La colpa medica (civile e penale) a tre anni dalla legge Balduzzi: prime aperture giurisprudenziali

La materia della responsabilità medica, sia in sede civile che penale, è stata ampiamente interessata dall’intervento normativo apportato dal decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni nella legge 8 novembre 2012, n. 189 c.d. legge Balduzzi . L’interesse della letteratura civilistica e penalistica si è concentrato sull’art. 3, comma 1, del decreto legge n. 158/2012, convertito con modificazioni nell’art. 3 della legge di conversione n. 189/2012. Segnatamente tale articolo statuisce che L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo . La disposizione è stata partorita dopo un travagliato iter parlamentare ove la norma è transitata quasi accidentalmente dall’ambito civilistico a quello penale ed aveva il precipuo scopo di determinare i casi di esclusione della responsabilità per danni derivanti dall’esercizio della professione sanitaria”. Sul versante penale, in omaggio al principio di legalità dei reati, sancito anche a livello costituzionale art. 25 Cost. , l’art. 3 avrebbe dovuto delimitare tassativamente l’area della responsabilità ai soli casi di colpa medica grave”, con parziale abolitio criminis nelle ipotesi di colpa lieve”. Senonché la giurisprudenza che si è formata sulla nuova norma sta portando ad una interpretatio abrogans della legge Balduzzi in quanto solo l’imperizia rileverebbe ai fini dell’applicazione dell’art. 3, e non le altre forma di colpa, ossia la negligenza e l’imprudenza. Per queste ultime non sarebbe possibile applicare l’art. 3 con esclusione della responsabilità in caso di colpa lieve. Solo di recente si registrano le prime aperture al consolidato leit motiv giurisprudenziale della supposta limitazione della Balduzzi al solo profilo dell’imperizia nonostante non si riscontri nessun appiglio normativo a tale ulteriore filtro selettivo , ritagliando spazi di non punibilità anche nel caso di diligenza. Anche il versante civilistico è stato interessato dall’art. 3 della legge Balduzzi. Il rinvio all’art. 2043 c.c., norma cardine della responsabilità extracontrattuale, ha riacceso le discussioni in ordine al titolo della responsabilità dei sanitari, con rilevanti conseguenze in ordine all’onere della prova a carico dell’attore in caso di illecito aquiliano a carico anche del medico ove si opti per la natura contrattuale alla responsabilità del medico, con conseguente applicazione dell’art. 1218 c.c. e del termine di prescrizione della relativa azione cinque anni se extracontrattuale, dieci anni se da inadempimento . In questo contributo si analizzeranno gli approdi interpretativi della giurisprudenza civile e penale, partendo proprio dalle applicazioni pratiche della colpa medica dopo la legge Balduzzi nel diritto civile, per poi spostarci alle pronunce delle aule giudiziarie penali.

Il titolo della responsabilità della struttura sanitaria contrattuale. Nell’ambito dell’esercizio dell’attività medica occorre distinguere la responsabilità gravante sulla struttura sanitaria da quella di cui è chiamato a rispondere il singolo medico che, in concreto, ha posto in essere la condotta colposa pregiudizievole per il paziente. Con riguardo alla prima ipotesi di responsabilità, dottrina e giurisprudenza sono sempre state concordi nell’inquadrare la medesima nell’ambito della responsabilità contrattuale, sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto. Si tratta, in particolare, del cosiddetto contratto atipico di spedalità, il cui oggetto consiste sia in prestazioni principali di carattere sanitario che in prestazioni secondarie ed accessorie assistenza, vitto e alloggio . Da ultimo, in merito, Cass. civ.,sez. III, n. 21090/2015 , ha affermato che l’ospedale è tenuto ad adempiere la propria prestazione, oggetto del contratto c.d. di spedialità, con la massima diligenza e prudenza. Il nosocomio, oltre che ad osservare le normative di ogni rango in tema di dotazione e struttura delle organizzazioni d’emergenza, deve tenere poi n concreto, per il tramite dei suoi operatori, condotte adeguate alle condizioni disperate del paziente e in rapporto alle precarie disponibilità di mezzi e risorse, adottando di volta in volta le determinazioni più idonee a scongiurare l’impossibilità di salvataggio del soggetto leso. Se non viene adempiuta quest'ultima condizione, la struttura è responsabile contrattualmente del decesso del paziente nonostante costui sia arrivato in condizioni disperate e siano stati rispettate le istruzioni previste dalla normativa vigente. Responsabilità del medico e contrasto nella giurisprudenza di merito da inadempimento. La giurisprudenza si è ampiamente occupata di comprendere a che titolo risponde il singolo sanitario, che, all’interno di un ente ospedaliero, si occupa di un paziente e gli arreca colposamente un pregiudizio. Prima dell’introduzione dell’art. 3 l. 189/2012, l’indirizzo giurisprudenziale pressoché unanime propendeva per la natura contrattuale, da contatto sociale, della responsabilità del singolo medico, a sua volta solidale con la responsabilità della struttura sanitaria di appartenenza. Dopo l’introduzione della Legge Balduzzi, gran parte dei giudici di merito hanno affermato che la riforma fa salva tutta la precedente elaborazione giurisprudenziale sulla natura contrattuale, ovvero da inadempimento, che occorre riconoscere alla responsabilità del medico, con conseguente piena applicazione dell’art. 1218 c.c Per Trib. Rovereto, 29.12.2013, infatti, il legislatore non è intervenuto sulle fonti delle obbligazioni e, in particolare, sull’art. 1173 c.c. il quale individua non solo il contratto e l’atto illecito ma anche ogni atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico anche le obbligazioni di fonte legale e non solo quelle di fonte contrattuale sono disciplinate dall’art. 1218 c.c. e, per effetto della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale legge n. 833 del 1978 è configurabile un rapporto obbligatorio di origine legale ogni qual volta un paziente si rivolga ad una qualche struttura sanitaria appartenente al servizio per ricevere le cure de caso, indipendentemente dalla conclusione di un contratto in senso tecnico . Argomenti a supporto della responsabilità contrattuale del medico. I giudici di merito, nell’accostare la responsabilità del medico a quella per inadempimento, valorizzano il dato letterale della norma, oltre ad esigenze di coerenza sistematica interna all’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi. Nella seconda proposizione del citato articolo, infatti, il richiamo all’art. 2043 c.c. è preceduto dall'espressione in tali casi”, ed è pertanto limitato espressamente ai casi in cui il medico non risponde penalmente di colpa lieve per essersi attenuto a linee guida accreditate, così come afferma la prima proposizione dello stesso. Dunque, la portata necessariamente circoscritta della disposizione in esame, preclude a priori l’effetto di ricondurre in generale la materia della responsabilità medica nell’alveo dell’illecito aquiliano. D’altra parte, si invoca la ratio dell’art. 3, comma 1 il legislatore sarebbe stato infatti mosso dall'intento di escludere espressamente la responsabilità penale e di precisare che, tuttavia, resta fermo l’illecito civile, per cui il richiamo all’art. 2043. c.c. si giustifica non per la volontà di qualificare come extracontrattuale una responsabilità civile da tempo qualificata dalla giurisprudenza come contrattuale ma, più semplicemente, perché l'omologo civilistico della responsabilità penale, cui fa riferimento l’art. 185 c.p., è senza dubbio la responsabilità extracontrattuale, non quella contrattuale che riposa su distinti presupposti. Il riferimento all’art. 2043 c.c. non sarebbe quindi imputabile a una mera ‘svista del legislatore’, ma tuttalpiù a un fenomeno di ‘associazione concettuale’ tra illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. e danno da reato ex art. 185 c.p Anche per Trib. Milano, Sezione V, n. 13574/2013 La responsabilità del medico ospedaliero – anche dopo l’entrata in vigore dell’articolo 3 l. n. 189/12 – è da qualificarsi come contrattuale. D’altra parte, la presunzione di consapevolezza che si vuole assista l’azione del legislatore impone di ritenere che esso, ove avesse effettivamente inteso ricondurre una volta per tutte la responsabilità del medico ospedaliero e figure affini sotto il solo regime della responsabilità extracontrattuale escludendo così l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1218 c.c. e così cancellando lustri di elaborazione giurisprudenziale, avrebbe certamente impiegato proposizione univoca anziché il breve inciso in commento negli stessi termini, anche la sentenza del tribunale milanese del 18.11.2014 . Anche altri tribunali di merito continuano ad interpretare in chiave contrattuale la responsabilità del sanitario in particolare, Trib. Arezzo 14.2.2013 Trib. Cremona 1.10.2013 . Questa ricostruzione della responsabilità civile del medico, che segue l'oramai consolidata teoria del ‘contatto sociale’, resterebbe dunque immutata in seguito all’entrata in vigore del decreto Balduzzi. Da tale inquadramento della natura della responsabilità civile discendono d'altra parte rilevanti conseguenze favorevoli al paziente-attore, tra le quali la prescrizione decennale e la particolare conformazione dell'onere della prova da inadempimento. La giurisprudenza di merito sulla responsabilità extracontrattuale del medico. All’interno del Tribunale di Milano si è registrata una diversa lettura sull’art. 3, ritenendo invece che con la Legge Balduzzi la responsabilità del medico ospedaliero torna ad essere extracontrattuale, con conseguente insorgere di un contrasto interpretativo. In particolare, nelle sentenze del 17 luglio e 2 dicembre 2014, il Trib. Milano, Sezione I, afferma che Il tenore letterale dell’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi e l’intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del medico e quella degli altri esercenti professioni sanitarie per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d’opera diverso dal contratto concluso con la struttura venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. e che, dunque, l’obbligazione risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano che il danneggiato ha l’onere di provare . In ogni caso l’alleggerimento della responsabilità anche civile del medico ospedaliero”, che deriva dall’applicazione del criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria indicato dalla legge Balduzzi art. 2043 c.c. , non ha alcuna incidenza sulla distinta responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata sia essa parte del S.S.N. o una impresa privata non convenzionata , che è comunque di tipo contrattuale” ex art. 1218 c.c. . Diversi tribunali di merito hanno aderito all’interpretazione sovra esposta segnatamente, il Tribunale di Torino 26.2.2013, secondo cui il legislatore avrebbe dettato una norma che smentisce l’intera elaborazione giurisprudenziale precedente e l’art. 2043 c.c. sarebbe ora la norma a cui ricondurre sia la responsabilità del medico pubblico dipendente, sia finanche quella della struttura pubblica nella quale opera, non essendo ipotizzabile secondo quel giudice un diverso regime di responsabilità del medico e della struttura ed il Tribunale di Varese 26.11.2012 . Peculiare è, invece, la posizione del Trib. Brindisi, 18.7.2014, secondo cui in base al principio della cumulabilità dei rimedi, il danneggiato può agire nei confronti del medico con l’azione extracontrattuale da sola o, in alternativa, a quella contrattuale da contatto sociale. 3.1. Conseguenze. Qualora si propenda per la responsabilità extracontrattuale del medico, oltre all’onere della prova a carico dell’attore in caso di illecito aquiliano e al termine di prescrizione della relativa azione 5 anni , ciò avrebbe importanti conseguenze sugli spazi operativi del diritto di regresso. Per Tribunale, Milano, sez. I, sentenza 31.1.2015, infatti, nel caso in cui la struttura sanitaria adita dal paziente danneggiato, chiami in causa a titolo di regresso il medico libero professionista che in concreto ha svolto la prestazione, la pretesa della medesima è disciplinata dall’art. 2055, commi 2 e 3, c.c., senza che il professionista possa invocare nel caso concreto limitazioni al diritto di rivalsa della struttura sanitaria basate sul contratto collettivo di categoria o sul contratto di collaborazione professionale concluso dalle parti . Il Tribunale, premesso che dopo l’entrata in vigore della legge Balduzzi la responsabilità del medico per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d’opera diverso dal contratto concluso con la struttura è ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., l’obbligazione risarcitoria del medico può scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano. Dal momento che, nel caso in esame, l’attore ha agito in giudizio unicamente nei confronti della struttura sanitaria, la domanda di risarcimento danni non si estende automaticamente al medico terzo chiamato, che non è parte del contratto di spedalità, ma solo uno dei soggetti di cui il debitore struttura sanitaria si è avvalso per eseguire le prestazioni dovute. Invero, la domanda della struttura sanitaria privata nei confronti del medico va ricondotta nel caso concreto al disposto dell’art. 2055 c.c., in base al quale se più soggetti sono responsabili di un unico evento dannoso, tutti sono obbligati in solido al risarcimento del danno nei confronti del danneggiato, a prescindere dal fatto che la fonte della responsabilità risarcitoria sia per tutti di natura extracontrattuale o che invece, come nel caso di specie, taluno sia responsabile per inadempimento di un preesistente rapporto obbligatorio derivante da un contratto concluso con il danneggiato, mentre altri terzi rispetto a tale contratto siano invece tenuti al risarcimento in base alle comuni regole della responsabilità aquiliana, per aver contribuito con la propria condotta illecita alla produzione del danno. L’azione della struttura convenuta, precisa il Tribunale, non si fonda infatti sul rapporto negoziale intercorso con il professionista, bensì sul diritto riconosciuto dall’ordinamento a ciascun corresponsabile di un evento dannoso di agire in regresso nei confronti degli altri per la ripartizione interna, sulla base della gravità delle rispettive colpe e dell’entità delle conseguenze dannose che ne sono derivate art. 2055, comma 2, c.c. . Per la Cassazione la responsabilità del medico rimane contrattuale. All’indomani dell’introduzione della legge Balduzzi, fin dalle prime pronunce la Suprema Corte civile ha affermato, dapprima con un obiter dictum , che L’articolo 3 comma 1 D.L. 158/12, conv. L. 189/12, ha depenalizzato la responsabilità medica in caso di colpa lieve, dove l’esercente l’attività sanitaria si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. L’esimente penale non elide, però l’illecito civile e resta fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 c.c. che è clausola generale del neminem laedere , sia nel diritto positivo, sia con riguardo ai diritti umani inviolabili quale è la salute. La materia della responsabilità civile segue, tuttavia, le sue regole consolidate e non solo per la responsabilità aquiliana del medico ma anche per quella contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale Cass. civ., Sezione III, n. 4040/2013 . Successivamente, la Suprema Corte ha avuto modo di esprimere in modo ancor più chiaro la sua posizione L’art. 3, comma 1, l. 189/2012, là dove omette di precisare in che termini si riferisca all’esercente la professione sanitaria e concerne nel suo primo inciso la responsabilità penale, comporta che la norma dell’inciso successivo, quando dice che resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c., poiché in lege aquilia et levissima culpa venit , vuole solo significare che il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l’irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità di quella natura. La norma, dunque, non induce il superamento dell’orientamento tradizionale sulla responsabilità da contatto e sulle sue implicazioni Cass. civ., sezione VI, ordinanza n. 8940/2014 . La condotta rispettosa delle linee guida non esclude ma ‘attenua’ della responsabilità civile del medico. Il terzo periodo del comma 1 dell’art. 3 L. 189/12 statuisce che Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo la condotta di cui al primo periodo consiste esattamente nella condotta del sanitario rispettosa delle linee guida e delle buone pratiche accreditate presso la comunità scientifica. Ne consegue che se l’esercente la professione sanitaria si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, egli risponde civilmente sia per colpa lieve che per colpa grave, tuttavia, nella determinazione del danno risarcire al paziente, il giudice civile deve tenere conto del fatto che il sanitario si era attenuto alle linee guida ed alle buone pratiche accreditate dalla scienza medica. Dunque, il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche funziona come causa di esclusione della responsabilità penale per colpa lieve e nel contempo come ‘attenuante’ della responsabilità civile, dando vita ad una situazione abbastanza anomala. Tradizionalmente, infatti, la colpa rileva sul piano civilistico ai fine dell’an debeatur e non del quantum, ossia rileva come elemento costitutivo della responsabilità e del diritto al risarcimento dei danni, non come criterio per determinare la somma risarcibile. Conclusioni. Per la Suprema Corte, con l’introduzione della legge Balduzzi, mentre in sede penale l’intervento normativo ha realizzato un fenomeno di parziale abolitio criminis con riferimento alle condotte del medico che, rispettose delle linee guida in materia sanitaria, provochino lesioni ovvero la morte del paziente penalmente, dunque, il sanitario, risponde solo per colpa grave , tale distinzione non si estende alla responsabilità civile, dove il medico che arrechi un pregiudizio al paziente, a prescindere dal difetto di diligenza in cui incorre, risponde sia se abbia rispettato le linee guida sia se non le abbia osservate secondo periodo dell’art. 3, comma 1, legge 189/2012 . Nella determinazione del danno risarcibile al paziente, tuttavia, il giudice deve considerare che il medico si era attenuto alle linee guida e, ciò nonostante, arreca un pregiudizio al paziente terzo periodo dell’articolo 3, comma 1, l. n. 189/2012 . Il richiamo all’art. 2043 c.c., pertanto, implica solo un’attenuazione dei profili civilistici della responsabilità medica, ma ex se non potrebbe essere considerato come espressione dell’intenzione del legislatore di voler superare l’orientamento giurisprudenziale dominante del contatto sociale e della responsabilità sanitaria di tipo contrattuale.

Abolitio criminis parziale. Come ricorda Cass. pen., sez. IV, n. 9923/2015, La consolidata giurisprudenza di questa Corte v. Sezione IV, n. 16327/2013, Cantore , ha affermato che la nuova normativa dell’art. 3 d.l. n. 158/12, conv. l. n. 189/2012, ha dato luogo ad una abolitio criminis parziale degli artt. 589 e 590 c.p. nei confronti dei medici, avendo ristretto l'area del penalmente rilevante individuata da questi ultimi ed avendo ritagliato implicitamente due sottofattispecie, una che conserva natura penale, caratterizzata dalla colpa grave, e l'altra divenuta penalmente irrilevante, caratterizzata dalla colpa lieve . Perché si abbia tale effetto parzialmente abrogativo, tale colpa lieve deve collocarsi all’interno dell'area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica. Dubbi di legittimità costituzionale della norma. Il Tribunale di Milano, IX sezione, 21.3.2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto Balduzzi, nella parte in cui esonera da responsabilità penale l’operatore sanitario anche agente in colpa lieve nell’osservanza delle c.d. guidelines ospedaliere. Molto i profili di illegittimità costituzionale ravvisati in quanto la formulazione, la delimitazione, la ratio essendi , le conseguenze sostanziali e processuali di tale area di non punibilità appaiono stridere con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24, 25, comma 2, 27, 28, 32, 33, 111 Cost In particolare, la formula non risponde penalmente per colpa lieve , sembrerebbe violare gli artt. 3 e 25 Cost., sul mancato rispetto del principio di ragionevolezza e di tassatività perché il legislatore ha ricavato l'area di non punibilità degli esercenti la professione sanitaria trapiantando un grado di colpa sempre parametro di determinazione della pena ai sensi dell’art. 133 c.p. in una equivoca funzione esimente. Inoltre, vi sarebbe un vulnus nel principio costituzionale di colpevolezza ex art. 27 Cost. in quanto il limite della colpa lieve è il punto più debole della normativa in parola sconosciuta al nostro diritto penale la definizione di colpa lieve ex art. 133 c.p. è un grado della colpa da valutare obbligatoriamente per la quantificazione della pena. Ma la Corte Costituzionale, con ordinanza 6 dicembre 2013, n. 295, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione poiché il giudice a quo ha omesso di descrivere compiutamente la fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio e, conseguentemente, di fornire una adeguata motivazione in ordine alla rilevanza della questione e che, quindi, l’insufficiente descrizione della fattispecie concreta impedisce alla Consulta la necessaria verifica della rilevanza della questione, affermata dal rimettente in termini meramente astratti e apodittici. Dopo l’ordinanza in esame, il giudice che intenderà sollevare nuovamente questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto Balduzzi – obbligando i giudici delle leggi ad entrare nel merito” della quaestio – dovrà motivare con particolare cura la rilevanza della questione stessa, nel giudizio a quo, descrivendo la fattispecie concreta in relazione a alla condotta colposa, che dovrà essere realizzata, da soggetto esercente la professione sanitaria, violando regole di perizia b al grado della colpa, nonché al nesso con l’evento c all'esistenza di linee guida o buone pratiche accreditate, proprie del contesto di riferimento. Ambito applicativo culpa levis sine imperitia non excusat. I giudici di legittimità fin dalle prime pronunce si sono soffermati sulla distinzione tra colpa lieve e colpa grave, ritenendo di trovarsi di fronte ad una ‘zona grigia’, vista anche l’assenza di indicazioni da parte del legislatore. Il consolidato orientamento della Suprema Corte penale ritiene che L’art. 3 del d. l. n. 158/2012, convertito in l. n. 189/2012, secondo cui l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve, non riguarda le ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza giacché le suddette linee guida contengono solo regole di perizia Cass. pen., sez. IV, 23.4.2015, n. 16944 . Tale orientamento è stato tracciato dalla sentenza Pagano Sez. IV, 11.3.2013, n. 11493 , confermato subito dopo dalla sentenza Cantore 9.4.2013, n. 16237 , per poi consolidarsi Sez. IV, 22.11.2013, n. 46753 6.3.2014, n. 10929 5.5.2014, n. 18430 21.7.2014, n. 32109 28.8.2014, n. 36347 . Tuttavia, dalla lettera dell’art. 3 non risulta alcuna limitazione di esonero di responsabilità penale all’imperizia, non operando alcuna distinzione in merito alle forme della colpa, posto che la valutazione in ordine alla sua gravità” viene subordinata esclusivamente all’osservanza delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. L’introduzione di questo filtro selettivo non trova alcun appiglio normativo nel dato testuale e, per un verso sembra risentire dell’annoso dibattito sorto in relazione all’art. 2236 c.c. Roiati , per altro si fonda sull’avvertita esigenza di non configurare un’area di ingiustificato privilegio in favore del sanitario che aveva portato anche a sollevare questione di legittimità costituzionale . Inoltre, com’è stato acutamente osservato Piras , la Cassazione ha ritagliato dall’area dell’imperizia una sua parte, che viene incollata erroneamente nelle aree della negligenza e dell’imprudenza quindi un’interpretazione doppiamente restrittiva prima della legge, sul termine colpa e poi del principio, sul termine imperitia. Il principio suona quindi culpa levis sine stricta imperitia non excusat . Aperture della Suprema Corte anche alla diligenza. Al pacifico leit motiv giurisprudenziale che circoscrive la legge Balduzzi alle sole ipotesi di colpa per imperizia, si registra qualche apertura Cass. pen., sez. IV, n. 47289/2014, ha ritenuto che la nuova disciplina, pur trovando terreno d’elezione nell'ambito dell'imperizia, può tuttavia venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell'agente sia quello della diligenza, cioè allorquando siano richieste prestazioni che riguardino la sfera dell’accuratezza dei compiti, magari non particolarmente qualificanti, che quelle dell’adeguatezza professionale . La sentenza riconosce che la nuova normativa non può essere ritenuta applicabile esclusivamente in riferimento ai casi di speciale difficoltà, proprio in virtù dell’assenza di un appiglio testuale su cui fondare tale conclusione. La Cassazione ha ritenuto che nel caso in questione venisse in considerazione senza dubbio una ipotesi di colpa per imperizia ma, al contempo, in virtù delle difficoltà di frequente connesse alla distinzione tra le varie forme di colpa, precisando che le linee guida possono anche individuare regole di condotta rispetto alle quali il parametro valutativo della condotta dell’agente sia quello della diligenza, come nel caso in cui siano richieste prestazioni che riguardino compiti particolarmente qualificanti. La precisazione, per la quale non si riscontrano precedenti, non può ritenersi casuale ed allude alla possibile sussistenza di fattispecie non univoche, in cui viene in rilievo un’attività di spettanza del sanitario che potrebbe qualificarsi come qualificata”, ma al contempo afferisce più all’accuratezza ed alla normale diligenza che alla perizia. Superare la distinzione tra imperizia e le altre forme di colpa. L’orientamento di legittimità dopo la pronuncia n. 47289/14 è tornato a ritenere configurabile l’art. 3 solo ai casi di imprudenza e non di imprudenza e negligenza . Tuttavia la Suprema Corte ha ritenuto di dover tracciare i confini tra l’imperizia e le altre forme di colpa, proprio per cercare di superare tutte quelle decisioni che in presenza di omessi approfondimenti diagnostici avevano configurato negligenza o imprudenza con negazione dell’applicazione della Balduzzi piuttosto come sarebbe stato più corretto che di imperizia. A tale proposito per Cass. pen. n. 16944/15, l’imprudenza consiste nella realizzazione di un’attività positiva che non si accompagni nelle speciali circostanze del caso a quelle cautele che l’ordinaria esperienza suggerisce di impiegare a tutela dell’incolumità e degli interessi propri ed altrui mentre rientra nella nozione di imperizia il comportamento attivo od omissivo che si ponga in contrasto con le regole tecniche dell’attività che si è chiamati a svolgere. Da queste premesse, per la Corte correttamente era stata qualificata come imprudente” la condotta del sanitario imputato che, durante l’inserimento della guida metallica di un catetere, aveva fatto un uso eccessivo – quindi imprudente – della forza a fronte di una situazione di pervietà che avrebbe dovuto indurre a modalità più prudenziali mentre si sarebbe dovuto discutere di imperizia solo se al sanitario fosse stata contestata la violazione delle regole tecniche disciplinanti l’inserimento del catetere. Tuttavia, anche questo caso dimostra come i confini tra la perizia e le altre forme di colpa sono labili e difficili da cucire ai casi pratici ed in questa direzione si auspica che la giurisprudenza, seguendo il percorso iniziato con la sentenza n. 47289/2014, muti l’orientamento interpretativo finora dominante, ritenendo la distinzione tra negligenza, imprudenza e imperizia non dirimente rispetto alla già ristretta sfera di applicazione della legge Balduzzi. Le linee guida caratteristiche sulle loro definizione e affidabilità. Restando nell’alveo letterale dell’art. 3 della l. n. 189/2012, la valutazione in ordine alla sua gravità” della colpa viene allora subordinata esclusivamente all’osservanza delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. In merito, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che nell’applicazione dell'art. 3, con riferimento alle linee guida, è necessario valutare le caratteristiche del soggetto o della comunità che le ha prodotte, la sua veste istituzionale, il grado di indipendenza da interessi economici condizionanti. Rilevano altresì il metodo dal quale la guida è scaturita, nonché l'ampiezza e la qualità del consenso che si è formato attorno alla direttiva. Ciò in quanto le linee guida presentano varietà delle fonti, diverso grado di affidabilità, diverse finalità specifiche, metodologie variegate, vario grado di tempestivo adeguamento al divenire del sapere scientifico. Alcuni documenti provengono da società scientifiche, altri da gruppi di esperti, altri ancora da organismi ed istituzioni pubblici, da organizzazioni sanitarie di vario genere. La diversità dei soggetti e delle metodiche influenza anche l'impostazione delle direttive alcune hanno un approccio più speculativo, altre sono maggiormente orientate a ricercare un punto di equilibrio tra efficienza e sostenibilità altre ancora sono espressione di diverse scuole di pensiero che si confrontano e propongono strategie diagnostiche e terapeutiche differenti. Tali diversità rendono subito chiaro che, come si è accennato, per il terapeuta come per il giudice, le linee guida non costituiscono uno strumento di precostituita, ontologica affidabilità sentenza Cass. pen., sez. IV, n. 16237/2013 . Ancor più a monte, prima ancora del giudizio di affidabilità, va però rimarcata la necessità di definire il tipo linee guida”, al fine di evitare che si propongano come tali documenti di tutt'altro genere memorandum destinati ad un ristretto numero di soggetti, indicazioni a fini didattici, programmi operativi in fase di ideazione o di sperimentazione e così seguitando Cass. pen., sez. IV, 23.9.2013, n. 39165 . Il rispetto delle best practices non basta ad escludere la penale responsabilità del medico. Passando all’osservanza delle linee guida e delle prassi terapeutiche, Cass. pen., sez. IV, n. 9923/15 afferma L’articolo 3 della legge n. 189 del 2012, per come costruita e come interpretata già da questa Corte, appare porre un limite alla possibilità per il giudice di sancire la responsabilità del medico che abbia rispettato le linee guida e le best practices nel senso che potrebbe pur sempre essere riconosciuta la responsabilità penale del medico per omicidio e lesioni personali che si sia attenuto ad esse, ma ciò solo allorché invece avrebbe dovuto discostarsene in ragione della peculiare situazione clinica del malato e questo non abbia fatto per colpa grave”, quando cioè la necessità di discostarsi dalle linee guida era macroscopica, immediatamente riconoscibile da qualunque altro sanitario al posto dell'imputato. È noto che per aversi colpa grave occorre che il medico si sia altamente discostato dallo standard di agire dell’ agente modello”, avendo attenzione alle peculiarità oggettive e soggettive del caso concreto. Così, sotto il primo profilo, non si potrà mancare di valutare la complessità, l’oscurità del quadro patologico, la difficoltà di cogliere e legare le informazioni cliniche, il grado di atipicità o novità della situazione data. Neppure si potrà trascurare la situazione nella quale il terapeuta si sia trovato ad operare l’urgenza e l’assenza di presidi adeguati rendono infatti difficile anche ciò che astrattamente non è fuori dagli standard. Così, sotto il profilo soggettivo”, per determinare la misura del rimprovero, bisognerà considerare le specifiche condizioni dell'agente, cosicché, sulla base del principio secondo cui tanto più è adeguato il soggetto all'osservanza della regola tanto maggiore deve ritenersi il grado della colpa, l’inosservanza della norma terapeutica avrà un maggiore disvalore per un insigne specialista che per un comune medico generico. In definitiva, potendosi configurare la colpa grave” nel caso dell'errore inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell'uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell’atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza, che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria . Necessità per il medico di produrre” le linee guida. Sul piano processuale, infine, recentemente la Suprema Corte ha ricordato che per avvalorare l’assunto concernente l’avvenuto rispetto delle regole di diligenza e dei protocolli ufficiali è necessaria l’allegazione delle linee guida alle quali la condotta del medico si sarebbe conformata. L’allegazione si rende necessaria ai fini della verifica della correttezza e scientificità delle stesse solo nel caso di linee guida conformi alle regole della migliore scienza medica è possibile, infatti, utilizzare le medesime come parametro dell’accertamento dei profili di colpa ravvisabili nella condotta del medico e attraverso le indicazioni delle stesse fornite sarà possibile al giudicante valutare la conformità ad esse della condotta del medico al fine di escludere profili di colpa Cass. pen., sez. IV, n. 40708/2015 .