RASSEGNA DELLE SEZIONI CIVILI DELLA CASSAZIONE

SEZ. III SENTENZA DEL 21 FEBBRAIO 2020 N. 4683 PRESCRIZIONE CIVILE – DECORRENZA Fatto illecito - Risarcimento del danno da perdita di risparmi - Domanda proposta nei confronti del Ministero dello sviluppo economico per omessa vigilanza su investimenti finanziari effettuati da società fiduciaria - Prescrizione - Dies a quo” - Deposito dello stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della società - Fondamento. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito decorre da quando il danneggiato, con l'uso dell'ordinaria diligenza, sia stato in grado di avere conoscenza dell'illecito, del danno e della derivazione causale dell'uno dall'altro, nonché dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa connotante detto illecito. Ne consegue che, nel caso di domanda risarcitoria proposta nei confronti del Ministero dello sviluppo economico per il ristoro dei danni derivanti dalla perdita di risparmi, affidati per l'investimento in programmi finanziari a società autorizzata ad operare come fiduciaria dello stesso Ministero, il dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento decorre dal deposito dello stato passivo della società - quale momento in cui il danneggiato è messo in condizione di apprezzare la vastità e la gravità delle irregolarità della società fiduciaria e, quindi, l'intempestività, l'incompletezza e le omissioni nelle attività di vigilanza demandate al Ministero - e non già dalla comunicazione ai creditori di siffatto deposito, rilevante soltanto ai fini della decorrenza dei termini per le impugnazioni. PRESCRIZIONE CIVILE - INTERRUZIONE - IN GENERE Credito contrattuale alla restituzione dei capitali investititi nei confronti di società fiduciaria del Ministero dello sviluppo economico assoggettata a procedura concorsuale - Domanda di ammissione al passivo della società - Interruzione della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni causati dal Ministero per omessa vigilanza sulla medesima società - Idoneità - Esclusione - Art. 1310 c.c. - Applicabilità - Esclusione - Fondamento. In tema di danni patiti da investitori per perdita di risparmi affidati a società fiduciaria del Ministero dello sviluppo economico, la domanda di ammissione al passivo della società, assoggettata a procedura concorsuale, del credito alla restituzione dei capitali investiti per inadempimento del contratto di deposito in amministrazione fiduciaria delle somme, non è idonea ad interrompere il decorso del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno nei confronti del Ministero, fondato sul diverso e distinto fatto illecito extracontrattuale consistente nell'omessa vigilanza sull'operato della società finanziaria e nella mancata tempestiva revoca dell'autorizzazione ad operare alla stessa rilasciata, né trova applicazione il disposto dell'art. 1310 c.c., attesi la diversità degli interessi lesi dalle autonome condotte dannose e il difetto di un vincolo di solidarietà tra i soggetti a vario titolo obbligati. OBBLIGAZIONI IN GENERE - SOLIDARIETA' – PRESCRIZIONE Pluralità di fatti illeciti ascrivibili a diversi soggetti - Fatto costituente reato soltanto per un obbligato - Termine di prescrizione ex art. 2947, comma 3, c.c. - Applicabilità al solo obbligato penalmente responsabile - Citazione in sede penale, quale responsabile civile, del soggetto civilmente obbligato in forza di autonoma condotta - Rilevanza - Esclusione - Fondamento. In tema di obbligazioni derivanti da una pluralità di illeciti ascrivibili a differenti soggetti, qualora soltanto il fatto di un obbligato sia anche reato, mentre quelli degli altri costituiscano illeciti civili, la possibilità di invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall'art. 2947, comma 3, c.c. per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato è limitata all'obbligazione nascente dal reato né, a tal fine, assume rilievo la citazione nel processo penale, quale responsabile civile, del soggetto obbligato civilmente per una condotta distinta ed autonoma da quella penalmente illecita. RISARCIMENTO DEL DANNO - VALUTAZIONE E LIQUIDAZIONE - IN GENERE Perdite subite dai risparmiatori - Risarcimento - Valore nominale del capitale versato - Ammissibilità - Frutti realizzabili dagli investimenti del capitale - Esclusione - Fondamento. Ai fini della liquidazione del danno subito dai risparmiatori per la perdita delle somme di denaro affidate in gestione a società fiduciarie, ai sensi della l. n. 1966 del 1939, non possono essere riconosciuti, oltre al valore nominale del capitale versato, anche i frutti sotto forma di interessi che quei capitali avrebbero prodotto se fossero stati investiti nella specie, in BOT , atteso che il rapporto di amministrazione fiduciaria, implicando o comunque autorizzando investimenti con margini di rischio e possibilità di perdite, non attribuisce al fiduciante il diritto ad un rendimento minimo o ad un utile garantito. Con riguardo al primo principio, in senso conforme, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17572 del 2013 Posto che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito decorre da quando il danneggiato, con l'uso dell'ordinaria diligenza, sia stato in grado di avere conoscenza dell'illecito, del danno e della derivazione causale dell'uno dall'altro, nonché dello stesso elemento soggettivo del dolo o della colpa che connota l'illecito suddetto, nel caso di domanda risarcitoria proposta nei confronti del Ministero dello sviluppo economico e finalizzata al ristoro dei danni derivanti dalla perdita di risparmi, affidati a società autorizzata ad operare come fiduciaria del medesimo Ministero perché fossero investiti in programmi finanziari, deve ritenersi che il dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento decorra non dalla revoca dell'autorizzazione, già rilasciata alla medesima società, ad operare come fiduciaria del Ministero, né dalla sua messa in stato di liquidazione coatta amministrativa, bensì dal deposito dello stato passivo della liquidazione, in quanto solo in tale momento il soggetto danneggiato ha potuto apprezzare la vastità e la gravità delle irregolarità della società fiduciaria e, conseguentemente, l'intempestività, l'incompletezza e le omissioni nelle attività di vigilanza demandate al Ministero. In relazione al secondo, si richiamano a Sez. 3, Sentenza n. 10403 del 2002 La solidarietà passiva, stabilita dall'art. 2055 cod. civ. a favore del danneggiato nell'ipotesi di fatto dannoso imputabile a più persone, postula l'unicità del danno configurabile, pur in presenza di più azioni od omissioni costituenti illeciti distinti, dovendo invece escludersi tale solidarietà se le condotte realizzate da più soggetti hanno leso separatamente interessi diversi del danneggiato. Nella specie, avendo una società di revisione, con un'infedele certificazione, arrecato danni ai promissari acquirenti di quote di una società, la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la solidarietà' passiva tra la società di revisione e i venditori delle quote societarie, attesa la differenza sussistente tra il danno derivante dall'erronea certificazione dello stato patrimoniale della società - in seguito al quale i promissari acquirenti non avevano valutato l'antieconomicità della futura gestione e quindi non avevano esercitato il diritto di recesso previsto nel preliminare - e il danno derivante dalla violazione del sinallagma contrattuale per aver pagato una somma non congrua per le quote sociali acquistate . b Sez. L, Sentenza n. 17412 del 2016 La presentazione dell'istanza di insinuazione al passivo fallimentare, equiparabile alla domanda giudiziale, determina, ai sensi dell'art. 2945, comma 2, c.c., l'interruzione della prescrizione del credito, con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, anche nei confronti del condebitore solidale del fallito, ex art. 1310, comma 1, c.c. In applicazione del principio, la S.C. ha respinto il motivo del coobbligato in solido della società fallita che, in sede di opposizione a cartella esattoriale, collegava gli effetti permanenti dell'interruzione, non già alla presentazione della domanda, ma alla successiva ammissione al passivo . c Sez. 3 - , Ordinanza n. 1070 del 2019 La responsabilità solidale dei danneggianti, l'art. 2055, comma 1, c.c. richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone ed anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, atteso che l'unicità del fatto dannoso considerata dalla norma suddetta deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle norme giuridiche da essi violate. d Sez. 3 - , Sentenza n. 22164 del 2019 In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito imputabile a più danneggianti in solido tra loro ai sensi dell'art. 2055 c.c., la diversità dei titoli della responsabilità ascrivibile ai vari coobbligati non incide sull'interruzione del termine di prescrizione, che resta disciplinata dai principi sulle obbligazioni solidali e, segnatamente, dall'art. 1310, primo comma, c.c., per la cui applicabilità è necessaria e sufficiente l'esistenza del vincolo obbligatorio solidale scaturente dall'unicità del fatto dannoso previsto dall'art. 2055 c.c In applicazione del principio, con riferimento ad un giudizio per risarcimento del danno da perdita di somme di denaro affidate da risparmiatori ad una società di intermediazione finanziaria, la S.C. ha ritenuto operante nei confronti della CONSOB, responsabile per omessa vigilanza sull'operatore di mercato, l'effetto estensivo dell'interruzione della prescrizione compiuta mediante la costituzione di parte civile nel procedimento penale a carico dell'autore del fatto illecito . Con riguardo al terzo, si vedano i Sez. 3, Sentenza n. 27713 del 2005 In tema di obbligazioni solidali derivanti da atti illeciti, qualora solo il fatto di uno dei coobbligati costituisca anche reato, mentre quelli degli altri costituiscono unicamente illecito civile, la possibilità di invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall'ultimo comma dell'art. 2947 cod. civ., per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato, è limitata alla sola obbligazione del primo dei predetti debitori quella collegata ad un reato . ii Sez. 1, Sentenza n. 23872 del 2014 In tema di prescrizione nel più lungo termine derivante da reato, l'applicazione dell'art. 2947, terzo comma, cod. civ., all'autorità con compiti di vigilanza sul mercato finanziario CONSOB chiamata in corresponsabilità, con l'autore del fatto, per omessa vigilanza presuppone la sussistenza di un titolo di responsabilità indiretta per un fatto costituente reato del suo funzionario o dipendente, non potendo quel termine automaticamente estendersi alla medesima autorità quando sussista una mera obbligazione solidale a titolo di responsabilità civile extracontrattuale di natura omissiva, a norma dell'art. 2043 cod. civ., con l'autore del reato, ferma la solidarietà risarcitoria ex art. 2055 cod. civ. iii Sez. 3 - , Sentenza n. 22524 del 2019 In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto dannoso imputabile a più persone, fonte di responsabilità solidale ex art. 2055 c.c., la natura del titolo di responsabilità, che fonda la pretesa risarcitoria azionata, condiziona l'individuazione del termine di durata della prescrizione per il quale, in caso di coincidenza tra fatto costituente reato e fatto determinativo dell'illecito civile, si applica la più lunga durata stabilita per il primo, in base all'art. 2947, ultimo comma, c.c. la diversità dei titoli di responsabilità, invece, non incide sulla interruzione del termine di prescrizione di volta in volta rilevante, essendo in tal caso applicabile la regola di cui all'art. 1310 comma 1 c.c., il quale rende l'atto interruttivo compiuto dal creditore contro uno dei debitori in solido efficace anche nei confronti degli altri debitori solidali. Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che, disattendendo il principio sopra enunciato, aveva applicato all'autorità con compiti di vigilanza sul mercato finanziario - CONSOB - il termine di prescrizione più lungo stabilito per il fatto costituente reato, sebbene la medesima autorità fosse chiamata a rispondere in solido con le società autrici del reato soltanto a titolo di responsabilità civile extracontrattuale di natura omissiva a norma dell'art. 2043 c.c. . Il quarto è conforme a Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7531 del 2009 Ai fini della liquidazione del danno subito dai risparmiatori per la perdita delle somme di denaro affidate in gestione a società fiduciarie, ai sensi della normativa di cui alla legge n. 1966 del 1939, non possono essere riconosciuti, oltre al valore nominale del capitale versato, anche i frutti sotto forma di interessi che quei capitali avrebbero prodotto se fossero stati investiti nella specie, in BOT , atteso che il rapporto di amministrazione fiduciaria, implicando o comunque autorizzando investimenti con margini di rischio e possibilità di perdite, non attribuisce al fiduciante il diritto ad un rendimento minimo o ad un utile garantito Fattispecie di responsabilità del Ministero dell'Industria per la omessa e non tempestiva vigilanza sull'attività delle società fiduciarie a protezione dei risparmiatori . SEZ. III ORDINANZA DEL 25 FEBBRAIO 2020, N. 5091 ACQUE - ACQUE PUBBLICHE - DERIVAZIONI E UTILIZZAZIONI UTENZE - CONCESSIONE - IN GENERE Diritto di antica utenza di derivazione di acque ex art. 2 r.d. n. 1775 del 1933 - Introduzione della tariffa unica del servizio idrico per le acque divenute pubbliche ex artt. 13 e 33 della l. n. 36 del 1994, integrata dal d.lgs. n. 152 del 2006 - Cessazione del diritto di derivazione - Esclusione - Ragioni. I diritti spettanti a chi sia stato riconosciuto titolare di un antico uso delle acque pubbliche ai sensi degli artt. 2 e 3 del r.d. n. 1775 del 1933, ossia del diritto di derivare e utilizzare acqua pubblica , ancorché limitatamente al quantitativo di acqua e forza motrice effettivamente utilizzata durante il trentennio anteriore alla pubblicazione della l. n. 2644 del 1884, non vengono meno a seguito dell'introduzione della tariffa unica del servizio idrico per le acque divenute pubbliche, non avendo gli artt. 13 e 33 della l. n. 36 del 1994 integrata dal d.lgs. n. 152 del 2006 abrogato le anzidette disposizioni del citato r.d. e continuando l'art. 34 della medesima legge a prevedere espressamente, con norma transitoria, la possibilità di ottenere il riconoscimento del diritto all'utilizzo di acque divenute pubbliche. Si richiama Cass. Sez. U, Sentenza n. 3162 del 2011 A norma dell'art. 34 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e dell'art. 96, comma 7, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, i soggetti che avevano un diritto di derivazione riguardante acque che hanno assunto natura pubblica ai sensi dell'art. 1 della citata legge n. 36 del 1994, sono titolari di un vero e proprio diritto soggettivo - analogamente a quanto disposto, a suo tempo, dagli artt. 2, 3 e 4 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, per le c.d. antiche utenze - ad ottenere il rilascio della concessione in relazione a tali acque, con un provvedimento avente effetto ex tunc , in quanto meramente dichiarativo del diritto di uso dell'acqua divenuta pubblica. SEZ. III SENTENZA DEL 25 FEBBRAIO 2020, N. 5099 RISARCIMENTO DEL DANNO - MORTE DI CONGIUNTI PARENTI DELLA VITTIMA Decesso di congiunto disoccupato - Danno patrimoniale futuro - Risarcibilità - Condizioni - Fattispecie. Ai prossimi congiunti di un soggetto disoccupato, deceduto in conseguenza del fatto illecito di un terzo, compete il risarcimento del danno patrimoniale futuro che si prospetti come effettivamente probabile sulla scorta di parametri di regolarità causale ed alla stregua di oggettivi e ragionevoli criteri rapportati alle circostanze del caso concreto. In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva rigettato la domanda sulla base della mera mancanza di un reddito attuale di fonte lavorativa in capo alla vittima deceduta, madre ventunenne dell'attrice . In precedenza a Sez. 3, Sentenza n. 3966 del 2012 Ai prossimi congiunti di un soggetto deceduto in conseguenza del fatto illecito di un terzo compete il risarcimento del danno patrimoniale futuro, nel caso in cui il defunto svolgesse attività lavorativa remunerata tale danno deve essere liquidato sulla base di una valutazione equitativa circostanziata, a carattere satisfattivo, che tenga conto della rilevanza del legame di solidarietà familiare, da un lato, e delle prospettive di reddito professionale, dall'altro. Nella specie, la decisione di merito aveva negato ad una giovane il risarcimento del danno patrimoniale futuro, con l'argomento che il padre naturale, deceduto in un sinistro stradale, non le versava, in vita, l'assegno di mantenimento la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, e osservando che l'uomo avrebbe potuto adempiere in futuro gli obblighi economici verso la figlia, ha cassato la sentenza . b Sez. 3 - , Sentenza n. 29830 del 2018 Il danno patrimoniale da mancato guadagno derivante al congiunto dalla perdita della fonte di reddito collegata all'attività lavorativa della vittima configura un danno futuro, da valutarsi con criteri probabilistici, in via presuntiva e con equo apprezzamento del caso concreto e da liquidarsi in via necessariamente equitativa. Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito la quale, nel negare la pretesa risarcitoria, non si è attenuta ai richiamati principi, affermando non sufficientemente provato che la vittima, in assenza di fatto illecito, avrebbe destinato una percentuale del proprio reddito agli investimenti sebbene dalla allegata documentazione relativa al decennio precedente l'evento di danno fosse emerso, da un lato, l'esponenziale aumento dei proventi ritratti dalla vittima dalla sua attività professionale di avvocato e dall'altro, la costante destinazione di una quota parte del reddito complessivo - stimata dalla C.T.U. in quota percentuale pari al 20 per cento - agli investimenti . SEZ. III ORDINANZA DEL 5 MARZO 2020, N. 6177 FIDEJUSSIONE - IN GENERE NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONI Contratto autonomo di garanzia - Oggetto - Differenze rispetto al contratto di fideiussione - Fattispecie garanzia del servizio di gestione rifiuti . Con il contratto autonomo di garanzia il garante si impegna a tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento dell'obbligazione - che può avere ad oggetto anche una prestazione infungibile - gravante sul debitore principale, in ciò differenziandosi rispetto al fideiussore, il quale, garantendo l'adempimento dell'obbligazione altrui, è tenuto ad una prestazione identica a quella dovuta dal debitore principale. Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva qualificato come garanzia autonoma la polizza cauzionale prestata da una società di assicurazione per le obbligazioni assunte da un concessionario del servizio di smaltimento di rifiuti speciali, desumendo il carattere infungibile della prestazione del debitore principale dai requisiti tecnici, economici e di affidabilità indispensabili per il rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie allo svolgimento del servizio . ASSICURAZIONE - IMPRESA DI ASSICURAZIONE - IN GENERE Contratto autonomo di garanzia - Facoltà per l'assicuratore garante di adempiere la prestazione del debitore - Nullità della clausola - Ragioni. La clausola del contratto autonomo di garanzia che attribuisce all'assicuratore garante la facoltà, alternativa al versamento dell'indennizzo in favore del creditore insoddisfatto, di adempiere la stessa obbligazione del debitore, è nulla per contrarietà a norma imperativa, essendo precluso alle società di assicurazione, incluse quelle del ramo cauzioni, l'esercizio di qualsiasi attività diversa da quella assicurativa e da quelle connesse in base all'art. 5 della l. n. 295 del 1978 applicabile ratione temporis . In ordine al primo principio, si richiama Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 30509 del 2019 Il contratto autonomo di garanzia cd. Garantievertrag , espressione dell'autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che può riguardare anche un fare infungibile qual è l'obbligazione dell'appaltatore , contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l'adempimento della medesima obbligazione principale altrui attesa l'identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante inoltre, la causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l'elemento dell'accessorietà, è tutelato l'interesse all'esatto adempimento della medesima prestazione principale. Ne deriva che, mentre il fideiussore è un vicario del debitore, l'obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all'obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all'adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore. Con riferimento al secondo, si veda Cass. Sez. 1 - , Ordinanza n. 384 del 2018 Il divieto imposto alle società assicuratrici di limitare il proprio oggetto sociale all'attività assicurativa ed a quelle connesse in base all'art. 5 della l. n. 295 del 1978 applicabile ratione temporis non osta al compimento di singoli atti non aventi natura assicurativa, purché ciò non si traduca in un'attività sistematica implicante l'assunzione di un rischio imprenditoriale indipendente ed estremo rispetto a quello tipico dell'assicuratore. Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza con la quale la Corte di appello ha ritenuto valide alcune lettere di patronage rilasciate da una società assicuratrice in favore di alcuni istituti bancari per debiti contratti da alcune società commerciali . SEZ. II SENTENZA DEL 5 MARZO 2020, N. 6302 NOTARIATO - DISCIPLINA SANZIONI DISCIPLINARI DEI NOTAI - PROCESSO DISCIPLINARE Notariato - Iniziativa disciplinare - Presidente del collegio notarile del luogo di commissione dell'illecito - Abilitazione - Fondamento. In tema di responsabilità disciplinare del notaio, anche il Presidente del collegio notarile del luogo in cui è stata posta in essere la condotta illecita è abilitato a promuovere l'azione disciplinare, atteso che l'art. 153 della l. n. 89 del 1913, come novellato dalla l. n. 27 del 2012, amplia la previsione dell'art. 93 ter della legge notarile, prevedendo una legittimazione concorrente di tale organo al fine di rendere omogenea l'iniziativa disciplinare riconosciuta al Procuratore della Repubblica, estesa anche al pubblico ministero del luogo di commissione dell'illecito. Non si rilevano precedenti in termini. SEZ. II SENTENZA DEL 9 MARZO 2020 N. 6625 SANZIONI AMMINISTRATIVE - APPLICAZIONE - OPPOSIZIONE - PROCEDIMENTO - IN GENERE Sanzioni amministrative - Banche - Remunerazione dell'alta dirigenza - Art. 22, comma 2, lett. a , n. 1, della l. n. 217 del 2011 - Norma interpretativa – Finalità - Potere normativo secondario della Banca d’Italia - Sussistenza già nella vigenza dell'art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 385 del 1993 - Fondamento. L'art. 22, comma 2, lett. a , n. 1, della l. n. 217 del 2011, che ha sostituito la lett. d dell'art. 53, comma 1,del d.lgs. n. 385 del 1993 c.d. TUB , laddove attribuisce alla Banca d'Italia il potere regolamentare anche in materia di governo societario, organizzazione amministrativa e contabile, nonché di controlli interni e di sistemi di remunerazione e di incentivazione, introduce una norma interpretativa, volta a dare attuazione alla direttiva comunitaria 2010/76/CE, al fine di evidenziare l'importanza dei meccanismi di remunerazione dell'alta dirigenza delle banche per impedire l'assunzione di rischi ingiustificati, eccessivi e imprudenti da parte degli amministratori tale potere regolamentare preesisteva, infatti, alla novella del 2011, trovando fondamento nelle previsioni di cui alle lett. b e d del previgente art. 53 TUB, concernenti, rispettivamente, le voci del contenimento dei rischi e dell'organizzazione amministrativa e contabile e dei controlli interni. SANZIONI AMMINISTRATIVE - APPLICAZIONE - OPPOSIZIONE - PROCEDIMENTO - IN GENERE Sanzioni amministrative - Art. 144 del d.lgs. n. 385 del 1993 - Presunzione di colpa ex art. 3 della l. n. 689 del 1981 - Elementi dell'illecito - Rilevanza dell'elemento soggettivo - Limiti - Conseguenze sul riparto dell'onere probatorio. In relazione agli illeciti di cui all'art. 144 del d.lgs. n. 385 del 1993, nei confronti di soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione o controllo di istituti bancari il legislatore individua una serie di fattispecie, destinate a salvaguardare procedure e funzioni incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, ricollegando il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico e limitando l'indagine sull'elemento oggettivo dell'illecito all'accertamento della condotta inosservante, sicché, integrata e provata dall'autorità amministrativa la fattispecie tipica dell'illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall'art. 3 della l. n. 689 del 1981, l'onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza. In ordine al primo principio non si rilevano precedenti in termini. Riguardo al secondo, si richiama Cass. Sez. 2 - , Sentenza n. 1529 del 2018 In tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria è posto a carico dell'Amministrazione, la quale è pertanto tenuta a fornire la prova della condotta illecita. Tuttavia, nel caso dell'illecito omissivo di pura condotta, essendo il giudizio di colpevolezza ancorato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, è sufficiente la prova dell'elemento oggettivo dell'illecito comprensivo della suità della condotta inosservante, in assenza di elementi tali da rendere inesigibile la condotta o imprevedibile l'evento. Così intesa la presunzione di colpa non si pone in contrasto con gli artt. 6 CEDU e 27 Cost. anche nel caso la sanzione abbia natura sostanzialmente penale in quanto afflittiva. SEZ. II SENTENZA DEL 10 MARZO 2020, N. 6735 COMUNIONE DEI DIRITTI REALI - CONDOMINIO NEGLI EDIFICI NOZIONE, DISTINZIONI - ASSEMBLEA DEI CONDOMINI – CONVOCAZIONE Condomino – Omesso avviso – Annullabilità – Soggetti legittimati – Individuazione – Fondamento – Onere probatorio a carico del condomino pretermesso. La mancata comunicazione a taluno dei condomini dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, in quanto vizio procedimentale, comporta l'annullabilità della delibera condominiale ne consegue che la legittimazione a domandare il relativo annullamento spetta, ai sensi degli artt. 1441 e 1324 c.c., unicamente al singolo avente diritto pretermesso, sul quale grava l'onere di dedurre e provare, in caso di contestazione, i fatti dai quali l'omessa comunicazione risulti. COMUNIONE DEI DIRITTI REALI - CONDOMINIO NEGLI EDIFICI NOZIONE, DISTINZIONI - REGOLAMENTO DI CONDOMINIO - DETERMINAZIONE DEL VALORE PROPORZIONALE DELLE SINGOLE PROPRIETA' MILLESIMAZIONE Tabelle millesimali condominiali - Approvazione o revisione - Consenso unanime dei condomini – Necessità - Condizioni. Per l'atto di approvazione delle tabelle millesimali e per quello di revisione delle stesse, è sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., ogni qual volta l'approvazione o la revisione avvengano con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge viceversa, la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella diversa convenzione , di cui all'art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell'approvazione unanime dei condomini. Con riferimento al primo principio, si veda Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9082 del 2014 In tema di condominio negli edifici, il condomino assente in assemblea, ma regolarmente convocato, non può impugnare la delibera per difetto di convocazione di altro condomino, trattandosi di vizio che inerisce all'altrui sfera giuridica, come conferma l'interpretazione evolutiva fondata sull'art. 66 disp. att. cod. civ., modificato dall'art. 20 della legge 11 dicembre 2012, n. 220. Con riguardo al secondo, si richiamano a Sez. 2, Sentenza n. 6714 del 2010 In tema di condominio, sono affette da nullità, che può essere fatta valere anche da parte del condomino che le abbia votate, le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 cod. civ. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini, mentre sono annullabili e, come tali, impugnabili nel termine di cui all'art. 1137, ultimo comma, cod. civ., le delibere con cui l'assemblea, nell'esercizio delle attribuzioni previste dall'art. 1135, n. 2 e n. 3, cod. civ., determina in concreto la ripartizione delle spese medesime in difformità dai criteri di cui all'art. 1123 cod. civ b Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 1848 del 2018 In tema di revisione e modificazione delle tabelle millesimali, qualora i condomini, nell'esercizio della loro autonomia, abbiano espressamente dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., dando vita alla diversa convenzione di cui all'art. 1123, comma 1, ultima parte, c.c., la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell'art. 69 disp. att. c.c., che attribuisce rilievo esclusivamente alla obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari dell'edificio ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle. Ove, invece, tramite l'approvazione della tabella, anche in forma contrattuale mediante la sua predisposizione da parte dell'unico originario proprietario e l'accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l'accordo unanime di tutti i condomini , i condomini stessi intendano come, del resto, avviene nella normalità dei casi non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata addivenendo, così, alla approvazione delle operazioni di calcolo documentate dalla tabella medesima , la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l'errore il quale, in forza dell'art. 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l'errore vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 e ss. c.c., ma consiste, per l'appunto, nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito. c Sez. 2 - , Ordinanza n. 27159 del 2018 In tema di condominio, l'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale ne consegue che il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. SEZ. II SENTENZA DEL 10 MARZO 2020, N. 6733 ENTI PUBBLICI – PATRIMONIO Enti previdenziali - Dismissione degli immobili – Manifestazione di volontà di acquisto dei conduttori - Sufficienza - Esclusione – Offerta in opzione dell’ente proprietario - Necessità - Fondamento. In tema di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici, l'art. 3, comma 20, del d.l. n. 351 del 2001, convertito con l. n. 410 del 2001, che disciplina il diritto dei conduttori di acquistare in prelazione la proprietà degli immobili condotti in locazione, postula in generale una manifestazione della volontà di vendere da parte dell'ente e dispone che tali immobili possano essere venduti al prezzo e alle condizioni determinati in base alla normativa vigente alla data della manifestazione di volontà di acquisto, effettuata entro il 31/10/2001, qualora al 26/9/2001 non sia stata ancora formulata l'offerta di opzione da parte dell'ente proprietario. Si richiamano a Sez. 3, Sentenza n. 21988 del 2011 Il diritto di prelazione dei conduttori di immobili appartenenti ad enti previdenziali nella specie l'Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Farmacisti , riconosciuto dal d.lgs 16 febbraio 1996, n. 104, è esercitabile esclusivamente quando l'ente abbia validamente ed adeguatamente manifestato la specifica volontà di porre in vendita gli immobili, in attuazione del dettato normativo, attraverso una specifica proposta di alienazione, consistente in una determinazione negoziale dell'Ente di cedere l'immobile. Ne consegue che non può configurarsi un obbligo di dismettere il patrimonio immobiliare di tali enti discendente direttamente dalla legge che si configuri come una peculiare offerta pubblica imposta dal legislatore, in quanto tale prospettazione si porrebbe in insanabile contrasto con la disciplina del procedimento di alienazione e stravolgerebbe la natura giuridica degli atti di dismissione, trasformandoli in anomale e sistematiche procedure ablative. b Sez. 1, Sentenza n. 21596 del 2013 In tema di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici, la denuntiatio praelationis spedita dall'ente al conduttore di un proprio immobile senza l'indicazione del prezzo di vendita di quest'ultimo è comunque idonea a manifestare la volontà dismissiva del primo, non essendo la determinazione di quel prezzo rimessa alla libera contrattazione tra le parti, ma dovendo avvenire, originariamente, sulla base dei criteri indicati dalla legge o mediante una stima compiuta dall'ufficio tecnico erariale, e, successivamente, alla stregua del prezzo di mercato, la cui individuazione è stata demandata, in un primo tempo, al medesimo ufficio, per il caso di difforme valutazione delle parti, ed in seguito all'Agenzia del territorio o a società aventi particolare esperienza nel settore. SEZ. III ORDINANZA DEL 11 MARZO 2020, N. 7018 OBBLIGAZIONI IN GENERE - ESTINZIONE DELL'OBBLIGAZIONE - COMPENSAZIONE – GIUDIZIALE Operatività relativamente ad una ragione creditoria già prescritta - Sussistenza - Fondamento. La compensazione giudiziale può operare anche relativamente ad una ragione creditoria già prescritta, ove il credito opposto sia certo e, benché indeterminato nel suo ammontare, di facile e pronta liquidazione, poiché la regola generale contenuta nell'art. 1242, comma 2, c.c., che postula la prevalenza del diritto alla compensazione rispetto alla prescrizione qualora il relativo termine non sia spirato nell'arco temporale di coesistenza dei crediti e dei debiti, si fonda sul principio di ragionevolezza e di buona fede nella disciplina dei rapporti negoziali e rappresenta una declinazione di quello, pure generale, per il quale, quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra, i debiti si estinguono per le quantità corrispondenti. In senso difforme, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23078 del 2005 Il principio secondo cui la compensazione può operare anche relativamente ad una ragione creditoria già prescritta art. 1242, secondo comma, cod. civ. non è applicabile alla compensazione giudiziale, potendo questa aver luogo soltanto ope iudicis , con la conseguenza che l'effetto dell'estinzione dei due debiti dal giorno della loro coesistenza non può verificarsi. Si veda anche Cass. Sez. U - , Sentenza n. 23225 del 2016 L'art. 1243 c.c. stabilisce i presupposti sostanziali ed oggettivi del credito opposto in compensazione, ossia la liquidità, inclusiva del requisito della certezza, e l'esigibilità. Nella loro ricorrenza, il giudice dichiara l'estinzione del credito principale per compensazione legale, a decorrere dalla sua coesistenza con il controcredito e, accogliendo la relativa eccezione, rigetta la domanda, mentre, se il credito opposto è certo ma non liquido, perché indeterminato nel suo ammontare, in tutto o in parte, egli può provvedere alla relativa liquidazione, se facile e pronta, e quindi può dichiarare estinto il credito principale per compensazione giudiziale sino alla concorrenza con la parte di controcredito liquido, oppure può sospendere cautelativamente la condanna del debitore fino alla liquidazione del controcredito eccepito in compensazione.