La riforma Letta-Giovannini è legge

Sulla Gazzetta Ufficiale del 22 agosto 2013 è stata pubblicata la legge n. 99 del 2013, con la quale è stato convertito, con modificazioni, il decreto legge 28 giugno 2013, n. 76, rinominato decreto lavoro , recante – tra gli altri – primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile .

L’obiettivo dichiarato, ancora una volta, è quello di favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, nella prospettiva di un più generale rilancio dell’economia italiana. E così, a distanza di un anno dalla c.d. legge Fornero – a suo tempo indicata come la madre di tutte le riforme” – il legislatore è intervenuto nuovamente sul diritto del lavoro, cercando nuove formule per favorire l’incontro tra domanda e offerta. Le novità, per quanto mirate e settoriali, incidono trasversalmente sul fronte delle modalità di ingresso nel mercato del lavoro, introducendo incentivi ed elementi di flessibilità. In particolare, tra le misure più significative del decreto lavoro meritano di essere segnalate quelle in materia di apprendistato e tirocini, lavoro a tempo determinato, distacco, lavoro accessorio, lavoro intermittente, lavoro a progetto, associazione in partecipazione, dimissioni e licenziamenti.

Tra le tante novità della riforma Letta-Giovannini, si segnalano quelle in tema di associazione in partecipazione, vale a dire il contratto per mezzo del quale l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari, verso il corrispettivo di un determinato apporto. Salta il limite numerico per le imprese con finalità mutualistiche. In sede di conversione del decreto legge n. 76/2013, il legislatore ha previsto un’importante deroga alla disciplina limitativa dell’associazione in partecipazione, stabilendo che le disposizioni di cui all’art. 2549, comma 2, c.c., non si applicano, limitatamente alle imprese a scopo mutualistico, agli associati individuati mediante elezione dell’assemblea il cui contratto sia certificato , nonché in relazione al rapporto fra produttori e artisti, interpreti, esecutori, volto alla realizzazione di registrazioni sonore, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento art. 7, comma 5 . Rispetto a tali categorie di soggetti, pertanto, non trova applicazione il limite massimo di tre associati con apporto di lavoro introdotto dalla riforma Fornero. Al via la stabilizzazione degli associati con apporto di lavoro. Sempre in tema di associazione in partecipazione, il decreto lavoro, nel testo modificato in sede di conversione, prevede una procedura finalizzata alla stabilizzazione dell’occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato art. 7 bis . Tale procedura è subordinata alla stipula di contratti collettivi, nel periodo 1º giugno-30 settembre 2013, tra aziende e associazioni di qualsiasi livello dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale detti contratti devono prevedere l’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato anche mediante contratti di apprendistato o ricorrendo ad eventuali benefici previsti dalla legislazione ” , entro tre mesi dalla loro stipulazione, di soggetti già parti, in veste di associati, di contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro . Come chiarito dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 35 del 29 agosto 2013, l’accesso alla procedura di stabilizzazione è consentito anche alle aziende che siano destinatarie di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali non definitivi concernenti la qualificazione dei pregressi rapporti. Parimenti, per quanto riguarda i lavoratori, ciò che conta è che si tratti di soggetti già parti, in veste di associati, di contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro , a prescindere dalla circostanza che, rispetto agli stessi, siano pendenti accertamenti ispettivi o siano stati adottati provvedimenti amministrativi o giurisdizionali non definitivi. Escluso il licenziamento per motivi economici degli associati stabilizzati almeno per i primi 6 mesi. La riforma Letta-Giovannini ha rafforzato ulteriormente le previsioni volte alla stabilizzazione di questa categoria di lavoratori, escludendo espressamente, per i primi sei mesi dall’assunzione, la possibilità che i datori di lavoro possano recedere dal rapporto di lavoro per ragioni diverse dalla giusta causa o dal giustificato motivo soggettivo. Nel complesso, appare evidente il tentativo del legislatore di mediare tra elementi di flessibilità ed esigenze di tutela da una parte, infatti, vengono rimossi solo per le imprese a scopo mutualistico i limiti introdotti dalla riforma Fornero dall’altra, si spinge l’autonomia collettiva a favorire la stabilizzazione di tale tipologia di lavoratori.

Il decreto lavoro introduce significative novità anche in tema di licenziamenti e dimissioni, soprattutto dal punto di vista procedurale. Procedura di conciliazione in caso di licenziamento precisato l’ambito di operatività. Al fine di rimuovere alcune incertezze interpretative, la riforma esclude espressamente l’applicabilità della procedura di conciliazione in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all’art. 2110 c.c., e per i licenziamenti e le interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all’art. 2, comma 34, della legge Fornero. Si tratta delle medesime ipotesi in cui non è dovuto il c.d. contributo per interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, cioè, i licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro in attuazione delle c.d. clausole sociali , e le interruzioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato nel settore delle costruzioni edili per completamento delle diverse fasi lavorative e chiusura del cantiere. Altro importante chiarimento introdotto dal decreto lavoro è quello secondo il quale, se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di sette giorni per la trasmissione, da parte della Direzione Territoriale del Lavoro, della convocazione al datore di lavoro e al lavoratore, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore , mentre la mancata presentazione di una o entrambe le parti al tentativo di conciliazione è valutata dal giudice ai sensi dell’articolo 116 del codice di procedura civile . Estesa ai lavoratori parasubordinati la disciplina sulle dimissioni in bianco . La riforma Letta-Giovannini, inoltre, estende la procedura di convalida delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro e delle dimissioni alle lavoratrici e ai lavoratori impegnati con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto con espressa esclusione delle prestazioni occasionali e delle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali ed alle lavoratrici e ai lavoratori impegnati con contratti di associazione in partecipazione di cui all’art. 2549, comma 2, c.c Anche per tali categorie di lavoratori, pertanto, trovano applicazione le garanzie in tema di dimissioni in bianco tale misura risulta quanto mai opportuna, dal momento che il ricorso a tali tipologie contrattuali molte volte può risolversi, come è noto, in rapporti di lavoro aventi i caratteri sostanziali della subordinazione.

Il decreto lavoro apporta significative novità anche in materia di distacco, lavoro accessorio e lavoro intermittente, introducendo elementi di flessibilità per i primi due istituti e limiti per il terzo. Contratto di rete favorito il distacco . Il decreto lavoro interviene sull’istituto del distacco, sotto due profili art. 7, comma 2 . In primo luogo, viene configurato automaticamente l’interesse del distaccante al distacco qualora ciò avvenga nell’ambito di un contratto di rete in questo modo, ai fini della verifica dei presupposti di legittimità del distacco, basterà verificare l’esistenza di un contratto di rete tra distaccante e distaccatario. In secondo luogo, la riforma Letta-Giovannini introduce la codatorialità” dei dipendenti ingaggiati con le regole stabilite attraverso il contratto di rete ne deriva che, in relazione ai dipendenti distaccati, il potere direttivo potrà essere esercitato da ciascun imprenditore che partecipa al contratto di rete. Sul piano di eventuali responsabilità penali, civili e amministrative, non si configura automaticamente una solidarietà tra tutti i partecipanti al contratto, ma occorrerà individuare le responsabilità di ciascuno, alla luce dei contenuti del contratto di rete. Lavoro accessorio l’occasionalità delle prestazioni è irrilevante. Il decreto lavoro, poi, conferma esplicitamente l’orientamento precedente espresso dal Ministero del Lavoro in materia di lavoro accessorio, specificando che la legittimità del ricorso a tale istituto va verificata esclusivamente sulla base dei limiti di carattere economico, fatte salve le peculiarità proprie del settore agricolo e del lavoro prestato nei confronti di un committente pubblico art. 7, comma 2 . È stato così eliminato l’inciso di natura meramente occasionale che contraddistingueva le prestazioni di lavoro accessorio escludendo che le prestazioni debbano avere natura meramente occasionale , si amplia l’ambito applicativo dell’istituto, che può così essere utilizzato per qualsiasi prestazione, ovviamente sempre che siano rispettati gli stringenti limiti di valore previsti dalla legge. Contingentato il ricorso al lavoro intermittente . Il decreto lavoro introduce nuovi vincoli in tema di lavoro intermittente o a chiamata art. 7, commi 2 e 3 , cioè su quei contratti di assunzione che permettono alle aziende di reclutare del personale in maniera saltuaria, per effettuare delle prestazioni discontinue. Più precisamente, la riforma Letta-Giovannini stabilisce che il ricorso a tale tipologia contrattuale è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle quattrocento giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari la ratio di questo limite è quella di evitare un utilizzo stabile di un contratto che, per sua natura, dovrebbe servire a coprire solo fabbisogni episodici. In caso di superamento del predetto periodo, il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. Per espressa previsione normativa, il vincolo delle quattrocento giornate di effettivo lavoro non trova applicazione nei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo. Inoltre, si proroga al 1° gennaio 2014 il termine a partire dal quale cessano di produrre effetti i contratti di lavoro intermittente già sottoscritti alla data di entrata in vigore della legge Fornero, che non siano compatibili con le modifiche introdotte.

A distanza di meno di un anno dalla Riforma Fornero, il decreto lavoro è intervenuto in maniera incisiva sul contratto a tempo determinato, sconfessando, almeno in parte, le scelte fatte dal legislatore del 2012. Le misure introdotte dalla riforma Letta-Giovannini mirano ad incentivare il ricorso a tale istituto, attraverso un’ulteriore flessibilizzazione della disciplina. Gli accordi collettivi possono estendere l’acausalità. Il decreto lavoro interviene, innanzitutto, sulla disciplina del contratto a termine acausale art. 7, comma 1 , stabilendo che le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo non sono richieste a nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi comprensiva di eventuale proroga, sia che si tratti di un contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato b in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. A differenza della precedente disciplina, viene specificato che la durata massima di dodici mesi del contratto acausale è comprensiva di eventuale proroga prima esclusa , ma, soprattutto, si consente alla contrattazione collettiva, anche a livello aziendale, di integrare significativamente la disciplina legislativa al fine di estendere il ricorso al contratto acausale, prevedendo, ad esempio, una durata superiore a dodici mesi ovvero la possibilità che il contratto possa essere sottoscritto anche da soggetti che abbiano precedentemente avuto un rapporto di lavoro subordinato. In questo modo, vengono superati i paletti quantitativi e di materia imposti all'autonomia collettiva dalla Riforma Fornero. Il contratto acausale può essere prorogato. Con l’abrogazione dell’art. 4, comma 2- bis , d.lgs. n. 368/2001, il decreto lavoro consente oggi la proroga dei contratti a tempo determinato acausali, i quali potranno avere, comunque, una durata massima complessiva di dodici mesi fermo restando il ricorso ai c.d. periodi cuscinetto . La proroga può riguardare anche i contratti sottoscritti prima dell’entrata in vigore della riforma Letta-Giovannini, ma evidentemente non ancora scaduti. Quanto ai periodi cuscinetto, il decreto lavoro stabilisce che i contratti acausali potranno avere una durata massima di dodici mesi e cinquanta giorni, superati i quali gli stessi si trasformeranno in normali contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il decreto lavoro accorcia gli intervalli tra due contratti a termine. Al dichiarato fine di limitare il turn-over dei dipendenti interinali, la riforma Letta-Giovannini ha cancellato le novità introdotte, sul punto, dalla legge Fornero, riportando gli intervalli tra due contratti a termine a dieci o venti giorni, a seconda che il primo contratto abbia una durata fino a sei mesi ovvero superiore a sei mesi la legge n. 92/2012 fissava, invece, una pausa obbligatoria, rispettivamente, di sessata e novanta giorni. L’obbligo di rispettare tali intervalli non trova applicazione in relazione ai lavoratori stagionali e nelle altre ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

A distanza di poco meno di un anno, il legislatore è intervenuto nuovamente in materia di apprendistato e tirocini, confermando la volontà politica di rilanciare i contratti a contenuto formativo, nell’ottica di un maggiore allineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro e di una migliore integrazione tra istruzione/formazione e mercato del lavoro. Più puntuali le norme in materia di formazione. Tra le varie tipologie di apprendistato, il decreto lavoro ha privilegiato gli interventi sull’apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, caratterizzato da una netta prevalenza della formazione pratica on the job rispetto a quella teorica. La riforma Letta-Giovannini affida alla Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni il compito di adottare, entro il 30 settembre 2013, di linee guida volte a disciplinare il contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, anche in vista di una disciplina maggiormente uniforme sull’intero territorio nazionale dell’offerta formativa pubblica art. 2, comma 2, d.l. n. 76/2003 . Anche in deroga alle disposizioni del Testo Unico dell’apprendistato, le linee guida potranno prevedere, in particolare, che a il piano formativo individuale sia obbligatorio esclusivamente in relazione alla formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche e quindi alla formazione disciplinata dalla contrattazione collettiva b la registrazione della formazione e della qualifica professionale a fini contrattuali eventualmente acquisita sia effettuata in un documento avente i contenuti minimi del modello di libretto formativo del cittadino di cui al D.M. 10 ottobre 2005 c nel caso di imprese multi localizzate, la formazione avvenga nel rispetto della disciplina della Regione ove l’impresa ha la propria sede legale. A partire dal 1° ottobre 2013, in assenza della adozione delle linee guida, tali indicazioni troveranno, comunque, diretta applicazione in relazione alle nuove assunzioni. Il decreto lavoro favorisce il passaggio all’apprendistato p rofessionalizzante. Sempre in materia di apprendistato, il decreto lavoro stabilisce che, successivamente al conseguimento della qualifica o diploma professionale, allo scopo di conseguire la qualifica professionale ai fini contrattuali, è possibile la trasformazione del contratto in apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere in tal caso, la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non può comunque eccedere quella individuata dalla contrattazione collettiva art. 9, comma 3, d.l. n. 76/2003 . Tale disposizione può trovare applicazione in relazione ai contratti di apprendistato per la qualifica o diploma professionale in corso alla data di entrata in vigore del decreto lavoro” ed il cui periodo formativo non sia ancora scaduto, ma esclusivamente nell’ipotesi in cui il contratto collettivo applicato abbia individuato la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato . Con questa misura, il legislatore ha inteso favorire, con ogni evidenza, il passaggio dei giovani dalla fase dedica all’assolvimento dell’obbligo di istruzione e formativo a quello dell’effettiva esperienza lavorativa. Le novità in materia di tirocini. In fase di conversione, il legislatore ha inteso semplificare il ricorso ai tirocini formativi e di orientamento, stabilendo che i datori di lavoro pubblici e privati con sedi in più Regioni possono fare riferimento alla sola normativa della Regione dove è ubicata la sede legale e possono altresì accentrare le comunicazioni di cui all’articolo 1, commi 1180 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, presso il Servizio informatico nel cui ambito territoriale è ubicata la sede legale art. 2, comma 5- bis , d.l. n. 76/2003 . In ogni caso, come chiarito dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 35 del 29 agosto 2013, trattandosi di una mera facoltà per i datori di lavoro, rimane sempre possibile osservare, in relazione al luogo di svolgimento del tirocinio, la specifica disciplina regionale.

Il decreto lavoro apporta rilevanti modifiche al d.lgs. n. 276/2003 c.d. Legge Biagi in tema di collaborazioni coordinate e continuative a progetto art. 7, commi 2 e 2- bis , sciogliendo alcuni nodi interpretativi sorti, in particolare, a seguito dell’entrata in vigore della Riforma Fornero. Legittimo il ricorso ai co.co.pro. anche per prestazioni meramente esecutive o ripetitive. Con la riforma Letta-Giovannini, la formulazione della norma che escludeva la possibilità di usare questo tipo di contratti per lo svolgimento di compiti esecutivi o ripetitivi è stata trasformata in esecutivi e ripetitivi in questo modo, il legislatore ha significativamente ampliato la possibilità di ricorrere a tale istituto, consentendo la stipula di contratti di lavoro a progetto anche in relazione a mansioni che difficilmente risulterebbero inquadrabili nell’ambito del lavoro autonomo secondo i tradizionali indici. In ogni caso, l’attuale formulazione evidenzia l’incompatibilità dell’istituto con attività che si risolvano nella mera attuazione di quanto impartito dal committente compiti meramente esecutivi e che, al tempo stesso, risultino elementari, cioè tali da non richiedere specifiche indicazioni di carattere operativo compiti meramente ripetitivi . La ricerca prosegue? Il contratto si prolunga automaticamente . Il decreto lavoro, poi, nel confermare l’interpretazione precedentemente fornita dal Ministero del Lavoro, precisa che, se il contratto ha per oggetto un’attività di ricerca scientifica e questa viene ampliata per temi connessi o prorogata nel tempo, il progetto prosegue automaticamente. La durata determinata o determinabile della prestazione di lavoro è, dunque, intimamente connessa all’oggetto della ricerca se questa viene ampliata o prorogata nel tempo, si verifica un automatico ampliamento” dello stesso progetto, che legittima la prosecuzione dell’attività del collaboratore senza particolari formalità. Lavoro a progetto ecco i chiarimenti del legislatore . La riforma Letta-Giovannini fornisce, poi, ulteriori precisazioni in ordine ad alcuni punti della disciplina vigente. In particolare, viene confermato che il ricorso al lavoro a progetto è ammesso, attraverso call-center outbound , sia per le attività di vendita diretta di beni, sia per le attività di servizi. Parimenti, viene ribadito che, nel contratto a progetto, la forma scritta costituisce elemento di legittimità dello stesso forma scritta ad substantiam conseguentemente, la mancanza di tale elemento viene sanzionata con la trasformazione del rapporto in un normale” lavoro subordinato a tempo indeterminato.