La riforma Gelli e la disciplina della medical malpractice: luci ed ombre di una legge priva di visione d’insieme

La responsabilità sanitaria è oramai il punto di incontro e di scontro di differenti culture e mondi professionali, ognuno dei quali portatore di legittime visioni di problemi e sovente di possibili soluzioni. La legge 8 marzo 2017 n. 24 - di seguito più semplicemente Riforma Gelli - sembra rappresentare la voce di alcuni di questi mondi e dunque di essi si fa portavoce, rappresentandone convinzioni e valori.

Ciò ne determina pregi - per quanto di valido tali mondi hanno diffuso a livello culturale ed operativo - e manifesti limiti, sia di natura giuridica che di approccio, che inducono chi scrive a darne complessivamente un giudizio non del tutto favorevole.

I limiti il doppio binario fra dipendenti e medici liberi professionisti in stabile collaborazione con le strutture sanitarie L’art. 9 l. 8 marzo 2017 n. 24 nel disciplinare il tetto all’azione di rivalsa della Corte dei Conti, del datore di lavoro o della compagnia di assicurazione ex art. 1916 c.c. nei confronti dei professionisti sanitari esclude da tale disciplina i professionisti sanitari di cui all’art. 10.2. Parimenti, i medesimi professionisti non sono i beneficiari di un obbligo assicurativo posto a carico delle strutture sanitarie che invece l’art. 10, comma 1, prevede in favore dei dipendenti. Orbene, se anche si può agevolmente comprendere che il libero professionista non necessariamente debba godere delle medesime tutele di un dipendente, viene da chiedersi se tutti i giovani medici che lavorano in grandi o piccole strutture private con orari predeterminati, utilizzando le medesime strutture dei dipendenti, con una busta paga sovente inferiore a quella di colleghi che svolgono le medesime mansioni, con enormi difficoltà nel reperire una copertura assicurativa ed a sostenerne i costi, debbano necessariamente intraprendere una vertenza giuslavoristica per vedersi equiparati ai propri colleghi ai quali il Legislatore guarda con occhio più benevolo. La disparità di trattamento, anche sotto il profilo del tetto risarcitorio in caso di rivalsa, appare ingiusto nella realtà dei fatti e rischia di aprire contenziosi di diritto del lavoro che non avrebbero avuto altrimenti ragione di esistere.

I limiti l’equivoco assicurativo La scelta di equiparare all’art. 10 l’obbligo assicurativo nei confronti dei dipendenti alle c.d. analoghe misure”, cioè la ritenzione del rischio posto che non se ne intravedono altre possibili, e di prevedere comunque obblighi a senso unico obbligo di assicurarsi per gli assicurandi ma non per le compagnie di assicurare rappresenta una scelta non facilmente comprensibile. Orbene, se tali analoghe misure consistono nell’adozione delle SIR, cioè delle aree di ritenzione del rischio sovente per importi elevati, da € 250.000 in su fino anche al milione di euro, e che costituiscono sovente un palese conflitto d’interesse gestionale del sinistro fra assicurato ed assicuratore , come si può ipotizzare che sia analogo per un dipendente poter disporre di una copertura assicurativa per la quale lui rivesta la qualifica di assicurato ed avere invece - nel caso delle analoghe misure” la presunta garanzia di un soggetto il datore di lavoro che poi esperirà un’azione di rivalsa nei sui confronti? È il tema in sé delle analoghe misure” a risultare totalmente indigesto esso costituisce un equivoco finalizzato a svuotare di significato l’appena introdotto obbligo assicurativo, creando di fatto un obbligo non obbligante” che più che un neologismo sembra una inaccettabile contraddizione. Peraltro l’imposizione - secondo un certo dogmatismo teorico che il Legislatore sembra voler usare per tutte le categorie professionali – dell’obbligo ma non obbligante per le strutture di assicurarsi senza che ad esso corrisponda un pari obbligo ad assicurare da parte delle compagnie, agisce di fatto sul lato della domanda già fortissima proprio dove è invece l’offerta ad essere carente. Il legislatore con il camice si muove come un medico che pretende di curare patologie senza averne compreso le cause. Le cause dell’assenza del mondo assicurativo, la cui presenza viene invocata nella consapevolezza della necessità di fondi economici di cui lo Stato non dispone, derivano non soltanto da indubbi errori gestionali commessi dalle compagnie negli anni passati che hanno reso ingestibile il rischio sanità Si veda sul punto Partenza, L’assicurazione di responsabilità civile in un mercato in evoluzione, in R.C. Gestione, Ritenzione e assicurazione del rischio alla ricerca di una prospettiva integrata, di Brusoni, Trinchero. Marazzi, Partenza, Oasis, 2012 , ma anche da gravi carenze organizzative e gestionali di numerose strutture sanitarie sulle quali anche questa legge trasla tutta la responsabilità con l’obiettivo neppure nascosto di salvaguardare il mondo dei medici dipendenti. Non sembrano dunque mutate allo stato – anzi l’azione diretta le aggrava – le condizioni per un ritorno convinto del mondo assicurativo nel rischio sanità, sicché il Legislatore vorrebbe le assicurazioni al capezzale dell’esangue sistema sanitario, ma l’erba voglio non cresce neppure nel giardino del re.

I limiti l’illusione deflattiva del contenzioso e l’incomprensione delle ragioni dello stesso L’illusoria costruzione processuale dell’accertamento tecnico preventivo ex art. 696- bis c.p.c. come condizione di procedibilità e strumento deflattivo del contenzioso, manifesta ancora una volta la lontananza del Legislatore con il camice da un’effettiva conoscenza del mondo giudiziale e forense. Inoltre la reintroduzione alternativa della mediazione come analoga condizione di procedibilità appare un non senso sotto il profilo processuale e non tanto per l’istituto della mediazione in sé la sua maggiore attrattività rispetto all’accertamento tecnico preventivo in quanto più economico non comportando a differenza della procedura ex art. 696- bis c.p.c. il pagamento del contributo unificato, si scontra con l’impossibilità di giovarsi dei vantaggi normalmente offerti dalla procedura inizialmente prevista come naturale seguito dell’ATP ex art. 696- bis c.p.c, vale a dire il rito ad istruzione sommaria del ricorso ex art. 702- bis . Come potrà infatti un Magistrato negare la CTU a fronte dell’inesistenza di un precedente ATP e di una conseguente relazione tecnica finale del consulente d’ufficio? Quali vantaggi in termini di tempo offra un ATP che molto difficilmente potrà concludersi nei tempi previsti dal Legislatore o una mediazione che imponga alle parti una CTU da svolgere nel giudizio successivo, con buona pace di tempistiche accelerate previste dal procedimento previsto dall’art. 702- bis c.p.c., non è dato comprendere. Ma è sulla finalità deflattiva che il Legislatore sembra non avere compreso la ragione reale della quantità imponente di contenzioso sanitario che sommerge le aule giudiziarie, tentando di sottrarre il più possibile la responsabilità sanitaria al causidico mondo forense per affidarla a giudizi semi arbitrali, verrebbe da dire - per paradosso - in una sorta di outsourcing della giustizia al mondo medico legale come in una forma di autogoverno interno della colpa medica. La realtà processuale e stragiudiziale però smentisce gli assiomi dei teorici aziendali della pax ospedaliera convinti che prevenzione e meccanismi di non colpevolizzazione dei dipendenti che sbagliano siano la soluzione degli errori in sanità e che il diritto del paziente al risarcimento del danno sia una fosforescente medusa che attrae e stimola pretese speculative. A dire il vero, l’esperienza del mondo assicurativo - quando esso era presente sin dal primo euro e non operava la lotteria del danno oscillante sopra e sotto la quota di ritenzione - insegna che solo minime percentuali di reclami meritano di essere potati avanti alla Magistratura, mentre la gran parte potrebbero e dovrebbero trovare una composizione stragiudiziale che le compagnie sistematicamente - sia pure con i loro tempi – garantivano. Ora ciò è reso assai più difficile poiché non vi è struttura pubblica che non abbia quote di ritenzione del rischio, il che significa che qualsiasi transazione raggiunta esporrà il funzionario che coraggiosamente e professionalmente l’abbia attuata ad un giudizio contabile della Corte dei Conti inevitabile dunque affrontare il contenzioso ed appaltare la fase decisionale sull’eventuale malpractice dei colleghi alla Magistratura, magari di secondo grado, magari di legittimità. Ecco quindi che la ritenzione del rischio si trasforma da potenziale strumento di tutela della salute, sia pure per via compensativa, a meccanismo di affollamento delle aule giudiziarie in un contenzioso difensivo che sta prendendo il posto della tanto vituperata medicina difensiva ed il cui valore rischia di essere la resistenza contro ogni evidenza. Né diversa appare la sorte delle strutture private, anch’esse motivate ad una resistenza processuale che offra la possibilità di traslare la colpa e dunque il risarcimento sul professionista ai quali vengono di fatto affidate mansioni aziendali ma contro il quale ci si può rivalere senza il limite di un tetto risarcitorio. Non sono dunque gli strumenti processuali che possono svolgere ruoli deflattivi, ma le parti stesse e su questo punto il Legislatore sembra purtroppo adagiarsi su pregiudizi e luoghi comuni aziendalistici più che su di una effettiva conoscenza delle dinamiche giudiziali. In conclusione. La riforma Gelli - nonostante l’introduzione di spunti e principi innovativi – appare sostanzialmente ispirata ad una lettura parziale dei problemi, incapace di una visione d’insieme che sappia rappresentare le esigenze di tutti i soggetti coinvolti dal mondo dei medici liberi professionisti operanti stabilmente nelle strutture private, alle difficoltà dei cittadini nel vedere riconosciuto il risarcimento del diritto alla salute leso allorché si debbano scontrare con le difficoltà della sanità pubblica, alle esigenze degli assicuratori di avere chiarezza sulla natura stessa delle coperture a fronte degli equivoci tuttora perduranti in tema di efficacia temporale delle garanzie [1] , inidonea - ma chi scrive spera davvero di essere smentito dai fatti - a raggiungere i risolutivi obiettivi di chiarezza auspicati, tesa come appare a rispondere esclusivamente alle comprensibili ansie di una parte del mondo medico che sembra, tuttavia, non avere integralmente compreso il significato dei cambiamenti occorsi nella società e di non avere intenzione di operare un sereno confronto sul punto. Si richiama a questo proposito il tema della meritevolezza della clausola claims made per come evidenziato dalle Sezioni Unite con la nota pronuncia del 6 maggio 2016 numero 9140 In dottrina ex multis si veda Hazan, Claims made cronaca di una morte annunciata? in Insurance Trade.it Tarantino La clausola 'claims made' non è vessatoria ma l'ultima parola spetta al giudice in Diritto & amp Giustizia, 22, 2016, pag. 9. Guarneri Le clausole claims made c.d. miste tra giudizio di vessatorietà e giudizio di meritevolezza in Resp. Civ. e Prev., IV, 2016, pag. 1238 Corrias La clausola claims made al vaglio delle Sezioni Unite un'analisi a tutto campo in Banca Borsa Titoli di Credito, VI 2016, 656 Facci, Le clausole claims made e la meritevolezza di tutela in Resp. Civ. Prev., IV, 2016, 1136B.

I limiti un’ingenua fiducia nelle linee guida ed in una attribuzione di responsabilità secondo criteri predeterminati e meccanicistici Le linee guida intese come riferimento e discrimen dell’operato del sanitario secondo quanto previsto dall’art. 6, poi riprese dall’art. 7 nel suo richiamo al nuovo art. 590- sexties c.p., provengono dalla precedente Legge Balduzzi e rappresentano - in un certo senso – la cartina di tornasole di un mondo professionale asceso al ruolo di legislatore ed ansioso di reperire nuove scriminanti scientifiche che diano serenità operativa anticipata a chi le segua. Una soluzione figlia di un’illuministica fiducia nella scienza e nella chiarezza preventiva che i mondi medico e del risk management non riescono a rinvenire negli aggrovigliati o almeno così percepiti ragionamenti dei giuristi. Ci si dia una linea di condotta e poi la si faccia finita sembra tale norma in qualche modo reclamare ma la giurisprudenza della Suprema Corte è sempre stata molto chiara in questo senso e non c’è ragione di prevedere che muti Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 11 luglio - 19 settembre 2012, n. 35922 . Aspetti civilistici. Sotto un profilo civilistico è davvero difficile immaginare come si possano ipotizzare tante Linee Guida quante sono le ipotesi di responsabilità nella duplice accezione sopra accennata che potrebbero configurarsi e la scelta richiesta al professionista non è certamente quella di adagiarsi su un comportamento burocraticamente determinato, bensì di sapersi anche discostare - allorché il caso lo richieda - da protocolli comportamentali con la capacità di rendere ragione delle proprie scelte. Chi scrive è tuttora convinto dell’inadeguatezza dello strumento delle Linee Guida come parametro di responsabilità, essendo esse originariamente finalizzate all’individuazione delle best practices operative per costituire una base agli inevitabili e sempre auspicati miglioramenti della scienza e non certamente per divenire un parametro di adeguatezza di un comportamento professionale nel caso concreto. Aspetti penalistici. Sotto un profilo penalistico parrebbe poi che l’art. 6, nel suo semplicistico schematismo ispirato a voler seguire la strada di una scriminante buona da essere utilizzata in tutti i casi, in realtà rischi di non sortire gli effetti depenalizzanti auspicati la prassi giudiziale rende infatti molto complesso stabilire se l’errore abbia avuto le caratteristiche della negligenza, dell’imprudenza o dell’imperizia. Ed inoltre, pensare a Linee Guida che seguite parossisticamente si pongano come protezione o giustificazione di qualsivoglia imperizia appare un po’ difficile da immaginare nella prassi anche alla luce del fatto che lo stesso secondo comma rimanda inevitabilmente alla specificità del caso concreto. E poi quante Linee Guida mai potranno essere immaginate e previste per disciplinare le infinite casistiche degli errori? E se un medico discostatosi da esse sul presupposto della specificità del caso concreto dovesse errare per ragioni differenti rispetto all’applicabilità o meno dei protocolli? Sarà punito a differenza di chi pur sbagliando sulle stesse Linee Guida si sia appiattito sul burocratico rispetto di principi generali? La risposta parrebbe inevitabilmente affermativa. Spiace notarlo, ma l’art. 6 non sembra prima facie un invito alla ricerca, alla sperimentazione, all’assunzione consapevole e coraggiosa di autonome responsabilità se questi sono i tanto conclamati rimedi per evitare la medicina difensiva, qualche dubbio sembrerebbe legittimo, ed ancor più singolare parrebbe che non vi sia responsabilità penale - per paradosso - allorché si sia imperiti ma attenti a seguire le raccomandazioni scientifiche.

I pregi la scelta di campo della responsabilità extracontrattuale del medico dipendente dopo l’art. 3 Legge Balduzzi Art. 2043 c.c.? Il lungo dibattito che ha avuto ad oggetto l’art. 3 della Legge Balduzzi sotto il profilo della applicabilità o meno dell’art. 2043 c.c. nei confronti del medico dipendente chiamato in giudizio dal paziente trova finalmente una conclusione. La scelta è chiara, e già questo è un aspetto assolutamente positivo e tutto sommato accettabile dopo un lungo periodo nel quale la tesi assolutamente dominante in giurisprudenza del contatto sociale” [1] ha indubbiamente posto non pochi dubbi sotto un profilo di coerenza con i principi generali codicistici per un’ampia e puntuale disamina si veda Hazan, Zorzit , Responsabilità sanitaria e assicurazione , Milano 2012 . Il Legislatore sceglie la strada a suo tempo privilegiata dal Tribunale di Milano del luglio 2014 Trib. Milano 17 luglio 2014 n. 14320 in sede interpretativa del ben noto art. 3 Legge Balduzzi, chiarendo, onde non vi siano più incertezze né equivoci, che il medico dipendente risponde verso il paziente a titolo extracontrattuale e non contrattuale. La scelta, ovviamente ispirata dal mondo medico che ha visto in tale norma probabilmente con una certa dose di ottimismo neofita di chi all’improvviso si trova a maneggiare il diritto civile la panacea - assieme alla nuova disciplina penale - a tanti timori di responsabilizzazioni per il proprio operato, crea di fatto per il paziente un doppio binario processuale fra azienda sanitaria e medico dipendente. Le critiche a suo tempo mosse contro la Legge Balduzzi per avere introdotto un doppio regime di responsabilità e di oneri probatori all’interno della medesima fattispecie processuale non sembrano tuttavia cogliere nel segno rientra nella normalità del diritto civile che vi siano per il medesimo evento concorrenti titoli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale si pensi ad esempio alla responsabilità extracontrattuale del produttore di un bene difettoso e quella contrattuale del venditore che non abbia prestato la dovuta attenzione nonostante le rilevabilità del difetto, oppure a quella dell’autista di un autobus verso i passeggeri che avevano stipulato un contratto di trasporto con il suo datore di lavoro , sicché il tutto sembra rientrare nell’ortodossia dei meccanismi processuali. Corte di Cassazione 22 gennaio 1999 n. 589 in Danno e Responsabilità 1999, 294 con nota di Carbone La responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da contatto in Resp.Civ. e Prev. 1999, 653 con nota di Forziati La responsabilità contrattuale del medico dipendente il contatto sociale conquista la Cassazione in Foro It. 1999, I, 3332, con nota di Di Ciommo Note critiche sui recenti orientamenti in tema di responsabilità del medico ospedaliero , e di La Notte L’obbligazione del medico dipendente è un’obbligazione senza prestazione o una prestazione senza obbligazione?

I pregi l’attenzione alla gestione del rischio in sanità Fra i punti di merito della Riforma Gelli si può dire che - seppur presenti nella precedente Legge Balduzzi - i temi dell’ hospital risk management sono sicuramente in primo piano al punto che la sicurezza delle cure diviene per il Legislatore un punto strategico, l’obiettivo primario al quale giustamente far riferimento. Responsabilità. Ciò risulta in linea con una moderna visione della responsabilità civile che, abbandonato il concetto di colpa, ha oramai sposato quello della responsabilità, termine questo che evoca due differenti e correlati significati la responsabilità decisionale nell’ambito di un settore a sé affidato e quella per le proprie azioni come conseguenza della preesistente responsabilità di governance di un rischio. Precauzioni. Chi ha la responsabilità di un’attività potenzialmente rischiosa - nonostante la sua utilità sociale - ha il dovere di mettere in atto tutte le precauzioni per prevenire eventi avversi ed è proprio nel rispetto della cultura della prevenzione che si deve considerare socialmente e giuridicamente responsabile chi a tali doveri si sottrae per negligenza, disattenzione o pura assuefazione al rischio. Linee Guida. Questo criterio di attribuzione della responsabilità è proprio di una moderna visione della responsabilità civile ed è correttamente rappresentato da una norma che, in qualche modo, dà contenuto ai principi dell’art. 1176 c.c., fornendo un indirizzo interpretativo e di lettura di comportamenti eventualmente sotto esame della magistratura le scelte operate erano conformi a tali principi guida oltre che alle tanto conclamate Linee Guida? Le prestazioni sanitarie rese sono state ispirate ai principi prevenzionali che in quella situazione dovevano garantire la sicurezza delle cure? Al professionista sanitario e non soltanto a lui, ma anche all’avvocato, al progettista ecc , ed ovviamente alla struttura sanitaria, è sempre più chiesto di rendere trasparente il proprio percorso decisionale rendendo ragione delle proprie scelte ciò significa che per rispettare questo parametro, ciascuno deve abituarsi ad entrare in uno standard comportamentale che in ogni momento sia consapevolmente attento a cosa si fa ed al perché lo si fa. Questa è la base di ciascuna prevenzione avere la governance – o se si preferisce la responsabilità – del proprio ambito di intervento questa è la base della sicurezza delle cure ed opportunamente il Legislatore pone questo tema in primissimo piano.