Usura e mora a due mesi dalla pronuncia delle Sezioni Unite civili. Un vero scossone?

Un contratto di mutuo può decampare in usura anche per sproporzione degli interessi moratori. È scritto nell’art. 644 c.p. o forse no, stando a una giurisprudenza ondivaga che non ha trovato ancora pace nella lettura delle norme.

Rimedio all’usura è in ogni caso la nullità della clausola relativa agli interessi, ex art. 1815, comma 2, c.c. o forse no. In particolare, si dubita che l’usurarietà degli interessi moratori travolga tutti gli interessi contrattuali, definendo una retrocessione al mutuatario di tutte le somme che eccedano la restituzione del capitale. E fu sera e fu mattina a piazza Cavour c’è un giudice demiurgo che, dissociandosi dalla lex scripta e astraendosi dai fenomeni, ha previsto per l’usura nella mora nuovi modelli di calcolo , in uno all’intangibilità del guadagno della banca che pratica usura vale a dire, gli interessi corrispettivi vanno corrisposti anche se l’indice dei moratori è ultrasoglia il superamento della soglia, in tal modo, colpirebbe solo la pattuizione relativa al ritardo nei pagamenti, e sempre che a fronte del ritardo ci siano state rimesse da parte del mutuatario . La sentenza a Sezioni Unite n. 19597/20 , depositata in data 19 settembre, dice questo e molto di più il messaggio forte è lo sradicamento di alcuni contenuti ormai acquisiti alla letteratura specialistica di più, implicazioni in chiave sistemica trascendono l’ hortus conclusus di una piccola periferia dell’ordinamento giuridico. I temi all’indice erano tanto numerosi, le risposte appaiono tanto deludenti. Un’ansia anticipatoria? Di certo i contenuti del provvedimento non sono all’altezza delle attese diffuse tra operatori ed esperti del settore. Già all’indomani della sentenza, le argomentazioni delle Sezioni Unite non sono apparse irresistibili. Quanto all’idea forte” che l’usurarietà degli interessi moratori non pregiudichi il diritto della banca a percepire gli interessi corrispettivi , nel merito affiorano già dubbi è il Tribunale di Catania a rilevare che il vero problema è quale sia la sorte degli interessi del contratto di mutuo in caso di interessi di mora usurari applicazione comunque degli interessi corrispettivi convenzionali pattuiti tra le parti ovvero eliminazione di qualunque interesse Trib. Catania, sez. IV, 15-21 ottobre 2020 . Altra idea forte” è che la rilevanza degli interessi moratori dipenda dal pagamento effettivo degli stessi, ma anche su questo i dubbi post Cassazione sono documentati è il Tribunale di Chieti in tema di estinzione anticipata a precisare che ai fini del vaglio di usurarietà le parti stabiliscono quale è il costo complessivo del credito stesso, sia per ipotesi fisiologiche del rapporto interessi corrispettivi sia per ipotesi di patologia del rapporto la mora del debitore e i relativi interessi sia per ipotesi  non patologiche  di consentita rimodulazione dei tempi di attuazione del rapporto stesso Trib. Chieti, 12 novembre 2020 . Per i più diffidenti, poi, c’è da dubitare della limpidezza del Supremo Collegio, che nell’ordinanza della Sez. 3 n. 24992 del 20 luglio 2020, depositata in data 9 novembre 2020, cita magicamente” le Sezioni Unite del 19 settembre 2020 a piazza Cavour si legge il futuro.

Accertamento del TEG sulla singola operazione di Iole Di Benedetto Per la conformità all'art. 644 comma 5 c.p., e per l’affrancamento dalla pretesa efficacia precettiva delle Istruzioni della Banca d'Italia, serve un nuovo intervento delle Sezioni Unite. Prospettazione utopistica o probabilistica di una rigenerata funzione nomofilattica per l'interprete? L'art. 1, comma 1, del d.l. numero 394/00, convertito dalla l. numero 24/01 legge di interpretazione autentica della l. numero 108/96 , dispone che ai fini dell'applicazione dell’art. 644 c.p. e dell'art. 1815, comma 2, c.c. si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo indipendentemente dal momento del loro pagamento , val quanto dire che la sola promessa di un elemento di costo del credito, ivi compreso, dunque, il tasso di mora non può non riverberarsi sull'equilibrio del contratto. Negli ultimi anni, la giurisprudenza di legittimità ha avallato l’impostazione suggerita dal dettato normativo per la quale gli interessi moratori andassero computati nel TEG al fine di valutare il rispetto della normativa antiusura mediante il confronto tra il tasso effettivo globale determinato per quella operazione di finanziamento e il tasso soglia usura della medesima categoria di operazione al fine di accertare, in caso di suo superamento, l’usurarietà degli interessi pattuiti. Diversamente, la giurisprudenza di merito ha posto orientamenti piuttosto ondivaghi sia sulla possibilità di considerare e computare gli interessi moratori nella determinazione del TEG del contratto ai fini della verifica dell'usura -anche ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c.-, sia sulla modalità di computo di detti interessi. Alcune pronunce hanno sostenuto, in particolare, che gli interessi di mora in ragione della loro speciale natura non andassero o andassero computati nel TEG, a seconda se il contraente fosse risultato in mora [cfr. ex plurimis Tribunale di Torino sent. numero 1133/99 Trib. di Tivoli sent. numero 409/19] altre, viceversa, hanno ritenuto che gli interessi di mora andassero computati nel TEG, divergendo ulteriormente sui criteri di considerazione di tale tasso, nel senso di computare l’interesse di mora in un unico tasso effettivo globale oppure autonomamente e, in tal caso, di confrontare separatamente il TAEG con il tasso soglia e il tasso di mora con il tasso soglia [cfr. Tribunale di Pescara sent. numero 557/19] o con il TEGM [cfr. Tribunale di Bologna sent. N. 20222/18]. Ed ancora, altra parte della giurisprudenza , ha ritenuto di applicare i punti percentuali della maggiorazione di mora sul tasso soglia, quale esito dell’indagine statistica condotta dalla Banca d'Italia, motivando tale computo sull’omogeneità esistente tra i tassi TEGM e TEG orientamento, quest’ultimo, recepito dalle Sezioni Unite nella pronuncia N. 19597/2020. Gli Ermellini, chiamati a dirimere la spinosa questione della rilevanza degli interessi moratori ai fini della disciplina di contrasto all’usura , hanno esercitato la relativa funzione nomofilattica mediante la valorizzazione del principio di omogeneità per il quale le componenti considerate nel TEGM sono le medesime utilizzate per calcolare il TEG . Tuttavia, l’auspicato arresto delle Sezioni Unite, proprio con riguardo a tale specifica questione, non è parso affatto chiarificatore né risolutivo per il variegato panorama giurisprudenziale connotato dalla più assoluta incertezza in materia. Invero, per aggirare il nodo rappresentato dalla mancata inclusione nel TEGM dello spread di mora , la Cassazione ha necessariamente dovuto procedere ad un rafforzamento dell’efficacia delle rilevazioni statistiche effettuate dalla Banca d’Italia non certamente paragonabile all’efficacia dei d.m. previsti dalla l. numero 108/1996, in quanto le prime sono raccolte secondo criteri non coincidenti con i criteri imposti per la rilevazione del TEGM. Detti elementi pur essendo, pertanto, chiaramente disomogenei -e perciò non funzionali ai fini del rilevamento dei tassi sono stati ugualmente considerati dalla Corte al fine di determinare un TSU specifico per il saggio degli interessi di mora. Opinando in tal modo, gli Ermellini hanno disatteso il dettame legislativo di cui all’art. 2, comma 1, l. numero 108/1996 secondo il quale la rilevazione dei tassi medi deve avvenire per operazioni della stessa natura , ovvero della medesima categoria contrattuale. Ma il patto di interessi moratori convenzionali ultralegali non può certo definirsi un’operazione, né, tanto meno, una tipologia contrattuale! Il decreto ministeriale, ovviamente, non rileva e non può rilevare la misura media degli interessi convenzionali di mora, visto che è la legge ad imporre al ministro del tesoro la rilevazione dei tassi di interessi omogenei per tipo di contratto , e non dei tassi di interesse omogenei per titolo giuridico. Pertanto, se la l. numero 108/1996, non ha previsto l'obbligo di rilevazione del saggio convenzionale di mora medio è perché quest’ultimo non deve essere rilevato non perché agli interessi di mora non si applichi la legge antiusura ma, semplicemente, perché la legge fondata sul criterio della rilevazione dei tassi medi per tipo di contratto è incompatibile con la rilevazione dei tassi medi per titolo giuridico è la l. numero 108/1996 a pretendere che le rilevazioni trimestrali debbano effettuarsi per categorie di operazioni e non per tipologie di interessi. Ma, pur ignorando tale osservazione –altrettanto postulante un intervento chiarificatore il problema si concentrerebbe comunque sull’ipotesi in cui non sia stato rilevato il saggio medio dello spread di mora, atteso che la Banca d’Italia compie tali rilevazioni in maniera discontinua. A tal riguardo la Cassazione, anziché statuire in ordine all’erroneità, ai fini del vaglio usurario, dell’utilizzo -imposto dal principio di omogeneità e simmetria di rilevazioni non omogenee rispetto a quelle del TEGM, con una contraddittoria forzatura interpretativa arriva a stabilire che in assenza della rilevazione della maggiorazione di mora è consentito comunque il raffronto con il TSU determinato secondo le regole classiche”, ovvero, senza operare alcun incremento al TEGM prima di applicare la maggiorazione di legge prevista per la determinazione del tasso soglia. Delle due l’una. Se il principio di omogeneità impone nel computo l’aggiunta dello spread sul TEGM , se il primo non è stato rilevato non potrà certamente parlarsi, in tal caso, di un raffronto coerente ma se le stesse Sezioni Unite accordano la possibilità di confrontare il tasso di mora con il TEGM aumentato ex l. numero 108/1996 e, dunque, consentono il raffronto diretto del tasso di mora con il tasso soglia, non si comprende allora il motivo per il quale si debba tenere conto dello spread di mora medio in tutti casi in cui questo sia stato rilevato a fini statistici. Peraltro, il contesto della vigente legge antiusura non sembra contemplare, nemmeno implicitamente, alcuna regola di omogeneità dei dati in comparazione. Infatti, le stesse Istruzioni della Banca d’Italia sono rivolte esclusivamente agli intermediari, tant’è che un siffatto criterio di raffronto era stato semplicemente suggerito” a tali soggetti dall’ l’ABI con la lettera circolare numero 4681/2003 esclusivamente per le finalità della rilevazione a campione sulla mora pertanto, le predette Istruzioni non risultano per nulla menzionate nella suddetta normativa antiusura la quale, all’art. 2, si è limitata semplicemente ad affidare le rilevazioni trimestrali al Ministro dell’economia, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi”. Da tale assunto, a seguito della pronuncia delle SS.UU. ne discende un corollario di non poco conto, in quanto a seguito di tale arresto la funzione nomofilattica che ne consegue conduce alla produzione di un aberrante effetto di condizionamento per l’interprete in ordine all’applicazione di tale avulso criterio di raffronto ai fini del vaglio usurario, finendo, in tal modo, col rendere vincolante” per quest’ultimo l’applicazione di fonti amministrative che la stessa Banca d’Italia nella sua comunicazione del 3.7.2013, ha ammesso essere non vincolanti per la magistratura, dovendo necessariamente precisare rectius ammettere che solo i d.m. fossero deputati alla disciplina della verifica dell'usura. È auspicabile, allora, un ulteriore intervento chiarificatore delle SS. UU. della Cassazione diretto a ribadire che le Istruzioni della BDI non hanno alcuna portata precettiva nei confronti del Giudice nell'ambito del suo accertamento del TEG applicato alla singola operazione, atteso che tali disposizioni non sono capaci di derogare alla legge ed in particolare di minare il principio di onnicomprensività e centralità sistematica dell'art. 644 c.p Inoltre, è altresì auspicabile che venga finalmente sancito il principio di diritto per cui il TEG applicato alla singola operazione vada accertato dal Giudice unicamente sulla base del comma 5 della suindicata disposizione codicistica anche con riguardo agli interessi moratori. In tale direzione, non parrebbe del tutto utopistica una rigenerata” funzione nomofilattica per l’interprete da parte delle S. U. se solo si attingesse ai principi già enunciati dagli stessi Ermellini nella organica pronuncia resa dalla I Sez. Civ. ord. numero 15188 del 20.06.2017 – Rel. Prof. Angelo Dolmetta , con la quale venne rimessa al Primo Presidente la questione della rilevanza delle CMS ai fini della legge antiusura per la trasmissione alle Sezioni Unite, ove è stata affermata, in maniera ancor più incisiva, l’irrilevanza, o meglio, la subordinazione al disposto dell’art. 644 c.p., nell’ambito della legge 108/96, delle istruzioni diffuse agli intermediari dalla Banca d’Italia In ogni caso è da riscontrare che il contesto della vigente legge antiusura non esplicita una regola di omogeneità dei dati in comparazione e neppure la suppone in via necessaria. Le stesse istruzioni della Banca d'Italia che, per la verità, non risultano prese in considerazione nell'ambito della normativa di cui alla l. numero 108/96 [] sono in via espressa rivolte esclusivamente agli intermediari [ ] Le dette istruzioni, in altri termini, non hanno, né propongono, alcun contatto o interferenza con i negozi dell'autonomia dei privati . Segue. La Corte Costituzionale quale garante dell’interpretazione corretta e assiologicamente orientata degli artt. 644 c.p. e l. numero 108/96. L’attesa di un intervento salvifico di Cinzia Nicoletta Capezzera L’obiezione mossa alla sentenza numero 19579/20 in commento delle SS.UU., è, dunque, quella di avere disatteso le aspettative, di quanti attendevano da parte del giudice nomofilattico un intervento capace di fornire una interpretazione degli artt. 644 c.p. e l. numero 108/96 con riferimento agli interessi moratori conforme al dettato normativo delle citate norme e alla ratio legis ad esse sottesa. Un rimedio all’ennesima occasione persa dal giudice nomofilattico di dare in materia di usura bancaria una lettura costituzionalmente orientata delle norme in commento, può arrivare dalla Corte Costituzionale, quale organo giurisdizionale preposto al controllo della compatibilità delle leggi alla Costituzione. La Corte Costituzionale potrebbe, infatti, se investita della questione di legittimità costituzionale degli artt. 644 c.p. e l. numero 108/96 in riferimento all’art. 3 Cost, per violazione del principio di uguaglianza attesa la diversa modalità di applicazione da parte della giurisprudenza di dette norme agli interessi moratori rispetto a quelli corrispettivi, fornire una interpretazione della suddetta normativa secundum cotitutionem , così da garantire la uniforme applicazione della disciplina antiusura agli interessi moratorio come agli interessi corrispettivi. Segue. È possibile correggere la rotta? Lo faccia il legislatore di Gianluca Denora Premesse, contenuti e risvolti di un nuovo intervento legislativo in tema di usura In linea di metodo, non v’è dubbio che un explicit auspicabile dell’impasse analizzato sia un intervento del legislatore, che dia coordinate precise ed univoche all’interprete. Sennonché, basterebbe una legge di interpretazione autentica? Si dovrebbe scrivere che Promettere è promettere dare è dare ” così, ma non solo in questo, l’inciampo sarebbe facile anche le norme interpretative sono soggette ad interpretazione, e non è un gioco di parole. Se la penna del Legislatore non è ben accorta, l’interprete può ben deviare verso un’ interpretatio abrogans del nuovo, in modo da violare le prerogative del Legislatore e obliterare il proprio vincolo di soggezione alla legge. Probabilmente accadrebbe questo, se la sensibilità del Giudice è quella che abbiamo letto. Peraltro si pensi alla riforma della legittima difesa , accade sovente che il Parlamento si pieghi a logiche emotive, che poco hanno a che veder con il dovere di rendere migliore il funzionamento della collettività. Stando così le cose, la via dell’interpretazione autentica forse non è la via più feconda e dunque, cosa può scrivere il Legislatore? La tenuta dell’usura, quanto agli interessi moratori, può trovare solo? giovamento da una novella al codice civile che recepisca in modo ancor più chiaro le indicazioni del legislatore penale. L’obiettivo è dare fermezza alla circostanza che la sproporzione contrattuale è il nucleo concettuale autentico ed incomprimibile dell’usura, un nucleo che prende forma nell’usura oggettiva e in quella soggettiva, in tutte le declinazioni dei vantaggi dati o promessi dall’usurato. Il Legislatore civile ammesso che sia possibile una partizione in materia di normativa antiusura deve recepire questo. Può farlo introducendo una nuova regola, che segua quella dell’attuale secondo comma dell’art. 1815 c.c., dal seguente tenore In ogni caso, il mutuatario è obbligato solo alla restituzione del capitale in caso di dazione o promessa, a favore del mutuante, di vantaggi sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro . L’integrazione andrebbe ad escludere la rilevanza del tentativo di usura, dato che la regola esige che la promessa venga formalizzata, così come lascerebbe immutato il problema della corretta applicazione dell’equivalenza tra dazione e promessa. Eppure, questo intervento potrebbe giovare, sia ribadendo la diade dazione-promessa, da applicare in modo generalizzato, sia definendo le conseguenze della mera promessa di vantaggi usurari in termini di obbligo alla restituzione del solo capitale, sia, infine, dando opportuna sistemazione, nella stessa sede del codice civile, alle conseguenze dell’usura soggettiva, che oggi rischiano di essere soggette a interpretazioni eccessivamente volatili. Segue. Non solo Italia di Alberto Tedeschi Credo sia opportuno interrogarsi su quali possono essere, se vi sono, orientamenti e direttrici del diritto sovranazionale in tema di usura . A voler essere precisi, l’usura non viene considerata quale figura a sé stante e meritevole di autonoma e specifica attenzione. Essa è presente, nelle convenzioni internazionali in tema di riciclaggio e repressione dell’utilizzo di proventi di reato , quale una delle possibili origini” della provenienza illecita dei capitali. Intendo riferirmi, ma solo esemplificativamente, alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Organizzata Transnazionale del 2000 UNTOC – Convenzione di Palermo importanti sono anche le Convenzioni di Strasburgo del 1998 e di Varsavia del 2005 sul riciclaggio, ricerca, sequestro, e confisca dei proventi di reato adottate nel Consiglio d’Europa, senza per ultimo dimenticare le convenzioni anticorruzione dell’OCSE e del Consiglio d’Europa, così dell’Unione Europea. Tuttavia, dicevo, una espressa regolamentazione relativa esattamente all’usura non mi risulta esistere. Però, questo fenomeno costituisce oggetto di esame e monitoraggio da parte dell’UNODC, ossia l’Ufficio dell’ONU sulle droghe e il crimine UNODC – UN Office on Drugs and Crime cioè l’agenzia ONU incaricata di coordinare le attività internazionali di controllo della droga. Nel suo sito ufficiale si parla di usura esattamente in questi termini, sotto la definizione del Loansharking, che è la seguente https //www.unodc.org/e4j/en/organized-crime/module-4/key-issues/loansharking.html . Loansharking also known as usury is defined as lending money at an interest rate that exceeds the allowable legal limit. Profits obtained by organized criminal groups from other illegal activities such as drug trafficking and migrant smuggling have been used to make even more money by lending these profits to customers at usurious rates, i.e. rates exceeding the interest rate on lending generally set by law. In some cases, the profits from lawful businesses are used for loansharking. Small business owners, for instance, may find themselves in the situation of having few alternatives to seeking illegal sources of credit in order to continue in business. Loansharking shows how illicit profits can be used to generate even more illicit money and, thereby, sustain the growth of organized criminal groups Marinaro, 2017 Soudijn and Zhang, 2013 . Loansharking also relates to money laundering in that it provides a mean to move illicit profits away from their initial source, making them difficult to trace . Naturalmente, il concetto di allowable legal limit ” è rimesso alle singole legislazioni. Quindi, abbiamo una definizione generale del fenomeno, ma è visto come sotto il profilo del reimpiego di capitali illeciti frutto della commissione di altri reati, generalmente di criminalità organizzata parliamo, però, di un fenomeno diverso da quello di cui si occupa il Legislatore della l. numero 108/96. Però, questa impostazione è utile perché consente di concentrare l’attenzione sul fatto che finanche il reimpiego dei profitti è un ulteriore illecito, che legittima da solo il ricorso a misure anche patrimoniali particolarmente efficaci, ossia quelle in tema di riciclaggio ed autoriciclaggio. Se si rivolge l’attenzione al panorama interno all’Unione Europea , invece, i risultati sono decisamente poco confortanti. Infatti, nel 2000 per la cronaca, con l’Onumero le Prodi Presidente della Commissione e l’Onumero le Mario Monti Commissario per la Concorrenza la Commissione UE apre una procedura contro l’Italia, su segnalazione dell’ABI, dell’Associazione Italiana Banche Estere e della Federazione Bancaria dell’UE proprio per l’adozione del d.l. numero 394/2000, poi convertito, com’è noto, nella l. numero 24/2001. La fissazione di un tasso soglia , nella specie per i mutui precedenti l’entrata in vigore della l. numero 108/1996, veniva ritenuta infatti lesiva della concorrenza e del diritto di libertà di stabilimento. Nonostante le deduzioni dello Stato italiano, la Commissione, con comunicazione SG 2003 D/230875 del 18/07/2003, inviava all’Italia un parere motivato che, in forza dell’art. 226 del Trattato, contestava all’Italia la violazione degli artt. 43, 49 e 56 del Trattato e dell’art. 18 della Direttiva 2000/12/CE, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio. La procedura di infrazione è poi stata archiviata, ma il punto non è questo. Il punto è che, per la Commissione, la tutela della libertà del mercato e della concorrenza e dell’attività bancaria ha un rango ed un valore preminenti anche rispetto al contrasto dell’usura, ove essa riguardi gli operatori del mercato creditizio. Non si tratta di un atteggiamento isolato, devo dire. Infatti, il 23/04/2014 l’ europarlamentare Carlo Fidanza poneva alla Commissione, tramite interrogazione a risposta scritta, attese le modifiche al tasso soglia di cui al d.l. numero 70/2011 ossia la previsione all’art. 8 del detto d.l., comma 5, lett. d , per la quale all'art. 2, comma 4, della l. numero 108/1996, le parole aumentato della metà sono sostituite dalle seguenti aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali. , che nella Relazione a detto DL veniva motivata con le seguenti testuali ed inequivocabili parole il comma 5, lettera d , modifica la legge numero 108 del 1996, rideterminando in aumento la soglia oltre la quale il tasso di interesse deve considerarsi usurario, così da restituire margini di azione alle banche e agli altri intermediari finanziari” la seguente domanda Può la Commissione far sapere se è a conoscenza della situazione e se intende armonizzare i parametri di calcolo del tasso soglia, in modo che sparisca questa anomalia italiana dell'ulteriore 4 %? . Questa era la risposta della Commissione . La Commissione è a conoscenza del fatto che in Italia vige una normativa sui tassi di usura. La Commissione non intende armonizzare le restrizioni sui tassi d’interesse a livello di Unione europea, perché ritiene che la trasparenza delle informazioni e la comparabilità delle offerte, previste dalle direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE, permettano ai consumatori di decidere in modo informato se sottoscrivere o no un dato contratto di credito e di comparare le diverse offerte. La direttiva 2005/29/CE, inoltre, pur non proibendo le pratiche di usura in quanto tali, vieta ai professionisti qualsiasi pratica contraria alle norme di diligenza professionale e in grado di falsare il comportamento economico del consumatore. Gli Stati membri sono autorizzati a adottare norme più rigorose nel settore dei servizi finanziari, ad esempio per vietare il prestito ad usura in qualsiasi circostanza. A tal fine gli Stati membri sono liberi di fissare la soglia dei tassi di usura. La Commissione non ritiene infine che si possano mettere in raffronto diretto il tasso ufficiale a breve termine e i tassi effettivi di prestito, date le differenze che li separano in termini di scadenze, garanzie e rischi . Francamente, a mio modesto avviso la repressione di un reato che, come abbiamo visto, ha implicazioni e connessioni con il riciclaggio ed il crimine organizzato anche transazionale forse meriterebbe maggiore attenzione a parte della Commissione. Evidentemente, però, la Commissione la pensa diversamente e continua a pensarlo, com’è evidente dalla risposta del 31/01/2017 alla petizione numero 0538/2016 del sig. Lapi sul contrasto all’usura bancaria . Infatti, il sig. Lapi, proprio per l’accertata in taluni casi, non sporadici peraltro usurarietà dei tassi praticati dal sistema bancario, chiedeva lumi sul perché il livello massimo dei tassi di interesse non fosse regolamentato a livello europeo e come intendeva la Commissione intervenire sul c.d. anatocismo . La Commissione replicava che in effetti non esiste una normativa comunitaria circa la restrizione dei tassi di interesse ma che non riteneva fosse il caso di intervenire, attesa la frammentarietà dei mercati e il fatto che i tassi di interesse sono determinati non solo dal quadro giuridico ma anche da numerosi fattori economici e politici nazionali ad esempio la stabilità macroeconomica e politica, i livelli di debito pubblico, la velocità delle procedure di insolvenza, ecc. . Inoltre, rimandava alle Direttive 93/13/CEE e 2005/29/CE ed affermava nelle conclusioni che L'usura non è armonizzata a livello di Unione ma piuttosto disciplinata a livello nazionale . Le suddette direttive tutelano i consumatori da clausole abusive nei contratti e da pratiche commerciali sleali. La legislazione dell'Unione lascia tuttavia alle autorità e ai tribunali nazionali competenti la libertà di decidere se una clausola contrattuale o una pratica commerciale siano abusive . Eppure, già dal lontano 2006 La politica delle banche italiane di lucrare sulle operazioni finanziarie in generale ed in particolare su conti correnti con affidamenti mediante commissioni, oneri e spese varie per evitare di far crescere troppo il tassi di interesse che a loro volta concorrono alla formazione dei tassi medi per il calcolo dei tassi soglia è stata oggetto nel 2006, da parte della Commissione Europea di una indagine sul retail banking dalla quale è emersa l’illegittimità di molte spese incassate dalla banche. Anche l’Antitrust, nel 2007 al termine di una indagine conoscitiva concludeva con il medesimo risultato veniva rilevato un costo medio di tenuta conto di € 182,00, ben al disopra della media degli altri paesi europei e non . In particolare la critica mossa sia dalla Commissione Europea che dalla autorità Antitrust mette in luce i prezzi eccessivi delle commissioni bancarie ed interbancarie gravanti sui correntisti e la generale mancanza di corrispettività, quindi di giustificazione, dei servizi offerti dalle banche rispetto le controprestazioni in denaro richieste dai clienti , si legge in Usura spese, oneri, commissioni”, di G.Morini, in https //www.diritto.it/usura-spese-oneri-e-commissioni/. Evidentemente, però, per la Commissione la tutela della stabilità del sistema bancario e finanziario è un obiettivo prioritario , al pari della libera concorrenza e dell’accesso ai mercati e della libertà di stabilimento si tratta di obbiettivi che sono di rango superiore rispetto alla regolamentazione di un fenomeno, l’usura bancaria, che tutto sommato è contrastabile attraverso la diligenza del consumatore nell’informarsi prima e la reazione del consumatore stesso alle pratiche abusive. Peccato che l’usura sia un reato e che non tutti gli usurati siano consumatori, com’è il caso degli imprenditori, ossia la stragrande maggioranza dei correntisti vittime di usura bancaria. Tuttavia, non è questa la sede in cui discutere dei principi e dei valori alla base dell’UE e della loro gerarchia occorre solo prendere atto di ciò che è. Certo, però, che se la prospettiva muta e se si esamina il problema dell’usura quale reato di particolare allarme sociale, allarme che in tempi di crisi economica quale che ne sia la causa, e in questi tempi ve n’è un’altra di portata e dimensioni mondiali si amplifica, le cose cambiano e parecchio e la scala dei valori si inverte, a mio modesto avviso almeno, questa è la volontà del Legislatore del 1996 e del 2000. Poste le premesse sopra dette, è arduo trovare indicazioni operative nella giurisprudenza comunitaria, né in quella della CEDU. Quanto meno, non certo a proposito dell’usura in quanto tale. Si può ricevere indicazioni semmai a proposito del fair trial, e lascio ai lettori la risposta alla domanda se si possa definire fair un trial nel quale uno dei tre poteri, di fatto, sostituisce alla volontà di un altro potere, nella specie quello legislativo, una propria interpretazione che è quanto meno extra legem , se non contra. E questa sentenza è l’ultima di una lunga serie in tema di rapporti tra usurato bancario e usuraio bancario sfavorevole all’usurato, se vogliamo dare alle cose il nome loro proprio e che gli è stato attribuito fin dal 1996 dal Legislatore.

L’onnicomprensività del costo del credito e la centralità sistemica dell'art. 644 c.p. di Iole Di Benedetto L'impasse delle Sezioni Unite sulla corretta individuazione della gerarchia delle fonti normative ai fini del vaglio usurario e sull’interpretazione delle disposizioni regolamentari ed esecutive della BDI, non orientata al disposto e alla ratio dell'art. 644 c.p Il disposto dell’art. 644 comma 5 c.p. secondo il quale il vaglio di usurarietà del tasso di interesse di un’operazione deve essere condotto tenendo conto di commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse solo quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito , detta a chiare lettere il principio per il quale sussiste la rilevanza onnicomprensiva” delle voci di costo dell’operazione di finanziamento le quali incidono e devono, perciò, essere considerare ai fini dell’accertamento dell’usurarietà di quella medesima operazione. Appare, pertanto, difforme dal dettato normativo testé citato, nonché priva di senso nella prospettiva della repressione del fenomeno usurario, l'esclusione di talune delle voci suindicate dall’intero carico economico dell’operazione di finanziamento, poiché una siffatta estromissione comporterebbe il trasferimento della sostanza del peso economico del negozio di credito dalle voci incluse alle voci normativamente escluse, in violazione non solo della rilevanza onnicomprensiva delle voci di costo ma anche della centralità sistematica del citato art. 644 c.p. posto a presidio dell’unitarietà della regolamentazione del fenomeno usurario, sia sotto il profilo penalistico che civilistico, contemplata dal disposto dell’art. 4 la legge n. 108/1996 Il secondo comma dell’articolo 1815 del codice civile è sostituito dal seguente Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi . La tematica affrontata dalla Suprema Corte a Sez. Unite, demandata dalla I sezione remittente con Ordinanza del 22 ottobre 2019, n. 26946, è incentrata, tra le varie questioni, sulla incidenza ai fini del vaglio usurario degli interessi di mora, nonché sulla determinazione dei criteri per l’individuazione del Tasso Soglia con il quale effettuare il raffronto. A tal riguardo, occorre evidenziare come detta tematica non possa certamente essere autonomamente vagliata prescindendo dal principio della rilevanza onnicomprensiva” delle voci di costo dell’operazione di finanziamento ai fini della verifica dell’usura di quella medesima operazione val quanto dire che, in riferimento agli interessi di mora, siffatta valutazione preliminare deve essere improntata all’individuazione delle modalità con le quali operare il calcolo di tali interessi nel tasso effettivo globale del contratto ed essere successivamente diretta all’individuazione del tasso soglia usura con il quale operare il raffronto ai fini dell’accertamento dell’ usurarietà. Vieppiù che l'art. 1 della legge n. 108/1996 stabilisce che la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori , val quanto dire che gli interessi convenzionali di mora non sfuggono alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente quello stabilito dalla l. del 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, comma 4, vanno qualificati ipso iure come usurari, come in tal senso ha avuto modo di precisare la Cassazione in alcuni recenti arresti del 28 giugno 2019, n. 1447, e del 4 ottobre 2017, n. 23192. Negli ultimi anni, svariate pronunce delle Sezioni semplici cfr. Cass. Civ., sez. III, ord. 30.10.2018 n. 27442 sez. III, ord. 28.06.2019 n. 17447 sez. III, ord. 13.09.2019 n. 22890 sez. III, sent. 17.10.2019 n. 26286 sez. I, ord. 22.10.2019 n. 26946 sez. III, sent. 20.05.2020 n. 9237 hanno posto, per un verso, il raffronto del tasso di mora nominale e non del tasso complessivo effettivamente applicato al contratto con il tasso soglia usura mentre, per altro verso, hanno tenuto in considerazione l’adozione del cd. tasso soglia di mora ”, ideato e contemplato nei provvedimenti di Banca d’Italia a seguito di un’indagine campionaria risalente al lontano 2001, quale termine di raffronto per la verifica di usurarietà del contratto. Tuttavia, la presenza del filone giurisprudenziale da ultimo richiamato -improntato sulla valorizzazione delle rilevazioni statistiche contenute nelle Istruzioni della Banca d’Italia fondate su criteri non coincidenti con quelli imposti per la rilevazione del TEGM-, per un verso, e la centralità sistematica della norma dell’art. 644 c.p. per la definizione della fattispecie usuraria sotto il profilo oggettivo, per altro verso, avrebbero dovuto indurre le predette Sezioni Unite ad una ricognizione della tematica in questione orientata al ripristino della gerarchia delle fonti in sede di individuazione dei parametri normativi di riferimento, rimarcando la subordinazione delle disposizioni esecutive del MEF e della Banca d’Italia all’art. 644 c.p Diversamente, con tale pronunzia del 18 settembre 2020 n. 19597, la S.C. –pur confermando l’assoggettamento del tasso di mora ai limiti dell’usura nel ribadire l’ossequio al principio di simmetria tra i criteri di determinazione, da un lato, del tasso effettivo globale TEG applicato in concreto nel rapporto controverso, ai sensi dell’art. 644 c.p., comma 4, e, dall’altro, del tasso effettivo globale medio TEGM , rilevante ai fini della definizione in astratto del tasso soglia, cui confrontare il tasso applicato in concreto , ha inteso valorizzare ulteriormente il principio di omogeneità , là dove ha affermato che le rilevazioni di Banca d’Italia sulla maggiorazione media, prevista nei contratti del mercato a titolo di interesse moratorio, possono fondare la fissazione di un cd. tasso soglia limite , che anche questi comprenda in linea, dunque, con quanto già sostenuto dalla Cassazione Civile, Sezioni Unite, del 20-06-2018 n. 16303 in tema di commissione di massimo scoperto. In tal modo la Cassazione ha effettuato un’interpretazione delle disposizioni regolamentari ed esecutive della Banca D’Italia sistematicamente orientata a rafforzarne e a consolidarne la portata precettiva, là dove ha puntualizzato che il limite per gli interessi moratori debba essere individuato e determinato partendo dalla somma del TEGM e della maggiorazione media prevista dal D.M. in vigore nel periodo di riferimento, oltre all’aggiunta della percentuale in aumento prevista per la determinazione del TSU nell’arco di tempo considerato, contribuendo così al consolidamento di un costrutto giurisprudenziale non propriamente ossequioso della gerarchia delle fonti in materia, poiché basato sulla rilevanza della disciplina contenuta in fonti secondarie e non sulla preminenza del dettame legislativo sopra richiamato. Invero, ha ribadito il principio per il quale la mancata indicazione dell'interesse di mora nell'ambito del T.e.g.m. non comporta la preclusione dell'applicazione dei decreti ministeriali contenenti la rilevazione del tasso medio di mora praticato dagli operatori professionali per l’accertamento di usurarietà di una clausola contrattuale disciplinante gli interessi moratori, in virtù della formula [ TEGM+ Rilevazione Mora da D.M. *maggiorazione prevista per TSU], con ripercussioni di notevole impatto sull’accertamento dell’usurarietà della clausola in questione. A titolo esemplificativo, in un contratto di mutuo ipotecario a tasso variabile stipulato nel IV trim. del 2007, in cui il TEGM rilevato in quel trimestre è pari al 5,71% e, dunque, il TSU per la categoria di operazione mutui ipotecari a tasso variabile” è pari al 8,565% ovvero percentuale del TEGM aumentata della metà , la previsione di una clausola contrattuale disciplinante il tasso di mora ad es. pari al 9,00% carente al suo interno di una clausola di salvaguardia , secondo il dettame normativo in materia per vero, di primaria” considerazione sarebbe per tabulas usuraria. Diversamente, secondo la ricostruzione delle Sezioni Unite basata sulla portata precettiva delle disposizioni regolamentari della Banca d’Italia, si dovrà effettuare il vaglio sulla clausola in questione nei seguenti termini [ Tegm 5,71%+ Magg. Media mora 2,1% *1,50]= 11,715%. Nell’esempio reso, è agevole comprendere come una clausola contrattuale disciplinante il tasso di mora che già, di per sé, contempla una percentuale oltre soglia rispetto al TSU di riferimento secondo la legge, non è, invece, usuraria secondo tale ricostruzione giurisprudenziale. Occorre, nondimeno, precisare che per la verifica dell’usura nei termini di legge , nessun riferimento è dato scorgere alla richiamata rilevazione campionaria eseguita dalla Banca D’Italia nell’anno 2001, né, tantomeno, al diverso criterio di valutazione della mora in essa contenuto con la relativa maggiorazione basti semplicemente rievocare quanto previsto dalla citata norma penale dell’art. 644 c.p. che al comma 3 rinvia alla Legge e non alla BDI di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari e dall’art. 2 comma 4° l. n. 108/1996 per il quale il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari è stabilito dal tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata sulla G.U. . La generica rilevazione a campione, dunque, mai autorizzata da nessuna legge dello Stato, a ben vedere, comporta la creazione” di uno spread ulteriore di penalizzazione entro una differente e maggiore soglia, nonché un vero e proprio svuotamento della ratio sottesa alla rilevazione del valore medio fisiologico di ogni singola categoria di credito cui parametrare lo spread in variazione previsto dalla legge ed il maggiore verificarsi del fenomeno dell' usura c.d. in concreto contemplata dall’art. 644 comma 4 c.p. secondo cui Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, che avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria . Segue. Discutere di usura. La norma prima della sentenza di Alberto Tedeschi Genesi, ricognizione e lettura sistematica dei predicati normativi per la ricostruzione dell’usura fedele ai dettami del legislatore. A me pare opportuno partire dal contenuto dell’ordinanza di rimessione che ha portato alla sentenza in esame, ossia da Cass. 22/10/2019 n. 26946 . Nella stessa, però, oltre alle questioni da sottoporre alle SS.UU., si leggono affermazioni che meritano attenzione ovviamente, mi riferisco alle ragioni della decisione. Anzitutto, al punto 1 si legge la seguente affermazione le istruzioni della Banca d'Italia costituiscono invece atti amministrativi la cui produzione non può aver luogo per la prima volta in sede di legittimità, non essendo le stesse annoverabili tra le fonti del diritto, ai sensi dell'art. 1 preleggi, e non trovando pertanto applicazione, rispetto ad esse, il principio jura novit curia di cui all'art. 113 c.p.c., che impone al giudice la ricerca d'ufficio del diritto applicabile cfr. Cass., Sez. III, 10/01/2019, n. 2543 5/08/2002, n. 11706 26/06/ 2001, n. 8742 nella specie, tuttavia, la produzione ha avuto luogo non già ai fini della prova del tasso effettivo globale medio da utilizzarsi per la determinazione del tasso soglia di cui all'art. 644 c.p., la cui rilevazione costituisce la funzione tipica di tali atti e la cui dimostrazione sarebbe peraltro spettata alla controricorrente, che aveva fatto valere il carattere usurario degl'interessi applicati al finanziamento , ma per confortare il rilievo contenuto nel ricorso, secondo cui la predetta rilevazione non è riferibile agl'interessi moratori, e quindi a sostegno di una tesi giuridica che, in quanto ampiamente diffusa in dottrina e risultante da numerosi precedenti giurisprudenziali, non abbisogna di specifica dimostrazione . Ora, francamente che dette Istruzioni siano atti amministrativi pare quanto meno dubbio la Banca d’Italia non è affatto una pubblica amministrazione, è un istituto di diritto pubblico e non è assolutamente la stessa cosa. Che poi le Istruzioni abbiamo quale fine la rilevazione del tasso soglia a fini probatori è affermazione che non risponde affatto alla ratio legis della l. n. 108/96, in cui esse avevano solo finalità statistiche , spettando la determinazione ai D.M. e spettando al Ministero del Tesoro l’indicazione alla Banca d’Italia dei criteri a cui attenersi. Invece, ed è storia, è sempre accaduto l’opposto la pronuncia in questione pare privilegiare ciò che è accaduto al testo della legge. Il passo più importante è quello che si legge al punto 12, ove si analizza appunto la questione che poi è stata risolta dalle SS.UU L’ordinanza non solo parla di ambiguità del testo dell’art. 644 c.p., ma aggiunge la seguente frase a fronte di tale ambiguità testuale , si è posto in risalto l'orientamento manifestatosi nella disciplina secondaria a partire dalle istruzioni impartite dalla Banca d'Italia nel 2001 e dal decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 25 marzo 2003, che, nel procedere alla rilevazione del tasso effettivo globale medio di cui alla l. n. 108/1996, art. 2, comma 1, ha costantemente escluso dalla base di calcolo gl'interessi moratori, attribuendo una finalità meramente conoscitiva alla rilevazione del relativo tasso medio, periodicamente compiuta dall'Autorità di vigilanza cfr. da ultimo, l'art. 3 dei dd.mm. 21 dicembre 2017, 28 marzo 2018 e 27 giugno 2018, ed il punto C.4 delle istruzioni aggiornate a luglio 2016 . È stata sottolineata la ragionevolezza di tale esclusione . Da un lato, quindi, le Istruzioni della Banca d’Italia assurgono al rango di disciplina secondaria dall’altro esse sono tali da poter modificare il contenuto di una norma che si ritiene ambigua”. Mi astengo da ogni commento. Credo opportuno partire dalle questioni che le SS.UU. avrebbero dovuto risolvere, secondo la prospettazione effettuata dal Dr. Falabella, nell’articolo L’usura, gli interessi moratori ed i nodi da sciogliere in Rivista di Diritto Bancario, 2019, 4 ott.-dic. , pp. 523 sgg A me pare che dette questioni si possano così riassumere 1. posto che gli interessi moratori non si calcolano nel TEGM, si chiede l’autore perché mai ad essi si dovrebbe applicare la legge 108/96 2. a ciò osta anche il principio di l'omogeneità, in specie tra TEG e TEGM, date le differenze tra le varie rilevazioni che non li includono se non a partire d una certa data in poi 3. l'inammissibilità dell'applicazione, da parte del giudice, di un TEGM diverso da quello rilevato dai D.M., previa loro disapplicazione, perché sarebbe questa un’operazione additiva non una mera disapplicazione attraverso cui si attuerebbe la creazione, da parte dell’interprete, di una fattispecie incriminatrice diversa da quella prevista 4. la differente natura degli interessi moratori, che hanno natura risarcitoria, onde il debitore può rendere usurario il contratto col suo inadempimento e quindi ottenere un premio per il suo comportamento illecito. Ora, valgono due considerazioni di fondo. In primo luogo, la l. n. 108/1996 è un sistema unitario , voluta dal Legislatore per ragioni precise che hanno portato, dopo anni di esame in Camera e Senato e diversi affinamenti e riscritture, al testo definitivo poi licenziato. Gli artt. 1815 c.c. e 644 c.p. sono strumenti di attuazione di un unico e medesimo disegno, ossia di una unica e medesima ratio legis la repressione e sanzione del fenomeno costituito dall’usura. Il Legislatore, eliminata ogni indagine sul c.d. approfittamento dello stato di bisogno e concentrando l’attenzione su parametri di oggettiva ingiustizia, aveva di fronte tre distinti modelli di sistemi giuridici per pervenire alla definizione dell’ usura oggettiva quello anglosassone , che prevede la fissazione di un tetto massimo attraverso atti normativi quello tedesco , che invece rimette alle corti la determinazione del tetto quello francese che invece prevede rilevazioni periodiche di comportamenti e successiva fissazione di un tetto, anch’esso temporalmente limitato. Ha scelto il terzo, è scritto chiaramente nei lavori preparatori. Il secondo punto di fondo è come individuare la ratio legis . Secondo il Legislatore, per quanto afferma l’art. 12 comma 1 delle c.d. preleggi R.D. n. 262/1942 , nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore . Circa l’ intenzione del Legislatore , la Corte UE afferma che essa va cercata con riferimento ai lavori preparatori Corte Giust. UE, Sez. VI, 28/05/2020 n. 796, causa C-996/18 nello stesso senso sono prima della motivazione della sentenza delle SS.UU. la motivazione di Cass. 12/02/2020 n. 3478 e la motivazione di Corte Cost. 28/01/2020 n. 5. Ora, non solo i lavori preparatori erano inequivocabili, ma è addirittura intervenuta una legge di interpretazione autentica. Basta considerare che, al di là di ogni possibile sforzo argomentativo, le parole del Legislatore sono assolutamente inequivocabili e sono queste, e prendo le mosse dalle problematiche relative all’esatta interpretazione ed applicazione dell’art. 1815 comma 2 c.c Com’è noto, esso viene introdotto dall’art. 4 l. n. 108/96 l’attuale formulazione è frutto delle modifiche operate in sede di esame al Senato dalla Seconda Commissione, che ha così argomentato testualmente l’art. 4 riguarda i mutui e contiene una modifica rispetto al testo approvato dalla Camera, nel quale si riteneva nullo l’intero contratto di mutuo stipulato ad un tasso usurario. Il nuovo testo, invece, si limita a stabilire che la relativa clausola negoziale è nulla e nessun interesse è dovuto . La previsione normativa, evidentemente, non distingue tra le varie tipologie di interessi, e questo è un dato di fatto. Ancora, l’art. 1815 c.c. è stato oggetto di modifica, com’è noto, dal d.l. del 29/12/2000 n. 394, conv. nella l. del 28/02/2001 n. 24, recante com’è noto norme di interpretazione autentica della l. n. 108/1996, ed è pacifico che una norma di interpretazione autentica dà essa stessa la vera interpretazione di una certa previsione normativa, in quanto esprime la volontà del Legislatore che nel nostro sistema è quello che promulga le fonti normative la cui applicazione compete agli operatori del diritto, in primis la Magistratura. Così si legge testualmente nella Relazione al Decreto Legge ossia, nel testo con il quale il Governo spiega le ragioni per le quali ha inteso effettuare gli interventi previsti da detto testo L’articolato fornisce al comma 1 l’interpretazione autentica dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, comma secondo, del codice civile. Viene chiarito che, quando in un contratto di prestito sia convenuto il tasso di interesse sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio , il momento al quale rifarsi per verificarne l’eventuale usurarietà sotto il profilo sia penale che civile, è quello della conclusione del contratto , a nulla rilevando il pagamento degli interessi , si legge testualmente al punto 4 della Relazione, a pag. 6 del n. 4941 degli Atti Parlamentari del Senato. Inequivocabilmente, dunque, il Legislatore afferma che oggetto dell’art. 1815 c.c. sono tutti i tassi di interesse previsti in contratto e che la verifica di tutti quei tassi deve avvenire ai fini della definizione stessa di usurarietà o meno, ai fini civili e penali, e che non rileva affatto l’eventuale corresponsione o meno degli stessi, ma la sola e semplice pattuizione . Non a caso, infatti, l’art. 1 comma 1 d.l. n. 394/2000 come conv. nella l. n. 24/2001 afferma testualmente e inequivocabilmente che ai fini dell'applicazione dell'articolo 644 del codice penale e dell'articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti , a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento in claris non fit interpraetatio . Sic stantibus rebus , la risposta ai dubbi che travagliavano la giurisprudenza mi pare possa essere così sintetizzata, seguendo il medesimo ordine espositivo sopra indicato. 1. Agli interessi moratori si applica la l. n. 108/96 perché lo dicono la legge ed il Legislatore. Il fatto che essi non si calcolano nel TEGM ha poca rilevanza perché il TEGM non definisce il tasso soglia e perché soprattutto il Legislatore aveva previsto un margine l’unico di cui si può correttamente parlare oltre la rilevazione nel 1996 per ulteriori 8 punti ora molto di più , che serve proprio a individuare un giusto profitto con riferimento a qualsiasi tipologia di interessi, in modo particolare per quelli di mora 2. Il principio di omogeneità , in specie tra TEG e TEGM, che trae origine dalle differenze tra le varie rilevazioni operate dalla Banca d’Italia, è una elaborazione giurisprudenziale, che non esiste né nella legge, né nei lavori preparatori, la cui unica funzione pare essere quella di dare una qualche legittimazione postuma alla ripetuta violazione, da parte della Banca d’Italia prima e in conseguenza dei D.M., dell'art. 2 co. 2 della l. n. 108/96 3. L’applicazione di un TEGM diverso da quello rilevato dai D.M., previa loro disapplicazione, non è la creazione, da parte dell’interprete, di una fattispecie incriminatrice diversa da quella prevista in quanto la fattispecie incriminatrice è quella di cui alla l. n. 108/1996 e non quella dei D.M., la cui rispondenza ai criteri di cui all'art. 2 comma 2 l. n. 108/96 è invece sindacabile e sanzionabile e, soprattutto, la legge non punisce chi supera il TEGM, ma chi supera il tasso soglia ossia il TEGM aumentato del margine che copre oneri non rilevati e interessi di mora, e non sono affatto la stessa cosa 4. Il punto di fondo non è altro che quello delineato dalla l. n. 108/96 il reato si perfeziona con la sola promessa , quale che essa sia e a qualsiasi tipologia di interessi essa sia riferita atteso che per il Legislatore la previsione è riferita a qualsiasi tipo di interesse , anche moratorio. L’affermazione per la quale il debitore rende usurario il contratto col suo inadempimento avrebbe un senso se la legge non equiparasse, ai fini del reato, la dazione alla semplice promessa invece, la condotta punita è la semplice promessa, indipendentemente dal fatto se alla promessa segua o meno la dazione che infatti è l’altra fattispecie di reato. Con la promessa , che si perfeziona al momento della sua pattuizione, nulla ha a che vedere l’ inadempimento che è per definizione un fatto eventuale e successivo ma irrilevante ai fini della legge. Si ripete parliamo di un reato, e non si può parlare di risarcimento a favore del reo , e per la legge 108 il contratto è usurario non quando il debitore è inadempiente ma ab origine con la sola promessa. Segue. La crisi del paradigma penalistico di Gianluca Denora L’abbandono di una visione sistemica dell’usura. Struttura e funzione dell’incriminazione secondo le Sezioni Unite. Le Sezioni Unite fanno ampio riferimento al sistema penale, inevitabilmente prendono, tuttavia, quello che serve, a discapito di quello che è. L’usura è un delitto . Il rilievo non è solo sistemico, bensì logico, tematico e assiologico l’usura non va scissa dalla qualificazione penalistica non può farlo nemmeno la Cassazione. Nella sentenza n. 19597/2020 , il paradigma penalistico dell’usura è svilito e tradito. Accade per articolazioni certe dell’art. 644 c.p., come quella sulle modalità di commissione del reato, che per legge può essere integrato alternativamente nella condotta del farsi dare e del farsi promettere vantaggi usurari la Cassazione non ne tiene conto ed esclude la forma della promessa, esigendo che gli interessi di mora in usura siano effettivamente dati. Al di là dell’attrito con il principio di tassatività, in combinato con l’obbligatorietà dell’azione penale, la defaillance è evidente su un piano sostanziale, atteso che il Supremo Collegio dimentica che quando il legislatore penale sceglie la medesima pena edittale per diversi comportamenti, deve necessariamente ritenersi che quei comportamenti esprimano il medesimo grado di disvalore la perequazione sanzionatoria dice molto. In altri termini, nel tessuto della norma, farsi dare e farsi promettere è una diade infrangere quest’equivalenza è operazione ermeneuticamente scorretta nell’usura, come in tutte le fattispecie a modalità alternativa, da un lato, più forme di manifestazione della condotta non implicano un concorso di reati , dall’altro, basta una modalità di condotta tipizzata a integrare il reato, sicché l’interprete non ha spazio per operare una differenziazione. Peraltro, anche il tentativo di farsi dare o promettere integra una responsabilità penale sia pur nell’anticipazione di tutela propria del delitto tentato , al punto da attrarre all’area dell’usura la consegna di una proposta contrattuale che presenti clausole usurarie forse un inedito nell’attuale casistica ferma all’usura originaria/pattizia , ma di certo non si può disapplicare la fattispecie nella latitudine applicativa definita dal legislatore, nell’ambito delle sue prerogative. Il codice penale centra l’usura anche sul lemma interessi ”, quale utile esemplificazione dell’oggetto materiale della prestazione dell’usurato a rigore, tuttavia, il fatto tipico è costruito sulla categoria dei vantaggi il sintagma interessi e altri vantaggi” vuol dire proprio questo. Del binomio testuale interessi-vantaggi, da risolvere in chiave di specie a genere, non v’è traccia nel provvedimento delle Sezioni Unite, che dunque sviliscono un dato fondamentale, e lo sviliscono, elettivamente, proprio nel momento in cui assumono la possibilità di diversificare in qualche modo concetti che indiscutibilmente rientrano nella cornice prevista dalla norma penale, quella dei vantaggi. Su questa categoria il legislatore ha misurato lo squilibrio contrattuale gli interessi sono solo una caratterizzazione forte v. il rapporto tra possesso e disponibilità nel delitto di peculato . Qualora vi fosse ragione per differenziare interessi corrispettivi e interessi di mora, entrambi dovrebbero rifluire nella nozione di vantaggi . Il discorso non muta dando lettura dell’art. 1815 c.c., che utilizza solo la parola interessi , atteso che il nominalismo non può scalfire la piana certezza che il diritto penale si è avvalso del termine in senso non restrittivo, e tanto deve valere per l’applicazione di tutta la normativa antiusura. In sintesi, l’equiparazione voluta dal legislatore impone di assegnare pari rilevanza a tutte le forme di vantaggio date o promesse dall’usurato. Anche sull’oggetto di tutela piazza Cavour procede a braccio e aggiunge al patrimonio un esoterico richiamo a direzione del mercato creditizio e stabilità del sistema bancario e prevenzione di operazioni rischiose per le banche , con oltraggio alla sensibilità comune . Lo scivolone involge la ratio dell’incriminazione, attinta dalla normativa sugli investimenti, che con ogni evidenza non ha nulla in comune con i finanziamenti a parte l’assonanza . Le Sezioni Unite arrivano a scrivere che Sulla base del diritto positivo antiusura viene confermato il fine di assicurare la sana e prudente gestione” del soggetto bancario negli impieghi cfr. art. 5 d.lgs. 58 del 1998 , prevenendo la conclusione, ad opera delle banche, di operazioni creditizie rischiose , al punto tale da rendere necessaria la pattuizione di tassi di interesse fuori mercato ” così in § 6, quarto capoverso della sentenza . La deviazione è sconcertante la tutela del patrimonio dell’usurato viene postergata, di fatto travolta, dalla tutela del patrimonio dell’usuraio. Le Sezioni Unite apportano un correttivo a questa tesi, che è eversiva dell’ordine democratico, ma quel correttivo non persuade, al meno per i riferimenti a rationes legis che non possono sorreggere interventi di contrasto al fenomeno dell’usura Nella normativa antiusura si possono rintracciare una pluralità di rationes legis , quali la tutela del fruitore del finanziamento, la repressione della criminalità economica, la direzione del mercato creditizio e la stabilità del sistema bancario così in § 6, quinto capoverso della sentenza . Peraltro, anche a voler superare queste aberrazioni, il criterio indicato dalla Cassazione complica in modo soverchiante l’applicazione delle norme in materia di usura, quanto meno di quelle penali. In dettaglio, costruire l’usura su macroeventi quali la lesione del mercato creditizio o della stabilità del sistema bancario significa eleggere a oggetto di tutela beni inopinabilmente non intaccati in caso di erogazione di un singolo finanziamento a condizioni usurarie. Si pensi a un prestito personale mancando la lesione al mercato creditizio, mancherebbe l’offesa, e dunque il reato, sia in chiave oggettiva che soggettiva quanto al primo aspetto, dando applicazione del modello del fatto inoffensivo conforme al tipo”, si spianerebbe la strada all’erosione in concreto della rilevanza penale dell’usura ex art. 49, comma 2, c.p. , eventualmente letta in chiave di plurioffensività quanto all’aspetto soggettivo, di certo la finanziaria che eroga un prestito per l’acquisto di beni di consumo non ha alcuna volizione del danno al mercato creditizio essenziale al reato, per l’integrazione del dolo , sicché quella finanziaria andrebbe resa immune da pena. Un cammino così tortuoso quello della Cassazione conduce a conclusioni allarmanti per l’ipotesi in cui l’indice degli interessi di mora superi il tasso soglia . Si perviene a questo quadro finale nullità della clausola sugli interessi moratori, solo se applicata, e retrocessione delle somme conferite dall’usurato in esecuzione di quella clausola, fermo l’interesse dell’usuraio alla remunerazione per il capitale conferito all’usurato, misurata sul tasso degli interessi corrispettivi, convenuto tra le parti. Questa fedele descrizione dell’ explicit della sentenza, smascherata da edulcorazioni ineleganti per di più, da parte di un consesso così autorevole , dà forse più di tutto il senso di un passe-partout elargito alle banche che andrebbero chiamate autrici di un reato, piuttosto che operatrici del credito, ogni qualvolta praticano usura. Segue. Dalla legge antitrust alla normativa antiusura la tutela del contraente debole danneggiato nel terzo contratto di Cinzia Nicoletta Capezzera Ancor prima della normativa antiusura l. n. 108/06 , una delle prime discipline emanate dal Legislatore a tutela della figura del contraente debole nell’ambito di alcuni rapporti ritenuti meritevoli di maggiore protezione e regolamentazione, perché caratterizzati da condotte distorsive del mercato e della concorrenza a danno a danno del contraente debole e che la dottrina fa rientrare nella categoria del terzo contratto , è stata la legge n. 287/1990 norme per la tutela della concorrenza del mercato , detta anche legge antitrust . La teoria del terzo contratto, che si colloca tra il contratto regolato dal codice civile e caratterizzato dalla libertà delle forme e dalla parità di posizione dei contraenti e il contratto destinato al consumatore , caratterizzato dalla disparità di posizione del consumatore rispetto al professionista, oggi tutelato dal Codice del consumo d. lgs n. 206/2005 , allude in sostanza ad un rapporto negoziale, che, come il secondo contratto, dà origine ad una negoziazione asimmetrica, posta in essere, questa volta tra due imprenditori, ma caratterizzata, a differenza del secondo contratto, non già dalla debolezza di informazioni in capo all’imprenditore debole, ma dalla debolezza economica dell’imprenditore debole. Con l’emanazione della normativa antitrust, il legislatore ha cercato di riequilibrare la disparità di posizioni tra i diversi contraenti del rapporto negoziale nell’ambito del terzo contratto, riconoscendo maggior tutela al contraente debole , sia esso imprenditore o consumatore, al quale si estende, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità SS.UU n. 2207/2005 , anche la tutela della legge antitrust. È evidente, in effetti, che, di fronte a situazioni di squilibrio di potere contrattuale, lasciare alle parti la completa libertà di determinare autonomamente il contenuto del contratto significa non tanto consentire alle parti di raggiungere il miglior assetto di interessi possibile, quanto, soprattutto, fare il gioco del contraente forte, il quale può avvantaggiarsi del proprio maggior potere contrattuale. In questo senso settori emblematici sono quello bancario e dell’ intermediazione finanziaria , nei quali, la sempre maggiore aggregazione degli operatori, favorisce di per sé la restrizione della concorrenza con il conseguente tentativo da parte del legislatore di tutelare il contraente debole vittima sia del gap informativo, che delle conseguenze negative della restrizione della concorrenza attraverso un sempre maggiore e spiccato formalismo giuridico. Il legislatore consapevole del fatto di non riuscire a prevenire, nell’ambito delle forme di abuso di posizione dominante settore, con la conseguente applicazione di condizioni vessatorie nei rapporti privatistici tra banca e cliente, le distorsioni tipiche di questo, ha introdotto, nel tempo e progressivamente, fin dagli anni ‘90 nell’ordinamento italiano, con il precipuo scopo di arginare quanto meno dette distorsioni e garantire così una maggior tutela del contraente debole, norme speciali , dalla legge antitrust a quella antiusura. In conseguenza, infatti, della insufficienza di tutela riscontrata nei rimedi civilistici, la normativa antitrust ha, infatti, fin da sua emanazione, trovato applicazione nel mercato bancario e finanziario.

I tassi moratori e la disciplina antiusura l’impatto mediatico della sentenza a Sezioni Unite della Cassazione di Cinzia Nicoletta Capezzera La sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 19579/2020 sull’applicabilità della disciplina antiusura ai tassi moratori effetto dirompente o compromesso. In data 18/09/2020, la Suprema Corte di Cassazione civile a Sezioni Unite, ha sancito, definitivamente, con la sentenza n. 19579/2020 l’applicabilità della normativa antiusura ai tassi di interesse moratori. Tale intervento delle SS.UU. è stato accolto dagli operatori del diritto con grande entusiasmo , poiché, con detto pronunciamento, la Corte di Cassazione, nella sua funzione nomofilattica, avrebbe finalmente risolto, in modo conforme alle rationes legis sottese alla normativa antiusura artt. 644 cp e 1815 cc, legge antiusura n. 108/1996, e legge n. 24/2001 di interpretazione autentica della legge antiusura n. 108/1996 , il contrasto giurisprudenziale caratterizzato da due tesi, una restrittiva e l’altra estensiva, che le stesse SSUU ricordano nel loro excursus argomentativo, in ordine alla applicabilità o meno della disciplina antiusura ai tassi moratori, che, per anni, si era trascinato sia tra i giudici di merito che all’interno delle diverse Sezioni della stessa Corte di Cassazione. Secondo le SSUU le argomentazioni utilizzate dall’ orientamento estensivo sono da preferire a quelle della tesi restrittiva, tanto che la stessa Suprema Corte le fa proprie, in quanto risponderebbero alle rationes legis sottese alla disciplina antiusura, che il Giudice nomofilattico individua, nella decisone in commento, nella protezione del contraente debole, nella repressione della criminalità economica e nella salvaguardia del mercato creditizio. La sentenza in commento ha avuto un importante impatto mediatico tra i cultori della materia, deludendo, però, le aspettative. Il riconoscimento e la valorizzazione da parte delle SS.UU., con detta sentenza, delle rationes legis sottese alla disciplina antiusura, e l’indicazione di come detta disciplina debba essere applicata dagli operatori di diritto in ossequio ai predetti principi informatori della normativa antiusura, hanno, infatti, ingenerato l’erroneo convincimento che si tratti di sentenza innovativa, dagli effetti, addirittura, dirompenti, perché con essa si farebbe finalmente una corretta applicazione della normativa antiusura e delle rationes legis ad essa sottese, che il Giudice nomofilattico individua, come già detto, nella tutela del fruitore del finanziamento, nella repressione della criminalità economica, nella direzione del mercato creditizio e nella stabilità del sistema bancario. Per la verità, se si analizza correttamente la sentenza in commento, questa non appare per nulla né innovativa né, tantomeno, dirompente , ma tutto al più il frutto di un compromesso al ribasso, in cui la ratio legis della normativa antiusura, rappresentata dalla tutela del contraente debole, sembra essere mortificata e subordinata alla logica della tutela del mercato creditizio e del creditore, che parrebbe essere, anche per le SSUU, l’esigenza primaria da soddisfare e garantire. Non si può non obbiettare alla decisione in commento, che essa avvalla, in concreto, prassi in uso presso la Banca d’Italia e già fatte proprie dalla maggior parte dei pronunciamenti giurisprudenziali per la determinazione del tasso soglia usurario della maggiorazione applicata al Taegm, di cui non vi è traccia nella norma antiusura art. 664 cp e art. 2, comma 1°Legge n. 108 del 1996 . La conferma di queste prassi della Banca d’Italia, oggi anche da parte della Corte di Cassazione civile a Sezioni Unite, ha sancito definitivamente lo snaturamento della normativa antitrust e della volontà che il Legislatore era andato affermando mediante la promanazione di tale disciplina, ossia la tutela della parte debole nell’ambito dei rapporti bancari. Segue. A judge made law. Un’usura di conio giurisprudenziale sbarca a Piazza Cavour di Alberto Tedeschi La distanza delle Sezioni Unite dai paradigmi normativi e la disapplicazione delle scelte del legislatore in tema di usura. Il caso degli interessi di mora. La nota sentenza su cui mi accenno a dare le mie riflessioni presenta, a mio avviso, una criticità di fondo, dalla quale conseguono tutte le altre affermazioni che vi si leggono. Cerco di esplicarla. Applicare ed interpretare una norma non è operazione che può prescindere dal contesto” nel quale detta norma si trova. Ad esempio, una norma dettata in tema di obbligazioni del vettore non può essere interpretata in modo parcellizzato, al di fuori dal suo contesto costituito dal contratto di trasporto. Lo stesso vale per l’art. 644 c.p. o per l’art. 1815 c.c Entrambe, infatti, fanno parte del contenuto della nota o no? l. n. 108/1996 una loro piena comprensione prima ed applicazione poi non può essere integrale se avulsa dal contesto, al quale a mio avviso occorre sempre tornare ed assumere come punto di riferimento. La l. n. 108/1996 non ha, nelle intenzioni del Legislatore, la funzione di rafforzare la tutela del consumatore, o del finanziato in un contratto di credito. Ha la sola ed unica funzione di reprimere un reato , da chiunque sia commesso. Il fatto che il reato possa essere commesso da una banca non crea una categoria ad hoc e autonoma, è solo una delle ipotesi di reato sanzionate rispetto al reato usura”, il contratto è solo un mezzo per realizzare l’illecito e non il fine non è il contratto da analizzare in fondo, quando si chiede una somma ad uno strozzino si stipula un mutuo ma l’illecito che si realizza attraverso il contratto, né il reato di usura muta a seconda di chi sia il soggetto che presta danaro e come lo fa. Inoltre, è indifferente anche chi sia l’ usurato può essere un privato, un imprenditore, non importa né il reato muta per la qualità soggettiva del danneggiato che, come detto, non deve affatto essere un consumatore categoria difatti totalmente estranea all’impianto globale della l. n. 108/96 . Del resto, persino la sentenza ha chiaro che la tutela del consumatore ha un ambito di applicazione e valenza totalmente diversi, lo afferma espressamente a pag. 19, 2° periodo. Peccato che poi se ne dimentichi. Ora, però, se rileggiamo la sentenza alla luce del quadro di riferimento” costituito dall’intero impianto e finalità della L. 108/96, sono numerose le perplessità che emergono. A partire da pag. 20, a proposito dei rilievi della Banca d’Italia, la sentenza utilizza più volte il solo verbo potere ” e non dovere ”, e le due forme verbali hanno significati completamente diversi un conto è un’opportunità, un conto un obbligo giuridico. Per di più, si precisa al 2° cpv. che quei rilievi hanno solo finalità statistiche, il che spiega l’utilizzo del verbo potere e non dovere. Sembra quasi che la sentenza voglia trasferire tutta la responsabilità sul Ministro e sui DM, ma sappiamo tutti che non è così. Meglio, sappiamo tutti che il meccanismo pensato dal Legislatore per individuare i criteri della c.d. usura oggettiva era esattamente l’inverso di quello che poi si è realizzato, ed era infatti un preciso mandato conferito alla Banca d’Italia. Invece, nella realtà la Banca d’Italia si è non solo attribuita il mandato, ma si è anche autodeterminata i contenuti del medesimo e le indagini da svolgere, sotto diversi profili letteralmente stravolgendo la stessa lettera della legge e creando letteralmente categorie e metodi di analisi che non hanno alcun riscontro nella stessa legge un esempio su tutti la mora non è una categoria di contratto non mi risulta che nel Codice Civile – di alcun Paese – esista il contratto di mora . A me non pare poco. Il fatto che poi i DM si siano appiattiti sul comportamento della Banca d’Italia non sposta i termini del problema, e devo aggiungere una riflessione ulteriore. Il principio di autorità induce, talvolta, meccanismi inconsci ed automatici ad esempio, se il soggetto agente – o parlante – ha una veste istituzionale”, per ciò stesso ha un’autorevolezza ed autorità che diventano quasi una presunzione di verità e giustezza di ciò che dice, una sorta di ipse dixit”. Trovo che questo processo sia particolarmente presente quando si parla della Banca d’Italia. Chi di noi, quando sente questo nome, non pensa ancora automaticamente all’istituto di emissione? Eppure, non è più così anzi! Oggi essa, rammento a me stesso, è un istituto di diritto pubblico persegue finalità di interesse generale nel settore monetario e finanziario il mantenimento della stabilità dei prezzi, obiettivo principale dell’Eurosistema la Banca d’Italia è anche un’autorità di vigilanza svolge controlli sugli intermediari bancari e finanziari e ne gestisce le situazioni di crisi esercita la vigilanza sul settore finanziario nel suo complesso per conoscere, prevenire o attenuare i rischi di instabilità sistemica”. Non sono parole mie, sono contenute nell’e-book La Banca d’Italia – Funzioni e Obiettivi”, consultabile on line sul sito ufficiale dello stesso istituto. E forse non è neanche un caso che nelle istruzioni di vigilanza si trovino le elaborazioni della Banca d’Italia. Quindi, a mio avviso, il tentativo di salvataggio di cui ho detto prima non ha fondamento. Ma tanto ho detto solo per evidenziare un primo vulnus, non per esaminare un problema che merita ben altri spazi, analisi ed attenzione. Torno alla motivazione . Sempre a pag. 20, però, nel secondo capoverso in tema di misura media dell’incremento a titolo di interesse moratorio e attività della Banca d’Italia , si legge un secondo periodo a mio avviso a dir poco sorprendente e che letteralmente inserisce nella l. n. 108/96 una ratio non prevista né voluta e per certi versi addirittura aberrante la nozione sottesa è quella di un mercato concorrenziale del credito, in cui il gioco delle parti tende ad indicare l’equilibrio spontaneo degli interessi, pur nei limiti dei controlli e vigilanza ad esso propria . A parte il fatto che questo nulla ha a che vedere con il reato di usura, si tratta di affermazioni scorrette in teoria e in pratica. In teoria, esattamente nella teoria del prezzo, questo accade solo nella c.d. concorrenza perfetta pura, ma si tratta di un sistema nel quale la domanda e l’offerta hanno potere equivalente e nessuno è in grado di influenzare il mercato, a differenza di quanto accade nell’oligopolio, nel monopolio e così via. Il mercato del credito non è così lo squilibrio di potere è evidente. Inoltre, se così fosse, si dovrebbe rilevare il prezzo dal lato dell’offerta – tassi di interesse chiesti – e dal lato della domanda – tassi che i clienti vorrebbero pagare -. Praticamente, poi, per smentire l’assunto della concorrenza perfetta basta verificare i bilanci delle banche dopo la L. 108/96 i ricavi per interessi e commissioni sono aumentati e non diminuiti, il che dimostra come l’applicazione della legge ha favorito il sistema bancario. Infine, parlare di pari potere contrattuale tra banche e clienti è talmente al di fuori della realtà, da sembrare almeno per i clienti quasi offensivo. Che comunque l’obbiettivo sia salvare la Banca d’Italia emerge dal 4° cpv. di pag. 20, ove l’attenzione viene spostata sui DM. È invece fondamentale il 3° cpv. a pag. 23, ove si afferma che quando mancano le rilevazioni dei tassi di mora allora si utilizza solo la previsione normativa. Paradossalmente, se manca la rilevazione la tutela dell’utente bancario è maggiore perché non si applica più la formula a pag. 21 e la maggiorazione ivi prevista. Ciò conferma inequivocabilmente come le rilevazioni siano sempre state un fattore positivo per le banche, nel senso che hanno aumentato artificiosamente il margine a loro favore. Sarà un caso? Vengo ora a quello che, a mio avviso, è il punto più sorprendente della motivazione quanto si legge al punto iv da pag. 23 in poi, bene espressa nella rubrica si applica l’art. 1815 comma 2 cc ma in una lettura interpretativa che preservi il prezzo del denaro . Utilizzare la locuzione prezzo del denaro ” non solo introduce un criterio del tutto estraneo alla legge, ma sotto certi versi nega in radice la ratio della l. n. 108/96 il prezzo del denaro” è il vantaggio che l’usuraio consegue, e dire che occorre salvaguardare quel vantaggio a danno dell’usurato è semplicemente una aberrazione. Del tutto senza senso è il richiamo alla fruttuosità normale del danaro e agli interessi corrispettivi, perché prescinde dalla sanzione di illiceità penale del comportamento di chi commette usura e rammento che la L. 108/96 ha modificato l’art. 1815 CC col prevedere la non debenza di interessi per il semplice fatto che essi siano convenuti, e non che siano corrisposti. Il Legislatore, dunque, parlando in generale del mutuo – ossia del contratto mediante il quale normalmente ma non solo si realizza il reato di usura - ha effettuato una scelta precisa, spostando giustamente l’attenzione sullo stato soggettivo del percettore, ossia dell’usurato e giammai sullo stato soggettivo del datore ossia dell’usuraio. Del resto, visto che la giurisprudenza sovente ricorre a letture costituzionalmente orientate” delle norme, allora anche l’art. 821 CC va letto in coordinamento con l’intero impianto della l. n. 108/96 e non usato quale grimaldello per eluderla e soprattutto con l’art. 42 Cost. per il quale la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti . In altre parole, il denaro , che è un bene mobile, deve avere un preciso limite nel suo utilizzo , limite che al contempo influisce sul godimento di esso e quindi sui frutti del bene deve essere impiegato in modo coerente con la sua funzione sociale, che è l’accessibilità per tutti. Sorge spontanea la domanda ma se questo è vero, come è coerente con l’art. 42 Cost. colui che commette usura? Che funzione sociale svolge l’usuraio? Il godimento del denaro da parte dell’usuraio mentre compie il reato di usura può essere limitato, o è pur sempre un creditore che ha diritto agli interessi? In un caso interessante, nel quale un condannato per usura lamentava che la confisca avesse colpito anche la quota parte degli interessi legali – a lui spettanti e che aveva diritto ad incassare rispetto ai prestiti erogati - e non solo quelli usurari, Cass. Pen. 03/06/2014 n. 32675 afferma espressamente in motivazione che la qualificazione dell’interesse come usurario ricomprende ed assorbe, proprio per la natura illecita del negozio, la parte dell’interesse che si sarebbe mantenuto nei limiti della legalità ma che ha giocoforza perso nella globalità la sua individualità . Né si può obiettare che si parla di ipotesi diverse, per la semplice ragione che il principio affermato è chiarissimo, ed è lo stesso che ha ispirato il Legislatore del 1996. Lo stesso, chiamato a decidere se in caso di usura rendere nullo l’intero contratto o la sola previsione degli interessi, ha scelto la seconda ipotesi con evidenti finalità sanzionatorie. Posto che, si ripete, si infrange la legge e si commette reato sia ottenendo, sia facendosi promettere interessi usurari e che per il Legislatore le due condotte sono assolutamente identiche quanto a sostanziare l’elemento materiale del reato, è del tutto pacifico che la sanzione della non debenza degli interessi è riferita alla violazione della legge penale, ma se la legge penale è violata in un contratto di mutuo, quale che ne sia la forma, e se la violazione della legge penale qualifica il mutuante quale usuraio e il mutuatario quale usurato, la sanzione non può essere parcellizzata e men che meno limitata alla sola eccedenza rispetto agli interessi legali, perché questo vuol dire eludere la ratio legis . Anche l’ultimo periodo a pag. 23 esprime la stessa logica aberrante che privilegia il mercato del credito rispetto alla fattispecie concreta, che è la dialettica di illecito penale tra chi commette il reato di usura e chi lo subisce. Altri profili non rilevano affatto. Del resto, se fosse vero l’opposto qualsiasi usuraio potrebbe legittimamente pretendere interessi corrispettivi il che non è ed è incredibile solo pensarlo, e non si può distinguere tra usurai di serie A, a cui tutto è lecito il sistema creditizio e usurai di serie B, che vanno repressi tutti gli altri . Nella stessa logica si muove l’affermazione a pag. 24, 4° cpv. modificando le parole, chiama l’usuraio creditore insoddisfatto”, ma l’usuraio resta tale e difatti anche chi agisce per ottenere il rispetto di un patto usurario è, a ben vedere, un creditore insoddisfatto. Infatti, per sostenere questa incredibile affermazione la Corte si pone in aperta contraddizione proprio con sé stessa. Mentre la sentenza ha chiaro che la tutela del consumatore ha un ambito di applicazione e valenza totalmente diversi rispetto alla normativa antiusura che difatti non tutela il consumatore ma la vittima di un reato , e lo afferma espressamente a pag. 19, 2° periodo come si è visto, da pag. 24, penultimo cpv. in poi la normativa consumeristica viene invocata per sostenere la salvezza degli interessi corrispettivi, in quanto non rientranti in quelli usurari. Tra l’altro, l’equiparazione non regge neanche sotto un semplice rilievo le clausole abusive , nei contratti dei consumatori, sono quelle frutto di un abuso di potere contrattuale”, ma questa figura rappresenta un semplice illecito civile. Invece, in caso di violazione dell’art. 644 c.p. parliamo, è bene ribadirlo e non perderlo mai di vista, di un reato. Infatti, del tutto ovvia è l’affermazione a pag. 28, 2° cpv. circa la debenza degli interessi inglobati nelle rate ove non via sia pattuizione usuraria mai nessuno ha affermato il contrario. Ma questa affermazione nulla ha a che vedere con la vera ed unica questione, ossia se l’usuraio va o no sanzionato come ha previsto il Legislatore. Infine, francamente, anche le affermazioni da pag. 29 in avanti, circa l’astratta proponibilità di una domanda di mero accertamento della natura usuraria degli interessi nel corso del rapporto, si risolve in affermazioni si alcuna utilità pratica per l’usurato, come dimostra il penultimo cpv. a pag. 30, nel quale si legge che nemmeno l’espressa pattuizione di interessi di mora usurari produce la nullità della clausola, se nella materiale esecuzione del rapporto il mutuante ossia, ricordiamolo, l’usuraio dimostra di attenersi alle misure indicate dai tassi soglia. Con ciò, la totale elusione dell’art. 644 CP è compiuta neanche il farsi promettere interessi usurari integra il reato, perché se al momento della percezione l’usuraio contiene le sue proposte secondo il tasso soglia il suo comportamento diviene lecito e la sua richiesta legittima, come conferma il punto viii a pag. 32, e segnatamente il terzo capoverso di quel punto. E in questo modo, in realtà, la promessa di interessi usurari non è più illecita ma lo è solo la concreta percezione. Esattamente quello che il Legislatore ha escluso. E con ciò la sottrazione al Legislatore del suo compito di legiferare, pure costituzionalmente attribuito, è compiuta, e la potestà legislativa si trasferisce al potere giudiziario, a nulla valendo ogni intervento legislativo vista la facilità con cui esso viene eluso e vanificato.

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