Detenzione inumana o degradante: profili sostanziali e processuali

L’8 gennaio 2013, la Corte europea dei diritti dell’uomo emetteva nei confronti dell’Italia caso Torregiani più altri una severa sentenza di violazione dell’art. 3 Cedu, evidenziando il problema cronico del sovraffollamento carcerario. Detta pronuncia è stata adottata nelle forme della sentenza pilota”, in base alla procedura fondata sull’art. 46, comma 1, Cedu, che consente alla Corte di Strasburgo, allorché riconosce l’esistenza di un problema strutturale, di indicare allo Stato le misure generali che esso deve adottare per porre rimedio alla situazione dell’ordinamento interno incompatibile con la Cedu. Con la sentenza Torregiani, quindi, la Corte EDU, non ha soltanto esortato l’Italia ad agire per ridurre il numero di detenuti ampliando il ricorso a misure punitive alternative a quelle carcerarie e riducendo al minimo il ricorso alla custodia cautelare in carcere richiamando tra l’altro le Raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa , ma le ha chiesto di provvedere ad introdurre procedure attivabili dai detenuti per porre fine e rimedio a condizioni di detenzione o trattamenti carcerari in contrasto con l’art. 3 Cedu che, a differenza di quelle al momento in vigore, fossero accessibili ed effettive. Procedure, in altri termini, idonee a produrre rapidamente il risultato concreto della cessazione della violazione del diritto a non subire trattamenti inumani o degradanti ovvero, nel caso in cui la situazione fosse già cessata, ad assicurare con altrettanta rapidità e concretezza forme di riparazione adeguate e sufficienti alla violazione subita dal detenuto. Come ha evidenziato la Suprema Corte, un invito molto simile ad un comando di legislazione, deputato ad operare, quale obiettivo indicatore di scopo, voluntas e ratio legis , anche alla stregua di indefettibile criterio ermeneutico, ai fini della corretta applicazione della disciplina per esso introdotta. Ne consegue che, fronte di diverse opzioni interpretative, il principio da seguire è che va accolta l’interpretazione che comporta per il detenuto il massimo di facilità di accesso ai rimedi all’uopo introdotti nell’ordinamento interno e il massimo di effettività degli stessi Sez. I, n. 876/2016 .

Calcolo dell’aera detentiva. Per verificare l’esistenza di una situazione di sovraffollamento carcerario e di condizioni detentive inumane o degradanti, ai sensi dell’art. 3 Cedu, occorre innanzitutto determinare come va calcolata la superficie netta” della cella e, ancor prima, quella lorda” , per poi suddividerla per il numero di detenuti occupanti la camera detentiva. Dal computo della superficie minima individuale in cella collettiva vanno detratti i bagni, il letto e gli arredi fissi e, viceversa, non quelli amovibili come tavoli e sedie . Più precisamente va detratta la parte della cella destinata ai servizi igienici, non solo ingombrante ma destinata a funzioni diverse da quelle correlate al movimento se, invece, il bagno è separato, anche se attiguo, la sua superficie viene ignorata nel calcolo, perché sostanzialmente neutra. Va detratta anche quella destinata ad arredi fissi armadietti o mensole sporgenti . Solo di recente la Cassazione ha considerato arredo stabile detraibile dalla superficie totale dello spazio occupato dal letto a castello. La Suprema Corte, infatti, ha considerato ingombro” il letto, che per comune esperienza è tipologicamente un letto a castello dal peso consistente Sez. I, n. 52819/2016 , rigettando la diversa interpretazione del Giudice di sorveglianza di merito che, nel proporre una lettura diversa, considerava superficie utile quella occupata dal letto per finalità di riposo” o di attività sedentaria” per gli ermellini, invece, non soddisfa la primaria esigenza di movimento e che pertanto non può farsi rientrare nello nozione di spazio minimo individuale così, anche Sez. I, n. 13124/2017 . Mancanza di parametri normativi sullo spazio vitale minimo. Se il detenuto si dolga di essere stato sottoposto ad un trattamento inumano e degradante, per essere ristretto in ambienti carcerari di ampiezza così esigua da non soddisfare i requisiti minimi della abitabilità intramuraria della Corte europea dei diritti dell’uomo, il giudice è chiamato ad accertare e valutare la condizione di fatto della carcerazione. All’uopo, né l’art. 3 Cedu nel sancire il divieto, oltre che della tortura, dei trattamenti inumani e degradanti , né l’art. 27, comma 2, Cost. stabilendo che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità , non hanno tipizzato le condotte integratici della violazione del divieto, e nemmeno un canone per la determinazione dei trattamenti vietati. Con particolare riferimento agli spazi intramurari, l’art. 6 del regolamento penitenziario D.P.R. n. 230/2000 prescrive, al primo comma, che i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti devono essere di ampiezza sufficiente” e , al secondo comma, che i locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti” quindi, anche tale disposizione non contiene alcuno standard o parametro metrico in ordine alle dimensioni dei locali destinati al soggiorno dei detenuti e delle celle di pernottamento. Le indicazioni del CPT. Grazie ai criteri elaborati dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha fissato canoni particolari individuando standard dimensionali in ordine alla superficie degli spazi intramurari. Il CPT ha stabilito uno standard minimo di 6 m2 di spazio vitale per i detenuti ristretti in cella singola e di 4 m2 per i detenuti che vivono in una cella condivisa. Inoltre, qualora lo spazio fosse inferiore ai 3 m2 scatterebbe la presunzione di violazione dell’art. 3 Cedu. La posizione della Corte europea. La giurisprudenza di Strasburgo, formatasi proprio contro l’Italia, sembrava avere individuato la quota dei 3 m2 di spazio vitale in cui si esplica la libertà di movimento del detenuto , al di sotto del quale si verifica, secondo le linee guida interpretative del CPT Sez. II, Torregiani contro Italia, col richiamo ai precedenti Karalevicius c. Lituania, n. 53254/99, 7/4/2005, Kantyrev c. Russia, 21/6/2007, Andrei Frolov c. Russia, 29/3/2007, Kadikis c. Lettonia, 4/5/2006 Sulejmanovic c. Italia, 16/7/2009 , l’automatica violazione dei contenuti prescrittivi dell’art. 3 Cedu, senza possibilità di compensazioni dalla bontà della residua offerta di servizi o di spazi comuni esterni alla cella. Qualora invece lo spazio minimo vitale sia tra i 3 e i 4 m2 è possibile riequilibrare la detenzione degradante attraverso fattori compensativi”. Pertanto, sussiste una violazione dell’art. 3 Cedu solo se tale condizione risulta combinata con altri aspetti di inadeguatezza della detenzione. Tali aspetti riguardano, in particolare, la possibilità di svolgere attività fisica all’aria aperta, la presenza di luce naturale e aria nella cella, l’adeguatezza della ventilazione e della temperatura, la possibilità di utilizzare la toilette in privato ed il rispetto dei generali requisiti igienico-sanitari. Il recente arresto della Grande Camera. Nella sentenza della Grande Charme di Strasburgo del 20 ottobre 2016, nel caso Mursic contro Croazia, il Supremo Consesso di Strasburgo ha condannato all’unanimità la Croazia per violazione dell'art. 3 Cedu in relazione alla detenzione del ricorrente in 2,62 m2 per 27 giorni consecutivi. La maggioranza del collegio ha invece confermato la pronuncia della Camera ritenendo non violato l’art. 3 Cedu tanto con riferimento alla detenzione del ricorrente in uno spazio inferiore a 3 m2 per periodi non consecutivi di più breve durata ed in presenza di cd. fattori allevianti”, quali la libertà di movimento e lo svolgimento di attività all'esterno della cella 10 voti contro 7 quanto rispetto al periodo detentivo nel quale il ricorrente era stato ristretto in uno spazio compreso tra i 3 e i 4 m2 13 voti contro 4 . Con riferimento al caso in cui la detenzione si sia svolta in uno spazio minimo vitale inferiore ai 3 m2, quindi, non vige più la presunzione assoluta di violazione dell’art. 3 Cedu, ma tale presunzione può essere superata dimostrando l’esistenza di fattori che cumulativamente siano in grado di compensare tale mancanza di spazio vitale § 137 , quali 1 la brevità, l’occasionalità e la minore rilevanza della riduzione dello spazio personale minimo richiesto § 130 2 la sufficiente libertà di movimento e lo svolgimento di adeguate attività all’esterno della cella § 133 3 l’adeguatezza della struttura, in assenza di altri aspetti che aggravino le condizioni di privazione della libertà § 134 . Recepito dalla Suprema Corte italiana. Proprio recependo tale evoluzione giurisprudenziale, la Cassazione ha di recente annullato con rinvio un caso in cui il detenuto era stato ristretto anche il spazio inferiore ai 3 m2 con la conseguenza che anche in questo caso il Giudice di sorveglianza dovrà compiere un esame globale e analitico dei parametri compensativi prima evidenziati. Gli ermellini ricordano come la Corte europea ha considerato non più determinanti le norme del CPT in quanto quest’ultimo agisce prevalentemente a monte a scopo di prevenzione, mentre il Giudice europeo che giudica su casi concreti e non su norme deve tener conto di tutte le circostanze pertinenti alla causa Sez. I, 52819/2016 . Alla luce della recente evoluzione giurisprudenziale della Corte europea, quindi, l’attuale assetto interpretativo fornito dalla Corte europea assetto che il giudice interno ha l’obbligo di ritenere un dato integrativo del precetto, stante la formulazione testuale dell’art. 35 ter ord. penit. non determina di per sé una violazione dell’art. 3 Cedu, ma una forte presunzione di trattamento inumano o degradante, superabile solo attraverso l’esame congiunto e analitico delle complessive condizioni detentive e della durata di tale restrizione nello spazio minimo Sez. I, n. 13124/2017 .

Alla luce delle indicazioni della Corte EDU sul case-law di Strasburgo Torregiani contro Italia, il legislatore italiano ha risposto mediante l’introduzione dell’art. 35- ter, legge n. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario, inserito dal d.l. n. 92/2014, convertito in legge n. 117/2014. In particolare, l’art. 35- ter ord. penit. prevede che, qualora il detenuto lamenti con apposita istanza la detenzione non inferiore a 15 giorni tale da violare l’art. 3 Cedu, come interpretato dalla Corte EDU, il Magistrato di Sorveglianza possa disporre, a titolo di risarcimento danno, una riduzione di pena detentiva ancora da espiare pari ad 1 giorno ogni 10 di detenzione degradante comma 1 . Qualora, invece, il periodo ancora da espiare non sia tale da consentire l’integrale detrazione della riduzione di pena o quando il periodo di detenzione in contrasto con l’art. 3 Cedu sia inferiore a 15 giorni , il Magistrato di sorveglianza liquiderà al detenuto anche, in relazione al periodo residuo di detenzione degradante non scomputabile in giorni di pena ridotta, una somma pari ad 8 euro per ciascuna giornata in cui questi ha subito il pregiudizio comma 2 . Infine, il detenuto che assume aver patito una detenzione disumana o degradante si trovi in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare ovvero coloro che hanno terminato l’espiazione della pena in carcere possono proporre azione a pena di decadenza, entro 6 mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere dinanzi al Tribunale civile del capoluogo del distretto nel cui territorio hanno la residenza chiedendo il risarcimento diverso da quello in forma specifica monetario delle 8 euro per ogni giorni di detenzione contra art. 3 Cedu comma 3 . Il miglioramento della situazione. Il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, nel comunicato stampa DC031 del 14 marzo 2016, ha dichiarato Il calo del numero complessivo di persone in carcere in Europa è il benvenuto. Aumentare l’uso di pene alternative non porta necessariamente a più alti tassi di criminalità, ma può aiutare a reintegrare i trasgressori e affrontare il sovraffollamento . L’Italia è uno dei 15 paesi europei che nel 2015 ha continuato a soffrire di sovraffollamento carcerario come detto precedentemente, al primo settembre 2015 erano presenti 105,6 detenuti per ogni 100 posti disponibili, una situazione comunque migliore dell’anno precedente, quando il rapporto era di 109,8. Il miglioramento può essere attribuito agli effetti degli interventi legislativi registrati nel 2014 che hanno portato a una diminuzione del numero di detenuti, passati da 54.252 a 52.389.

Modello procedimentale applicabile. Posto che l’art. 35-ter ord. penit. disciplina specificamente soltanto il procedimento per il risarcimento del giudice civile di cui al comma 3 il Tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio l’istante ha la residenza, in composizione monocratica, decide nelle forme di cui agli artt. 737 e seg. c.p.c. e il decreto che definisce il procedimento non è soggetto a reclamo , per quello attribuito al Magistrato di sorveglianza si deve ritenere che il modello procedimentale sia quello previsto per il reclamo giurisdizionale di cui all’art. 35 bis ord. penit., introdotto dal D.L. n. 146/2013, convertito con Legge n. 10/2014 così, Sez. I, n. 876/2016 Sez. I, n. 46966/2015 . In tal senso milita anche il rinvio del comma 1 dell’art. 35-ter ord. penit. all’art. 69, comma 6, lett. b ord. penit., come modificato dal predetto D.L. 146/2013, secondo il quale il Magistrato di sorveglianza applica il procedimento di cui all’art. 35-bis ord. penit. per decidere sui reclami dei detenuti ed internati relativi ai pregiudizi all’esercizio di diritti che derivino dalla inosservanza da parte dell’amministrazione penitenziaria. D’altro canto, il modello del reclamo giurisdizionale introdotto con l’art. 35-bis ord. penit., che si svolge secondo le cadenze degli art. 666 e 678 c.p.p., appare sotto il profilo logico-sistematico, conforme alla ratio che complessivamente sottende alla introduzione del rimedio compensativo nella forma specifica della riduzione di pena da espiare, volta alla effettiva e congrua riparazione del pregiudizio per inumano trattamento detentivo in violazione dell’art. 3 Cedu. Peculiarità dell’art. 35-bis ord. Penit Tra le peculiarità del procedimento disciplinato dall’art. 35-bis ord. penit. vi è la previsione del doppio grado di giudizio di merito nel contraddittorio delle parti, che la decisione sull’istanza-reclamo deve essere adottata dal magistrato di sorveglianza all’esito dell’udienza nel contraddittorio delle parti e che al comma 4 è prevista l’impugnazione di tale decisione attraverso il reclamo al Tribunale di sorveglianza, introdotto dalla Legge n. 10 del 2014 in sede di conversione del D.L. n. 146/2013, in luogo della sola ricorribilità in cassazione, normalmente prevista salvo casi specifici come per l’applicazione delle misure di sicurezza, la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o tendenza a delinquere per i provvedimenti del magistrato di sorveglianza assunti all’esito di procedimento in contraddittorio. Il pericolo deve essere attuale? Un orientamento seguito in una prima fase applicativa dalla Suprema Corte riteneva che il primo requisito per poter richiedere la riduzione di pena ai sensi dell’art. 35-ter ord. penit., che rinvia all’art. 69 bis, comma 6, ord. penit., è che in capo al detenuto sia configurabile una situazione di attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti” conseguente all’inosservanza, da parte dell’amministrazione, di disposizioni prevista dalla legge penitenziaria e dal relativo regolamento Sez. I, n. 43727/2015 . In mancanza dell’attualità del pregiudizio, la competenza si spostava dal Magistrato di sorveglianza al Giudice civile. La successiva e più recente giurisprudenza di legittimità sembra esprimervi in senso opposto. Si ritiene che il richiamo di cui all’art. 35-ter, comma 1, ord. penit. al pregiudizio di cui all’art. 69, comma 6, lett. b , individua la categoria del reclamo relativo alla violazione dei diritti inviolabili del detenuto e il modello procedimentale applicabile, ma non può essere riferito ai presupposti del pregiudizio in termini di necessario attualità al momento della domanda e, ancor meno, della decisione Sez. I, n. 37891/2016 . In particolare si sostiene che la ritenuta esclusione del rimedio risarcitorio di competenza del Magistrato di sorveglianza per coloro che in costanza di detenzione lamentino il pregiudizio derivante da condizioni di carcerazione inumane in violazione dell’art. 3 Cedu non più attuali, perché rimosse, non risulta conforme, sotto il profilo logico-sistematico, alle finalità proprie delle disposizioni introdotte dal legislatore in materia di ordinamento penitenziario nel 2013 e 2014, per porre termine alle condizioni di espiazione delle pene detentive ritenute in contrasto con la Cedu secondo le indicazioni della Corte di Strasburgo, attraverso un rafforzamento complessivo degli strumenti tesi alla riaffermazione delle legalità della detenzione con estensione dei poteri di verifica e di intervento dell’autorità giurisdizionale Sez. I, n. 43722/2015, richiamata di recente da Sez. I, n. 13124/2017 . Radicamento della competenza. Conseguenziale all’accoglimento di quest’ultima posizione ermeneutica è il rigetto dell’affermazione – sostenuta dal primo orientamento – che individua nell’attualità del pregiudizio il discrimine tra la competenza del Magistrato di sorveglianza art. 35-ter, commi 1 e 2 e quella del Giudice civile comma 3 . È stato innanzitutto rilevato che il rinvio al pregiudizio di cui all’art. 69, comma 6, lett. b , ord. penit., oltre ad essere menzionato esplicitamente all’art. 35-ter, comma 1, si riflette anche sul comma 3 con il richiamo al pregiudizio di cui al comma 1”, ancorché sia evidente che la condizione detentiva inumana e degradante risarcibile attraverso l’azione dinanzi al Giudice civile non possa essere attuale. Così, come, pur essendo chiara l’indicazione della competenza del Magistrato di sorveglianza, il risarcimento di un pregiudizio inferiori a quindici giorni di cui al comma 2 non potrebbe mai essere attuale al momento della decisione. Inoltre, se la competenza del Magistrato di sorveglianza venisse meno al momento in cui vengono rimosse le condizioni di carcerazione causa del pregiudizio risarcibile, sarebbe arduo in base alla lettera della norma individuare il giudice al quale il soggetto ancora detenuto si dovrebbe rivolgere per ottenere il rimedio compensativo del pregiudizio cessato, posto che l’art. 35-ter, comma 3, espressamente attribuisce la competenza al giudice civile per le richieste di coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva. E sarebbe difficilmente difendibile una soluzione che congeli eventualmente per anni la possibilità di indennizzare chi ha subito un trattamento contrario al senso di umanità. Una simile interpretazione, all’evidenza, esporrebbe la norma a rilievi per violazione dei principi convenzionali e costituzionali, e ad essi non si sottrarrebbe la tesi secondo la quale, venuta meno l’attualità del pregiudizio e, con essa la competenza del Magistrato di sorveglianza, si radicherebbe quella del Giudice civile Sez. I, n. 13124/2017 . La posizione della Corte Costituzionale. Indicazioni favorevoli alla soluzione da ultimo accolta possono trarsi dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204/2016, che, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35-ter ord. penit. proposta in riferimento all’inapplicabilità ai soggetti condannati all’ergastolo, ha sottolineato che il riparto di competenza a provvedere fra ufficio di sorveglianza e giudice civile è affidato al solo criterio dello stato detentivo del richiedente, non già dell’attualità del pregiudizio al momento della formulazione della domanda. Ha altresì rimarcato, così offrendo autorevole conferma alla persuasività della interpretativa da ultimo enunciata, che le sollecitazioni rivolte all’Italia dalla Corte EDU nella pronuncia Torreggiani hanno riguardato l’introduzione di procedure accessibili ed effettive procedure, in altri termini, idonee a produrre rapidamente la cessazione della violazione, anche nel caso in cui la situazione lesiva fosse già cessata, ad assicurare con rapidità e concretezza forme di riparazione adeguate. E questa richiesta deve costituire un indefettibile criterio ermeneutico ai fini della corretta applicazione della disciplina successivamente introdotta dal legislatore . Motivi generici o specifici? Secondo l’approccio interpretativo più recente della Suprema Corte, la natura essenzialmente compensativa”, più che risarcitoria” in senso stretto, del rimedio introdotto dall’art. 35-ter ord. penit., finalizzato a garantire una riparazione effettiva delle violazioni dell’art. 3 Cedu derivanti dal sovraffollamento, esclude che la domanda debba essere corredata dalla indicazione precisa e completa degli elementi che si pongono a fondamento della stessa ed, in specie, che configurano il pregiudizio da ristorare Sez. I, n. 876/2016 . È, quindi, soltanto necessario che vengano indicati i periodi di detenzione, gli istituti di pena e la riconducibilità delle condizioni detentive alle suddette violazioni derivanti dal sovraffollamento, mentre la sussistenza del pregiudizio per specifiche violazioni dell’art. 3 Cedu costituisce thema probandum Sez. I, n. 22164/2015 n. 45376/2015 tuttavia, non è sufficiente la mera affermazione di una condizione di restrizione non conforme al regime convenzionale Sez. I, n. 40232/2016 . Non avendo la richiesta con la quale viene iniziato il procedimento in esame natura di impugnazione, la genericità del reclamo non può nemmeno essere ricondotta alla causa di inammissibilità prevista dall’art. 591 c.p.p., con riferimento alle forme di cui all’art. 581, per mancata indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta. Per altro orientamento, invece, il procedimento risarcitorio previsto dall’art. 35-ter ord. penit., attraverso il richiamo all’art. 69, comma 6, ord. penit., il quale a sua volta rinvia alle forme previste dall’art. 35-bis, cioè ad una procedura da intendersi ormai totalmente giurisdizionalizzata, il reclamo deve essere sostenuto, a pena di inammissibilità, secondo i principi generali che regolano le impugnazioni, da specifici motivi, nel cui ambito si deve muovere la valutazione del magistrato di sorveglianza Sez. I, n. 43727/2015 . Nell’attesa della cristallizzazione di uno dei due orientamenti, è consigliabile indicare dettagliatamente nel ricorso i motivi e le violazioni dell’art. 3 Cedu. Mezzi di impugnazione. L’applicazione all’istanza-reclamo del detenuto che assume avere subito una detenzione contraria all’art. 3 Cedu del modulo procedimentale descritto dall’art. 35-bis ord. penit. comporta un doppio grado di giudizio di merito nel contraddittorio delle parti. Quindi, il mezzo di gravame previsto contro la decisione che decide nel merito dell’istanza-reclamo è il reclamo-impugnazione dinanzi al Tribunale di sorveglianza e, avverso la decisone del secondo giudice di sorveglianza di merito, il ricorso per Cassazione per motivi di legittimità. Se il Magistrato si pronuncia de plano per l’inammissibilità? Tuttavia, le cadenze procedimentali previste dall’art. 35-bis ord. penit. e la scelta legislativa del contraddittorio nel doppio grado di merito impongono di considerare che la possibilità per il Magistrato di sorveglianza di emettere un provvedimento fuori dal modello partecipato è limitata alla sola eccezione prevista dallo stesso art. 35-bis, comma 1, laddove fa salvi i casi di manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell’art. 666, comma 2, c.p.p., e soltanto nei casi in cui risulti che la richiesta è manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, il Magistrato di sorveglianza potrà dichiarare con decreto de plano il reclamo inammissibile. In altri termini, l’esercizio da parte del Magistrato di Sorveglianza del potere di cui all’art. 666, comma 2, c.p.p., deve essere limitato alle ipotesi in cui la presa d’atto dell’assenza delle condizioni di legge non richieda accertamenti di tipo cognitivo, né valutazioni discrezionali e la dichiarazione di inammissibilità risulta possibile solo quando facciamo difetto nell’istanza i requisiti posti direttamente dalla legge che non implicano alcuna valutazione discrezionale. Ne consegue che avverso il provvedimento di inammissibilità adottato de plano dal Magistrato di sorveglianza unico mezzo di impugnazione potrà essere il ricorso per cassazione e non il reclamo al Tribunale di sorveglianza nel contraddittorio delle parti Sez. I, n. 35840/2015 , per la ragione evidente che la declaratoria di inammissibilità de plano adottata eventualmente fuori dai casi previsti impone che la richiesta venga esaminata dal Magistrato nel giudizio partecipato di primo grado, recuperando il contraddittorio espressamente previsto, e non dinanzi al Tribunale saltando un grado di merito Sez. I, n. 876/2016 Sez. I, n. 46966/2015 . Istanza ammissibile anche per detenzioni degradanti pregresse. Poiché nella specifica materia la fonte normativa che attribuisce il diritto di ottenere specifici rimedi contro la detenzione inumana o degradante è costituita direttamente dalla Cedu, laddove all’art. 3 riconosce il diritto del detenuto ad ottenere che l’espiazione della pena detentiva non avvenga mediante trattamenti inumani e degradanti, fonte resa esecutiva con la legge di ratifica 4 agosto 1955 n. 848 che ha esteso e rafforzato la previsione peraltro già contenuta nell’art. 27 Cost. e consentito di riconoscere quale illecito civile la sua violazione , l’applicazione del rimedio a fatti pregressi è ammessa in riferimento a condotte lesive verificatesi prima del 2014, poiché il diritto violato non è riconosciuto per la prima volta dalle disposizioni introdotte dalla legge n. 117/2014 quanto piuttosto dalla stessa Convenzione Europea, resa vincolante per lo Stato italiano sin dal 1955 Sez. I, n. 13124/2017 . C’è sempre un Giudice a Strasburgo”. Una volta soddisfatta la condizione del previo esaurimento delle vie di ricorso interne, essendo stati esperiti i rimedi recentemente introdotti dal legislatore italiano per riparare, in via preventiva o compensativa, alle violazioni dei diritti fondamentali derivanti da condizioni di sovraffollamento, si potrà adire la Corte EDU per lamentare la violazione dell’art. 3 Cedu in caso di condizioni di detenzione contrarie al divieto di trattamenti inumani e degradanti. Invece, se non si sono esperiti i rimedi giurisdizionali dell’ordinamento nazionale il ricorso alla Corte di Strasburgo verrà dichiarato irricevibile così Corte EDU, sez. II, 25 settembre 2014, Stella e altri c. Italia, ric. n. 49169/09 e Rexhepi e altri c. Italia, ric. n. 47180/10 . Sebbene, infatti, i ricorsi esaminati dalla Corte siano stati presentati prima dell’entrata in vigore dei nuovi rimedi previsti dagli interventi normativi del 2013 e 2014, i giudici europei hanno richiamato i ricorrenti al generale obbligo di privilegiare gli strumenti predisposti dal diritto nazionale, riservandosi di intervenire soltanto qualora essi siano stati esperiti senza successo o si siano altrimenti rivelati ineffettivi.