigere e di disponibilità dei diritti dall’art. 1966 c.c. E’ da segnalare che nel testo originario del d.l. n. 132\2014, nell’art. 2 non vi era l’esclusione delle materie del lavoro ed all’art. 7 era espressamente prevista la convenzione di negoziazione tra le procedure idonee a dar luogo a valide rinunzie e transazioni da parte del lavoratore. Assai significativamente, in sede di conversione del decreto ad opera della legge n. 162/14 l’art. 7 è stato soppresso e l’art. 2 è stato conseguentemente modificato. Cass. civ., sez. I, 7 dicembre 2004, n. 22973, in Giust. civ. Mass. 2005, 5, ritiene infatti che il ricorso a tale tipologia, costituendo eccezione alla regola dell’unicità del documento contrattuale, possa essere consentito nei contratti di scarsa rilevanza economica conclusi in regime di economato. L’art. 4, comma 3, del D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, prevede, tra l’altro, che All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato e' tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito è annullabile. omissis ”. L’art. 27, commi 3 e 9 del Nuovo Codice deontologico forense, approvato dal C.N.F. con delibera del 31 gennaio 2014, in G.U. n. 241 del 16 ottobre 2014, prevede che l’omessa informativa dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario ” previsti dalla legge comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento.

I metodi di risoluzione alternativa delle controversie, tuttavia, non vanno considerati unitariamente, avendo delle finalità che, in quanto sostanzialmente differenti decidere, facilitare la conciliazione o consentire ad una delle parti di far cessare la materia del contendere hanno indotto i consociati ed il legislatore ad avvertire più o meno tardi l’esigenza di dotarsene. ADR aggiudicativi”. Così, per esempio, esaminando il più significativo degli ADR aggiudicativi” e, quindi, l’arbitrato, si deve prendere atto che tale forma di soluzione dei conflitti, consistendo nel sottomettere il conflitto ad una terza persona [1] , accettando in anticipo ed obbligatoriamente il verdetto, è assai antica e, comunque, certamente anteriore alle forme statali di amministrazione della giustizia. ADR non aggiudicativi”. Al contrario, le forme di soluzione conciliativa ADR non aggiudicativi” , sono assai più recenti e se ne è avvertita la necessità sempre più pressante proprio in relazione alle difficoltà di esercizio della giurisdizione. Tali forme, infatti, mirano ad evitare il ricorso stesso alla Giurisdizione in base alla volontà delle parti di risolvere consensualmente il conflitto. Il punto, però, è che l’accordo, pur essendo frutto di un moto spontaneo, il più delle volte non viene raggiunto e neanche tentato perché una delle parti non si mostra disponibile a porsi in un piano di trattativa. Ecco, quindi, il campo sul quale si è confrontato il legislatore di questi ultimi anni rendere obbligatorio l’incontro delle parti, e responsabilizzare le stesse con la previsione di conseguenze, anche sanzionatorie, sia per gli avvocati, sia per le stesse parti in sede di regolamentazione delle spese processuali ai fini di un accordo, prima del ricorso alla giurisdizione o a forme di decisione alternative. Un momento assai importante per quest’ultima categoria di ADR è rappresentato, in Italia, dalla promulgazione della legge n. 69/2009 con cui, all’art. 60, in attuazione delle regole imposte dalla direttiva europea del 21 maggio 2008 n. 52 [2] , veniva delegato il Governo a regolamentare l’istituto della mediazione in Italia. Modello italiano di mediazione. Così, con d.lgs. n. 28/2010, veniva disciplinato il modello italiano di mediazione, prevedente, tra l’altro, una estesa obbligatorietà preventiva della stessa in una serie di materie, tra cui la responsabilità civile obbligatoria derivante dalla circolazione di veicoli e di natanti. Dopo un primo periodo di differimenti ed un primo travagliato inizio di operatività, la mediazione subiva un arresto per effetto della decisione della Corte Costituzionale del 2012 [3] , con la quale veniva dichiarata l’incostituzionalità delle norme prevedenti la mediazione obbligatoria per eccesso di delega. In conseguenza di tale declaratoria, residuando la mediazione non obbligatoria, l’istituto ha finito con il ridursi ad un ramo secco dell’ordinamento, in ragione dei costi, della laboriosità e della non obbligatorietà per accedere alla giurisdizione. Con il cosiddetto decreto del Fare del 2013 [4] veniva sostanzialmente ripristinata l’obbligatorietà della mediazione, sia pure con una serie di modificazioni rilevanti, tra cui quella della necessaria assistenza di un avvocato e dell’eliminazione, tra le materie soggette a tale ADR, della r.c.a. La stessa riforma, sempre nell’ottica di una deflazione processuale non soltanto preventiva, introduceva, ad opera dell’art. 77, l’art. 185- bis c.p.c. prevedente il potere per il giudice, sino a quando non fosse esaurita l'istruzione, di formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa. Il punto, però, è che la fetta” più rilevante del contenzioso italiano, costituita dai giudizi in materia di r.c. auto era stata esclusa dalle forme di mediazione obbligatoria che, conseguentemente, erano state private, di fatto, della capacità concreta di dar luogo ad un abbattimento del contenzioso. Proprio in quest’ottica, nel 2014, il Governo, intendendo dar luogo ad una degiurisdizionalizzazione” reale, con d.l. 12 settembre 2014, n. 132 [5] , ha introdotto due nuovi istituti, mai prima sperimentati e, segnatamente a la trasferibilità del giudizio di primo grado o di appello già pendenti innanzi all’A.G.O. in sede arbitrale b la convenzione di negoziazione assistita facoltativa e obbligatoria. Spesso il conciliatore o arbitro veniva scelto tra le persone importanti della comunità che si distinguevano per onestà e prudenza e non era necessariamente il re o il capo tribù in tal senso E. Duque Del arbitramento mercantil ”, in Colleccion Juridica Bedout, Medellin, 1976, p. 12 e ss. Tale direttiva CE viene, a ragione, considerata il primo atto normativo vincolante dell'Unione europea in tema di Adr cfr., in tal senso M. Marinaro La storia della mediazione civile tra emergenza deflattiva e trasformazioni culturali ”, in Guida al Diritto – Sole 24 Ore , 24 marzo 2014 . Corte Cost., 6 dicembre 2012, n. 272, in Foro it. 2013, 4, 1091. Decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, conv. in legge 9 agosto 2013 n. 98. Convertito con modificazioni in l. 10 novembre 2014, n. 162.