Il decreto del Fare dopo la conversione in legge

La legge 9 agosto 2013, n. 98, pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 63 della Gazzetta Ufficiale n. 194 del 20 agosto 2013, ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto 21 giugno 2013, n. 69 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia meglio noto come decreto del Fare.

Molte sono state le novità rispetto a quanto originariamente previsto dal legislatore dell’urgenza anche, e soprattutto, con specifico riferimento all’attività quotidiano dell’avvocato si pensi alle misure processuali sul procedimento di ingiunzione, alla divisione su domanda congiunta e, soprattutto, alla mediazione civile e commerciale profondamente rivista in sede di conversione . Ma v’è di più. Ed infatti, come avremo modo di approfondire, molte sono anche le disposizioni che contribuiscono a rafforzare la normativa volta a modificare il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino in questo senso sono certamente significative le norme relative all’agenda digitale, all’indennizzo previsto in caso di ritardo della PA nella conclusione del procedimento amministrativo nonché il nuovo volto forse più umano direbbe qualcuno della riscossione coattiva delle entrate dello Stato tramite ruolo. Procediamo, però, con ordine seguendo lo schema del decreto legge così come convertito in legge che è articolato in quattro titoli. Il titolo primo artt. 1 - 27 è dedicato alle misure per la crescita economica ed è suddiviso in misure per il sostegno alle imprese capo I , misure per il potenziamento dell’agenda digitale italiana capo II nonché misure per il rilancio delle infrastrutture capo III . Il titolo secondo artt. 28 - 61 è dedicato alle semplificazioni semplificazione amministrativa capo I , in materia fiscale capo II e misure in materia di istruzione, università e ricerca capo III concludendosi, infine, con le disposizioni finanziarie capo IV . Tra le varie norme meritano senz’altro di essere ricordate quelle relative alle ristrutturazioni edilizie e alla formazione del silenzio assenso sul permesso di costruire fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali. Il titolo terzo, infine, artt. 62 - 86 è dedicato alle misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile. Le misure ideate dal legislatore spaziano dalla istituzione dei nuovi giudici ausiliari rispetto ai quali, a breve, dovrà intervenire il Ministero della giustizia per rendere operativa la loro previsione mettendo a concorso i posti nonché fissando i criteri per la selezione capo I , al tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari capo II , alla rimodulazione dell’organico dei magistrati addetti alla Corte di cassazione capo III , ad alcune norme processuali capo IV , modifiche all’ordinamento giudiziario capo V , alle modifiche a favore dei creditori nell’ambito della disciplina del concordato preventivo capo VI , ad una limitata modifica della disciplina dell’esame di abilitazione alla professione forense capo VII , alla reintroduzione della mediazione obbligatoria capo VIII . Il tutto con la necessariamente prevista copertura finanziaria capo IX .

Il titolo II del decreto legge n. 69/2013 decreto del fare così come convertito con modificazioni in legge 9 agosto 2013, n. 98 pubblicata sul supplemento ordinario della Gazzetta ufficiale del 20 agosto 2013 è dedicato alle semplificazioni e si compone di quattro capi il primo capo reca norme per la semplificazione amministrativa, il secondo norme in materia di semplificazione fiscale, il terzo misure in materia di istruzione, università e ricerca e il quarto la copertura finanziaria. Tra le molte novità dedicheremo uno specifico approfondimento a due delle principali novità, l’una, nel campo fiscale e, l’altra, nel campo amministrativo. Riscossione coattiva tramite ruolo. Ed infatti, quanto al settore fiscale credo che novità da tempo attesa e oggetto di una certa attenzione da parte dell’opinione pubblica sia quelle relativa alle sorti dei contratti con Equitalia e il nuovo volto della riscossione coattiva a mezzo ruolo. Un tema che aveva fatto molto discutere, specialmente nell’approssimarsi delle ultime elezioni amministrative, allorquando Roma Capitale varò una delibera con la quale decideva di riassorbire all’interno dell’Amministrazione capitolina la riscossione delle entrate comunale in luogo di Equitalia. Una delibera che, recentemente, e, cioè, subito dopo l’insediamento del nuovo Sindaco, e stando alle notizie di stampa, sembra essere stata revocata conservando - almeno per ora - la convenzione con Equitalia. Ma soprattutto l’attenzione maggiore era indirizzata alla disciplina della riscossione coattiva tramite ruolo che il d.l. 69/2013 ha profondamente modificato come avremo modo di esaminare nel dettaglio. Modifiche sulle quali era già intervenuta, prima della conversione in legge, il 1° luglio 2013 una nota di Equitalia che il Lettore potrà trovare tra i materiali allegati. Indennizzo da ritardo della PA in favore del privato. Nel settore amministrativo, invece, la novità sicuramente degna di nota, anche per il suo impatto sistematico non trascurabile, è la previsione di un indennizzo a favore del privato laddove il procedimento amministrativo non si concluda nei termini previsti. Sebbene il nuovo istituto nasca limitato nel tempo, nell’ammontare del risarcimento e nell’individuazione dei soggetti beneficiari rappresenta un sicuro indice di un cambiamento necessario nel rapporto amministrazione-cittadino rectius impresa . La capacità di un Paese di attrarre investimenti dall’estero e far rimanere in loco gli investitori interni! è quello di garantire anche un’amministrazione efficiente che sappia dare risposte, oltre che corrette, nei tempi previsti.

Da ultimo restano da esaminare gli aspetti dell’efficacia nel tempo della nuova disciplina della obbligatorietà della mediazione. Entrata in vigore. Quanto all’entrata in vigore delle disposizioni in materia di mediazione civile e commerciale essa è differita al trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione. Poiché la legga di conversione è entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione e, quindi, il 21 agosto, le nuove norme diventeranno operative dal 20 settembre 2013. Obbligatorietà sperimentale. Ma la legge di conversione ha previsto, probabilmente ispirandosi alla favola di Cenerentola, che l’obbligatorietà ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione . Il che significa che soltanto il legislatore potrà decidere, probabilmente alla luce dei risultati del monitoraggio, se prorogare, oppure no, le norme relative all’obbligatorietà della mediazione che, diversamente, avranno come data di scadenza il 20 settembre 2017. Sarebbe bello poter pensare che tra quattro anni l’obbligatorietà sarà venuta meno per aver raggiunto il suo scopo principale e, cioè, quello di aver informato le parti dell’esistenza e delle potenzialità della mediazione sì da poter diffondere quanto più possibile il ricorso alla mediazione volontaria. Senonché, l’esperienza successiva alla dichiarazione di illegittimità costituzionale ha dimostrato che coloro i quali si erano professati ostili all’idea dell’obbligatorietà ma non della mediazione nulla sembrano aver fatto, nella vigenza della facoltatività, per dimostrare che il tentativo di mediazione rappresenta una best practice per la gestione delle controversie. Ed infatti, il crollo del numero delle domande di mediazione e anche degli organismi operativi - che secondo alcuni potrebbe avere anche altro significato e, cioè, quello di un’iniziativa economica non supportata da un idoneo business plan in quel periodo sembrerebbe dimostrare sperando di sbagliare che lo spirito della mediazione ancora non è penetrato, prima di tutto, negli addetti ai lavori. Ma quello che più preoccupa è un ulteriore effetto dell’efficacia temporalmente limitata delle norme sull’obbligatorietà. Ed infatti, il ristretto orizzonte temporale, anche alla luce della scottatura di quanti hanno investito nella mediazione prima della sentenza della Consulta, e la sostanziale gratuità del primo incontro di mediazione che fallisca, sembrano non incentivare gli investimenti economici necessari in questo settore e, quindi, la concorrenza tra organismi pubblici e privati condizione necessaria per poter proseguire nel cammino della diffusione della cultura della mediazione.

L’obiettivo del legislatore di rafforzare le soluzioni alternative alla controversia rispetto alla sentenza del giudice si muove anche lungo due binari che vedono protagonista il giudice da un lato nell’ambito classico della conciliazione giudiziaria e, dall’altro lato, nell’ambito della mediazione c.d. delegata. Conciliazione giudiziaria che ha sempre caratterizzato l’impianto del codice di procedura civile attualmente vigente sin dalla sua approvazione del resto nella Relazione al Re del codice di procedura civile si legge che si tende a rendere più frequente e più efficace in tutti i giudizi l’opera conciliativa del giudice . Nuovi spazi per la conciliazione giudiziaria. Ebbene, quanto alla conciliazione giudiziaria il decreto legge aveva introdotto nel codice di procedura civile un art. 185- bis rubricato proposta di conciliazione del giudice in base al quale il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l'istruzione, deve formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa . La formulazione non lasciava alcun dubbio su ciò che si tratta di un dovere del giudice e rispetto al quale parte dell’avvocatura aveva già protestato ancorché il momento in cui questa proposta deve essere effettuata risulta un po’ sfumato per ovvie ragioni che consigliano di mantenere una certa discrezionalità in capo al giudice sul quando al fine di individuare il momento migliore anche in relazione agli elementi della causa che necessariamente variano da caso a caso. Certo è che, rispetto al tentativo di conciliazione previsto dall’art. 185 c.p.c. non necessita della richiesta congiunta delle parti. Quel testo, dopo la legge di conversione, risulta diverso dal momento che vi si legge che il giudice formula [una proposta] alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto . Il significato pro conciliazione è senz’altro confermato nonostante che la scelta sia stata quella di sfumare l’obbligo per il giudice originariamente previsto. Conseguenze del rifiuto. Inoltre, le reazioni avevano colpito anche il secondo periodo dell’art. 185- bis che prevedeva che il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio si trattava, quindi, di una sanzione che incideva sul merito della causa e che ben avrebbe potuto ma se ne potrebbe discutere andare oltre gli argomenti di prova di cui all’art. 116, comma 2, c.p.c. rappresentando chissà anche l’unico fatto idoneo a fondare la decisione. Purtroppo però quella norma è venuta meno in sede di conversione accogliendo le reazioni di quanti sono ostili a norme di tipo sanzionatorio per rendere più efficace l’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza anche nelle trattative e nella gestione del processo. Resta comunque che in ogni caso il rifiuto potrà rappresentare un argomento di prova per altra via sicuramente non preclusa. Un po’ di chiarezza. Una modifica sicuramente da apprezzare apportata dalla legge di conversione è quella in base alla quale la proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice che evita ogni problema interpretativo che avrebbe potuto essere posto. Ma v’è di più. Ed infatti, vi è anche una portata simbolica nella formulazione dell’art. 185- bis e nell’analogo primo comma dell’art. 420 c.p.c. pure modificato la proposta del giudice non è più soltanto transattiva e, quindi, teoricamente sempre caratterizzata dall’ aliquid datum aliquid retentum ma anche conciliativa potendo quindi avere un contenuto il più ampio e vario possibile. Inoltre, uno dei primi provvedimenti che ha fatto menzione della novità legislativa, e cioè, il Tribunale di Milano, sez. IX, del 26 giugno 2013, ha avuto modo di sottolineare - oltre all’immediata applicabilità della nuova norma anche ai processi pendenti - che l’art. 185- bis rappresenta una norma generale e di immediata applicazione anche nel rito della famiglia. Ed infatti, osserva il Tribunale di Milano, il mancato riferimento al diritto processuale della famiglia è da ascrivere da un difetto di coordinamento anche perché, diversamente ragionando, ci sarebbe la difficoltà di ammettere settori o comparti divisi dell’ordinamento in cui il giudice possa o non possa aiutare i litiganti a pervenire ad un assetto condiviso per la soluzione pacifica della causa . Rafforzata la mediazione delegata . L’altro settore nel quale il ruolo del giudice assume ancora più spazio per la risoluzione alternativa delle controversie, questa volta extra-giudiziaria, è rappresenta dalla nuova disciplina della mediazione delegata. Ed infatti, il nuovo secondo comma dell’art 5 d.lgs. 28/2010 per effetto del decreto del Fare prevederà che il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa . Non saremo più, quindi, in presenza di una mediazione facoltativa ove le parti potranno accettare, o no, l’invito del giudice a ricorrere alla mediazione la norma non lascia alcun margine interpretativo chiarendo che, per effetto del provvedimento del giudice, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale . Il giudice non indica l’Organismo di mediazione . Inoltre, rispetto alla versione originaria del decreto legge, la legge di conversione elimina uno degli aspetti più criticati e, cioè, la possibilità per il giudice di indicare quale organismo di mediazione dovrà essere adito dalle parti. Quella previsione aveva, infatti, destato qualche perplessità perché avrebbe limitato eccessivamente e senza alcuna ragione l’autonomia delle parti relativamente all’organismo che ritengono adatto alla risoluzione della loro controversia. In fondo, già vi sono stati provvedimenti in cui il giudice invitava le parti a scegliere un organismo di mediazione pur indicando alcuni aspetti che avrebbero dovuto essere valorizzati è il caso - ad esempio - dell’ordinanza del 4 luglio 2012 del Tribunale di Vasto della quale avevamo dato notizia nell’edizione del 10 luglio2012 che sottolineò l’opportunità che le parti individuassero un organismo che non avesse escluso dal proprio regolamento la possibilità per il mediatore di effettuare la proposta anche in assenza di una richiesta di tutte le parti. Inoltre, tra le prime reazioni articolate al decreto del Fare, possiamo qui richiamare quella del Coordinamento della conciliazione forense che, tra i vari punti alcuni condivisibili, altri no , aveva sottolineato proprio l’opportunità di rivedere proprio quest’aspetto proponendo la eliminazione della possibilità per il giudice, nell’ordinare la mediazione, di indicare l’organismo da investire del procedimento mediativo, limitando tale potere alla individuazione dell’ambito territoriale entro il quale esso debba essere avviato dalla parte più diligente . In conclusione emerge chiaramente la volontà del legislatore dell’urgenza di voler favorire il più possibile la soluzione alternativa delle controversie sia prima del processo con l’introduzione della obbligatorietà del tentativo di mediazione sia durante prevedendo la mediazione delegata come forma di mediazione obbligatoria e rafforzando il potere-dovere del giudice di formulare una proposta transattiva o conciliativa .

Sebbene l’equiparazione del documento informatico al documento cartaceo è ormai risalente nel tempo 1997 la diffusione delle tecnologie nell’ambito della pubblica amministrazione e nel rapporto pubblica amministrazione - cittadino è ancora in corso. Il cambiamento di abitudini - sollecitato anche da esigenze di spending review - incontra resistenze, anche di tipo culturale, che ostacolano il ricorso all’uso degli strumenti informatici. Una resistenza che spiega la necessità di norme manifesto come l’art. 3- bis, legge 241/1990 in base al quale per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l'uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati . Oggi, il decreto legge torna nuovamente sul tema dell’Agenda digitale italiano, da un lato, con norme di tipo istituzionale e, dall’altro lato, con norme volte a facilitare la diffusioni l’uso delle tecnologie anche tra i cittadini e imponendo alla pubblica amministrazione di superare la vecchia prassi del fax la cui arretratezza rispetto alla posta elettronica, specie se certificata, è enorme! . Quanto all’aspetto istituzionale, il decreto riorganizza e rende più snella e operativa la governance dell’Agenda digitale ridefinendo i compiti della cabina di regia che dovrà presentare al Parlamento un quadro complessivo delle norme vigenti, dei programmi avviati e del loro stato di avanzamento, nonché delle risorse disponibili che costituiscono nel loro insieme l’agenda digitale medesima. Domicilio digitale. Dall’altro lato, poi, e sempre nel quadro più generale di un rafforzamento della agenda digitale italiana, e di una maggiore diffusione dell’utilizzo dell’informatica nella pubblica amministrazione, il decreto del Fare ha previsto alcune norme volte a favorire la diffusione del domicilio digitale tra i cittadini nonché a regolamentare le modalità di comunicazione tra pubbliche amministrazioni e cittadino nonché tra loro. Ed infatti, da un lato, l’art. 13, d.l. 69/2013 modifica l’art. 10, d.l. 70/2011 prevedendo che all'atto della richiesta del documento unificato, ovvero all'atto dell'iscrizione anagrafica o della dichiarazione di cambio di residenza a partire dall'entrata a regime dell'Anagrafe nazionale della popolazione residente [] è assegnata [con modalità che saranno specificate da un successivo decreto del Ministero dell’Interno] al cittadino una casella di posta elettronica certificata, di cui all'articolo 16-bis, comma 5, del d.l. 185/2008 con la funzione di domicilio digitale , ai sensi dell'art. 3-bis, d.lgs. 82/2005 c.d. CAD successivamente attivabile in modalità telematica dal medesimo cittadino . Finalmente addio al fax. Dall’altro lato, e direi finalmente, il decreto del Fare modifica l’art. 47 del codice dell'amministrazione digitale CAD , già dedicato alla disciplina della trasmissione dei documenti attraverso la posta elettronica tra le pubbliche amministrazioni, sancendo in modo inequivocabile che è in ogni caso esclusa la trasmissione di documenti a mezzo fax . Divieto di utilizzo del fax rafforzato dalla modifica apportata all'art. 43, d.P.R. 445/2000 in materia di documentazione amministrativa dove è ora previsto che l’amministrazione procedente che opera l'acquisizione d'ufficio delle informazioni dichiarate dal privato deve procedere esclusivamente per via telematica e non già anche a mezzo fax come era precedentemente previsto. Peraltro, è bene sottolineare che la norma ha oggi natura legislativa e non più regolamentare. Wi-Fi libero. Da ultimo, è da dire che la legge di conversione ha modificato l’art. 10, d.l. 69/2013 incidendo su un settore molto sentito e, cioè, quello dell’offerta da parte degli esercenti di un accesso wi-fi libero e, cioè, senza previa necessità per l’utilizzatore di identificarsi per accedere alla rete. Ed infatti, il primo comma dell’art. 10 prevede oggi che l’offerta di accesso alla rete internet al pubblico tramite tecnologia WI-FI non richiede l'identificazione personale degli utilizzatori , ma soltanto quando l’offerta di accesso non costituisce l'attività commerciale prevalente del gestore del servizio . Resta, però, l’avvertenza - segnalata anche dai primi commentatori - di ponderare bene la scelta di non memorizzare o di memorizzare alcuni dati delle connessioni degli avventori dei locali in ragione della grande incertezza che esiste in questa materia specialmente laddove, per avventura, il nostro ospite utilizzi la rete per finalità, diciamo in termine atecnico, non commendevoli e, quindi, possano esserci, un domani, indagini di polizia giudiziaria. Ma il tema necessita ovviamente di un maggiore approfondimento.

Gli artt. 52 e 53, d.l. 69/2013 sono dedicati alle disposizioni per la riscossione mediante ruolo affrontando alcuni degli snodi che recentemente sono stati oggetto di ampio dibattito nonché di alcuni interventi della stessa Equitalia. Ed infatti, tutti ricordiamo il passaggio di consegne che Equitalia avrebbe dovuto fare in scadenza di convenzione e che, da un lato, aveva messo in allarme i Comuni che non si erano ancora attrezzati con soluzioni alternative e, dall’altro lato, aveva portato alcune amministrazioni come ad esempio Roma Capitale a riappropriarsi della riscossione delle proprie entrate per poi tornare a Equitalia dopo le elezioni amministrative . Orbene, l’art. 53 del d.l. proroga fino al 31 dicembre 2013 l’attività di riscossione di Equitalia salvo ancora una volta una nuova proroga nonostante il legislatore abbia qualificato quel termine come improrogabile” sic ! , fissando alla data del 30 settembre il venir meno dell’aggio la cui misura tanto ha fatto discutere. Rateizzazione del debito. Orbene, la prima novità riguarda la durata massima della rateizzazione del debito che viene portata a 120 mesi, laddove la difficoltà del debitore nell’adempimento del proprio debito non derivi da una propria responsabilità, ma dalla congiuntura economica. Inoltre, se in precedenza il beneficio del termine veniva meno laddove il debitore non avesse onorato due rate consecutive, oggi quel beneficio viene meno laddove il debitore, nel corso del periodo di rateazione, non onori otto rate, anche non consecutive . Ma vi sono altre novità che meritano uno specifico approfondimento e che riguardano i beni che possono essere espropriati nell’ambito della riscossione tramite ruolo la prima casa del debitore, il conto corrente nel quale affluisce lo stipendio o la pensione, i beni produttivi. Impignorabile la prima casa. Quanto alla prima casa ecco la novità tanto attesa per il debitore - contribuente il concessionario della riscossione non dà corso all'espropriazione se l'unico immobile di proprietà del debitore [che, però, non sia un’abitazione di lusso o comunque di categoria A/8 e A/9], è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente . Il che non significa, però, che non si possa procedere all’iscrizione di ipoteca sul bene immobile del debitore pur rappresentato dalla sua prima casa pur nel rispetto dei limiti legali per quell’iscrizione. Inoltre, e in ogni caso, il pignoramento immobiliare su beni diversi dalla prima casa potrà essere effettuato soltanto se l'importo complessivo del credito per cui procede supera centoventimila euro e sempre che sia stata iscritta l'ipoteca di cui all'articolo 77 e sono decorsi almeno sei mesi dall'iscrizione senza che il debito sia stato estinto . Pignoramento del conto corrente. Inoltre, il decreto legge interviene su un aspetto che aveva suscitato molta attenzione e, cioè, il pignoramento del conto corrente del debitore sul quale affluisce lo stipendio o la pensione. Ed infatti, in quel caso, il pignoramento poteva e può essere fuori dall’ipotesi di esecuzione esattoriale essere effettuato su tutte le somme giacenti sul conto in quanto il loro titolo non era certamente più un credito di lavoro o pensionistico in questo senso si veda Tribunale della Spezia il 14 gennaio 2011 pubblicato nell’edizione del 21 gennaio 2011 . Senonché, da qualche tempo a questa parte le attenzioni della stampa sul pignoramento dei conti avevano indotto Equitalia a soprassedere spontaneamente dall’espropriazione delle somme giacenti sul conto corrente tutte le volte in cui il debitore poteva dimostrare che l’origine di quelle somme fosse la sua retribuzione di lavoro. Oggi, il decreto legge modifica l’art. 72- ter, d.P.R. 602/1973 stabilendo che nel caso di accredito delle somme di cui ai commi 1 e 2 sul conto corrente intestato al debitore, gli obblighi del terzo pignorato non si estendono all'ultimo emolumento accreditato allo stesso titolo . Pignoramento dei beni produttivi. Quanto invece ai beni produttivi rectius i beni strumentali all’esercizio dell’impresa , il decreto legge introduce una disposizione ad hoc che amplia, ai fini soltanto della riscossione mediante ruolo, la tutela accordata dall’art. 515 comma 3 cod. proc. civ. Ed infatti, in base a quella norma gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l’esercizio della professione, dell’arte o del mestiere del debitore sono pignorati nei limiti di un quinto e sempre che il debitore non sia costituito in forma societaria e in ogni caso se l’attività del debitore non vede la prevalenza del capitale investito rispetto al lavoro. La nuova disposizione, come detto, che modifica l’art. 62, d.P.R. 602/1973 amplia la tutela perché prevede che quei beni possano essere nei limiti di un quinto, quando il presumibile valore di realizzo degli altri beni rinvenuti dall'ufficiale esattoriale o indicati dal debitore non appare sufficiente per la soddisfazione del credito anche quando il debitore e' costituito in forma societaria ed in ogni caso se nelle attività del debitore risulta una prevalenza del capitale investito sul lavoro . Inoltre, in quei casi, la custodia è sempre affidata al debitore ed il primo incanto non può aver luogo prima che siano decorsi trecento giorni dal pignoramento stesso. Inoltre il pignoramento perderà efficacia quando dalla sua esecuzione sono trascorsi trecentosessanta giorni senza che sia stato effettuato il primo incanto. Doppia relatività delle esclusioni. L’art. 76, comma 1, precisa, infatti, che resta ferma la facoltà di intervento ai sensi dell'articolo 499 del codice di procedura civile ond’è che, se un creditore ha legittimamente proceduto al pignoramento della prima casa del suo debitore, lo Stato potrà intervenire in quell’esecuzione e soddisfarsi anch’esso sul ricavato di quel bene. Inoltre, poiché le limitazioni di cui sopra sono limitate alla procedura tramite ruolo, l’ente impositore laddove proceda - come del resto può procedere - secondo le forme diverse dall’esecuzione esattoriale non incontrerà i limiti che abbiamo appena ricordato. Ed inoltre, resta ferma la possibilità nell’ambito della riscossione a mezzo ruolo di iscrivere ipoteca anche sulla prima casa del contribuente - debitore per importi superiori ad Euro 20.000 anche quando non si siano ancora verificate le condizioni per procedere all'espropriazione di cui all'art. 76, commi 1 e 2. Il paniere di beni essenziali. Particolarmente interessante, poi, la novità introdotta dalla legge di conversione relativamente ad un’ulteriore ipotesi di immunità di alcuni beni dalla riscossione fiscale. Ed infatti, l’agente della riscossione non dà corso all’espropriazione per uno specifico paniere di beni definiti beni essenziali e individuato con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze d’intesa con l’Agenzia delle entrate e con l’Istituto nazionale di statistica . Fermo beni mobili registrati - Infine, la legge di conversione ha previsto che la procedura di iscrizione del fermo di beni mobili registrati e' avviata dall'agente della riscossione con la notifica al debitore o ai coobbligati iscritti nei pubblici registri di una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà eseguito il fermo, senza necessità di ulteriore comunicazione, mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari, salvo che il debitore o i coobbligati, nel predetto termine, dimostrino all'agente della riscossione che il bene mobile è strumentale all'attività di impresa o della professione .

Come anticipato nell’ambito del capo dedicato alla semplificazione amministrativa compare nel nostro ordinamento un relativamente nuovo istituto denominato indennizzo da ritardo nella conclusione dei procedimento. Nelle intenzioni del legislatore il nuovo istituto dovrebbe rappresentare un idoneo strumento per disincentivare la pubblica amministrazione a concludere il procedimento amministrativo oltre i termini previsti. Un istituto relativamente nuovo perché l’indennizzo da ritardo richiama alla mente, da un lato, l’equo indennizzo per l’eccessiva durata del processo c.d. legge Pinto e, dall’altro, richiama gli indennizzi automatici introdotti obbligatoriamente nelle carte dei servizi. L’obbligo di concludere il procedimento. Ma andiamo con ordine e iniziamo con il ricordare la situazione normativa anteriore al decreto del Fare. Ebbene, l’art. 2, legge n. 241/1990 ha fissato chiaramente l’obbligo della pubblica amministrazione di concludere il procedimento amministrativo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Una volta decorso inutilmente il termine massimo per provvedere salve le ipotesi nelle quali matura il silenzio-assenso il d.l. 5/2012 ha previsto la possibilità per il privato di rivolgersi al titolare del potere sostitutivo perché provveda in un termine massimo pari alla metà di quello originario a concludere il procedimento attraverso le strutture competenti oppure tramite la nomina di un commissario. In ogni caso il privato poteva agire in giudizio convenendo l’amministrazione inadempiente con il rito del silenzio secondo le norme del Codice del processo amministrativo. Quando e come scatta l’indennizzo a favore del privato. Sin qui la disciplina ante decreto del Fare. Ora l’art. 28, d.l. 69/2013, nella formulazione dopo la legge di conversione, prevede ora che la pubblica amministrazione procedente o quella responsabile del ritardo e i soggetti di cui all'art. 1, comma 1-ter, legge 7 agosto 1990, n. 241, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo []corrispondono all'interessato, a titolo di indennizzo per il mero ritardo, una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo con decorrenza dalla data di scadenza del termine del procedimento, comunque complessivamente non superiore a 2.000 euro . Quell’indennizzo, però, scatta soltanto con riferimento ai procedimenti amministrativi iniziati ad istanza di parte per il quale sussiste l'obbligo di pronunziarsi, con esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici e sempre che - ulteriore limitazione risultante dal comma 10 - quei procedimenti riguardino avvio ed esercizio dell'attività di impresa. Primo step attivare il potere sostitutivo . Resta, però, da comprendere come il privato potrà chiedere il pagamento dell’indennizzo ricordando che sarà obbligo dell’amministrazione fornire tutte le informazioni necessarie sull’indennizzo e sulle modalità per ottenerlo nell’ambito della comunicazione di avvio del procedimento comma 8 . Ebbene, in primo luogo il secondo comma dell’art. 28 prevede che l'istante è tenuto ad azionare il potere sostitutivo previsto dall'art. 2, comma 9-bis, legge n. 241/1990 nel termine perentorio e non più decadenziale di venti e non più sette giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento . La legge di conversione ha poi specificato che nel caso di procedimenti in cui intervengono più amministrazioni, l’interessato presenta istanza all’amministrazione procedente, che la trasmette tempestivamente al titolare del potere sostitutivo dell’amministrazione responsabile del ritardo . Secondo step ricorso al TAR . Se neppure il titolare del potere sostitutivo emana il provvedimento nel termine di cui all’art. 2, comma 9-ter, legge 7 agosto 1990, n. 241, o non liquida l’indennizzo maturato fino alla data della medesima liquidazione, l'istante può proporre ricorso ai sensi dell'art. 117 CPA e, cioè, il ricorso avverso il silenzio , oppure, ricorrendone i presupposti, dell'art. 118 CPA e, cioè, il ricorso al decreto ingiuntivo, evidentemente, per il pagamento dell’indennizzo maturato . Peraltro, il quarto comma precisa, opportunamente, che nel giudizio avverso il silenzio può essere pure proposto domanda per ottenere l'indennizzo in tal caso, anche tale domanda è trattata con rito camerale e decisa con sentenza in forma semplificata . Quid juris per il contributo unificato dovuto per ricorrere al TAR? Il quinto comma dell’art. 28 stabilisce che il contributo unificato è ridotto alla metà con la precisazione che quella riduzione opera anche nei giudizi di opposizione e in quelli di appello conseguenti . Se vince il privato Vediamo, ora, gli scenari che possiamo avere all’esito del giudizio, iniziando dall’ipotesi in cui vinca il privato in questo caso la pronuncia di condanna a carico dell'amministrazione e' comunicata, a cura della Segreteria del giudice che l'ha pronunciata, alla Corte dei conti al fine del controllo di gestione sulla pubblica amministrazione, al Procuratore regionale della Corte dei Conti per le valutazioni di competenza, nonchè al titolare dell'azione disciplinare verso i dipendenti pubblici interessati dal procedimento amministrativo . Ed infatti, non dobbiamo scordare che - a tacere d’altro - ai sensi del comma 9 dell’art. 2, l. 241/1990 la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo contabile del dirigente e del funzionario inadempiente . se vince l’Amministrazione. Se viceversa a vincere è l’amministrazione il sesto comma prevede una sanzione a carico del privato soccombente pari ad una somma da due volte a quattro volte il contributo unificato tutte le volte in cui il ricorso è dichiarato inammissibile o è respinto in relazione all'inammissibilità o alla manifesta infondatezza dell'istanza che ha dato avvio al procedimento. Il che significa voler evitare che il privato depositi istanze all’amministrazione soltanto per sperare di lucrare l’indennizzo confidando nella lentezza dell’amministrazione a concludere il procedimento amministrativo. Rapporto tra indennizzo e risarcimento del danno . L’introduzione dell’indennizzo da ritardo pone la necessità di esaminare il rapporto tra indennizzo e risarcimento del danno derivante dal ritardo. Ed infatti, che il ritardo dell’amministrazione nel provvedere possa essere fonte di responsabilità non è questione dubbia dal momento che l’art. 2- bis, legge 241/1990 fuga ogni sospetto le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1-ter sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo . Orbene, è proprio il comma 9 dell’art. 28, che modificando proprio l’art. 2- bis della legge inserendo un secondo comma evita possibili fraintendimenti al privato che ha subito un danno da ritardo per effetto del comportamento doloso o colposo dell’amministrazione quel danno deve essere risarcito a prescindere dalla spettanza o no dell’indennizzo. Certo è, però, che se il privato ha ottenuto l’indennizzo le somme corrisposte o da corrispondere [ id est in esecuzione di una sentenza di condanna] a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento . Entrata in vigore sperimentale. Il comma 10 dell’art. 28 prevede, infine, che le nuove disposizioni in materia di indennizzo si applicano, in via sperimentale e dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e, cioè, il 21 agosto 2013 , ai procedimenti amministrativi relativi all'avvio e all'esercizio dell'attività di impresa iniziati successivamente alla medesima data di entrata in vigore .

Tra pochi mesi la notifica dei verbali stradali potrà essere effettuata anche con la posta elettronica certificata mentre è già possibile pagare subito la multa con lo sconto alla pattuglia munita di terminali ad hoc. Sono queste le principali novità derivanti dall’entrata in vigore della legge 9 agosto 2013, n. 98, che ha così convertito, con modificazioni, il c.d. decreto Fare. 30% di sconto. La prima modifica riguarda l’art. 202 del codice stradale che ora ammette lo sconto del 30% sull’importo ordinario della sanzione se il trasgressore paga entro 5 giorni dalla contestazione o dalla notificazione della multa. Un deciso incentivo a pagare subito per non incorrere in spese di notifica postale, maggiorazioni e cartelle esattoriali. Ma non per tutte le violazioni è possibile pagare con la riduzione. Occorre infatti che all’infrazione non sia correlata la confisca del veicolo o la sospensione della patente. Di conseguenza, anche se si tratta di una violazione con decurtazione di punteggio nulla osta allo sconto. Attenzione però ai preavvisi di sosta e al calcolo esatto dell’importo da pagare. Per quanto riguarda i tradizionali verbali che vengono lasciati dai vigili sul parabrezza dei veicoli in divieto nessun problema al pagamento con lo sconto ma ogni comune si è dato tempi e formalità differenziate, perlomeno fintanto che il ministero dell’interno non interverrà sull’argomento. Attenzione ai decimali! Per quanto riguarda il calcolo esatto della somma da pagare occorre invece fare molta attenzione ai decimali perché la novella non ha previsto alcun arrotondamento e pertanto non è possibile approssimare gli importi delle sanzioni finali a cui vanno sempre aggiunte anche le spese del procedimento. Di fatto, superato il primo periodo di incertezza, tutti i verbali dovranno indicare già chiaramente l’importo esatto da pagare, con o senza lo sconto. Agente con POS. Interessante la possibilità di saldare subito la sanzione in strada anche all’agente accertatore munito di un tradizionale strumento elettronico di pagamento. Questa opportunità non deve essere confusa però con la possibilità di conciliare ogni violazione, come una volta. La novella per il momento ha allargato la possibilità di pagare all’agente solo per poter beneficiare dello sconto e mai con denaro contante. PEC in arrivo. Attenzione infine all’avvento della posta elettronica certificata. Con un decreto interministeriale saranno disciplinate, specifica la novella, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le procedure per la notificazione dei verbali di accertamento delle violazioni del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 295, tramite posta elettronica certificata nei confronti dei soggetti abilitati all’utilizzo della posta medesima, escludendo l’addebito delle spese di notificazione a carico di questi ultimi . In buona sostanza arriverà la notifica elettronica per tutti i soggetti obbligati per legge a dotarsi di una pec e per i privati interessati a questa opportunità.

Il Titolo III del decreto 21 giugno 2013, n. 69 così come convertito con modificazioni in legge 9 agosto 2013, n. 98 pubblicata sul supplemento ordinario della Gazzetta ufficiale del 20 agosto 2013 è dedicato alle misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile. Non è un caso, in fondo, che norme sull’efficienza del sistema giudiziario siano contenute in provvedimenti legislativi finalizzati al rilancio dell’economia. Il contesto di riferimento. Ed infatti, è ormai un dato acquisito almeno quello che lo sviluppo economico risente anche dello stato di salute della macchina giudiziaria si pensi, per fare soltanto un esempio, il più eclatante ma non certamente l’unico ai tempi e ai modi per la tutela del credito ovvero per l’ enforcement di un titolo esecutivo. Lo ha ripetuto ancora una volta, da ultimo, l’OCSE nel suo rapporto del 18 giugno 2013 dedicato alla Giustizia civile come promuoverne l’efficienza? In alcuni paesi dell’OCSE l’elevata durata dei procedimenti civili può essere di ostacolo allo sviluppo – afferma a chiare lettere nel suo rapporto il Dipartimento di Economia - e, quindi, è necessario intervenire su più fronti dalla quota di spesa pubblica destinata alla giustizia alla governance degli uffici giudiziari passando per la loro informatizzazione. Ma ancora è necessario predisporre politiche volte a ridurre i tassi di litigiosità , aumentare la prevedibilità delle decisioni giudiziarie e ridurre anche per questa via i tassi di appello delle sentenze. Le raccomandazioni europee per la stabilità. E se questo non fosse sufficiente , dobbiamo ricordare l’antefatto e una delle possibili ragioni politiche dell’intervento in materia di giustizia del decreto del fare e, cioè, la Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2013 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità dell’Italia 2012-2012 COM 2013 362 final . Ed infatti, in quel documento leggiamo che l’Unione Europea, tra l’altro, raccomanda di abbreviare la durata dei procedimenti civili e ridurre l’alto livello di contenzioso civile, anche promuovendo il ricorso a procedure extragiudiziali di risoluzione delle controversie”. Le linee di intervento sulla Giustizia. Ed allora, se queste ultime sono le premesse che hanno portato il Governo ad intervenire ancora una volta sul processo civile vediamo, in estrema sintesi per poi esaminarle nel loro dettaglio, quali sono state i principali settori di intervento che possiamo distinguere in misure ordinamentali e misure, più propriamente processuali . Quanto alle misure ordinamentali il legislatore è intervenuto sulla complessa e storica questione dell’arretrato della giustizia civile un peso che grava sulla macchina giudiziaria nonostante il tasso di laboriosità dei magistrati civili sia il più alto in Europa. Due le direzioni percorse. In primo luogo un rafforzamento con giudici, che possiamo definire richiamando formule militari, di complemento denominati giudici ausiliari che, retribuiti a cottimo e, cioè, duecento euro a sentenza aiuteranno a smaltire l’arretrato civile in grado di appello artt. 62-72 . Ed infatti, dovranno definire almeno 90 procedimenti di cui saranno individuati giudici relatori nell’arco dell’anno e per un massimo di cinque rinnovabile una volta. In secondo luogo, il legislatore ha pure previsto un aiuto ai giudici di cassazione che verrà dai magistrati assistenti di studio della Corte suprema di cassazione art. 74 . E’ stato, poi, previsto e disciplinato un tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari destinato ai laureati in giurisprudenza art. 73 . Quanto, invece, alle misure processuali esse sono certamente più articolate. Con riferimento al tasso di litigiosità la novità più importante è sicuramente la reintroduzione della mediazione obbligatoria con alcune novità non ultime la mediazione delegata dal giudice che diviene anch’essa obbligatoria e il maggior ruolo per l’avvocato che meritano un più ampio approfondimento in ragione dell’impatto che avranno speriamo sul sistema processuale e culturale del paese. Mediazione obbligatoria che non è stata lasciata, però, sola – come vedremo – perché è stato anche rafforzato il potere dovere del giudice di proporre soluzioni transattive e conciliative nel corso della causa ancorché il testo risultante dalla legge di conversione lascia una innegabile discrezionalità al giudice in ordine alla formulazione della proposta dall’obbligo sempre e comunque” si è forse passati ad una direttiva da seguire art. 77 . Ed ancora, è stata introdotta una disciplina per il giudizio di divisione che prevede la possibilità di un ricorso congiunto delle parti interessate alla divisione ivi compresi i creditori opponenti al giudice competente perché nomini un professionista incaricato che potrà essere un notaio o un avvocato affinché formi un progetto di divisione e/o proceda alla vendita dei beni. Un giudizio con le forme camerali che richiama, poi, in parte il modello della delega delle operazioni di vendita art. 76 . Ma ancora, sul piano della tutela del credito, dobbiamo ricordare l’art. 78 volto a ridurre i tempi per il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nonché la riforma del concordato preventivo di cui all’art. 82. Concludono, poi, le norme processuali le disposizioni dedicate alle attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte di cassazione artt. 75 e 81 essendo venuta meno, in sede di conversione, la norma relativa alla semplificazione della sentenza civile vecchio art. 79 del d.l. .

Il decreto legge 69/2013 convertito con modificazioni dalla legge 98/2013 prosegue nell’opera di alleviare il lavoro del magistrato da compiti che non richiedono ius dicere prevedendo una nuova ipotesi di partecipazione dei professionisti alla risoluzione delle controversie. Ed infatti, il decreto legge ha introdotto nel codice di rito un art. 791- bis rubricato divisione a domanda congiunta che troverà applicazione quando non sussiste controversia sul diritto alla divisione né sulle quote o altre questioni pregiudiziali e gli eredi o condomini e gli eventuali creditori e aventi causa che hanno notificato o trascritto l’opposizione alla divisione decideranno di proporre un ricorso congiunto al tribunale competente per territorio volto a domandare la nomina di un notaio ovvero di un avvocato aventi sede nel circondario al quale demandare le operazioni di divisione . La scelta potrà, quindi, cadere sia su un notaio che già poteva essere delegato ex art. 790 c.p.c. nell’ambito dell’ordinario giudizio divisorio oppure, grazie ad una modifica operata dalla legge di conversione, ad un avvocato. Le sottoscrizioni del ricorso . Particolare attenzione viene riservata alla sottoscrizione del ricorso. Ed infatti, quando risulta che una delle parti di cui al primo comma non ha sottoscritto il ricorso, il professionista incaricato rimette gli atti al giudice che, con decreto, dichiara inammissibile la domanda e ordina la cancellazione della relativa trascrizione . Peraltro, l’ultimo periodo del primo comma prevede ora che le sottoscrizioni apposte in calce al ricorso possono essere autenticate, quando le parti lo richiedono, da un notaio o da un avvocato. Divisione di beni immobili. Peraltro, laddove il ricorso abbia ad oggetto beni immobili, il ricorso deve essere trascritto a norma dell’articolo 2646 del codice civile . Procedimento . In considerazione del presupposto del nuovo procedimento e, cioè, l’assenza di contestazioni sui presupposti della divisione il legislatore ha previsto l’applicabilità del rito camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c Il giudice, con decreto reclamabile ex art. 739 c.p.c., nomina il professionista incaricato, eventualmente indicato dalle parti e, su richiesta di quest’ultimo, nomina un esperto estimatore. A quel punto il professionista incaricato, sentite le parti e gli eventuali creditori iscritti o aventi causa da uno dei partecipanti che hanno acquistato diritti sull’immobile a norma dell’art. 1113 c.c., nel termine assegnato nel decreto di nomina predispone il progetto di divisione o dispone la vendita dei beni non comodamente divisibili e dà avviso alle parti e agli altri interessati del progetto o della vendita. Ciascuna delle parti o degli altri interessati può ricorrere al Tribunale nel termine perentorio di trenta giorni dalla ricezione dell’avviso per opporsi alla vendita di beni o contestare il progetto di divisione. Sull’opposizione il giudice procede secondo le disposizioni di cui al Libro IV, Titolo I, Capo III bis non si applicano quelle di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 702-ter. Se l’opposizione è accolta il giudice dà le disposizioni necessarie per la prosecuzione delle operazioni divisionali e rimette le parti avanti al professionista incaricato. Decorso il termine di cui al quinto comma senza che sia stata proposta opposizione, il professionista incaricato deposita in cancelleria il progetto con la prova degli avvisi effettuati. Il giudice dichiara esecutivo il progetto con decreto e rimette gli atti al professionista incaricato per gli adempimenti successivi.

Dobbiamo ora analizzare l’art. 78 del decreto legge - che non è stato modificato in sede di conversione - relativo alla tutela del credito volto a rendere più celeri ed efficienti gli strumenti processuali anche per tentare di attirare - questo l’obiettivo pure perseguito dal Governo - investimenti in Italia normalmente refrattari anche e proprio a ragione dell’incertezza dei tempi amministrativi e giurisdizionali. I tempi dell’opposizione a decreto ingiuntivo . Orbene, la modifica riguarda la disciplina del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e mira a prevenire ovvero a limitare i danni della prassi dell’opponente a decreto ingiuntivo che fissa la data di udienza ben oltre il termine minimo previsto dall’art. 163- bis c.p.c Il decreto introduce un periodo all’art. 645, secondo comma, in base al quale l'anticipazione di cui all'articolo 163-bis, terzo comma, deve essere disposta fissando udienza per la comparizione delle parti non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine minimo a comparire . Ma una volta fissata la prima udienza in maniera del tutto opportuna il legislatore coglie l’occasione per una puntualizzazione importante almeno a livello pratico difficilmente, però, sanzionabile nel processo e, cioè che il giudice deve provvedere sulla richiesta di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo subito in limine litis ed infatti, l’art. 648 diviene così formulato provvedendo in prima udienza, con ordinanza non impugnabile . Entrata in vigore . Le nuove norme si applicheranno ai procedimenti instaurati, a norma dell'art. 643, ultimo comma, c.p.c., successivamente all'entrata in vigore del decreto legge 22 giugno 2013 . Eliminato il foro per le società estere. Per completezza espositiva dobbiamo ricordare che la legge 98/2013 non ha convertito la norma del decreto legge che aveva previsto una disciplina speciale relativamente al foro per le società estere. Ed infatti, per favorire gli investimenti sic ! il legislatore aveva pensato di individuare una disciplina ad hoc per la competenza territoriale per tutte le cause civili nelle quali è parte, anche nel caso di più convenuti ai sensi dell'articolo 33 del codice di procedura civile, una società con sede all'estero e priva nel territorio dello Stato di sedi secondarie con rappresentanza stabile . Quella disciplina - che molti dubbi aveva sollevato tra i primi interpreti - avrebbe voluto concentrare il contenzioso nei tre uffici giudiziari di Milano, Roma e Napoli con l’eccezione dei procedimenti esecutivi e fallimentari, i casi di intervento volontario e nei giudizi di opposizione di terzo nonché nei casi in cui si applica il foro erariale a noma dell’art. 25 cod. proc. civ., le cause di lavoro e di previdenza nonché quelle in materia di consumo d.lgs. 206/2005 . Inoltre, in base al progettato e non convertito secondo comma, quando una società di cui al comma 1 è chiamata in garanzia, la cognizione così della causa principale come dell'azione in garanzia, è devoluta, sulla semplice richiesta della società stessa, con ordinanza del giudice, all'ufficio giudiziario compente a norma del medesimo comma .

L’art. 82 del decreto legge 69/2013 - marginalmente modificato in sede di conversione in legge 98/2013 - interviene su un aspetto molto delicato e dibattuto nell’ambito del diritto fallimentare rappresentato dalle ultime modifiche apportate alla disciplina del concordato preventivo e, cioè, il c.d. concordato in bianco o pre-concordato. La protezione del debitore . Come si ricorderà il legislatore aveva recentemente pensato di favorire l’impresa in crisi modificando la disciplina del concordato preventivo. Ed infatti, il legislatore era partito dalla constatazione che i più gravi disincentivi al tempestivo accesso delle imprese in crisi alle procedure di concordato preventivo e ai procedimenti di omologazione degli accordi di ristrutturazione possono essere così riassunti l'insufficiente protezione del debitore durante la preparazione del piano di ristrutturazione le criticità connesse al finanziamento dell'attività del debitore durante la preparazione del piano o la negoziazione dell'accordo cosiddetta finanza interinale la mancanza di una disciplina specifica che faciliti il concordato con continuità aziendale, soprattutto prevedendo la continuazione dei contratti in corso . Ecco allora che il legislatore del decreto Sviluppo d.l. 83/2012 aveva pensato, tra le altre, e proprio per superare quei disincentivi, di riconoscere al debitore un vantaggio certamente non trascurabile quello di mettere al riparo, per un certo periodo di tempo, il patrimonio dalle aggressioni dei creditori che non avrebbero potuto iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari semplicemente per effetto della presentazione di una domanda di concordato per un periodo massimo di sei mesi. In questo modo il patrimonio, sottratto alle eventuali azioni esecutive e cautelari di alcuni creditori che avrebbero, di fatto o di diritto potuto condizionare le chance di successo del concordato, avrebbe potuto essere destinato proprio alla predisposizione del piano e alla sua sperata attuazione. L’abuso della procedura . Il vantaggio per l’impresa era talmente allettante che nella prassi sono stati molti i casi di abuso molti imprenditori hanno chiesto il concordato in bianco e, cioè, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione soltanto per ottenere un periodo di tempo di sostanziale stasi e protezione dei beni . Necessario un elenco dei creditori. Ecco allora che il decreto legge ha deciso di correre ai ripari prevedendo norme, questa volta, a favore dei creditori. Da un lato, l’impresa dovrà accompagnare la domanda di ammissione al concordato con l’elenco dei suoi creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti . Nomina di un commissario giudiziale . Dall’altro lato, il Tribunale potrà, inoltre, nominare, con decreto motivato, un commissario giudiziale, che controllerà se l’impresa in crisi si sta effettivamente attivando e adoperando per predisporre una compiuta proposta di pagamento ai creditore, potendo chiudere la procedura se ci dovessero essere atti in frode ai creditori. In questa ipotesi troveranno applicazione gli artt. 163, comma 2, n. 3, e 170, comma 2, legge fallimentare. Il commissario giudiziale, quando accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall'articolo 173, deve riferirne immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all'articolo 15, e verificata la sussistenza delle condotte stesse, può, con decreto, dichiarare improcedibile la domanda e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza reclamabile a norma dell'articolo 18 . Il ruolo del commissario giudiziale, inoltre, è ulteriormente rafforzato dalla previsione del comma 2 che modifica l’art. 161 della legge fallimentare incidendo sulle modalità dell’istruttoria. Ed infatti, oltre all’acquisizione di sommarie informazioni il tribunale dovrà anche acquisire il parere del commissario giudiziale sempre che sia stato nominato Rafforzati gli obblighi informativi periodici. Infine, il decreto legge modifica l’ottavo comma dell’art. 161 legge fallimentare rafforzando gli obblighi informativi periodici al fine di monitorare l’attività dell’impresa. E così, in particolare, con il decreto il giudice dovrà disporre gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell'impresa e all'attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano, che il debitore deve assolvere, con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale se nominato, sino alla scadenza del termine fissato . Inoltre il debitore, sempre con periodicità mensile dovrà depositare una situazione finanziaria dell'impresa che, entro il giorno successivo, è pubblicata nel registro delle imprese a cura del cancelliere . Nel caso di violazione degli obblighi previsti troverà applicazione l'artt. 162, commi secondo e terzo, e, cioè, la dichiarazione di inammissibilità della proposta e eventuale dichiarazione di fallimento . Ma v’è di più. Ed infatti, il legislatore ha previsto una decadenza dal beneficio del termine già concesso laddove emerga che il debitore non si impegna per nulla al fine di predisporre la proposta e il piano. La norma prevede, quindi, quando risulta che l'attività compiuta dal debitore e' manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano, il tribunale, anche d'ufficio, sentito il debitore e il commissario giudiziale se nominato, abbrevia il termine fissato con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo .

Come abbiamo anticipato non v’è dubbio che la novità più importante, e da molti più attesa, è certamente quella che reintroduce la mediazione obbligatoria che era stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale per eccesso di delega. Ebbene, nel pieno rispetto del giudicato costituzionale, e come da più parti sollecitato, il Governo ha puntato sullo strumento della obbligatorietà per promuovere la mediazione sperando di incidere sostanzialmente sul flusso del contenzioso in entrata diminuendo le iscrizioni a ruolo. Si tratta, cioè, di una misura complementare alla volontà di riduzione dell’arretrato in modo da ridurre i tempi di definizione dei procedimenti civili che vedono l’Italia nelle posizioni basse delle classifiche internazionali sull’efficienza della giustizia. Ma procediamo con ordine esaminando le principali novità rispetto alla versione originaria del d.lgs. 28/2010 ed anche rispetto al testo del decreto legge prima della conversione che sicuramente contribuiscono a disegnare un nuovo volto della mediazione civile e commerciale che vede un ruolo particolarmente importante degli avvocati. Definizione di mediazione. Orbene, la prima novità riguarda la modifica della definizione di mediazione così come prevista dalla lett. a dell’art. 1, d.lgs. 28/2010 secondo la nuova versione la mediazione è l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa . Risulta così chiarito che la formulazione di una proposta per la risoluzione della controversia è parte dell’attività di mediazione e, soprattutto, è strettamente connessa e non disgiunta alla ricerca di un accordo amichevole. La precisazione è utile perché, come noto, la formulazione della proposta del mediatore è stata, dai più, osteggiata tanto che alcuni importanti regolamenti uniformi nonché le linee guida dell’ANIA escludono che il mediatore possa formulare una proposta in assenza di una richiesta di tutte le parti del procedimento. La nuova formulazione, quindi, impone di approfondire il rapporto tra mediazione e formulazione della proposta l’argomento non è ancora chiuso, ma destinato a nuove avventure!. La condizione di procedibilità. La seconda novità riguarda le controversie oggetto di mediazione obbligatoria il d.l. 69/2013 ripropone l’elenco di cui all’originario art. 5 d.lgs. 28/2010 con un’unica eccezione rappresentata dalle controversie per il risarcimento del danno derivante dalla circolazione stradale e nautica che non saranno più soggette alla condizione di procedibilità. Inoltre, si allunga l’elenco dei procedimenti speciali rispetto ai quali la condizione di procedibilità non opera immediatamente ed infatti, non opererà tutte le volte in cui la parte promuoverà un procedimento di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'art. 696-bis c.p.c L’esclusione appare ragionevole dal momento che quel procedimento è finalizzato proprio a favorire una composizione amichevole della controversia anche tramite un accertamento tecnico che possa rappresentare un punto di partenza affidabile nella discussione tipica della mediazione. A questi punti, peraltro, sarebbe da apprezzare se il giudice adito ex art. 669-bis c.p.c. nominasse, preferibilmente, un consulente che sia anche un mediatore civile e, cioè, abbia studiato anche le tecniche di mediazione in maniera tale che la conciliazione ch’egli è tenuto a tentare sia quanto più vicino possibile soprattutto in termini di conoscenza delle tecniche ad una mediazione . In ogni caso, la mediazione obbligatoria tornerà operativa in caso di mancata conciliazione all’esito dell’ATP ex art. 696-bis e qui la consulenza effettuata potrà ben rappresentare un punto di partenza non controverso per la mediazione che non lo dimentichiamo, rispetto alla conciliazione del CTU ha pure il non trascurabile vantaggio della riservatezza . Competenza territoriale anche per la mediazione. La terza novità è rappresentata dalla previsione di una regola di competenza territoriale prevista ora dal comma 1 dell’art. 4. Ed infatti, il legislatore ha previsto che la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia . Si tratta di una norma che molti avevano invocato sin dall’approvazione del d.lgs. 28/2010 che, a ragion veduta, non aveva previsto alcun legame tra le regole di competenza del codice di rito e il luogo dove presentare una domanda di mediazione. In quel contesto, però, la proposizione della domanda di mediazione davanti ad un organismo in un luogo estraneo in tutto e per tutto alla controversia trovava comunque una sanzione l’impossibilità di sanzionare il comportamento della parte che, per quella ragione, non si era presentata alla mediazione con le sanzioni previste dall’art. 8, comma 5. Ma tant’è, la regola è posta e ora andrà applicata con ogni conseguenza che, francamente, si sarebbe potuta evitare a favore delle parti stesse. Mi spiego con un esempio tutte le domande di mediazione relative a controversie in materia di impresa la cui cognizione è affidata oggi al c.d. Tribunale per le imprese dovranno essere trattate presso le sedi di quei tribunali tendenzialmente coincidenti con il capoluogo di regione. Inoltre, il testo della norma dovrebbe essere letto come giudice territorialmente competente per la controversia in primo grado diversamente argomentando vorrebbe dire che in ogni mediazione in grado di appello la domanda di mediazione dovrebbe essere proposta nell’ambito della sede di Corte di appello ovvero di tribunale. Tuttavia l’accordo delle parti potrà superare probabilmente con le cautele del caso nell’ipotesi di controversie con i consumatori ogni problema un motivo in più per sottoscrivere una clausola di mediazione anche nei casi di mediazione obbligatoria rappresentato dalla scelta del luogo dell’organismo di mediazione e, meglio sarebbe, dell’organismo prescelto anche in deroga alla competenza territoriale. Il criterio di prevenzione. Ma che cosa succede se sono state proposte più domande relative alla stessa controversia? Secondo la nuova disposizione la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda . Peraltro, diversamente da prima, la regola per determinare il tempo della domanda non è più la data di ricezione della comunicazione di fissazione della data di incontro, bensì la data del deposito dell’istanza. Mediazione delegata obbligatoria. La quarta novità, come avremo modo anche di approfondire nella parte dedicata al rafforzamento del ruolo del giudice nella conciliazione delle controversie, è rappresentata dalla trasformazione della mediazione delegata da ipotesi di mediazione facoltativa a mediazione ordinata e, quindi, obbligatoria dal giudice. Ed infatti, a seguito dell’invito del giudice l'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilità della domanda giudiziale . Peraltro, il provvedimento con il quale il giudice ordina la mediazione delegata indica l'organismo di mediazione non necessita più - rispetto a quanto avveniva prima - di essere rivolto alle parti e seguirà il normale iter procedimentale previsto dall’art. 8 d.lgs. 28/2010 nuova formulazione. Opportuna, poi, la precisazione secondo cui la mediazione delegata è possibile sia nel corso del giudizio di primo grado che nel giudizio di appello dove occorrerà ricordare che le conseguenze dell’improcedibilità dell’appello sono assai gravi per l’appellante dal momento che lì improcedibilità chiude in rito il processo di appello determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata . Quanto, infine, al tempo in cui il giudice può invitare le parti a mediare la loro controversia, la norma prevede che l’invito debba avvenire prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa .

Un altro punto qualificante il nuovo volto della mediazione civile e commerciale è rappresentato dal rafforzamento del ruolo dell’avvocato che si deve alle modifiche al d.l. 69/2013 apportate dalla legge di conversione. Si tratta di una conclusione che tiene conto dei seguenti elementi normativi a l’obbligo di informativa al cliente b l’obbligo di assistenza tecnica dell’avvocato durante tutti gli incontri di mediazione novità c il ruolo dell’avvocato per l’immediata esecutività dell’accordo di mediazione novità sulla quale ci soffermeremo separatamente d la possibilità per l’avvocato di essere mediatore di diritto novità e possibilità per gli ordini professionali di istituire camere arbitrali e di conciliazione legge 247/2012 . Sono, quindi, due gli scenari che si aprono rectius che sono sempre stati aperti per l’avvocato da un lato, l’avvocato-mediatore e, dall’altro, l’avvocato assistente delle parti in mediazione. Avvocato-mediatore. Iniziando dall’esame della norma relativa all’avvocato mediatore, già la versione originaria del d.l. 69/2013, riconosceva all’avvocato il diritto di essere iscritto all’organismo di mediazione senza necessità di frequentare un corso di mediazione civile e commerciale. Mediatore di diritto, ma che, ovviamente, avrebbe dovuto individuare un organismo disposto ad accettarlo ed infatti, non esiste un diritto soggettivo all’iscrizione e, poi, curare - come ogni altro mediatore - il proprio aggiornamento e, cioè, nel momento attuale assistenza alle mediazioni come tirocinante e corsi di aggiornamento biennali . Oggi, la legge di conversione ha precisato anche questo aspetto che, del resto, è in linea con quella che si definisce come lifelong learning e di cui la formazione professionale è parte integrante. Ed infatti, si legge nel d.lgs. 28/2010 che gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati . Ma soprattutto la legge di conversione precisa che l’attività di mediazione dell’avvocato deve avvenire nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense che così ottiene copertura legislativa ulteriore rispetto a quella sua propria le norme dell’art. 55- bis diventano così intergrate rispetto al decreto legislativo 28/2010 sicché troveranno necessaria applicazione probabilmente - e a torto - anche a prescindere da un’opposta volontà delle parti ogni qualvolta il mediatore designato sia un avvocato. Da ultimo la norma sugli obblighi formativi dell’avvocato mediatore precisa che dall’attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica il che non può che significare che devono intendersi escluse attività di formazione gratuita organizzate da enti di formazione pubblica a meno che i relativi fondi non siano individuati specificamente da finanziamenti esterni a ciò specificamente destinati nel rispetto di ogni altra disposizione di legge. Assistente delle parti in mediazione. L’altra direzione lungo la quale si muoverà l’avvocato sarà quella di assistente delle parti in mediazione un’attività sicuramente stimolante e interessante che necessita di una specifica formazione in materia. Un’attività che risulta oggi sponsorizzata dal legislatore che ha previsto due norme a ciò destinate. La prima è quella per la quale chi intende agire in giudizio in una materia per la quale il primo comma dell’art. 5 prevede la condizione di procedibilità deve esperire il tentativo di mediazione con l’assistenza dell’avvocato art. 5 comma 1 bis . La seconda è quella prevista in generale e, cioè, a quanto pare a prima lettura per tutte le tipologie di mediazione obbligatoria e facoltativa dall’articolo 8 in base al quale al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato . A tal proposito, però, credo sia opportuno un approfondimento. In base al d.lgs. 28/2010 il legislatore ha voluto secondo me sbagliando, ma è un’opinione che la mediazione obbligatoria fosse una mediazione assistita dagli avvocati. Il che significa che, sicuramente in tutte le ipotesi di mediazione obbligatoria, le parti dovranno essere assistite da avvocati iscritti all’albo ancorché quella iscrizione non risulti espressamente richiesta . Un obbligo di assistenza che vale anche per la Pubblica Amministrazione che dovrà avvalersi, dunque, dell’assistenza dell’Avvocatura di Stato diversamente da quanto ritenuto, nel vigore della precedente disciplina, dalla stessa Avvocatura in una sua circolare interpretativa . Un obbligo ai assistenza, infine, che non dà luogo ad attività riservata come, ad esempio, è oggi l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nel corso degli arbitrali rituali ex art. 2, comma 5, legge 247/2012 . Ne deriva che altri soggetti potranno assistere le parti in mediazione oltre all’avvocato o, al limite, a prescindere dagli avvocati senza che ciò integri una qualche fattispecie di reato come, ad esempio, l’esercizio abusivo della professione forense . Ma quali sono le conseguenze derivanti dalla mancata assistenza dell’avvocato? A mio avviso, nelle ipotesi di mediazione obbligatoria fallita non potrà essere integrata la condizione di procedibilità con ogni conseguenza processuale a carico delle parti. Ed ancora, non potranno operare tutte le norme previste a favore delle parti esecutività dell’accordo e benefici fiscali quei vantaggi sono previsti soltanto se si segue il modello indicato dal legislatore con tutte le condizioni previste. Mancata assistenza e accordo amichevole. Occorre fare attenzione, però, a non trarre ulteriori conseguenze sul piano negoziale. Ed infatti, laddove le parti abbiano raggiunto un accordo senza l’assistenza degli avvocati l’accordo amichevole non potrebbe mai essere impugnato per quella mancanza ci mancherebbe altro che le parti non possano raggiungere un accordo come vogliono. Quella mancanza potrebbe ma l’aspetto è sicuramente da approfondire avere effetti sulla possibilità di ottenere l’exequatur ex art. 12 cit. d.lgs. ovvero di beneficiare delle misure fiscali. Viceversa, laddove si volesse ritenere che la presenza degli avvocati non sia un requisito formale della mediazione, allora il Presidente del Tribunale potrebbe procedere all’esecutività dal momento che la verifica della regolarità formale attiene al verbale di accordo e non già al procedimento seguito per giungere a quell’accordo. Mediazione facoltativa e avvocati. Fin qui la mediazione obbligatoria. Quid juris per la mediazione facoltativa? Ebbene, nonostante la norma sulla presenza degli avvocati sia contenuta nell’art. 8, e cioè, nella norma generale sul procedimento di mediazione sarebbe opportuno un chiarimento su ciò che in quel tipo di mediazione le parti sono libere di non rivolgersi necessariamente agli avvocati pur potendo beneficiare del modello mediazione ex d.lgs. 28/2010 .

La novità più importante prevista dalla nuova disciplina è rappresentata dal combinato disposto del comma 2- bis dell’art. 5 e dell’art. 8, d.lgs. 28/2010 relativo al procedimento di mediazione e volta a favorire quanto più possibile l’adesione, soprattutto consapevole, delle parti alla mediazione. Secondo la nuova formulazione del decreto, infatti, acquista un’importante rilevanza il primo incontro di mediazione sicché appare opportuno ripercorrere l’ iter del procedimento di mediazione per meglio collocare il primo incontro e per comprenderne la natura e la finalità. Orbene, una volta ricevuta la domanda di mediazione il responsabile dell’organismo deve nominare il mediatore e fissare un primo incontro di mediazione che dovrà avvenire non oltre 30 e non più quindici giorni dal deposito della domanda, nonché comunicare il tutto alle parti. Il primo incontro. Ma che cosa succede nel giorno dell’incontro? Il nuovo art. 8, dopo aver affermato l’obbligo delle parti di essere assistite da un avvocato e che non rappresenta, però, una riserva di attività , prevede che durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione . Ma l’aspetto che più qualifica rispetto a prima la disciplina del primo incontro consiste nella previsione che sempre nello stesso primo incontro, [il mediatore] invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento . Siamo, quindi, in presenza di quella che può essere qualificata come sessione preliminare o informativa e non già più come incontro di programmazione dal momento che il primo incontro non necessariamente è un incontro di mediazione. Ed infatti, all’esito di quell’incontro le parti possono decidere o di abbandonare il tavolo della mediazione avendo assolto ai loro obblighi di legge o di iniziare il tentativo di mediazione. Ecco allora che rispetto alla versione originaria del decreto legge, sembra proprio che il legislatore abbia voluto rendere obbligatoria più la sessione informativa piuttosto che il tentativo di mediazione. Ed infatti, il comma 2- bis dell’art. 5 afferma con qualche ambiguità terminologica che quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo . Ciò che le parti sono tenute a fare consiste in ciò presentarsi assistite dall’avvocato davanti ad un organismo di mediazione territorialmente competente per esprimersi sulla opportunità o no di iniziare la mediazione dopo aver ascoltato il mediatore sulle finalità e modalità della mediazione. L’ambiguità terminologica dell’art. 5, comma 2- bis di cui prima risiede in ciò, che se le parti ritengono che non ci sia spazio per poter iniziare la mediazione esse non necessariamente hanno affrontato il merito della loro controversia. Ne deriva che non necessariamente può parlarsi correttamente di un incontro che si conclude senza l’accordo delle parti dal momento che nulla è stato fatto in questa direzione. E ciò a meno che non si voglia intendere che l’accordo che è mancato è quello volto a far iniziare la mediazione vera e propria un’interpretazione che avrebbe come vantaggio quello di rendere sistematicamente corretta la norma. Viceversa, laddove le parti concordino sull’opportunità di iniziare la mediazione, il mediatore - previa redazione di un verbale intermedio opportuno per evitare fraintendimenti inizi subito la mediazione. Le capacità del mediatore. Ma v’è di più. Ed infatti, a dire il vero, la nuova formulazione dell’art. 8 relativa al primo incontro, sembra anche, ahimè, voler depotenziare il ruolo del mediatore che prima e, cioè, nella versione del decreto legge avrebbe dovuto verificare con le parti le possibilità di proseguire il tentativo di mediazione mentre domani dovrà semplicemente invitare le parti a pronunciarsi sulla possibilità di iniziare la mediazione. Ecco allora che il mediatore dovrà essere particolarmente qualificato poiché avrà l’arduo compito, in quel momento, di convincere le parti a intraprendere il percorso di mediazione nonostante che siano arrivate al tavolo di mediazione per effetto di un obbligo legale o giudiziale o contrattuale che sia ed infatti, l’articolo 8 è norma che si applica a tutte le tipologie di mediazione . Il costo della sessione informativa. Il legislatore ha, poi, previsto che laddove il primo incontro si concluda con un mancato accordo nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione . La nuova norma impone due precisazioni e un’osservazione. La prima precisazione è che una corretta interpretazione della stessa disposizione deve essere quella per la quale il primo incontro di mediazione è gratuito soltanto se le parti decidono di non proseguire nella mediazione. Ed infatti, l’attività di mediazione non può che rappresentare una tipica obbligazione di mezzi ond’è che il compenso è dovuto salvo diversa regolamentazione per il fatto di aver svolto l’attività di mediazione. Ne deriva che laddove le parti inizino la mediazione è dovuto il compenso anche se i giunge a un mancato accordo all’esito del primo incontro. Formalmente potremmo schematizzare così il primo incontro sessione informativa fase necessaria e sempre presente à incontro di mediazione fase eventuale previo accordo delle parti di iniziare . Non è detto che ci debba essere visivamente una soluzione di continuità tra una fase e l’altra. Certo è che anche senza soluzione di continuità sostanzialmente siamo in presenza di due fasi ontologicamente diverse. La seconda precisazione è che laddove la norma prevede che nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione laddove le parti non decidano di iniziare la mediazione deve essere letto nel senso che, comunque, sono dovute le spese di avvio del procedimento ad opera delle parti. Diversamente si graverebbe troppo sugli organismi di mediazione che non godono di alcun trasferimento da parte dello Stato e che già sopportano pro bono che le indennità di mediazione non sono dovute per la parte che partecipa ad una mediazione obbligatoria versando in una situazione che legittima il gratuito patrocinio. Il problema l’allontanamento dalla mediazione. Ma perché siamo arrivati alla c.d. sessione preliminare o informativa? Orbene, per comprendere appieno, però, lo scopo e la funzione della sessione informativa occorre ricordare alcuni aspetti del decreto legislativo che avevano dato luogo a difficoltà operative. Ebbene, come si ricorderà, la parte invitata, spesso, non si presentava alla mediazione perché valutava preferibile incorrere nelle sanzioni previste per la mancata partecipazione piuttosto che aderire alla mediazione. Aderire alla mediazione, infatti, avrebbe comportato di versare le indennità di mediazione all’organismo di mediazione rispondendo in solido anche dell’obbligo della controparte. E ciò, magari, senza avere neppure relativa certezza che la controparte avesse promosso la mediazione con l’animo almeno di tentare di risolvere la controversia piuttosto che per mero adempimento previsto dalla legge. Spendere somme di denaro per un adempimento non era certamente un fattore incentivante la partecipazione della parte invitata del resto, se la parte attivante si presentava e rimaneva muta durante tutto il procedimento di mediazione quel comportamento non sarebbe stato, di per sé, neppure sanzionabile. L’effetto diffuso di ciò è stato quello, da un lato, di allontanare dal tavolo della mediazione le parti invitate che, così, non potevano essere raggiunte se non grazie all’attività informativa talvolta comunque svolta da alcuni organismi di mediazione da un adeguato supporto informativo sulla natura e le finalità della mediazione. Dall’altro lato, e a fortiori , era stato quello di non poter informare entrambe le parti contemporaneamente presenti della natura e funzione della mediazione. Alcune risposte offerte dagli ODM. A fronte di questa situazione abbiamo assistito ad almeno due risposte che meritano di essere richiamate l’una criticabile, l’altra encomiabile. Da un lato, alcuni organismi hanno pensato di creare un incontro con il mediatore ove le parti rectius anche soltanto i loro avvocati potevano riferire al mediatore che non vi erano spazi per mediare ” e ottenere così subito il verbale di mancato accordo senza corrispondere le indennità altrimenti previste per la mediazione, ma soltanto un contributo per le spese amministrative. Dall’altro lato, la risposta più orientata alla diffusione della cultura della mediazione e sicuramente da approvare, era stata quella ad esempio fatta propria dal Regolamento uniforme di Unioncamere, ma non solo di prevedere una sessione informativa dove il responsabile dell’organismo e/o il mediatore potevano informare le parti della natura, finalità e vantaggi del procedimento di mediazione libera poi la parte invitata eravamo subito dopo la sentenza della Consulta di aderire o no alla mediazione si trattava, quindi, di una sessione effettivamente preliminare perché la mediazione non era iniziata .

La legge di conversione interviene anche sulla disciplina dell’esecutività dell’accordo amichevole consegnando agli utenti del servizio mediazione un sistema più articolato rispetto al decreto legislativo 28/2010 e, soprattutto, senza le incongruenze della versione originaria del decreto legge 69/2013. Da un lato viene nuovamente confermato che l’accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico. Nuovamente confermato perché, in maniera del tutto improvvida, forse determinata da qualche refuso o fraintendimento, il decreto legge aveva riservato l’ exequatur soltanto ai verbali di accordo che avessero recato la sottoscrizione degli avvocati. Per fortuna quella disposizione, come visto, non c’è più. Dall’altro lato, poi, la legge di conversione aumenta l’appetibilità di un accordo amichevole riconoscendo il ruolo che possono assumere se lo vorranno gli avvocati che hanno assistito le parti in mediazione. Accordo subito esecutivo. Ed infatti, è ora previsto che ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale senza alcuna necessità dell’omologazione da parte del presidente del tribunale. Non v’è dubbio che ciò rappresenti, da un lato, la corretta valorizzazione della presenza degli avvocati e dall’altro un ulteriore vantaggio della mediazione civile e commerciale che consente di riconoscere la natura di titolo esecutivo senza necessità di ulteriori passaggi e, soprattutto, di ulteriore dispendio di tempo e denaro. La volontà e il controllo dell’avvocato. Ma affinché il verbale di accordo valga sin da subito da tiolo esecutivo occorre che ricorra una condizione necessaria gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. Si tratta senza dubbio di un importante riconoscimento in capo agli avvocati anche se il legislatore non ha voluto riconoscere loro il ben più importante e qualificante potere di autenticare le sottoscrizioni. Un importante riconoscimento che richiede, evidentemente, la volontà degli avvocati di avvalersi di questo strumento che richiede la massima attenzione dal momento che è richiesto all’avvocato di attestare la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico il che non è sempre compito agevole ed esente da rischi, anzi! Il mediatore non controlla la validità dell’accordo. La nuova versione dell’art. 12 d.lgs. 28/2010 contribuisce, poi, a risolvere una delle più delicate questioni che si sono poste tra gli interpreti riguardo al rapporto del mediatore con il contenuto dell’accordo delle parti. Ed infatti, da un lato, c’era chi, come scrive, ha sempre ritenuto che al mediatore non fosse possibile sindacare il contenuto dell’accordo amichevole la cui responsabilità e controllo è rimesso esclusivamente alle parti tranne l’ipotesi in cui l’accordo derivava dall’adesione alla proposta del mediatore . Dall’altro lato, c’era chi, la maggioranza assoluta, riteneva che il mediatore avrebbe dovuto eseguire quel controllo di conformità all’ordine pubblico e alle norme imperative, addirittura rifiutandosi di verbalizzare il raggiungimento di un accordo contra legem . Oggi, la norma mi pare chiarisca ulteriormente che laddove il legislatore ha voluto attribuire a qualcuno un qualche controllo sulla validità dell’accordo lo ha fatto e non poteva non farlo così prevedendolo espressamente. Ne deriva che risulta ulteriormente confermata la tesi che esclude in capo al mediatore nella generalità dei casi e, cioè, salvo eccezioni previste un controllo sul merito dell’accordo.

Un particolare approfondimento merita una modifica che la legge di conversione apporta alle norme del codice civile in materia di trascrizione. Ed infatti, nell’art. 2643 c.c. viene oggi introdotto un numero 12-bis dove è previsto che gli gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato potranno essere trascritti nei registri immobiliari. Accordi di intervenuta usucapione. La norma sembra risolvere una questione pratica molto sentita dalle parti e che aveva generato un ampio dibattito anche giurisprudenziale. La situazione tipica è quella per la quale un soggetto che ha acquistato la proprietà per usucapione intende aggiornare le risultanze dei registri immobiliari. In quel caso - se escludiamo l’ipotesi speciale della piccola proprietà rurale - il soggetto avrebbe dovuto notificare al convenuto, e cioè a colui il quale risulta essere proprietario in base alle risultanze dei registri immobiliari, un atto di citazione finalizzato a ottenere una sentenza che dichiarasse la proprietà. Sentenza poi trascrivibile in base all’art. 2651 cod. civ. Quell’azione, peraltro, avendo a oggetto la proprietà o altro diritto reale, deve essere preceduta dal tentativo obbligatorio di mediazione che molto spesso aveva dato risultati positivi dal momento che le parti convenute non avevano interesse a resistere alla domanda il più delle volte fondata. La posizione della giurisprudenza. Risultati positivi che rendevano particolarmente appetibile, per l’attore, la mediazione civile rispetto all’ordinario giudizio di cognizione sia quanto ai tempi che ai costi si pensi, ad esempio, all’agevolazione fiscale in tema di imposta di registro . Senonché, come si ricorderà, la giurisprudenza si era pronunciata affermando che l’accordo amichevole con il quale veniva accertata o riconosciuta la proprietà per intervenuta usucapione non poteva essere trascritto il sistema delle trascrizioni non ne prevedeva la trascrivibilità e la generalmente riconosciuta tassatività delle ipotesi ne impediva una lettura estensiva. Ne derivava che l’unica strada per ottenere l’agognata trascrizione era rappresentata dalla sentenza come previsto dall’art. 2651 c.c In questo contesto l’accordo amichevole avrebbe potuto, al più, rappresentare un elemento di semplificazione probatorio che, peraltro, molti giudici di merito avevano iniziare ad apprezzare e valorizzare. Oggi, la norma che prevede la trascrivibilità degli accordi di mediazione che accertano l’usucapione e che a mio avviso avrebbe dovuto essere inserita come comma aggiuntivo dell’art. 2651 c.c. risolve il problema consegnando, speriamo, alla storia le posizioni di quella parte della giurisprudenza fortemente critiche nei confronti dell’autonomia delle parti. Ma v’è di più. Questa nuova possibilità” rende ancor di più non percorribile quella parte della giurisprudenza che aveva ritenuto che le controversie in materia di proprietà la cui causa petendi fosse l’intervenuta usucapione non dovessero essere precedute dal tentativo di mediazione. E ciò perché, non essendo trascrivibile l’eventuale accordo amichevole che rinascesse l’usucapione, la mediazione era del tutto inutile per una corretta impostazione vedi, invece, Trib. Palermo, sez. Bagheria 30 dicembre 2011 E’ vero anche, infine, che la nuova norma potrebbe aprire nuovi scenari in ordine alla necessità di trascrivere questa particolare tipologia di accordi e alla natura di questa trascrizione che deve essere equiparata a quella della sentenza di identico contenuto e, soprattutto, sul dibattuto e mai sopito tema dei poteri di accertamento in capo alle parti aperto in tempi non troppo lontani dalle parole di Franscesco Santoro Passarelli sul monopolio dell’accertamento in capo alla giurisdizione come se l’accertamento giudiziario potesse veramente rappresentare rispetto ai negozi dichiarativi o ricognitivi una garanzia in questo, non condivisibile, senso Trib. Roma, 22 luglio 2011 e Trib. Varese, 20 dicembre 2011 .