La quarta Direttiva europea antiriciclaggio: i reati fiscali come reato presupposto e altre importanti novità

Lo scorso mese di maggio è entrata in vigore la Direttiva n. 849/2015 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario per finalità di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, cd. IV Direttiva antiriciclaggio. Quali ne sono i motivi ispiratori? Quali le maggiori novità introdotte? Vi sono aspetti di criticità? Quale sarà l’impatto sull’ordinamento italiano? La Direttiva si pone al crocevia di importanti evoluzioni della disciplina europea e globale in materia finanziaria. Essa si è resa, infatti, necessaria per recepire le più recenti innovazioni introdotte in materia di antiriciclaggio a livello di Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale – GAFI. Nato sul finire degli anni ’80, il GAFI – operante in seno all’OCSE come organismo intergovernativo con lo scopo di sviluppare e promuovere politiche di contrasto sulle tematiche del contrasto al riciclaggio e dal 2001 del finanziamento del terrorismo – analizza metodi e forme utilizzati per il riciclaggio del denaro sporco e del finanziamento al terrorismo internazionale ed elabora misure di prevenzione e contrasto, le Raccomandazioni”, la prima edizione delle quali risale al 1990. Pur non avendo efficacia vincolante, le Raccomandazioni rappresentano lo standard globale in materia e sono state nel tempo recepite, a livello europeo, nelle direttive comunitarie del 1991, del 2001 e del 2005. Nel febbraio 2012, il GAFI ha rilasciato l’ultima versione delle Raccomandazioni, di cui la IV direttiva rappresenta l’atto europeo di recepimento ed al quale gli Stati membri avranno due anni di tempo per conformarsi. La Direttiva dovrà, inoltre, essere coordinata con i più recenti sviluppi nell’ambito di alcune funzioni europee, soprattutto in materia bancaria e giudiziaria. Da un lato, l’istituzione del Sistema europeo di supervisione finanziaria, che ha previsto il rafforzamento delle autorità europee in materia finanziaria tra cui l’Autorità bancaria europea – EBA e la creazione del Meccanismo unico di supervisione – SSM, che ha comportato l’attribuzione di compiti di vigilanza alla BCE, implicheranno l’attribuzione di alcuni compiti regolamentari e operativi in materia antiriciclaggio a livello sovranazionale. Dall’altro lato, il rafforzamento del coordinamento tra autorità di polizia e giudiziarie nell’ambito di Europol e Eurojust, nonché, più in prospettiva, l’istituzione di un Pubblico ministero europeo, renderanno necessario un maggior raccordo tra la funzione di prevenzione sancito dalla Direttiva e quello di repressione vero e proprio, finora pressoché interamente di competenza degli Stati membri. Per di più, la Direttiva intercetta un filone di importanti innovazioni in materia di lotta all’evasione fiscale, sia a livello internazionale con gli accordi sullo scambio automatico di informazioni che nazionale con la cd. voluntary disclosure” . Come noto, quello dell’evasione fiscale è un fenomeno che non conosce crisi. Un studio della Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia – UIF, dal titolo I paradisi fiscali caratteristiche operative, evidenze empiriche e anomalie finanziarie”, pubblicato nell’agosto scorso sulla base delle valutazioni espresse dal GAFI, dal Ministero dell’Economia e da Tax Justice Network, organizzazione non governativa internazionale molto attiva nell’analisi dell’evasione fiscale internazionale, dà conto dell’esistenza a livello globale di un sistema di paesi a rischio fiscale che attrae quasi 500 miliardi di euro, ovvero addirittura il 45% del totale degli investimenti di portafoglio italiani [di cui] i due terzi ascrivibili a paesi a opacità media o alta . Questo fenomeno si è acuito con la crisi finanziaria. Lo studio mostra, infatti, come, se i bonifici in contropartita di Paesi non a rischio” sono scesi dal 2006 al 2014 del 40%, quelli in contropartita dei Paesi a rischio e ad alta opacità” superano nella media del 2014 i valori registrati in corrispondenza del picco del 2008 . Sembra, in sostanza, che per l’Italia la crisi non abbia riguardato i flussi con i paesi a rischio/ad alta opacità, che si sono addirittura incrementati! Al fine di contenere questo dilagante fenomeno e allo scopo di fare emergere imponibile occultato all’estero, si è seguita una doppia via da un lato sono stati conclusi accordi per lo scambio automatico di informazioni in materia fiscale dall’altro è stata introdotta, in Italia come in molti altri paesi OCSE, una normativa per facilitare l’emersione volontaria ex post di redditi non dichiarati. Sebbene questi aspetti non siano direttamente trattati nella Direttiva, essi potranno nondimeno essere influenzati da alcune innovazioni della stessa. * Le opinioni espresse dagli Autori non impegnano in alcun modo l’istituto di appartenenza

In quarto luogo, la Direttiva pone al centro del contrasto al riciclaggio il principio della trasparenza. Si è già detto del registro dei beneficiari effettivi, accessibile anche dai privati. Oltre a questo, si sono introdotti obblighi di disclosure più incisivi per trust, fondazioni e altri soggetti assimilabili. Come detto, l’opacità che caratterizza spesso questi soggetti rappresenta un grande ostacolo alla piena funzionalità del sistema antiriciclaggio. Per farvi fronte, la nuova direttiva stabilisce che i fiduciari di trust espressi devono mantenere i dati riguardanti l'identità del costituente, del trustee , del guardiano se esiste , dei beneficiari o della classe di beneficiari, delle altre persone fisiche che esercitano il controllo effettivo sul trust. Obblighi simili devono, poi, essere previsti per altri tipi di istituti giuridici che hanno assetto o funzioni analoghi a quelle dei trust, come, ad esempio, le fondazioni. Si prevedono, poi, obblighi di adeguata verifica più stringenti per le persone politicamente esposte. Come osservato, in taluni casi i soggetti tenuti agli obblighi antiriciclaggio devono procedere all’adeguata verifica rafforzata. Tra tali casi rientra quello in cui il cliente sia una persona politicamente esposta - PEP, in quanto titolare di cariche pubbliche o incarichi di particolare rilievo che possano esporlo a rischi di corruzione e, quindi, riciclaggio. Nella legislazione precedente, tuttavia, l’obbligo di adeguata verifica rafforzata era prevista soltanto per le PEP di altri paesi. Questa impostazione, eccessivamente garantista per i politici nazionali, aveva sollevato non poche critiche, per superare le quali la quarta direttiva estende l’obbligo anche alle PEP nazionali, nonché, opportunamente ai familiari e ai soggetti che, notoriamente, intrattengono stretti legami con una PEP.

Infine, la Direttiva rafforza notevolmente i poteri e le responsabilità delle autorità competenti in materia antiriciclaggio e il coordinamento tra le stesse. Sotto il primo profilo, si consolidano ed estendono le garanzie di indipendenza e il ruolo istituzionale delle agenzie antiriciclaggio - FIU. È noto che le FIU rappresentano il perno del sistema antiriciclaggio. Sin dalla loro istituzione nella prima direttiva, a esse sono stati riconosciuti poteri crescenti, soprattutto attraverso la ricezione, l’approfondimento e la trasmissione delle segnalazioni di operazioni sospette. Con la quarta direttiva si prevede espressamente, tra l’altro, che la FIU è operativamente autonoma e indipendente può effettuare approfondimenti anche sui reati presupposto di riciclaggio può accedere, direttamente o indirettamente, alle informazioni investigative necessarie per assolvere i propri compiti. Quest’ultimo aspetto assume particolare rilevanza nel nostro ordinamento. A differenza di quella di molti altri paesi, la FIU italiana ha natura cd. finanziaria”, nel senso che è organicamente inquadrata nell’ambito della Banca centrale e autorità di vigilanza. Storicamente, infatti, i compiti antiriciclaggio furono inizialmente attribuiti all’Ufficio Italiano dei Cambi, legislativamente qualificato come ente strumentale della Banca d’Italia successivamente tali compiti sono stati trasferiti alla Unità di Informazione Finanziaria, organo istituito presso la Banca d’Italia ma dotato di piena autonomia operativa e gestionale”. In proposito, il legislatore italiano ha optato per un modello di FIU di tipo amministrativo, in modo da distinguere l’analisi finanziaria dall’analisi investigativa, valorizzando l’autonomia dell’attività di prevenzione e la funzione di filtro” assegnata alla UIF a tutela dell’integrità del sistema economico-finanziario”. Anche in ragione di questo inquadramento, la FIU italiana non ha avuto accesso diretto ai dati investigativi relativi ai soggetti interessati da segnalazioni di operazioni sospette questi dati vengono comunque acquisiti nelle successive fasi di approfondimento delle segnalazioni, grazie alla particolare strutturazione della procedura stessa. Segnalazione di operazioni sospette. In tale sistema, introdotto del 1997 e mai modificato nella sua struttura portante, i soggetti tenuti agli obblighi antiriciclaggio effettuano la segnalazione di operazioni sospette alla UIF questa effettua gli approfondimenti finanziari di propria competenza, assegna alle segnalazioni un livello di rischio rating e - ove non vi siano i presupposti per una denuncia all’autorità giudiziaria - le inoltra alla Guardia di Finanza e alla Direzione Investigativa Antimafia sono queste ultime, quindi, che, nel condurre gli approfondimenti di propria competenza, arricchiscono le segnalazioni con i dati investigativi loro disponibili. Con la nuova direttiva, questo quadro potrebbe, in parte, modificarsi, essendo ivi richiesto che le FIU abbiano accesso, direttamente o indirettamente, in maniera tempestiva, alle informazioni investigative necessarie per assolvere i propri compiti in modo adeguato . Si tratterà, dunque, di vedere in che modo il legislatore recepirà questa specifica previsione. La Direttiva valorizza anche il ruolo di controllo delle autorità di vigilanza e delle altre autorità competenti, incluse le autorità europee. Alle autorità di vigilanza sugli intermediari finanziari e alle autorità di controllo sugli altri soggetti è da tempo attribuito il compito di verificare l’effettivo adempimento degli obblighi antiriciclaggio. Con la nuova direttiva questi compiti di verifica vengono ulteriormente ampliati, con le autorità di vigilanza che devono essere in grado di comprendere chiaramente i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo . Alle competenze delle autorità nazionali si aggiungono, poi, quelle delle neonate autorità europee, tra cui soprattutto l’Autorità bancaria europea – EBA. Queste ultime sono, infatti, chiamate ad emanare orientamenti” diretti alle autorità nazionali sulle modalità di concreta implementazione della normativa. Infine, si promuove in ogni modo lo scambio di informazioni e la cooperazione tra autorità dei diversi Stati. Considerato il carattere transnazionale del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, la collaborazione tra le autorità competenti dei diversi Stati rappresenta un elemento chiave per il successo delle attività di prevenzione e contrasto. La collaborazione, nondimeno, ha spesso incontrato notevoli difficoltà, dovute, tra l’altro, a forti divergenze regolamentari tra i diversi Stati, soprattutto sulla definizione dei reati presupposto per i quali era ammesso lo scambio di informazioni. È per questo che la nuova direttiva, da un lato, impone alle autorità dei diversi Stati di assicurare la massima collaborazione, a tal fine attribuendo un ruolo di coordinatore/facilitatore alla Commissione europea dall’altro lato, prevede espressamente che le differenze fra le definizioni di reati fiscali nelle diverse legislazioni nazionali non ostacolano lo scambio di informazioni o la prestazione di assistenza tra le FIU, nella massima misura possibile prevista dalla proprio diritto nazionale .

Accanto ai numerosi passi avanti nell’evoluzione del sistema antiriciclaggio, la Direttiva presenta ancora alcuni spunti di miglioramento. Da un lato, infatti, essa lascia la responsabilità dei compiti antiriciclaggio soprattutto al livello nazionale, senza forme di integrazione o forte coordinamento tra le FIU. A differenza di quanto avvenuto in altri settori contigui, come quello della vigilanza bancaria, nell’ambito del quale talune competenze sono state trasferite a livello sovranazionale europeo in capo alla BCE, le competenze in materia antiriciclaggio sono rimaste quasi esclusivamente nazionali, ad eccezione dei limitati compiti regolamentari e di coordinamento della Commissione e delle autorità europee. Questo potrebbe in parte pregiudicare l’efficacia degli sforzi nazionali, soprattutto in relazione a fenomeni di matrice chiaramente transnazionale. Si potrebbe, allora, per il futuro immaginare una maggiore integrazione delle attività nazionali attraverso meccanismi funzionali o procedurali che favoriscano un effettivo coordinamento, sul modello, ad esempio, di Europol o Eurojust. Correlativamente, la Direttiva tralascia di individuare forme di coordinamento più stringente con le funzioni di polizia e giudiziaria. Se è vero che il sistema antiriciclaggio ha una finalità prevalentemente preventiva, è altrettanto vero che un robusto effetto general-preventivo può derivare da un’efficace contrasto del riciclaggio già conclamato. In proposito, il contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo costituisce già oggetto di meccanismi di coordinamento tra autorità dei diversi Stati nell’ambito di Europol e Eurojust. A mancare, tuttavia, sono i raccordi tra la funzione antiriciclaggio e quella di investigazione e repressione dei reati, che potrebbe avvenire, ad esempio, attraverso più precise forme di collegamento tra le FIU e le autorità investigative e giudiziarie a livello nazionale ed europeo. Questa lacuna può spiegarsi alla luce di almeno due aspetti caratteristici dell’ordinamento europeo. Da un lato, per le materie rientranti nella cd. area di libertà, sicurezza e giustizia , come la cooperazione in materia penale, le procedure decisionali europee sono più rigide rispetto a quelli previste per le materie rientranti nell’area mercato interno , come l’antiriciclaggio dall’altro lato, il particolare assetto istituzionale dell’Unione europea porta spesso il legislatore ad approvare normative settoriali sganciate” le une dalle altre. Si riscontrano, perciò, soluzioni a livello di singolo Paese. In Italia, ad esempio, oltre alla citata procedura di approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette, sono state costituite forme di collaborazione stabili con l’Autorità Giudiziaria, dove personale della Banca d’Italia svolge la propria attività istituzionale a contatto diretto con le Procure nello sviluppo di indagini in materia di riciclaggio e altri reati prevalentemente finanziari. Nel caso di Milano, sede della stragrande maggioranza delle banche ed istituzioni finanziarie del nostro Paese, la collaborazione stabilmente offerta alla locale Procura risale ormai al 2009, con un numero di consulenze in costante aumento.

La nuova Direttiva produrrà un impatto rilevante sull’ordinamento italiano. In termini generali, infatti, essa richiederà diversi aggiustamenti normativi, al fine di recepire le citate innovazioni riguardanti, tra l’altro, la valutazione del rischio a livello nazionale e di singolo soggetto tenuto agli obblighi antiriciclaggio l’adeguata verifica dei PEP e dei trust l’individuazione dei beneficiari effettivi e la raccolta delle relative informazioni nel registro nazionale l’accessibilità della UIF ai dati investigativi. Ma al di là di questo, anche se il termine per il recepimento è spostato avanti nel tempo, l’entrata in vigore della direttiva potrà accentuare notevolmente l’attenzione degli intermediari per la lotta all’evasione fiscale. E ciò, come osservato, soprattutto per tre motivi perché i reati fiscali costituiscono, ormai, espressamente reato presupposto di riciclaggio perché gli intermediari saranno tenuti a segnalare anche quando il sospetto verte sul compimento di un reato presupposto perché, infine, le FIU sono tenute a scambiarsi informazioni a prescindere dalle definizioni nazionali di reati fiscali. In questi termini, dunque, ben si può dire che il sistema antiriciclaggio rappresenti ormai un formidabile anche se perfettibile strumento di rilevazione dei reati a componente finanziaria, dei quali l’evasione fiscale rappresenta l’esempio principe. Voluntary disclosure. Lungo questo filone, la Direttiva potrà allora rappresentare un fattore di promozione, insieme a FATCA e autoriciclaggio, della procedura di voluntary disclosure . Come noto, al fine di favorire il rientro in Italia di capitali esportati illegalmente, al contempo assicurando il recupero del gettito fiscale corrispondentemente evaso, nel dicembre 2014 il legislatore ha introdotto la normativa per l’ emersione e il rientro di capitali detenuti all'estero. Per quanto la Direttiva non abbia una connessione diretta con questa procedura, è però verosimile che la criminalizzazione del reato fiscale da quest’ultima prevista possa influenzare le scelte di chi si trova nella condizione di poter regolarizzare le proprie posizioni finanziarie detenute all’estero. In queste valutazioni, assumeranno, infatti, rilievo sia la circostanza data dai numerosi recenti accordi sullo scambio automatico d’informazioni fiscali con altri Paesi tra cui quelli geograficamente a noi assai vicini sia ancora la possibilità che le banche estere sospendano l’operatività dei conti bancari per motivi di adeguata verifica” antiriciclaggio sia infine il rischio che, in mancanza di disclosure, la movimentazione all’estero costituisca oggetto di segnalazione alla locale autorità antiriciclaggio, che potrebbe essere poi trasmessa alla nostra UIF in sede di cooperazione internazionale. Un quadro di rischi potenziali, un tempo inimmaginabili, che fa supporre una regolarizzazione ampia e un gettito significativo.

La Direttiva introduce una varietà di innovazioni riconducibili a cinque filoni principali. In primo luogo allarga sensibilmente la sfera di operatività del sistema antiriciclaggio, sotto almeno due profili. I reati tributari vengono espressamente inclusi tra quelli che possono costituire presupposto del riciclaggio. Come noto, il riciclaggio presuppone l’esistenza di proventi di un reato, detto appunto, presupposto”, che vengono poi occultati, trasformati, impiegati etc. . I reati presupposto sono individuati dal legislatore nazionale che, in base alle proprie esigenze di politica criminale, può in parte ampliarne la portata. In Italia, fino all’attuale formulazione del 1993, i reati presupposto del riciclaggio erano quelli tipici della criminalità organizzata rapina, estorsione, sequestro di persona, narco-traffico. La Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi del reato del 1990 prevedeva come reato principale qualsiasi reato in conseguenza del quale si formino proventi che possono diventare oggetto di uno dei reati definiti all’articolo 6 della Convenzione stessa. In attuazione di quella Convenzione, una novella del 1993 estendeva nel nostro Paese la qualifica di reato presupposto a tutti i delitti non colposi, tra cui, quindi, implicitamente, anche quelli fiscali. Si trattava di una scelta in linea con le indicazioni internazionali in materia, già assai prima che queste divenissero cogenti. In effetti, prima della quarta Direttiva una posizione analoga era già stata espressa anche da Francia, Spagna, Regno Unito, Germania, Belgio e Portogallo. E’ solo nel febbraio 2012, però, che il GAFI, con la nuova versione delle sue Raccomandazioni, ha espressamente incluso i tax crimes tra le designated categories of offences . Coerentemente, nel comunicato stampa che accompagna le nuove Raccomandazioni, il GAFI ha ribadito che per la prima volta le Raccomandazioni includono i reati fiscali, compresa l'evasione, come reati presupposto del riciclaggio . Tale scelta ha fatto seguito ad un lungo dibattito sia giurisprudenziale, sia di rapporti bilaterali tra Stati che lamentavano l’occultamento di importanti cespiti da evasione fiscale di propri contribuenti in forzieri bancari di altro Stato. Sotto l’aspetto giurisprudenziale si era, ad esempio, ritenuto in passato che l’evasione fiscale non desse luogo a denaro contante, consentendo solo un risparmio fiscale, come tale non tecnicamente riciclabile posizione poi superata dalla giurisprudenza della Cassazione . Nei rapporti tra Stati, invece, la crisi dei debiti sovrani e la necessità di raccogliere risorse aggiuntive per fronteggiare deficit di bilanci, aveva portato a forti pressioni dei paesi con presunti evasori sui paesi considerati paradiso fiscale” per ottenerne la cooperazione internazionale. Scambio di informazioni. Con la nuova direttiva si sgombra definitivamente il campo da questo dibattito, includendo tra i reati presupposto tutti i reati, compresi i reati fiscali relativi a imposte dirette e indirette, quali specificati nel diritto nazionale, punibili con una pena superiore a un anno . In proposito, la Direttiva ammette che le definizioni di reati fiscali previste dalle normative nazionali possano divergere. Si è, dunque, preferito non armonizzare la nozione, al contempo però evidenziando che gli Stati membri dovrebbero consentire, nella massima misura possibile ai sensi della propria legislazione, lo scambio di informazioni o la prestazione di assistenza tra le Unità di informazione finanziaria dell’Unione . Un passo avanti comunque importante che porta a far segnalare alle Financial Intelligence Unit - FIU di ogni Paese l’operazione per la quale si nutra il sospetto dell’illecita origine fiscale dei fondi.

Sempre nel senso di un’espansione del sistema antiriciclaggio, si condiziona l’obbligo di effettuare segnalazioni alla FIU al sospetto che il denaro o i beni oggetto dell’operazione o della prestazione siano il provento di un reato. Quanto detto marca un importante passo avanti. Fin dalla prima direttiva antiriciclaggio, infatti, la segnalazione ha sempre riguardato le operazioni in seguito anche le prestazioni per le quali vi fosse un sospetto di riciclaggio in seguito anche di finanziamento del terrorismo . Da ora in avanti, invece, esse saranno dovute quando il sospetto riguardi il fatto che i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengono da attività criminose o sono collegati al finanziamento del terrorismo , a prescindere dal fatto che si sospetti, anche, che tali fondi siano oggetto di riciclaggio. Sistemi di whistleblowing”? La logica, in sostanza, sembra essere la seguente se vi sono soldi sporchi, è verosimile/c’è il rischio che li si voglia riciclare. La segnalazione deve, dunque, scattare un momento prima, anche se, in ipotesi, il riciclaggio non è ancora iniziato ma sussistano i presupposti perché inizi. Questa innovazione è solo apparentemente nominalistica. In questo modo, infatti, il sistema antiriciclaggio sembra assumere le sembianze di un ben più vasto sistema di rilevazione dal basso” e segnalazione al centro” di tutte i fondi potenzialmente illeciti. Questo sistema, basato concettualmente sulla rilevabilità in concreto di una sintomatologia finanziaria di tali attività, condivide, quindi, alcuni caratteri strutturali di altri sistemi di whistleblowing ”, come quello recente in materia di anti-corruzione.

In secondo luogo, la Direttiva intensifica gli obblighi antiriciclaggio a carico dei soggetti privati, sotto almeno 3 aspetti. Procedure comuni. Innanzitutto, si prevede per gli intermediari e i professionisti facenti parte di grandi gruppi internazionali di adottare procedure e politiche comuni e di scambiare al proprio interno le informazioni antiriciclaggio. In effetti, uno dei più gravi limiti all’operatività del sistema antiriciclaggio è che la clientela a rischio si sposti da paesi in cui i presidi sono più stringenti a uno in cui sono meno stringenti. In teoria, questo limite non dovrebbe porsi nei casi in cui il cliente, pur spostandosi di paese, si rivolge a intermediari appartenenti allo stesso gruppo. Nella pratica, invece, questo non sempre è avvenuto e succursali o filiazioni di uno stesso gruppo hanno non di rado seguito prassi antiriciclaggio differenti o rifiutato di collaborare – per via delle disarmonie legislative - tra loro nella lotta al riciclaggio. In questo senso, la direttiva rende più vincolanti l’obbligo infragruppo di adottare procedure comuni e politiche e scambiarsi informazioni, in un’ottica di sempre maggiore armonizzazione. E i professionisti? Inoltre, si riduce la possibilità per i professionisti di sottrarsi in modo strumentale agli obblighi antiriciclaggio. Quello dei professioni è sempre stato un ruolo importante ma molto delicato nel sistema antiriciclaggio. Essi, infatti, da un lato possono fornire utili informazioni sull’operatività illecita dei propri clienti, dall’altro sono però istituzionalmente chiamati a patrocinare le ragioni di questi ultimi. In passato si era, dunque, giunti a esonerarli dall’obbligo di segnalazioni in relazione ai fatti appresi nell’esercizio di questo patrocinio, giudiziale o no. Ciò, però, aveva talvolta spinto gli stessi a considerarsi non obbligati a una compliance antiriciclaggio, appellandosi appunto a questa esenzione. Per questo motivo, la direttiva torna enfaticamente ma curiosamente solo nella versione in lingua inglese , sulla formulazione dell’esenzione, affermando che i professionisti sono esonerati only to the strict extent dell’esercizio di detto patrocinio.

Infine, si impone che tutti i soggetti economici individuino espressamente e rendano disponibile il beneficiario effettivo degli stessi soggetti o delle operazioni. Come indica la locuzione stessa, beneficiario effettivo” è colui che si avvantaggia in ultima istanza di una singola operazione o dell’operatività di un soggetto collettivo, come una società. La conoscibilità di questo soggetto assume una rilevanza centrale nel sistema antiriciclaggio, perché consente di penetrare schermi societari e smascherare prestanomi. È per questo che, nel tempo, la legislazione europea ha progressivamente richiesto ai soggetti tenuti agli obblighi antiriciclaggio di individuare con sempre maggiore precisione i beneficiari effettivi. Questo sforzo, tuttavia, si è spesso infranto contro l’impenetrabilità di alcuni soggetti giuridici e la frammentarietà delle informazioni detenute dai soggetti stessi. Per porre rimedio a questo stato di cose, la direttiva introduce due modifiche di grande impatto. Da un lato, richiede che siano i clienti stessi a indicare e rendere disponibile il beneficiario effettivo di singole operazioni o intere operatività. Dall’altro, prevede che queste informazioni saranno raccolte in un apposito registro, tenuto a livello nazionale, al quale avranno accesso tre categorie di soggetti i le agenzie antiriciclaggio – FIU e le autorità di vigilanza, senza restrizioni ii gli stessi soggetti tenuti agli obblighi antiriciclaggio, ma solo per adempiere ai propri obblighi iii ogni altro soggetto che dimostri di averne un interesse concreto e attuale. In questo modo, si passa da un sistema decentralizzato imperniato sull’identificazione da parte degli intermediari a un sistema centralizzato imperniato sulla collaborazione degli stessi clienti, dove le informazioni raccolte vengono poi accentrate e rese disponibili.

In terzo luogo, la Direttiva attribuisce una rilevanza ancora maggiore alla individuazione, valutazione e mitigazione del rischio di riciclaggio. In proposito, si stabilisce che la Commissione europea e ogni Stato membro svolgano una propria valutazione del rischio di riciclaggio a livello europeo e nazionale. Come è stato spesso osservato, il sistema antiriciclaggio, se non sufficientemente fatto proprio” dai soggetti pubblici e privati in esso coinvolti, rischia di tramutarsi in un apparato di obblighi formali scarsamente efficace sul piano della prevenzione del contrasto. Per ovviare a questo inconveniente, la direttiva ha quindi tentato di responsabilizzare le autorità pubbliche europee e nazionali imponendo loro di procedere in anticipo alla individuazione e valutazione dei maggiori rischi di riciclaggio, nonché alla predisposizione e al coordinamento delle misure necessarie a mitigare tale rischio. Queste valutazioni dovrebbero, dunque, rappresentare il quadro generale di scenario entro il quale orientare gli sforzi di prevenzione e contrasto del fenomeno. National Risk Assessment. A simili valutazioni, peraltro, le autorità italiane hanno già provveduto, a partire dal 2014. In attuazione delle nuove raccomandazioni GAFI, infatti, il Comitato di sicurezza finanziaria – presieduto dal direttore generale del Tesoro, e composto da rappresentanti di vari ministeri, della Banca d’Italia, della UIF, della Consob, dell’IVASS, della Guardia di Finanza, dell’Arma dei carabinieri, della Direzione Investigativa Antimafia e della Direzione Nazionale Antimafia – ha condotto la prima analisi nazionale dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo National Risk Assessment . L’analisi ha avuto l’obiettivo di identificare, analizzare e valutare le minacce di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo, individuando quelle più rilevanti, i metodi di svolgimento di tali attività criminali, le vulnerabilità del sistema nazionale di prevenzione, di investigazione e di repressione di tali fenomeni, e quindi i settori maggiormente esposti a tali rischi. Il tutto è stato finalizzato all'elaborazione di linee di intervento per la mitigazione dei rischi stessi e all'adozione di un approccio basato sul rischio all'attività di contrasto al riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. Corrispondentemente la Direttiva richiede a intermediari e professionisti di svolgere una propria valutazione del rischio di riciclaggio, sulla base della quale modulare le relative misure di mitigazione. L’autovalutazione dei rischi assunti rappresenta da tempo uno dei pilastri della regolamentazione prudenziale di banche e intermediari finanziari. Tale autovalutazione, soggetta a dettagliato scrutinio da parte delle autorità di vigilanza, costituisce la base per la determinazione dei requisiti di capitale degli intermediari. Con la quarta direttiva si intende trasferire questa tecnica regolatoria anche in materia antiriciclaggio. I risultati di tale autovalutazione sono, poi, trasmessi alle autorità di vigilanza o alle altre autorità competenti, che, verificatane l’appropriatezza, ne tengono conto nella valutazione nazionale dei rischi. Da ultimo, si lega al rischio di riciclaggio l’intensità degli obblighi di adeguata verifica della clientela, inclusa verifica semplificata e rafforzata. Secondo l’impostazione raggiunta con la terza direttiva, il sistema antiriciclaggio si fonda su adeguata verifica della clientela, registrazione/contabilizzazione delle transazioni, segnalazione delle operazioni sospette. L’adeguata verifica include l’identificazione del cliente e del beneficiario effettivo, il monitoraggio costante e continuo del rapporto. Tali obblighi devono essere calibrati in funzione del rischio di riciclaggio associato al cliente e all’operazione. In relazione a talune categorie di clienti o operazioni, poi, sono previste particolare forme di adeguata verifica semplificata o rafforzata. Questo approccio è sostanzialmente confermato anche nella IV Direttiva, la quale, tuttavia, attribuisce agli Stati membri maggiore autonomia, basata sulla valutazione del rischio di riciclaggio, nel determinare i casi in cui richiedere l’adeguata verifica semplificata.